ciao margherita
Margherita Hack: la stella rossa degli uomini ombra
L’amore è il solo fiore che sboccia e cresce senza l’aiuto delle stagioni.(K.Gibran)
Questa mattina quando mi sono svegliato ed ho aperto gli occhi, come faccio sempre, mi sono domandato: per chi? A che? Come? Perché continuare a scontare la mia pena che non finirà mai? E non è da vigliacchi vivere ancora?
Per un attimo mi è venuta subito voglia di richiudere gli occhi per addormentarmi di nuovo. A volte penso che in tanti anni di carcere ho messo tanto entusiasmo nel cercare di studiare, cambiare, crescere interiormente per diventare una persona migliore. E a volte mi capita di pensare che abbia fatto tutto questo solo per poi morire murato vivo in una cella di un carcere.
Ad un tratto ho pensato che non posso fare altro che vivere il presente, sopravvivere al passato e maledire il futuro. E poi mi sono alzato, ho acceso la radio e ho ascolto la brutta notizia della morte di Margherita Hack. Grandissima donna e scienziata, impegnata nel sociale. E in prima linea nella difesa dei diritti civili. Prima firmataria per l’abolizione della pena dell’ergastolo sul sito www.carmelomusumeci.com insieme a Umberto Veronesi, Don luigi Ciotti, Stefano Rodotà, Agnese Moro, Gino Strada, Giuliano Amato, Andrea Camilleri e molti altri.
Il nome di Margherita mi ricordava spesso che da bambino i fiori che mi piacevano più di tutti erano proprie le margherite. Le raccoglievo spesso nei campi. E quando andavo a trovare la mia bambina-fidanzata strappavo un petalo per volta sussurrando al mio cuore: “ Mi ama o non mi ama?” Una volta glielo avevo raccontato a Margherita Hack. E poi le avevo chiesto se mi faceva una prefazione a uno dei miei libri. Lei aveva subito accettato. Ed è stata una delle più belle prefazioni che abbia mai avuto:
- Catturato dagli uomini. Legato a una slitta. Frustrato a sangue. Zanna Blu fugge. Viene ripreso. Ferito. Ma sempre risorge. Quasi immortale. (...) Sono racconti che insegnano il coraggio, l’amore per la libertà, l’amore disperato per la compagna, scritti in maniera semplice, senza retorica. Grazie a questa sua capacità di esprimere i suoi sentimenti, Carmelo Musumeci si ricostruisce una vita spirituale libera, che vale la pena di essere vissuta e che trasmette al lettore, bambino o adulto che sia una profonda umanità. Sono favole, ma favole che fanno riflettere.
Margherita Hack sugli ergastolani aveva scritto: “Gli uomini ombra, invisibili e dimenticati da tutti, morti viventi, perché irreali come l’ombra, ma così forti nell’amicizia”.
Questa notte la luna e stelle piangeranno insieme agli uomini ombra. Domani notte invece gli ergastolani ostativi, dalle sbarre delle loro finestre, le sorrideranno perché vedranno nel cielo una nuova stella. E sarà quella della Stella Margherita, che continuerà dall’universo a dare luce e calore alle nostre ombre.
Buona morte/vita Stella Margherita. Continuerò a volerti bene, mentre Zanna Blu continuerà a ululare alla luna per te.
Carmelo Musumeci
Carcere Padova, 29 giugno 2013
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sabato 29 giugno 2013
atea, materialista ed astronoma...
venerdì 28 giugno 2013
Titoli tossici: l'Italia come la Grecia di Guido Viale
Chi o che cosa ha autorizzato i nostri governi a giocare al casinò
dei derivati con il denaro degli italiani? Quale regolamento interno, quale legge, quale norma della Costituzione? E perché non se ne può sapere quasi niente? Secondo quanto riferito da la Repubblica (e dal Financial Times) del 26 giugno, il Tesoro italiano è esposto per 160 miliardi di euro (più di un decimo del Pil italiano) con operazioni sui derivati la cui data di stipulazione non è nota. Il governo Monti ne ha rinegoziati nel corso dell'anno scorso per un importo di 31 miliardi, registrando su queste operazioni una perdita potenziale, non ancora giunta a scadenza, di circa 8 miliardi (poco meno dell'importo con cui la ministra Gelmini e, dopo di lei, il ministro Profumo sono riusciti a distruggere sia la scuola che le università italiane). Naturalmente il ministro del Tesoro ha subito smentito ogni rischio, ma quella smentita vale zero. Infatti solo un anno fa su un'altra partita di derivati del Tesoro si era già registrata una perdita di 3 miliardi, saldata dal governo Monti. Su di essa c'era stata una interrogazione parlamentare dell'Idv e una elusiva risposta - «si tratta di un caso unico e irripetibile» - del sottosegretario Rossi Doria; designato a rispondere non si sa perché, dato che si occupa di scuola e non di finanza, materia sui cui è lecito supporre una sua totale incompetenza. Ma se tanto dà tanto, sui 160 miliardi di derivati in essere, le perdite «a futura memoria», che verranno cioè caricate sul bilancio dello stato nel corso degli anni, per poi dire che gli italiani sono vissuti «al di sopra delle loro possibilità», potrebbero ammontare a molte decine di miliardi di lire.Ma facciamo un passo indietro: da tre anni ci ripetono che la Grecia ha fatto il suo ingresso nell'euro truccando i conti perché, in base al suo indebitamento, non ne avrebbe avuto titolo; di qui i guai - e che guai! - in cui è incorsa successivamente. Successivamente. Perché all'epoca del suo ingresso nell'euro nessuno si era accorto di quei trucchi. Poi si è scoperto che a organizzarli era stata la banca Goldman Sachs, allora diretta, per tutto il settore europeo, da Mario Draghi, nel frattempo assurto alla carica di presidente della Bce, cioè dell'organo preposto a garantire la riscossione di quei debiti contratti in modo truffaldino. E di quei trucchi non si è più parlato.
