Con sentenza depositata il 20 maggio scorso, il giudice monocratico condannava l'amministrazione scolastica al pagamento degli stipendi negati per un intero anno scolastico ad una docente precaria che aveva conseguito un posto di dottorato di ricerca.
Il congedo straordinario per dottorato di ricerca è regolato dalla legge 476 del 1984; a questa, con la legge 448/01, si è aggiunta, per i dipendenti pubblici vincitori di un posto di dottorato che siano privi della relativa borsa di studio o che vi abbiano rinunciato, la facoltà di poter usufruire del proprio stipendio per tutta la durata del corso, ad una condizione: "Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica cessi per volontà del dipendente nei due anni successivi, è dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo" (art. 52 c. 57 L. 448/01).
Su questo punto si sono dispiegate diverse ipotesi sull'applicabilità della norma al personale precario, in quanto la cessazione del rapporto di lavoro non garantirebbe la prosecuzione dello stesso per il periodo minimo (due anni) che secondo la ratio della norma è considerato utile affinché l'amministrazione si possa giovare dell'elevazione culturale raggiunta dal dipendente.
Dubbi resi ancora più fitti dalla circolare n. 15 del 2011, a firma del ministro Gelmini, secondo cui "(...) le predette disposizioni esplicano, la propria validità esclusivamente sotto il profilo giuridico (riconoscimento del servizio ai fini previsti delle vigenti disposizioni) non ritenendosi che le stesse possano esplicare la validità sotto il profilo economico (conservazione della retribuzione per il periodo di frequenza del dottorato)."
La Gilda degli Insegnanti di Pisa, che ha sempre creduto questa disposizione assolutamente infondata, ha deciso, con il significativo supporto legale dell'avvocato Alberto Giovannelli, di promuovere una causa presso il tribunale del lavoro, in quanto non è possibile attribuire a "volontà del dipendente" la risoluzione periodica del rapporto di lavoro a cui l'amministrazione scolastica sottopone annualmente i docenti precari che con la loro iscrizione nelle graduatorie destinate in via permanente all'assunzione a tempo determinato e indeterminato dimostrano, al contrario, la loro volontà di permanere in servizio.
Tesi ampiamente condivisa dal Giudice Elisabetta Tarquini, che non esita a definire la circolare del ministro Gelmini da disapplicare "in quanto resa contra legem".
La facoltà di disapplicare circolari del ministero, e, in generale, di organi superiori, è uno di quei casi in cui i responsabili degli uffici sono posti davanti al dilemma se rispettare più un "principio di autorità", interpretato come incondizionata aderenza alle disposizioni che pervengono per via gerarchica, ovvero un "principio di legalità", che fa appello alla propria responsabilità personale e al proprio senso civico, conformandosi, prima che alle circolari, alla legge e alla costituzione repubblicana (con cui fanno a pugni le norme discriminatorie riguardanti il personale precario).
In base alla sentenza del Giudice di Pisa, l'amministrazione scolastica dovrà ora pagare oltre 18000 euro di stipendi, con rivalutazione monetaria, indebitamente trattenuti, più 2000 euro di spese processuali.
Gilda degli Insegnanti di Pisa
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