Il MIUR ha comunicato che l´organico di fatto per il corrente anno scolastico ha sforato il tetto previsto di circa 7. 200 docenti (di cui 4.200 posti di docenti di sostegno anche per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale) e 2.200 ATA, ciò per l´impossibilità di comprimere ulteriormente gli organici di fatto, oltre a quanto già effettuato in diritto, derogando quindi dagli obiettivi di risparmio previsti dall´articolo 64 della legge 133 del 2008.
Per il 2011/12, ultimo anno del triennio in cui sono previsti i tagli, dovranno essere cancellati 19.700 unità di docenti e 14.167 ATA.
Per il prossimo anno scolastico la ripartizione dei posti, che dovrà attuare la terza tranche di tagli, sarà effettuata tenendo conto prevalentemente della previsione sul numero degli alunni (- 2.700 nella primaria, + 12.300 nella secondaria di primo grado, - 4.000 nelle secondaria di secondo grado, per un totale complessivo pari a circa + 5.400 unità) e sulla base anche degli altri indici oro-geografici utilizzati in questi anni.
Una parte dei suddetti risparmi di organico sarà realizzata con:
1. l´innalzamento di 0,10 unità nel rapporto alunni/classi;
2. l´estensione a 27 ore settimanali previste dalla riforma nelle classi I, II e III, con l´adozione del "maestro unico";
3. l´ulteriore eliminazione di 4700 docenti specialisti di lingua Inglese nella scuola primaria;
4. la riduzione a 32 ore dei quadri orari settimanali delle III classi dell´istruzione professionale;
5. i tagli di 3000 posti nei corsi serali della secondaria di II grado.
Nella primaria il tempo pieno già attivato sarà riconfermato, altrettanto dicasi per il tempo prolungato nella secondaria di primo grado; per le nuove richieste invece non si sa ancora niente.
Nella scuola primaria la riduzione prevista è pari a 9.260 posti, nella scuola secondaria di primo grado 1.310 posti per effetto, prevalentemente, della riduzione delle classi a tempo prolungato. La riduzione riguarderà poi la scuola secondaria di secondo grado per un totale di circa 9.000 posti per effetto dei nuovi ordinamenti applicati sia alle prime che alle seconde classi, per la riduzione a 32 ore nelle V° classi dell’istruzione tecnica e nelle III° classi dell’istruzione professionale, per la riduzione dei corsi serali e per l’innalzamento ulteriore del rapporto medio degli alunni per classe. Infine, per il sostegno, in organico di diritto si prevede la conferma dei posti complessivi assegnati nello scorso anno.
Ad attenuare questo drammatico scenario è l'alto numero di richieste di pensionamento per il prossimo anno scolastico: quasi 35mila, di cui 27.400 per i docenti e 7.300 per gli ATA.
Insomma, si configura un ulteriore aggravamento delle condizioni di lavoro e studio in tutta la scuola pubblica se solo pensiamo all’intenzione di tagliare altri 15.000 posti Ata, se per l’anno in corso lo stesso Miur ha dovuto autorizzare 2.200 posti in deroga per garantire il servizio e l’apertura stessa delle scuola.
Incredibile anche la riduzione di docenti (attraverso il mancato rinnovo del turnover) a fronte di una crescita degli alunni pari (secondo il Miur) a 5.400 unità, che non potrà che comportare un calo della qualità dell’istruzione.
È stato approvato definitivamente il cosiddetto “decreto milleproroghe”, un accozzaglia di provvedimenti che riguardano le sale Bingo, le quote latte, i contributi all’editoria ecc.
Alcuni commi del decreto riguardano la scuola: risistemazione dell’Invalsi, prolungamento del servizio all’estero fino a 9 anni e proroga al 31 dicembre 2011 del termine relativo alla nuova procedura di impugnazione dei licenziamenti individuali introdotta dall'articolo 32 della legge 183/2010 (cd. "collegato lavoro").
Come si ricorderà, il collegato lavoro prevede che la richiesta da parte dei lavoratori di esigere dei diritti pregressi (riconoscimento degli scatti d’anzianità, assunzione a tempo indeterminato, opposizione al licenziamento ecc.) doveva essere fatta entro lo scorso 22 gennaio. Con questo provvedimento sarà possibile farlo entro tutto il 2011.
Non occorreva essere grandi veggenti per prevedere quello che ci racconta l’articolo che segue. Purtroppo, questo è solo uno dei primi effetti perversi che i test Invalsi stanno producendo nella scuola e che dobbiamo contrastare rifiutando di effettuare le prove a quiz.