Ma lo stratagemma a cui il governo greco e Goldman Sachs erano ricorsi per truccare i conti era proprio quello di nascondere un indebitamento eccessivo (secondo i parametri di Maastricht) dietro a derivati da saldare in futuro. Nello stesso periodo - o poco prima, cioè con maggiore preveggenza - il governo italiano sembra essere ricorso esattamente allo stesso stratagemma: ufficialmente per coprire il debito italiano dai rischi del cambio (allora c'era ancora la lira) e dalle variazioni dei tassi di interesse: i derivati sono stati infatti introdotti nel mondo della finanza come forma di assicurazione contro la volatilità dei cosiddetti mercati; ma, come si vede, la funzione che svolgono è esattamente il contrario. E' comunque del tutto evidente che lo scopo effettivo di quelle operazioni era quello di "truccare" i conti e garantire così anche all'Italia l'ingresso nell'euro. Qui la presenza ricorrente dello stesso personaggio è ancora più dirompente; perché nel periodo che intercorre tra la probabile - non se ne sa ancora molto - sottoscrizione di quei derivati e l'emersione dei primi debiti che essi comportano Mario Draghi è stato direttore generale del Tesoro (l'organismo contraente) dal 1991 al 2001; poi, utilizzando in modo spregiudicato il cosiddetto sistema delle "porte girevoli", responsabile per l'Europa di Goldman Sachs (una delle banche sicuramente coinvolta in queste operazioni), poi Governatore della Banca d'Italia e poi presidente della Bce e in questo ruolo uno degli attori più decisi a far pagare agli italiani - e agli altri infelici popoli vittime degli stessi raggiri - la colpa (in tedesco schuld, che, come ci ricordano i ben informati, vuol dire anche debito) di essere vissuti "al di sopra delle proprie possibilità".
Non basta: ogni sei mesi, ci informa sempre Repubblica, il Tesoro è tenuto a trasmettere una relazione sullo stato delle finanze pubbliche, comprensivo anche dei dati sull'esposizione in derivati, alla Corte dei Conti. Ma in venti anni o quasi, questa si è accorta solo ora dei rischi connessi a queste operazioni e, per saperne di più, ha inviato la Guardia di Finanza nelle stanze del Tesoro; che però si sarebbe rifiutato di esibire la relativa documentazione. Ci ricorda qualcosa tutto ciò? Si ci ricorda da vicinissimo le recenti vicende del Monte dei Paschi di Siena i cui dirigenti - oggi in carcere o sotto inchiesta perché considerati dalle procure di Siena e Roma degli autentici delinquenti - sono riusciti a nascondere alla vigilanza della Banca d'Italia (che combinazione!) una esposizione debitoria incompatibile con il regolare funzionamento di una banca, nascondendola sotto degli onerosissimi derivati, che hanno tenuto rigorosamente nascosti per anni.
Il casinò dei derivati accomuna così le istituzioni di governo del paese alle banche truffaldine (per ora MPS; ma chissà quante altre si trovano nelle stesse condizioni, e non solo in Italia. Mario Draghi al vertice della Bce non ispira certo tranquillità). Per saperne di più, cioè per capire in che mani siamo finiti, in che mani ci hanno messo i governi che si sono succeduti negli ultimi 30 anni (da quando la teoria liberista e il pensiero unico la fanno da padroni e, in termini pratici, da quando è stato portato a termine il famigerato divorzio tra Tesoro e Banca centrale che ha messo le politiche dei governi in balia della finanza: leggi degli speculatori internazionali), basta leggere la sinossi di come funziona il casinò dei derivati che ne fa Luciano Gallino (Repubblica, 26 giugno).
«Nel mondo - spiega Gallino - circolano oltre 700 trilioni di dollari (in valore nominale) di derivati cioè 700mila miliardi, oltre 10 volte il valore presunto del prodotto lordo mondiale, nota mia], di cui soltanto il 10 per cento, e forse meno, passa attraverso le borse. Il resto è scambiato tra privati, come si dice, "al banco", per cui nessun indice può rilevarne il valore». Ma aggiunge, anche di quel dieci per cento scambiato nelle borse, a definirne il valore concorre solo il 40 per cento cioè il 4 per cento degli scambi complessivi, nota mia]. «Di quel 40 per cento, almeno quattro quinti hanno finalità puramente speculative a breve termine...Di tali transazione a breve, circa il 35-40 per cento nell'eurozone e il 75-80 per cento nel Regno Unito e in USA si svolgono mediante computer governati da algoritmi...che operano a una velocità anche di 22mila operazioni al secondo...Ne segue che chi parla di "giudizio dei mercati" praticamente tutti gli esponenti del mondo politico, imprenditoriale, manageriale e accademico europei, nota mia] dovrebbe piuttosto parlare di "giudizio dei computer". «Macchine cieche e irresponsabili - aggiunge Gallino - opache agli stessi operatori e ancor più ai regolatori. E per di più, inefficienti». Ma molto efficienti però, aggiungo io, nel trasferire ricchezza dai redditi da lavoro e dalla spesa sociale ai profitti e alla rendita, compito che nel corso degli ultimi trent'anni hanno svolto egregiamente. E non senza che gli addetti alla "regolazione" dei mercati, siano essi manager o politici, o entrambe le cose grazie al sistema delle "porte girevoli", ci abbiano messo tutta la loro scienza e il loro potere per portare questo trasferimento fino alle estreme conseguenze, quelle che oggi possiamo vedere esposte in vetrina nella catastrofe della Grecia. Ma allora, perché continuare a rimaner sottomessi a un sistema simile? Non è ora di trovare la strada per tirarsene fuori al più presto? GUIDO VIALE
Luciano Gallino: La macchina cieca dei mercati finanziari
di Luciano Gallino , da Repubblica, 26 giugno 2013
Uscito di prigione dov’era finito per aver esagerato con i suoi traffici, il finanziere Gordon Gekko dice al pubblico stipato in sala che, guardando il mondo da dietro le sbarre, ha fatto delle profonde riflessioni. E le condensa in una domanda: «Stiamo diventando tutti pazzi?» La scena fa parte di un film su Wall Street, ma la stessa domanda uno poteva porsela giovedì 20 giugno mentre gli schermi tv e tutti i notiziari online sparavano ancora una volta notizie del tipo: “I mercati prendono male le dichiarazioni del governatore della Fed”; “crollo delle borse europee”; “bruciati centinaia di miliardi”; “preoccupati per il futuro, i mercati affondano le borse”. E, manco a dirlo, “risale lo spread”.
Esistono due ordini di motivi che giustificano il chiedersi se – cominciando dai media e dai politici – non stiamo sbagliando tutto preoccupandoci dinanzi a simili notizie di superficie in cambio di ciò che realmente significano. In primo luogo ci sono dei motivi, per così dire, tecnici. Nel mondo circolano oltre 700 trilioni di dollari (in valore nominale) di derivati, di cui soltanto il dieci per cento, e forse meno, passa attraverso le borse. Il resto è scambiato tra privati, come si dice “al banco”, per cui nessun indice può rilevarne il valore. Ma anche per i titoli quotati in borsa le cose non vanno meglio. Infatti si stima che le transazioni che vanno a comporre gli indici resi pubblici riguardino appena il 40 per cento dei titoli scambiati; gli altri si negoziano su piattaforme private (soprannominate dark pools, ossia “bacini opachi” o “stagni scuri”) cui hanno accesso soltanto grandi investitori. Di quel 40 per cento, almeno quattro quinti hanno finalità puramente speculative a breve termine – niente a che vedere con investimenti “pazienti” a lungo termine nell’economia reale.
