Alleghiamo scaricabili dai links sottostanti i testi delle prove Invalsi 2013 di Italiano e Matematica per la seconda classe della scuola primaria.
Ai testi alleghiamo anche due commenti tratti da un articolo di Giorgio Israel pubblicato su Il Messaggero di oggi.
Oltre a condividerli pienamente, ci sentiamo in dovere di muovere anche una decisa critica ai contenuti della prova di Italiano.
Nel brano scelto per valutare le capacità degli alunni (“Le Multe” di Beatrice Masini, tratto da “Un papà racconta”, editrice Einaudi) viene proposta questa “verità” ai bambini di sette anni: “La mamma dopo essere andata via per lavoro per alcuni giorni (mentre in quel caso il bambino restava con il papà e la babysitter) si scriveva la multa da sola, così: questa è una multa per la lontananza“.
Veramente una scelta felice: la mamma si multa perchè è stata via per lavoro! Non sia mai che anche una pur vaga idea di parità fra i sessi si debba veicolare agli alunni!
Giorgio Israel, invece segnala che:
1. “Un insegnante mi invia, con commenti pertinenti, due test di matematica recentemente “somministrati”. Nel test D7 si propone in modo obliquo di effettuare la sottrazione 150 – 40 attraverso il calcolo dell’altezza di una bambina. Vi sono tanti modi di proporre una sottrazione ma questo è il più bizzarro di tutti. Provate a chiedere a un bambino intelligente. La prima cosa che vi dirà – «con quella chiarezza e profondità di pensiero che solo i bambini piccoli possono avere, i bambini o i grandi filosofi il cui vigore speculativo si apparenta alla semplicità e alla forza del sentimento infantile» (Vasilij Grossmann in “Vita e destino”) – è: dove mai si è visto un metro simile? Non solo è scomodo, ma è innaturale, perché si cresce dal basso verso l’alto. Inoltre, se proprio si vuol procedere dall’alto al basso, basta applicare alla testa della bambina un metro a striscia e stenderlo in giù. Si dirà che l’intento è di provocare un calcolo in un “modello” astratto di una situazione reale. Ma così si presuppone un concetto difficile, che è alla base del delicato rapporto tra geometria e aritmetica: che i numeri si rappresentano sulla retta in modo equivalente in un verso o nell’altro, e che la scelta del punto di origine è arbitraria. Chi ha ideato il test propone al bambino un calcolo aritmetico attraverso una situazione concreta irrealistica costruita su concetti formali non esplicitati. Chi è costui? Una persona dalle idee didatticamente confuse o un sadico, che pensa la matematica come un’enigmistica a trappole?
2. Nel test D3 l’approccio è rovesciato. Invece di provocare il bambino con concetti formali impliciti, ci si inchina all’immagine di un essere puramente intuitivo, incapace di astrazione. Il test vuole individuare se il bambino ha chiara l’idea di probabilità e la traduce in quella di “facile”. Commenta giustamente l’insegnante che chi ha ideato il test rivela la sua incompetenza matematica – la parola “facile” in matematica è priva di significato – e linguistica:perché mai un bambino di 7 anni dovrebbe considerare sinonimi “facile” e “probabile”? È noto che nel linguaggio comune si usa dire: «È facile che piova». Ma ciò non ha nulla a che vedere con il concetto quantitativo di probabilità che è notoriamente molto più ristretto di quelli analoghi del senso comune. Questo è un test di matematica, ma di matematica non c’è nulla, bensì una confusione che allontana dalla comprensione del concetto matematico, anche perché il disegno è sbagliato: le palline nere e bianche sono a gruppi separati, mentre una corretta valutazione di probabilità richiede che siano mescolate. Un bambino dotato della profondità di pensiero di cui si diceva, e che abbia visto in televisione che, al lotto, prima di estrarre le palline si agita l’urna, penserà che vi sia qualcosa dietro questa separazione e che la domanda contenga un trabocchetto. Nonostante si muovano in direzioni opposte questi test hanno un tratto comune: un’idea di “bambino” preconfezionata da ideologie tecnocratiche.
Avvertenza: in queste prove il testo è stato impaginato in cinque maniere diverse (modificando la numerazione delle domande) per evitare (o comunque rendere più difficile) la copiatura fra compagni di classe; quella che propiniamo è una di esse, nelle altre quattro le stesse domande sono state proposte con una numerazione differente.
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