Sì, perché contrariamente a quello che si vuol far credere, il Tfa non riguarda soltanto i giovani e i neolaureati. A doversi impegnare in questa ulteriore prova saranno anche e soprattutto i docenti che attualmente sono collocati nelle graduatorie di Istituto (III fascia) e che svolgono il loro lavoro di insegnanti nello stesso modo dei colleghi abilitati. Stiamo parlando di un esercito di lavoratori senza diritti, che consentono lo svolgimento dell'anno scolastico assumendosi tutti gli oneri del mestiere, senza però poter contare su nessuna garanzia. Per le scuole sono professori a tutti gli effetti, quando chiedono loro di fare lezione, valutare gli studenti, partecipare ai consigli, agli scrutini, agli esami. Ma per una di quelle storture che in altri paesi non si riescono nemmeno a immaginare, questi stessi docenti devono ora partecipare ad un corso a pagamento, al termine del quale potranno tornare a fare lo stesso identico lavoro di prima, i supplenti. L'unica differenza è che gli abilitati dovrebbero poter partecipare al prossimo concorso nazionale a cattedre, nel 2013 forse. La cosa più bizzarra è che tra gli aspiranti tirocinanti ci sono molti professori di scuola, dottori di ricerca, docenti a contratto universitari che sono stati già valutati idonei all'insegnamento da apposite commissioni. Persone che lo Stato continua a considerare giovani anche se hanno quarant'anni e che pensa di tenere occupate in una costosa e improduttiva raccolta di punti, cioè di titoli di studio.
Anche se il ministro ha dichiarato in un'intervista al Corriere della Sera che i professori con tre anni di servizio saranno almeno esonerati dai test di ammissione al tirocinio e avranno un riconoscimento della loro attività didattica pregressa (ma mentre scriviamo non c'è nessuna conferma sul sito del ministero, né chiarimenti su come debbano essere intesi i tre anni), resta il problema dell'iniquità delle tasse. Problema che riguarda tutti: neolaureati e precari storici, giovani e meno giovani.
Tra i paradossi della vicenda si pensi al fatto che chi non riuscirà a ottenere l'ammissione al Tfa (non per demerito, ma perché sono disponibili pochissimi posti, soprattutto in alcune classi di concorso), ed è già iscritto alle graduatorie di Istituto (quelle attuali scadono nel 2014), continuerà ad insegnare con contratti più o meno lunghi nelle stesse discipline per le quali non sarà stato considerato idoneo dal concorso. L'aspetto più contraddittorio della situazione che si è venuta a creare è che molti candidati si trovano costretti a subire questo estenuante tour de force, che non elimina il precariato ma lo prolunga, mentre prima la sola laurea consentiva di accedere al pur molto selettivo concorso ordinario. Chi non ha avuto modo di sostenerlo (magari perché non laureato all'epoca) e poi ha vinto un dottorato è stato escluso dalla possibilità di frequentare le Scuole di specializzazione, perché incompatibili. Ed anche qui ci si chiede quale sia la logica, tanto più che il dottorato è triennale (questa, peraltro, è solo l'ultima delle storture della scuola italiana, su cui Tq ragionerà al Salone del Libro di Torino, domenica 13 maggio alle 12.30).
L'indignazione è esplosa subito e nell'arco di poche ore sono nati gruppi su Facebook, appelli e petizioni. I toni accesi assunti da questa protesta nascono soprattutto dall'assurdità delle tasse di iscrizione, che graveranno inevitabilmente su chi dovrà conciliare la propria necessità di lavorare anche in ambiti diversi dalla scuola con gli impegni legati all'obbligo di frequentare i corsi del Tfa. La domanda che si pone a chi ci governa è quale sia il senso di una simile operazione, soprattutto in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo.
Il Manifesto, Valeria Merola di Generazione Tq
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