Non basta. Di tali transazioni a breve, circa il 35-40 per cento nell’eurozona, e il 75-80 per cento nel Regno Unito e in Usa, si svolgono mediante computer governati da algoritmi che esplorano su quale piazza del mondo il tale titolo (o divisa, o tasso di interesse o altro) vale meno e su quale vale di più, per avviare istantaneamente una transazione. L’ultimo primato noto di velocità dei computer finanziari è di 22.000 (ventiduemila) operazioni al secondo, ma è probabile sia già stato battuto. Ne segue che chi parla di “giudizio dei mercati” dovrebbe piuttosto parlare di “giudizio dei computer”. Con il relativo corredo di ingorghi informatici, processi imprevisti di retroazione, episodi d’imitazione coatta, idonei a produrre in pochi minuti aumenti o cadute eccessive dei titoli, del tutto disconnessi da fattori reali.
In sostanza, i mercati finanziari presentati al pubblico come fossero divinità scese in terra, alla cui volontà e giudizio bisogna obbedire se no arrivano i guai, sono in realtà macchine cieche e irresponsabili, in gran parte opachi agli stessi operatori e ancor più ai regolatori. E, per di più, pateticamente inefficienti. Soltanto dal 2007 in poi la loro inefficienza è costata a Usa e Ue tra i 15 e i 30 trilioni di dollari. Emergono qui i motivi politici per guardare ai mercati in modo diverso da quello che ci chiedono. Cominciando, ad esempio, a rivolgere ai governanti e alle istituzioni Ue una domanda (un po’ diversa da quella di Gekko, ma nello stesso spirito): se in effetti sono i mercati ad essere dissennatamente indisciplinati, perché mai continuate a raccontarci che se noi cittadini non ci assoggettiamo a una severa disciplina in tema di pensioni, condizioni di lavoro, sanità, istruzione, i mercati ci puniranno?
In verità una domanda del genere governi e istituzioni Ue se la sono posta da tempo, pur senza smettere di bacchettarci perché saremmo noi gli indisciplinati. Fin dal 2007 la Ue aveva introdotto una prima Direttiva sui mercati degli strumenti finanziari (acronimo internazionale Mifid). Non è servita praticamente a nulla, meno che mai a temperare la crisi. Ma governi e istituzioni Ue non si sono arresi. Prendendosi non più di cinque o sei anni di tempo, intanto che i mercati finanziari contribuivano a devastare l’esistenza di milioni di persone, si sono messi alacremente al lavoro per elaborare una Mifid II. E poche settimane fa l’hanno sfornata – in ben tre versioni differenti. Esiste infatti una versione del Consiglio dell’Unione, una del Parlamento europeo e una della Commissione europea. Gli esperti assicurano che nel volgere di un anno avremo finalmente una versione definitiva, che emergerà dal “trialogo” fra le tre istituzioni. Quando entrerà pienamente in vigore, nel volgere di un biennio o due dopo l’approvazione come si usa, anche i mercati finanziari saranno finalmente assoggettati a una robusta disciplina, non soltanto i cittadini che han dovuto sopportare, a colpi di austerità, il costo delle loro sregolatezze. Saranno trascorsi non più di otto o dieci anni dall’inizio della crisi.
È tuttavia probabile che di una vera e propria azione disciplinare i mercati finanziari non ne subiranno molta, e di certo non tanto presto. In effetti, il meno che si possa dire della tripla Mifid è che le divergenze fra le tre versioni sono altrettanto numerose e consistenti delle convergenze, mentre in tutte quante sono pure numerose e vaste le lacune. Da un lato ci sono notevoli distanze nei modi proposti per regolare le piattaforme di scambio private (i dark pools), le transazioni computerizzate ad alta frequenza, l’accesso degli operatori alle stanze di compensazione. Dall’altro lato, non si prevede alcun dispositivo per regolare i mercati ombra; vietare la creazione e la diffusione di derivati pericolosi perché fanno salire i prezzi degli alimenti di base; limitare l’entità delle operazioni meramente speculative. Ovviamente, tra divergenze e assenze le potenti lobbies dell’industria finanziaria ci guazzano. Sono già riuscite a ritardare l’introduzione di qualsiasi riforma di una decina d’anni dopo gli esordi della crisi, una riforma che sia una di qualche incisività a riguardo sia dei mercati sia del sistema bancario; se insistono, magari riescono pure a raddoppiare questi tempi. I governi e le istituzioni Ue hanno dunque larghi spazi e tempi lunghi davanti, per insistere nel disciplinare i cittadini invece dei mercati finanziari.
Uscito di prigione dov’era finito per aver esagerato con i suoi traffici, il finanziere Gordon Gekko dice al pubblico stipato in sala che, guardando il mondo da dietro le sbarre, ha fatto delle profonde riflessioni. E le condensa in una domanda: «Stiamo diventando tutti pazzi?» La scena fa parte di un film su Wall Street, ma la stessa domanda uno poteva porsela giovedì 20 giugno mentre gli schermi tv e tutti i notiziari online sparavano ancora una volta notizie del tipo: “I mercati prendono male le dichiarazioni del governatore della Fed”; “crollo delle borse europee”; “bruciati centinaia di miliardi”; “preoccupati per il futuro, i mercati affondano le borse”. E, manco a dirlo, “risale lo spread”.
Esistono due ordini di motivi che giustificano il chiedersi se – cominciando dai media e dai politici – non stiamo sbagliando tutto preoccupandoci dinanzi a simili notizie di superficie in cambio di ciò che realmente significano. In primo luogo ci sono dei motivi, per così dire, tecnici. Nel mondo circolano oltre 700 trilioni di dollari (in valore nominale) di derivati, di cui soltanto il dieci per cento, e forse meno, passa attraverso le borse. Il resto è scambiato tra privati, come si dice “al banco”, per cui nessun indice può rilevarne il valore. Ma anche per i titoli quotati in borsa le cose non vanno meglio. Infatti si stima che le transazioni che vanno a comporre gli indici resi pubblici riguardino appena il 40 per cento dei titoli scambiati; gli altri si negoziano su piattaforme private (soprannominate dark pools, ossia “bacini opachi” o “stagni scuri”) cui hanno accesso soltanto grandi investitori. Di quel 40 per cento, almeno quattro quinti hanno finalità puramente speculative a breve termine – niente a che vedere con investimenti “pazienti” a lungo termine nell’economia reale.