I test Invalsi per attrarre studenti
«Così evitiamo i tagli»
È come gli spot della tv. Il biscotto A è migliore del biscotto B perché ha più vitamine e meno zuccheri. E la Mazzini è migliore della Garibaldi perché i suoi studenti sono più bravi sia in italiano che in matematica. Le scuole italiane scoprono la pubblicità comparativa. Sito Internet dell’Istituto Beata Maria Vergine, Merate, provincia di Lecco: «Per testimoniare la qualità del nostro lavoro in classe e per invitare altre scuole a fare altrettanto abbiamo deciso di pubblicare i risultati dei nostri studenti alle prove Invalsi» . E cosa diavolo sono queste prove Invalsi? L’idea degli spot parte proprio da qui. Dire che in questa scuola hanno tutti dieci non funzionerebbe: ogni insegnante ha un suo metro di giudizio e il dieci della Mazzini può valere il sette della Garibaldi.
Ma da qualche anno nelle nostre elementari e medie si fanno anche test di italiano e di matematica uguali per tutti e corretti per tutti allo stesso modo dall’Istituto per la valutazione del sistema educativo, l’Invalsi appunto. Non ci sono simpatie o antipatie, non esistono insegnanti di manica larga o di manica stretta: il metro di giudizio è sempre lo stesso. Grazie a questi test ogni scuola conosce qual è il suo punteggio reale. E può sapere se fa meglio o peggio della media regionale e nazionale. A farsi pubblicità così, naturalmente, sono solo le scuole sopra la media. Le scuole private con l’obiettivo di attirare studenti, visto che vivono di rette oltre che di contributi pubblici. «Naturalmente— dice Stefano Pierantoni, preside dell’Istituto Beata Maria Vergine, vicino a Lecco— vogliamo far vedere che lavoriamo bene. Ma credo che il confronto sia utile per tutti, in modo da estendere i modelli che funzionano e scartare quelli che non funzionano» .
La stessa spiegazione che danno alla media Kolbe di Lecco, 10 punti sopra la media lombarda, 15 sopra quella italiana. Ma a mettere i loro punteggi su internet sono anche scuole pubbliche come la Luciano Manara di Milano o la Valpantena di Verona. Che interesse hanno, loro? «Per una questione di trasparenza — spiegano alla elementare del secondo circolo di Pompei — ma anche per avere un buon numero di richieste. Così riusciamo a salvare gli organici dai tagli» . A ciascuno il suo (motivo), e la pubblicità cresce. In Inghilterra e in alcuni Stati degli Usa pubblicare i risultati è obbligatorio. Esiste una vera e propria classifica delle scuole, dalla migliore alla peggiore, che le famiglie leggono e rileggono al momento delle iscrizioni. In Italia no, ogni istituto conosce solo il proprio risultato. Se vuole può confrontarlo con la media regionale e nazionale ma una graduatoria completa non c’è. «Il nostro obiettivo— dice Elena Ugolini del consiglio d’indirizzo dell’Invalsi — non è dividere tra buoni e cattivi ma valorizzare il lavoro degli insegnanti.
Maestri e professori lavorano in situazioni molto differenti e con ragazzi che arrivano da famiglie molto diverse fra loro» . Ecco, quei numeri ci dicono davvero se la scuola funziona? In realtà così com’è, il dato Invalsi non spiega tutto. Di solito le scuole di città hanno punteggi più alti di quelle di paese, quelle del Nord fanno meglio di quelle del Sud. Ma, all’inizio della carriera scolastica, famiglia e ambiente di provenienza possono pesare più degli insegnanti. Nei prossimi mesi l’Invalsi aggiornerà i risultati depurandoli dagli effetti delle condizioni sociali, economiche e culturali. Neutralizzando, cioè, il vantaggio che lo studente può avere in partenza considerando titolo di studio e lavoro dei genitori, libri e computer che trovano in casa e altro ancora. Il nuovo punteggio indicherà il valore aggiunto dalla scuola, come già si fa in Inghilterra o negli Stati Uniti. Potremmo scoprire che una scuola del centro città è buona solo perché pesca i bambini più fortunati, mentre quella di provincia parte sì svantaggiata ma li fa migliorare molto di più. Anche gli spot dovrebbero cambiare.
[di Lorenzo Salvia, da Il Corriere della Sera 20 febbraio 2011]
A Piero Bernocchi, portavoce nazionale della Confederazione Cobas oltre che di Cobas Scuola, abbiamo chiesto di commentare la complessa situazione politico-sindacale che si sta prospettando.
