di Beppi Zambon 22 / 1 / 2013
"Ho anche fatto i conti con i grandi numeri, che sanno dire molto. Eccone alcuni, di segno anche diverso. Noi integriamo ogni giorno nelle nostre classi, in modo sereno e serio, 200 mila bambini e ragazzi con disabilità. Nessun altro Paese lo fa da così tanti anni. E oggi finalmente capita che altre grandi nazioni ci guardino con ammirazione, pensando di volerci imitare. Tanto siamo avanti che una delegazione del governo francese è venuta e mi ha chiesto: come fate a fare una cosa così importante, i primi tra i paesi OCSE, da 30 anni? Accogliamo, poi, 750 mila bambini e ragazzi stranieri. Parlano italiano ormai come prima lingua, lavorano per raggiungere gli obiettivi curricolari in tutte le discipline insieme ai nostri figli; diventeranno - presto, si spera - i loro concittadini a tutti gli effetti. Un signore che ha un banco in un mercato di Roma, che si chiama Mustafà, mi ha detto: «il vero porto che mi ha accolto sono state le maestre dei miei tre figli nelle vostre belle scuole». Ma è pur vero che la maggior parte dei 40 mila edifici nei quali vivono ogni mattina i nostri figli hanno cinquant’anni e passa. Molti hanno avuto buoni interventi, molti no; e pochi sono ecosostenibili. Un noto economista quando gli ho chiesto «senti, ma, anche al di là della urgenza civile, nell’ottica della ripresa economica, conviene investire in questa storia?» - mi ha mostrato perché la risposta non può che essere «sì». Poi, troppi bambini e ragazzi imparano troppo poco e il 18,3 percento di loro, quasi sempre figli di poveri, non raggiungono una qualifica professionale né un diploma di scuola superiore. Sono scandalosamente troppi. Dobbiamo migliorare presto gli apprendimenti di tutti e di ciascuno e battere la dispersione scolastica. Nel Sud abbiamo iniziato a costruire una rete di scuole che si dedicano a questo. Ma ci vorrà costanza e dobbiamo estendere l’impegno ovunque. Vorrei, ora, dire la cosa più importante, in modo pacato. La scuola italiana è stata indebolita da un disinvestimento culturale e politico che si è tradotto in tagli per 8,4 miliardi di euro nel triennio 2008-2011. E’ una somma enorme, che ha intaccato da allora le risorse correnti. Quando, tra qualche anno, si studierà questa cosa, ci si troverà dinanzi a una vera e propria cesura nella storia d’Italia. Infatti, né in tempi di penuria economica, come all’avvio dello Stato unitario, né durante le guerre, né nei periodi di crisi e di ricostruzione si erano tolti così tanti soldi al sistema d’istruzione. E ci si domanderà perché è avvenuto e soprattutto perché è avvenuto in assoluta controtendenza con il pensiero economico, sia di ispirazione socialdemocratica che liberale, che riconoscono nell’istruzione - oltre che il principale fattore di tenuta della coesione sociale e di discriminazione positiva a favore di chi parte con meno nella vita la prima leva per la crescita equilibrata e duratura e anche per la fuoriuscita dalle crisi."
Uno scritto romantico, orgoglioso, critico dello stato delle cose scolastiche ma anche profondamente fuorviante, falso ed infido, posto che l’ex maestro di strada è stato - proprio lui - il responsabile operativo delle politiche scolastiche portate avanti dal Governo con tagli su tagli, che hanno interessato proprio i temi della disabilità, del numero degli alunni per classe, dell’edilizia scolastica, e con forzature nei confronti delle condizioni di lavoro che solo una forte reazione degli insegnanti ha tamponato.
Una vergognoso trasformismo, quello di Rossi Doria, che è in buona compagnia: nessuna forza politica, in nessun dibattito, in nessuna intervista ha fatto delle dichiarazione impegnative sulla scuola, sulla formazione, a meno di non andarle a ricercare nei ’documenti sull’agenda di governo’, dove si fanno dei richiami ad investimenti futuri in linea con la media europea.
La scuola e la formazione in generale sono sparite dal dibattito politico, nonostante che studenti ed insegnanti abbiano riempito le piazze, nonostante siano stati l’unico movimento di lotta, che ha rotto la pacificazione coatta nel paese, fatto salvo il contributo dei lavoratori metalmeccanici e di alcune vertenze sociali territoriali. I motivi di questo svuotamento di attenzione politica sono molteplici.
Nel corso di questo decennio la scuola e la formazione sono state delegittimate nella loro funzione: da istituzioni con finalità di promozione socio-culturale della comunità nazionale nel suo insieme, a servizio ad offerta individuale, da istituzioni a mercato, da servizio pubblico ad azienda. Per ottenere questo risultato era ed è necessario scardinare il ruolo degli insegnanti e della scuola, indicando gli insegnanti quali degli scansafatiche, dei privilegiati, dei buoni a nulla, degli impreparati, dei contestatori politici che con la loro pessima attività di insegnamento hanno fatto precipitare l’Italia nella fascia bassa della qualificazione scolastica europea. Ecco che la scuola e la formazione in generale sono pronte per essere privatizzate - il privato è sinonimo di efficienza, efficacia, profitto sociale ed economico - nella loro conduzione e nella produzione didattica e disciplinare. Su queste tematiche è stata orchestrata, appunto, una campagna politica e mediatica, che ha visto quali protagonisti tutti i Governi che si sono succeduti in questi 12 anni, tutte le grandi firme e gli opinionisti dei media main stream, con, quale supporto materiale, la costante riduzione della condizione economica e sociale dell’intero corpo insegnante, con un aumento enorme del carico di lavoro e la contestuale erosione - circa il 30% di perdita del potere reale d’acquisto nel decennio - del reddito.
E intanto la disoccupazione è vicina alla quota del 40% per la fascia di età sotto i 25 anni, intanto l’emigrazione - con, spesso, successo occupazionale adeguato - di giovani laureati e diplomati italiani è in forte espansione: sarà che la scuola, la formazione non funzionano o vi è dell’altro?!!! Invertire la tendenza non sarà facile ma non possiamo sperare che le forze politiche di governo, qualunque esso uscirà dal cilindro delle elezioni, vi pongano rimedio, se non mistificando il proprio operato, come fa Rossi Doria: dobbiamo rimboccarci le maniche, costruire una mobilitazione larga e trasversale che includa, tutti i soggetti coinvolti, tutta la società per porre la scuola e formazione al centro di un percorso di cambiamento reale.
Beppi Zambon
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