Non basta. Di tali transazioni a breve, circa il 35-40 per cento nell’eurozona, e il 75-80 per cento nel Regno Unito e in Usa, si svolgono mediante computer governati da algoritmi che esplorano su quale piazza del mondo il tale titolo (o divisa, o tasso di interesse o altro) vale meno e su quale vale di più, per avviare istantaneamente una transazione. L’ultimo primato noto di velocità dei computer finanziari è di 22.000 (ventiduemila) operazioni al secondo, ma è probabile sia già stato battuto. Ne segue che chi parla di “giudizio dei mercati” dovrebbe piuttosto parlare di “giudizio dei computer”. Con il relativo corredo di ingorghi informatici, processi imprevisti di retroazione, episodi d’imitazione coatta, idonei a produrre in pochi minuti aumenti o cadute eccessive dei titoli, del tutto disconnessi da fattori reali.
In sostanza, i mercati finanziari presentati al pubblico come fossero divinità scese in terra, alla cui volontà e giudizio bisogna obbedire se no arrivano i guai, sono in realtà macchine cieche e irresponsabili, in gran parte opachi agli stessi operatori e ancor più ai regolatori. E, per di più, pateticamente inefficienti. Soltanto dal 2007 in poi la loro inefficienza è costata a Usa e Ue tra i 15 e i 30 trilioni di dollari. Emergono qui i motivi politici per guardare ai mercati in modo diverso da quello che ci chiedono. Cominciando, ad esempio, a rivolgere ai governanti e alle istituzioni Ue una domanda (un po’ diversa da quella di Gekko, ma nello stesso spirito): se in effetti sono i mercati ad essere dissennatamente indisciplinati, perché mai continuate a raccontarci che se noi cittadini non ci assoggettiamo a una severa disciplina in tema di pensioni, condizioni di lavoro, sanità, istruzione, i mercati ci puniranno?
In verità una domanda del genere governi e istituzioni Ue se la sono posta da tempo, pur senza smettere di bacchettarci perché saremmo noi gli indisciplinati. Fin dal 2007 la Ue aveva introdotto una prima Direttiva sui mercati degli strumenti finanziari (acronimo internazionale Mifid). Non è servita praticamente a nulla, meno che mai a temperare la crisi. Ma governi e istituzioni Ue non si sono arresi. Prendendosi non più di cinque o sei anni di tempo, intanto che i mercati finanziari contribuivano a devastare l’esistenza di milioni di persone, si sono messi alacremente al lavoro per elaborare una Mifid II. E poche settimane fa l’hanno sfornata – in ben tre versioni differenti. Esiste infatti una versione del Consiglio dell’Unione, una del Parlamento europeo e una della Commissione europea. Gli esperti assicurano che nel volgere di un anno avremo finalmente una versione definitiva, che emergerà dal “trialogo” fra le tre istituzioni. Quando entrerà pienamente in vigore, nel volgere di un biennio o due dopo l’approvazione come si usa, anche i mercati finanziari saranno finalmente assoggettati a una robusta disciplina, non soltanto i cittadini che han dovuto sopportare, a colpi di austerità, il costo delle loro sregolatezze. Saranno trascorsi non più di otto o dieci anni dall’inizio della crisi.
È tuttavia probabile che di una vera e propria azione disciplinare i mercati finanziari non ne subiranno molta, e di certo non tanto presto. In effetti, il meno che si possa dire della tripla Mifid è che le divergenze fra le tre versioni sono altrettanto numerose e consistenti delle convergenze, mentre in tutte quante sono pure numerose e vaste le lacune. Da un lato ci sono notevoli distanze nei modi proposti per regolare le piattaforme di scambio private (i dark pools), le transazioni computerizzate ad alta frequenza, l’accesso degli operatori alle stanze di compensazione. Dall’altro lato, non si prevede alcun dispositivo per regolare i mercati ombra; vietare la creazione e la diffusione di derivati pericolosi perché fanno salire i prezzi degli alimenti di base; limitare l’entità delle operazioni meramente speculative. Ovviamente, tra divergenze e assenze le potenti lobbies dell’industria finanziaria ci guazzano. Sono già riuscite a ritardare l’introduzione di qualsiasi riforma di una decina d’anni dopo gli esordi della crisi, una riforma che sia una di qualche incisività a riguardo sia dei mercati sia del sistema bancario; se insistono, magari riescono pure a raddoppiare questi tempi. I governi e le istituzioni Ue hanno dunque larghi spazi e tempi lunghi davanti, per insistere nel disciplinare i cittadini invece dei mercati finanziari.
Quante ore deve lavorare un dipendente per guadagnare come il suo capo?
Gli amministratori delegati in Italia guadagnano più che nel resto d’Europa, lo svela un’infografica dell’Economist, secondo cui i manager italiani guadagnano 957 dollari all’ora. Questo significa che in Italia un’ora da amministratore delegato vale dieci giorni di salario medio.
La Romania è il paese più diseguale: un lavoratore con un salario medio deve lavorare più di 12 giorni per guadagnare quello che un amministratore delegato guadagna in un’ora.
La Romania è il paese più diseguale: un lavoratore con un salario medio deve lavorare più di 12 giorni per guadagnare quello che un amministratore delegato guadagna in un’ora.
IN GAZZETTA UFFICIALE LE "SEMPLIFICAZIONI" SULLA PELLE DEI LAVORATORI
Nel Consiglio dei Ministri del 21/06/13 è stato varato il Decreto Legge n.69 “Disposizioni urgenti” per il rilancio dell’economia, il cosiddetto “Decreto del fare”.
Il Decreto Legge è stato pubblicato nella medesima giornata sul Supplemento ordinario n. 50/L alla Gazzetta Ufficiale ed è pienamente in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione, cioè dal 22/06/13.
Il testo completo del Decreto è scaricabile all’indirizzo:
Il Decreto contiene agli articoli 32 e 25 (riportati nel seguito) “semplificazioni” alla normativa relativa alla tutela della salute e della sicurezza (soprattutto al D.Lgs.81/08), che vanno a ridurre ulteriormente le garanzie per i lavoratori.
Le “semplificazioni” previste dal Decreto Legge sono sostanzialmente le stesse già ipotizzate nel Disegno di Legge “semplificazioni”.
Analizzo nel seguito, tra le modifiche proposte, quelle (la maggior parte) che hanno un impatto negativo.