D. A quanto pare almeno fino alle vacanze pasquali sarete assenti dagli scioperi proclami nel comparto scuola?
È il risultato delle norme sull'autoregolamentazione oppure una vostra precisa scelta?
R. - No, non ha a che fare con l’autoregolamentazione, è una nostra scelta, dovuta anche all’estrema frammentazione, al limite del demenziale, degli scioperi nella scuola tra marzo e aprile (ben cinque in un mese) ma soprattutto è conseguenza di una analisi dei punti “caldi” del conflitto nella scuola e dei momenti più efficaci per potenziarlo, che pensiamo si concentreranno tra maggio e giugno.
D. - Sono ormai due anni almeno che nella scuola si susseguono scioperi proclamati dai singoli sindacati di base con adesioni per la verità alquanto modesti.
Non è una situazione quanto meno strana ?
Non pensate che alla fin fine percentuali così modeste non diano alcun fastidio a nessuno?
R. - Ovviamente qui rispondiamo di quel che facciamo noi. In realtà due degli scioperi indetti dai COBAS a partire dall’autunno del 2008 hanno avuto un ottimo successo, quello del 17 ottobre 2008 e quello degli scrutini del giugno 2010. Altri in effetti sono stati soprattutto di testimonianza politico-sindacale su temi però assolutamente cruciali, seppur sottovalutati dalla maggioranza dei docenti ed Ata. Penso ad esempio allo sciopero del 28 gennaio scorso, a fianco della lotta degli operai Fiat che difendevano sacrosanti e universali diritti al lavoro e sindacali. Sapevamo che far scioperare la categoria a fine gennaio, ad un passo dagli scrutini intermedi, con interrogazioni e compiti finali, con pochissimi giorni di organizzazione e di pubblicizzazione dopo le feste di Natale (e per giunta con tutti i principali mass-media che ci hanno ignorato, dedicando un po’ di spazio solo al versante Fiom) era impresa estremamente ardua: ma i principi in gioco erano tali che abbiamo messo in conto anche una risposta di minoranza. E’ evidente che gli scioperi che fanno male alla controparte sono quelli a grande partecipazione, cosa che comunque è successa raramente per gli scioperi nella scuola (il più grande, intorno al 65%, resta quello del 17 febbraio 2000 contro il “concorsaccio” di Berlinguer, indetto dai COBAS e dalla Gilda), che ben poche volte hanno superato il 30-40%, anche quando a convocarli erano Cgil-Cisl-Uil, con l’aggiunta magari dello Snals: non dimentichiamo che circa i due terzi della categoria non sono sindacalizzati. Ma a volte il segnale politico, di “avvertimento” alla categoria e alle controparti, è indispensabile, tenendo anche conto che negli ultimi quindici anni noi siamo stati derubati della democrazia sindacale, non solo non siamo ammessi alle trattative ma neanche possiamo indire assemblee in orario di lavoro, perché quello che sarebbe un diritto di tutti i docenti ed Ata è stato sequestrato dai sindacati concertativi che ne detengono il monopolio. Dunque, a volte lo sciopero serve come forma di estremo allarme su temi cruciali ma non ancora avvertiti come tali dal grosso della categoria, anche per l’impossibilità, in assenza di spazi democratici per i COBAS, di avere con essa un dialogo permanente che la coinvolga tutta.
