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lunedì 9 luglio 2012

ATTACCO AL DIRITTO DI STUDIO: meno studi, meglio vivi

di Francesca Coin* - Il Fatto Quotidiano - 8 luglio 2012 
Una campagna pubblicitaria consiglia di andare a lavorare in fabbrica per avere subito un reddito e abitare con la fidanzata: inutile sprecare tempo con l'università che non fa guadagnare

 Qualche giorno fa uno slogan pubblicitario piuttosto originale diceva così: "Licenzia un dipendente, assumi una web agency". L'annuncio ha fatto discutere: ritraeva un uomo in giacca e cravatta fatto uscire dal posto di lavoro con un calcio sul fondo-schiena. Un'altra campagna pubblicitaria ritrae due giovani trentenni, l'uno belloccio con le braccia conserte e lo sguardo sicuro; l'altro impacciato e goffo, giacca e cravatta piuttosto scialbe. Il primo ha "un posto fisso, un ottimo reddito e vive con la sua donna", diceva l'annuncio. Il secondo "è laureato da sei anni, ha un lavoro precario, un reddito basso e vive con i suoi genitori". Quale dei due preferisci? Questa era la domanda. Non si tratta di un sito di appuntamenti ammiccanti, ma della pubblicità dei corsi di formazione permanente del consorzio Enfapi, un centro di formazione professionale di Bergamo, legato a Confindustria e finanziato dalla Regione Lombardia. Preferisci laurearti e divenire l'ennesimo colto precario senza donna, senza reddito e senza lavoro, o divenire capo reparto in fabbrica a sedici anni e vivere "con la tua donna" già a 30, come farebbe un uomo vero?
A prima vista i due spot non hanno molto in comune. L'uno è una volgare rappresentazione visiva dei benefici della novella libertà di licenziamento: vuoi risparmiare? Licenzia, troverai sicuramente qualcuno disposto a fare lo stesso lavoro a minor prezzo. L'altro è un'amara rappresentazione dell'inutilità dello studio. Vuoi sprecare tempo e denaro? Laureati. Entrambi gli slogan sono in tema oggi. Entrambi, infatti, ci dicono precisamente quello che ha detto la Fornero: il lavoro non è un diritto.
Devi guadagnartelo, o qualcuno lo farà al posto tuo. Nemmeno lo studio è un diritto. In fondo, a che serve studiare se poi fai il precario? Insomma la Fornero ha ragione. Con la disoccupazione giovanile al 36,2%, qualcuno realmente credeva che il lavoro fosse ancora un diritto?
Qualche giorno fa un'indagine commissionata da Confindustria Bergamo a Astra Ricerche ha portato alla luce i sogni e le aspettative per il futuro dei giovani bergamaschi, destinatari della campagna del Consorzio Enfapi. "I giovani bergamaschi non si fanno illusioni", riassumeva il trafiletto del Sole 24 Ore intitolato "Perché a Bergamo la laurea non attira". Questi ragazzi "in un prossimo futuro potranno fare i camerieri, i cuochi, i commessi, al massimo gli operai, magari anche specializzati. Ma non certo, e non più, i manager o i consulenti". Insomma: è "inutile alimentare generazioni di laureati frustrati".
Il punto, dunque, non è che i diritti costano. È che è tempo di essere umili. Il problema non è che la Fornero ha detto la verità, quando al Wall Street Journal ha detto che il lavoro non è un diritto. È che ha detto di farsene una ragione. La controprova di tutto questo è il comparto istruzione. Dal 2008 a oggi i tagli hanno consentito ben 8 miliardi di risparmio su scuola e università.
Al momento dell'entrata in vigore del decreto, l'Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica, la Stazione Zoologica Anton Dohrn, l'Istituto Italiano di Studi Germanici, l'Istituto Nazionale di Alta Matematica, l'Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale, l'Istituto Nazionale di Astrofisica, il Museo Storico della Fisica e il Centro di studi e ricerche Enrico Fermi saranno soppressi. Dal 2010 al 2011 sono stati tagliati più di mille corsi di laurea. Dal 2008 a oggi più di 20 mila scienziati, post-doc, assegnisti, co.co.co hanno lasciato il lavoro. Il tasso di indebitamento degli atenei è tale che con tutta probabilità sarà difficile ogni sostanziale reclutamento. Se non vengono reintegrati, i docenti saranno dimezzati in meno di dieci anni.
Non contento, il rettore della Iulm Puglisi vuole di più: il 70% degli atenei italiani è inutile, ha dichiarato il 2 luglio. Possiamo finalmente abbattere il sistema universitario pubblico tout court, quale occasione ghiotta. In alternativa, l'ex decreto 437 offre un'altra chance: vuoi sopravvivere? Alza le tasse studentesche. Capito il trucco? Poco importa se gli studenti avranno il minor numero di atenei, docenti, borse di studio e (quasi) posti di lavoro del mondo occidentale. Vuoi un diritto? Paga. Gli altri possono sempre andare in fabbrica e a vivere con la loro donna.
* docente di Sociologia Università di Venezia Cà Foscari

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