ELIMINAZIONE DEL DUVRI PER “ATTIVITA’ A BASSO RISCHIO” E PER “LAVORI BREVI”
L’articolo 32, comma 1, lettera a) del Decreto prevede l’eliminazione dell’obbligo di redazione del DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze) da parte del datore di lavoro committente per le attività in appalto, nel caso di “settori di attività a basso rischio infortunistico” (da definire con successivo Decreto Ministeriale), da sostituire con la nomina di “un proprio incaricato, in possesso di formazione, esperienza e competenza professionali, tipiche di un preposto, nonché di periodico aggiornamento e di conoscenza diretta dell’ambiente di lavoro, per sovrintendere a tali cooperazione e coordinamento”.
In attesa di sapere quali siano i “settori di attività basso rischio infortunistico” metto in evidenza che la gestione delle interferenze tra ditte appaltanti e appaltate tramite un “supervisore” anziché tramite un documento formale (a firma del datore di lavoro o di un dirigente) comporterà:
- una minore efficacia nella definizione delle misure di prevenzione e protezione, lasciate alla libera interpretazione del supervisore, anziché a una rigorosa valutazione dei rischi;
- uno scarico di responsabilità dal datore di lavoro committente (che non dovrà più redigere e firmare nessun DUVRI) al supervisore che si troverà l’unico responsabile della gestione dei rischi da interferenze;
- l’impossibilità per il supervisore (per motivi legati alla sua presenza nel tempo e nello spazio) di eseguire un assiduo e costante controllo delle attività appaltate.
Giova anche mettere in evidenza ricordare che non necessariamente le interferenze tra attività a basso rischio comportano automaticamente un basso livello di rischio complessivo.
Inoltre in una realtà lavorativa come quella italiana in cui praticamente tutte le attività lavorative prevedono miriadi di appalti e subappalti con la presenza contemporanea di decine di ditte nei medesimi luoghi di lavoro sarà comunque probabile la contemporanea presenza di attività a “basso rischio” e di attività ad alto rischio eseguite da ditte diverse, in assenza di un documento formale per valutare i rischi da interferenze.
Sempre l’articolo 32, comma 1, lettera a) del Decreto prevede la possibilità di non redigere il DUVRI per attività appaltate “la cui durata non sia a superiore ai dieci uomini-giorno”, innalzando il limite attuale di due giorni ed eliminando così per una enorme mole di attività in appalto ogni controllo sul coordinamento tra le ditte, senza considerare che non è la durata temporale del lavoro appaltato che richiede una valutazione dei rischi da interferenze, ma la gravità dei rischi da interferenze stessi.
ELIMINAZIONE DEL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO PER “ATTIVITA’ A BASSO RISCHIO”
L’articolo 32, comma 1, lettera b) del Decreto introduce nuovamente la possibilità di autocertificare (cioè di fatto non eseguire!) la valutazione dei rischi (ricordo che tale possibilità con l’attuale D.Lgs.81/08 è decaduta a partire dal 1 giugno 2013) per tutte le aziende, indipendentemente dal numero di lavoratori, nel caso di “settori di attività a basso rischio infortunistico” (da definire con successivo Decreto Ministeriale).
Anche in tal caso, in attesa di sapere quale siano i “settori di attività a basso rischio infortunistico”, va osservato che qualunque azienda comporta dei rischi. Anche il semplice lavoro d’ufficio può comportare rischi per la salute (stress, fattori posturali, ecc.) e per la sicurezza (rischi da impianti elettrici, rischi in caso di emergenza, tipo terremoto).
Permettere alle aziende di non elaborare il documento di valutazione dei rischi solo in base al livello di rischio (sempre con il ragionevole dubbio che tale livello sia comunque alto), è contrario alla “ratio” della attuale normativa che vede nel documento di valutazione del rischio uno strumento operativo di miglioramento delle condizioni di lavoro, fino a tendere all’assenza di rischio.
ELIMINAZIONE DELLA POSSIBILITA’ DA PARTE DELL’ORGANO DI VIGILANZA DI RICHIEDERE PRESCRIZIONI PER NUOVI LUOGHI DI LAVORO
L’articolo 32, comma 1, lettera e) del Decreto modifica l’articolo 67 del D.Lgs.81/08 relativo alla notifiche all’organo di vigilanza competente per territorio in caso di costruzione e di realizzazione nuovi di edifici da adibire a lavorazioni industriali, eliminando la facoltà per l’organo di vigilanza di “chiedere ulteriori dati e prescrivere modificazioni in relazione ai dati notificati”, elimina così ogni potere di controllo dell’organo stesso in merito all’adeguatezza delle nuove costruzioni. In tal modo la notifica fatta dal datore di lavoro diventa un mero adempimento formale, senza che l’organo di vigilanza possa opporsi a locali di lavoro non conformi alla normativa vigente.
ESCLUSIONE DAL CAMPO DI APPLICAZIONE DELLA “DIRETTIVA CANTIERI” PER “LAVORI BREVI”
L’articolo 32, comma 1, lettera g) del Decreto aumenta i casi di non applicabilità del Titolo IV del D.Lgs.81/08 relativo alle “Misure per la salute e sicurezza nei cantieri temporanei o mobili” (recepimento della Direttiva Cantieri 92/57/CE), escludendo dalle procedure da applicare ai cantieri anche i “piccoli lavori la cui durata presunta non è superiore ai dieci uomini giorno, finalizzati alla realizzazione o manutenzione delle infrastrutture per servizi”.
Anche in questo caso si permette il mancato adempimento di obblighi di tutela della sicurezza solo sulla base della durata dei lavori, senza considerare il loro reale pericolo (si pensi ad esempio alla manutenzione di infrastrutture quali viadotti o gallerie, potenziali fonti di gravissimi pericoli, indipendentemente dalla loro durata).
SNATURAMENTO DEL PIANI OPERATIVO DI SICUREZZA E DEI PIANI DI SICUREZZA E COORDINAMENTO PER I CANTIERI
L’articolo 32, comma 1, lettera g) del Decreto prevede per i cantieri temporanei e mobili la “semplificazione”, cioè di fatto la riduzione a meri atti formali, dei contenuti del piano operativo di sicurezza (POS), del piano di sicurezza e di coordinamento (PSC) e del fascicolo dell’opera.
Ricordo che tali documenti sono alla base della gestione in sicurezza di qualunque cantiere e la loro complessità è in funzione dei rischi presenti in cantiere, sia per le singole aziende (POS), sia per i rischi di interferenze tra ditte diverse (PSC).