D. - Parliamo dei rapporti con Flc-Cgil: escludete a priori la possibilità di raggiungere accordi per iniziative comuni?
R. - Noi crediamo che, in tutti i passaggi cruciali dei tentativi governativi di aziendalizzare la scuola pubblica, di immiserirla e frammentarla, condotti nell’ultimo quindicennio (a partire da Berlinguer) sia dal centrodestra sia dal centrosinistra, la Cgil scuola/FLC sia quasi sempre stata dalla parte sbagliata. Ha sostenuto la sedicente “autonomia” scolastica che è stato il primo, e decisivo, grimaldello di scardinamento della scuola pubblica; non si è opposta alla “parità” scolastica berlingueriana che ha ufficializzato l’equivalenza di scuola pubblica e privata, né alla frammentazione regionalistica della scuola contenuta nella Bassanini e nella modifica del Titolo Quinto della Costituzione; ha approvato l’uso aziendalistico dei “fondi di istituto” e l’attacco ai precari condotto da Fioroni con lo smantellamento delle Graduatorie permanenti; oggi non richiede l’assunzione a tempo indeterminato dei precari, non ha fatto alcuna vera opposizione alle sperimentazioni sul presunto “merito” né una vera lotta contro quella parte del decreto Brunetta che vorrebbe introdurre anche nella scuola una presunta “meritocrazia” cialtrona e truffaldina; e si potrebbe continuare a lungo. Insomma, su temi basilari, la differenza tra Cgil e gli altri sindacati concertativi è pressoché irrilevante. La polemica della Cgil (scuola e confederale) con Cisl e Uil ha in realtà una base politica, di ruolo, di potere: la Cgil rifiuta il suo ridimensionamento da parte del governo a favore di Cisl e Uil, né è in grado di accettare, per i ben noti legami politici con il PD, il grado di collaborazione con Berlusconi-Tremonti-Sacconi che Cisl e Uil stanno praticando. Tuttavia, di queste basilari differenze noi non facciamo un dogma a tal punto da non usare momentanee possibili convergenze, e “a priori” non escludiamo nulla: tanto è vero che in questo ultimo biennio noi abbiamo scioperato per ben tre volte (12 dicembre 2008, 12 marzo 2010 e il 28 gennaio scorso, seppure con la Fiom-Cgil) nella stessa giornata già promossa dalla Cgil. Ma da questi scioperi comuni non è emersa né una partecipazione significativamente superiore a quanto entrambi i sindacati sono in grado di mettere in campo (scarsissimo effetto “trascinamento”), nè una qualsivoglia volontà di rapporti corretti da parte della FLC o della Cgil in generale. Basterebbe vedere l’incredibile atteggiamento della Fiom il 28 gennaio: malgrado i nostri operai fossero stati decisivi per i tanti NO al referendum di Mirafiori, malgrado avessimo convocato uno sciopero generale nel giorno di quello Fiom per potenziare e allargare la lotta, non hanno risposto (o hanno risposto NO) alla nostra proposta di manifestazioni unitarie (o almeno di scambio di delegazioni). In realtà la Cgil ha un grosso “scheletro” nell’armadio: e non solo quello della tradizione comunista che ha sempre voluto cancellare le forze alla sua “sinistra”, ma anche quello del rifiuto di qualsiasi “concorrenzialità” che li ha resi i principali artefici della negazione dei diritti minimi sindacali per i COBAS e per il sindacalismo di base.
D. - Scrutini di fine anno. Lo scorso anno il vostro "botto finale" ha avuto obiettivamente un buon riscontro, sia di "visibilità" sia di effettive adesioni. Pensate di ripetere l'iniziativa anche il prossimo giugno?
R. - Penso di sì. Ma una risposta definitiva la potremo dare solo dopo il nostro Esecutivo Nazionale del 26-27 prossimo che deciderà in merito. Anche perché stiamo valutando con favore la possibilità di scioperare durante le prove Invalsi che si terranno nelle scuole tra il 10 e il 13 maggio. La splendida risposta, che noi abbiamo promosso e organizzato ma che ha dilagato oltre le nostre forze raggiungendo il 99% (da Pisa a Torino, da Cagliari a Napoli, da Milano a Massa Carrara) di NO secchi, contro la truffa della sperimentazione sul sedicente “merito”, ci ha confermato che nelle scuole permane quella forte carica anti-gerarchica che aveva già battuto il “concorsaccio” berlingueriano. I docenti capiscono bene che non solo Gelmini-Brunetta non sono minimamente in grado di valutare la qualità del lavoro docente, ma che non sono proprio interessati alla qualità della scuola, che, per ordine di Tremonti, sono invece impegnati a impoverire sempre più: e che la favoletta della “meritocrazia” serve solo a dividere la categoria permettendo la vittoria della squallida “scuola-miseria” che è nell’orizzonte governativo. Però Gelmini non si arrenderà: e l’Invalsi è la pietra miliare per qualsiasi forma coatta e truffaldina di valutazione. Su questo punto, però non c’è ancora piena coscienza nella categoria: per questo piazzare uno sciopero nel periodo delle prove servirebbe ad accendere un potente faro sull’argomento. Naturalmente lo sciopero metterebbe in campo anche gli altri temi rivendicativi, dall’assunzione dei precari alla cancellazione dei disastrosi tagli (non va dimenticato che la terza tranche di essi, che eliminerà più di 40 mila altri posti di lavoro, verrà alla luce con la presentazione degli organici proprio intorno alla metà di maggio), dal recupero degli scatti di anzianità allo sblocco dei contratti. Ma anche sullo sciopero eventuale di maggio sarà il nostro prossimo Esecutivo a decidere.
18 febbraio 2011