Il PSC è il documento redatto dal committente che deve specificare in maniera dettagliata i rischi esistenti nei cantieri derivanti da interferenze tra le ditte presenti e definire le misure tecniche e organizzative per eliminare o ridurre i rischi derivanti da tali interferenze.
Il POS è invece il documento che tutte le ditte appaltate e subappaltate devono redigere per ogni cantiere, recependo i contenuti del PSC, per definire le misure di prevenzione e protezione delle singole ditte.
Il fascicolo dell’opera è il documento che contiene tutte quelle informazioni relative a un’opera edile (caratteristiche strutturali e impiantistiche, dotazioni di sicurezza, rischi specifici dei luoghi di lavoro) e che la deve accompagnare per tutta la sua vita, utili ai fini della prevenzione e della protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori nella fase successiva alla completamento dell’opera stessa (ad esempio per interventi di manutenzione)
Semplificare tali documenti significa aumentare la superficialità della loro redazione, rendendoli di fatto solo documenti formali e non sostanziali, e aumentando così il rischio di infortuni in un settore, quello delle costruzioni, che conta oggi la maggioranza degli infortuni mortali o invalidanti.
DERESPONSABILIZZAZIONE DELL’OBBLIGO DI NOTIFICA
L’articolo 32, comma 1, lettere i), l), m), n) del Decreto prevede consente di eseguire le notifiche previste dal D.Lgs.81/08 nei seguenti casi:
- superamento dei valori limite di esposizione professionale ad agenti chimici, delle cause dell'evento e delle misure di prevenzione e protezione adottate;
- eventi non prevedibili o incidenti che possono comportare un'esposizione anomala dei lavoratori ad agenti cancerogeni o mutageni e le misure adottate per ridurre al minimo le conseguenze dannose o pericolose;
- inizio di lavori che possono comportare, per i lavoratori, un’esposizione ad amianto (manutenzione, rimozione dell'amianto o dei materiali contenenti amianto, smaltimento e trattamento dei relativi rifiuti, bonifica delle aree interessate);
- incidenti che possono provocare la dispersione nell'ambiente di un agente biologico pericoloso, cause che li hanno determinati e misure da adottare;
anche “in via telematica, anche per mezzo degli organismi paritetici o delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro”.
In questo modo, con la scusa di semplificare le notifiche, si riduce la responsabilità diretta del datore di lavoro relativamente alla notifica, sia consentendo una non meglio precisata “via telematica” che non ha certo le garanzie di ufficialità di una raccomandata o di un fax, sia permettendo la notifica stessa non direttamente a nome del datore di lavoro, ma attraverso organismi paritetici o organizzazioni sindacali dei datori di lavoro.
Non è poi chiaro cosa succederà in caso di omessa notifica, la cui responsabilità dovrebbe rimanere a carico del datore di lavoro.
E’ ipotizzabile che questa modifica permetterà uno “scaricabarile” di responsabilità con il conseguente allungamento dei procedimenti penali, fino alla prescrizione del reato stesso.
ELIMINAZIONE DELL’OBBLIGO DI COMUNICAZIONE DEGLI INFORTUNI ALLE AUTORITA’ DI PUBBLICA SICUREZZA
L’articolo 32, comma 6, lettera a) del Decreto prevede l’abrogazione dell’articolo 54 del D.P.R.1124/65 (“Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”) e di conseguenza l’obbligo per il datore di lavoro di “nel termine di due giorni, dare notizia all'autorità locale di pubblica sicurezza di ogni infortunio sul lavoro che abbia per conseguenza la morte o l'inabilità al lavoro per più di tre giorni”.
Praticamente gli infortuni potranno essere comunicati solo all’INAIL. In questo modo si toglie all’autorità di pubblica sicurezza ogni informazione e controllo su eventi infortunistici (anche mortali) che hanno invece evidente rilevanza penale.
ELIMINAZIONE DELLE COMPETENZE DELLA DIREZIONE DEL LAVORO IN CASO DI INFORTUNI
Inoltre l’articolo 32, comma 6, lettera b) del Decreto sostituisce l’ articolo 56 del D.P.R.1124/65, stravolgendolo completamente ed eliminando completamente l’obbligo per l'autorità di pubblica sicurezza di rimettere, per ogni caso denunciato di infortunio mortale o con inabilità superiore ai trenta giorni, un esemplare della denuncia alla Direzione Territoriale del Lavoro nella cui circoscrizione è avvenuto l'infortunio, così come l’obbligo per la Direzione stessa di avviare un’inchiesta sull’infortunio, nella quale tra l’altro accertare “le circostanze in cui è avvenuto l'infortunio e la causa e la natura di esso, anche in riferimento ad eventuali deficienze di misure di igiene e di prevenzione”.
Si toglie così alla Direzione del Lavoro ogni informazione relativa a infortuni gravi e con rilevanza penale e la possibilità di avviare inchieste relativi agli infortuni stessi.
Inoltre modificando in tal modo l’articolo 56 del D.P.R.1124/65 viene meno anche la facoltà per l'infortunato o i suoi superstiti di domandare direttamente alla Direzione del Lavoro Pretore che sia eseguita l'inchiesta per gli infortuni per i quali l'inchiesta non sia stata eseguita.
RIDUZIONE DELLA FORMAZIONE E DELLA SORVEGLIANZA SANITARIA PER LAVORO “BREVI”
L’articolo 35 del Decreto propone una “semplificazione”, cioè una riduzione, degli adempimenti relativi alla informazione e formazione e alla sorveglianza sanitaria “applicabili alle prestazioni che implicano una permanenza del lavoratore in azienda per un periodo non superiore a cinquanta giornate lavorative nell’anno solare di riferimento”, tenendo però conto “mediante idonee attestazioni, degli obblighi assolti dallo stesso o da altri datori di lavoro nei confronti del lavoratore durante l’anno solare in corso”.
L’idea è quella che se un lavoratore che esegue lavorazioni di breve durata ha già svolto formazione e sorveglianza sanitaria presso un altro datore di lavoro nel corso dell’anno, ne possa essere esonerato.
Innanzitutto lascia perplessi che la formazione e la sorveglianza sanitaria pregresse vengano verificate “mediante idonee attestazioni”. Di cosa si tratta di autocertificazioni del datore di lavoro? Sappiamo bene che valore abbiano le autocertificazioni...
In ogni caso la formazione e la sorveglianza sanitaria non possono che essere specifiche della attività lavorativa svolta e quindi dal relativo profilo di rischio e non possono essere “barattate” da altre relative ad altri fattori di rischio.
Ad esempio un lavoratore che ha lavorato in un settore in cui il fattore di rischio è l’utilizzo di videoterminali, sarà stato formato e visitato in funzione di tale fattore di rischio. Ma se successivamente di trova a lavorare esposto ad altri fattori di rischio (movimentazione dei carichi, rischio chimico, ecc.), non sarà “coperto” dalla formazione e sorveglianza sanitaria precedentemente svolta.
CONCLUSIONI
E’ incomprensibile e inaccettabile che si voglia semplificare una legge dello stato sulla tutela di salute e sicurezza, quando già ora tale legge si dimostra, almeno in parte, insufficiente a garantire tale tutela.
E’ incomprensibile e inaccettabile che in un paese che conta un numero elevatissimo di morti sul lavoro (quattro al giorno), di infortuni e di malattie professionali e che è tra i primi in Europa per fenomeno infortunistico, si debbano fare ulteriori sconti sugli obblighi per la tutela dei lavoratori.
Si conferma (anche se non ce n’era bisogno) che cambiano i governi, ma la sostanza rimane la stessa.
Da mettere in evidenza l’attacco “bipartisan” alla tutela dei lavoratori, ma mentre questo attacco non stupisce da parte del governo PD/PDL, quello che lascia sgomento è l’assoluto silenzio (e quindi tacito consenso) da parte della cosiddetta opposizione (SEL, M5S) e di CGIL, CISL e UIL, a testimonianza di quale sia il loro reale interesse nei confronti dei lavoratori.
Nel nome della semplificazione per le aziende e della riduzione dei costi, si sacrificano i diritti alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, in un paese in cui i livelli di tutela sono già ridotti all’osso.
Marco Spezia
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A seguire il testo integrale degli articoli 32 e 35 del Decreto Legge n.69 del 21/06/13.
ART. 32
(SEMPLIFICAZIONE DI ADEMPIMENTI FORMALI IN MATERIA DI LAVORO)
1. Al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 26, i commi 3 e 3-bis sono sostituiti dai seguenti :
“3. Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione e il coordinamento di cui al comma 2, elaborando un unico documento di valutazione del rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non e possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze ovvero individuando, limitatamente ai settori di attività a basso rischio infortunistico di cui all'articolo 29, comma 6-ter; con riferimento all'attività del datore di lavoro committente un proprio incaricato, in possesso di formazione, esperienza e competenza professionali, tipiche di un preposto, nonché di periodico aggiornamento e di conoscenza diretta dell'ambiente di lavoro, per sovrintendere a tali cooperazione e coordinamento. In caso di redazione del documento esso è allegato al contralto di appalto o di opera e deve essere adeguato in funzione dell'evoluzione dei lavori, servizi e forniture. Dell'individuazione dell'incaricato di cui al primo periodo o della sua sostituzione deve essere data immediata evidenza nel contratto di appalto o di opera, Le disposizioni del presente comma non si applicano ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi. Nell'ambito di applicazione del codice di cui al decreto legislative 12 aprile 2006, n. 163, tale documento è redatto, ai fini dell'affidamento del contratto, dal soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dello specifico appalto.
3-bis. Ferme restando le disposizioni di cui ai commi 1 e 2, l'obbligo di cui al comma 3 non si applica ai servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature, ai lavori o servizi la cui durata non è superiore ai dieci uomini-giorno, sempre che essi non comportino rischi derivanti dalla presenza di agenti cancerogeni, biologici, atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari di cui all'allegato XI. Ai fini del presente comma, per uomini-giorno si intende l'entità presunta dei lavori, servizi e forniture rappresentata dalla somma delle giornate di lavoro necessarie all'effettuazione dei lavori, servizi o forniture considerate con riferimento all'arco temporale di un anno dall'inizio dei lavori.”;
b) all'articolo 29:
1) ai commi 5 e 6 sono premesse le seguenti parole: “Fermo restando quanto previsto al comma 6-ter”;
2) dopo il comma 6-bis sono inseriti i seguenti:
“6-ter. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare, sentita la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati settori di attività a basso rischio infortunistico, sulla base di criteri e parametri oggettivi, desunti dagli indici infortunistici di settore dell’INAIL. Il decreto di cui al primo periodo reca in allegato il modello con il quale, fermi restando i relativi obblighi, i datori di lavoro delle aziende che operano nei settori di attività a basso rischio infortunistico possono attestare di aver effettuato la valutazione dei rischi di cui agli articoli 17, 28 e 29. Resta forma la facoltà delle aziende di utilizzare le procedure standardizzate previste dai commi 5 e 6 dell’articolo 26.
6-quater. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 6-ter per le aziende di cui al medesimo comma trovano applicazione le disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 6-bis.”;
c) all'articolo 32, dopo il comma 5 è inserito il seguente:
“5-bis. In tutti i casi di formazione e aggiornamento, previsti dal presente decreto legislativo, in cui i contenuti dei percorsi formativi si sovrappongono, in tutto o in parte, a quelli previsti per il responsabile e addetti del servizio prevenzione e protezione, è riconosciuto credito formativo per la durata ed i contenuti della formazione e dell'aggiornamento corrispondenti erogati.”;
d) all'articolo 37, dopo il comma 14 è inserito il seguente:
“14-bis. In tutti i casi di formazione ed aggiornamento, previsti dal presente decreto legislativo per dirigenti, preposti, lavoratori e rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza in cui i contenuti dei percorsi formativi si sovrappongano. in tutto o in parte, è riconosciuto il credito formativo per la durata e per i contenuti della formazione e dell’aggiornamento corrispondenti erogati.”;
e) l'articolo 67 è sostituito dal seguente:
“Art. 67. - (Notifiche all'organo di vigilanza competente per territorio). - 1. In caso di costruzione e di realizzazione di edifici o locali da adibire a lavorazioni industriali, nonché nei casi di ampliamenti e di ristrutturazioni di quelli esistenti, i relativi lavori devono essere eseguiti nel rispetto della normativa di settore e devono essere comunicati all'organo di vigilanza competente per territorio i seguenti elementi informativi:
a) descrizione dell'oggetto delle lavorazioni e delle principali modalità di esecuzione delle stesse:
b) descrizione delle caratteristiche dei locali e degli impianti.
2. Il datore di lavoro effettua la comunicazione di cui al comma 1 nell'ambito delle istanze, delle segnalazioni o delle attestazioni presentate allo sportello unico per le attività produttive con le modalità stabilite dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuate, secondo criteri di semplicità e di comprensibilità, le informazioni da trasmettere e sono approvati i modelli uniformi da utilizzare per i fini di cui al presente articolo.
3. Le amministrazioni che ricevono le comunicazioni di cui al comma 1 provvedono a trasmettere in via telematica all'organo di vigilanza competente per territorio le informazioni loro pervenute con le modalità indicate dal comma 2.
4. L'obbligo di comunicazione di cui al comma 1 si applica ai luoghi di lavoro ove è prevista la presenza di più di tre lavoratori.
5. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 2 trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 1.”;
f) all'articolo 71, i commi 11 e 12 sono sostituiti dai seguenti:
“11. Oltre a quanto previsto dal comma 8, il datore di lavoro sottopone le attrezzature di lavoro riportate nell'allegato VII a verifiche periodiche volte a valutarne l'effettivo stato di conservazione e di efficienza ai fini di sicurezza, con la frequenza indicata nel medesimo allegato. La prima di tali verifiche è effettuata dall'INAIL che vi provvede nel termine di quarantacinque giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il datore di lavoro può avvalersi delle ASL o, ove ciò sia previsto con legge regionale, dell'agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA), ovvero di soggetti pubblici o privati abilitati secondo le modalità di cui al comma 13. Le successive verifiche sono effettuate dalle ASL o, ove ciò sia previsto con legge; regionale, dall’ARPA, che vi provvedono nei termine di trenta giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il datore di lavoro può avvalersi di soggetti pubblici o privati abilitati secondo le modalità di cui al comma 13. L’INAIL, le ASL o l'ARPA hanno l'obbligo di comunicare al datore di lavoro, entro quindici giorni dalla richiesta, l'eventuale impossibilità ad effettuare le verifiche di propria competenza, fornendo adeguata motivazione. In tal caso il datore di lavoro può avvalersi di soggetti pubblici o privati abilitati alle verifiche secondo le modalità di cui al comma 13. Per l'effettuazione delle verifiche, l’INAIL, le ASL, l’ARPA possono avvalersi del supporto di soggetti pubblici o privati abilitati. Le verifiche di cui al presente comma sono onerose e le spese per la loro effettuazione sono poste a carico del datore di lavoro.
12. I soggetti privati abilitati di cui al comma 11 acquistano la qualifica di incaricati di pubblico servizio e rispondono direttamente alla struttura pubblica titolare della funzione.”;
g) all'articolo 88, comma 2, lettera g-bis), dopo le parole: “condizionamento e riscaldamento” sono inserite le seguenti: “nonché ai piccoli lavori la cui durata presunta non è superiore ai dieci uomini giorno, finalizzati alla realizzazione o manutenzione delle infrastrutture per servizi,”;
h) al capo I del titolo IV, è aggiunto, in fine, il seguente articolo:
“Art. 104-bis. - (Misure di semplificazione nei cantieri temporanei e mobili). - 1. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da adottare sentita la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati modelli semplificati per la redazione del piano operativo di sicurezza di cui all'articolo 89, comma 1, lettera h), del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 100, comma 1, e del fascicolo dell'opera di cui all'articolo 91, comma 1, lettera b), fermi restando i relativi obblighi.”;
i) all'articolo 225, comma 8, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Tale comunicazione può essere effettuata in via telematica, anche per mezzo degli organismi paritetici o delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro.”;
l) all'articolo 240, comma 3, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Tale comunicazione può essere effettuata in via telematica, anche per mezzo degli organismi paritetici o delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro.”;
m) all'articolo 250, comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Tale notifica può essere effettuata in via telematica, anche per mezzo degli organismi paritetici o delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro.”;
n) all'articolo 277, comma 2, è aggiunto, in fine; il seguente periodo: “Tale comunicazione può essere effettuata in via telematica, anche per mezzo degli organismi paritetici o delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro.”;
2. I decreti di cui agli articoli 29, comma 6-ter e 104-bis del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, introdotti dal comma 1, lettere b), ed h), del presente articolo sono adottati, rispettivamente, entro novanta giorni e sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
3. Dall'attuazione della disposizione di cui al comma 1, lett. f), del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate adempiono ai compiti derivanti dalla medesima disposizione con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
4. Dopo il comma 2 dell'articolo 131 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163, è inserito il seguente:
“2-bis. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuate modelli semplificati per la redazione del piano di sicurezza sostitutivo del piano di sicurezza e coordinamento di cui al comma 2, lettera b), fermi restando i relativi obblighi”.
5. Il decreto previsto dal comma 4 è adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
6. Al testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) l’articolo 54 è abrogato a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;
b) all'articolo 56:
1) il primo comma è sostituito dal seguente:
“Le autorità di pubblica sicurezza, le aziende. sanitarie locali, le autorità portuali e consolari, le direzioni territoriali del lavoro e i corrispondenti uffici della Regione Siciliana e delle province autonome di Trento e di Bolzano competenti per territorio acquisiscono dall'INAIL, mediante accesso telematico, i dati relativi alle denunce di infortuni sul lavoro mortali e di quelli con prognosi superiore a trenta giorni.”;
2) al secondo comma, l’alinea è sostituito dal seguente: “Nel più breve tempo possibile, e in ogni caso entro quattro giorni dalla presa visione, mediante accesso alla banca dati INAIL, dei dati relativi alle denunce di infortuni di cui al prima comma, la direzione territoriale del lavoro - settore ispezione del lavoro procede, su richiesta del lavoratore infortunato, di un superstite o dell'INAIL, ad un'inchiesta al fine di accertare:”;
3) dopo il quarto comma è aggiunto il seguente:
“Agli adempimenti di cui al presente articolo si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.”.
7. Le modalità di comunicazione delle disposizioni di cui al comma 6 trovano applicazione a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni, che definisce le regole tecniche per la realizzazione e il funzionamento del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP) nei luoghi di lavoro.
ART. 35
(MISURE DI SEMPLIFICAZIONE PER LE PRESTAZIONI LAVORATIVE DI BREVE DURATA)
1. All'articolo 3 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.81, è aggiunto, in fine, il seguente comma:
“13-bis. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro della salute, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentite la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro di cui all'articolo 6 del presente decreto e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto dei livelli generali di tutela di cui alla normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro e fermi restando gli obblighi di cui agli articoli 36, 37 e 41 del presente decreto. sono definite misure di semplificazione degli adempimenti relativi all'informazione, formazione e sorveglianza sanitaria previsti dal presente decreto applicabili alle prestazioni che implicano una permanenza del lavoratore in azienda per un periodo non superiore a cinquanta giornate lavorative nell'anno solare di riferimento, al fine di tener conto mediante idonee attestazioni, degli obblighi assolti dallo stesso o da altri datori di lavoro nei confronti del lavoratore durante l'anno solare in corso.”.