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venerdì 26 luglio 2013

Riflessioni di mezza estate

di Andrea Fumagalli
La storia umana è storia di coazione al lavoro. Un tempo tale costrizione era imposta con il dominio e obbligata per legge e ha alimentato per millenni società schiaviste. Oggi la schiavitù è stata bandita giuridicamente, ma non da un punto di vista etico e culturale. La religione di un lavoro non scelto imperversa più che mai, anche se non esistono più obblighi diretti. Il lavoro è libero ma non rende liberi.  Solo se si creano le premesse per liberarsi dal ricatto del bisogno, l'attività umana (vita, non lavoro) potrebbe diventare momento di autorealizzazione, forma di emancipazione (e comunque mai un bene comune).  La storia dell'umanità può essere anche letta come una perenne lotta contro il lavoro come costrizione. Il rifiuto del lavoro salariato degli anni Settanta (non dell'OPUS e dell'OTIUM, si badi bene), non a caso sviluppatosi al culmine delle lotte dell'operaio massa, così come le lotte negli anni Venti del secolo scorso negli Stati Uniti contro la trasformazione dell'operaio di mestiere in operaio dequalificato alla catena di montaggio (operaio massa), ha contribuito a mettere in atto i processi di ristrutturazione dell'organizzazione capitalistica. La fase di transizione dal capitalismo fordista a quello biocognitivo ne è il risultato diretto, con effetti profondi e irreversibili sulla qualità e la forma della prestazione lavorativa. In Europa, il peso del lavoro di fatica, del lavoro operaio, è fortemente diminuito, ma tale miglioramento non coincide con liberazione dal lavoro salariato (come si auspicava). Anzi, è forse successo l'opposto, seppur in modo inedito. Le nuove e moderne forme di accumulazione, sempre più basate sulla conoscenza, hanno messo a lavoro e a comando ciò che prima, nell'epoca fordista, non era considerato produttivo: l'insieme delle facoltà cognitive, affettive, riproduttive, formative e relazionali degli esseri umani, in una parola, la vita. Nel momento in cui ci si illude che, grazie anche al progresso tecnologico, ci si possa affrancare, seppur parzialmente, della fatica fisica del corpo, ecco che il lavoro si allarga e induce alla fatica della mente e dei sentimenti.La vita stessa viene messa al lavoro e a valore. Non solo il LABOR ma anche l'OPUS, la creatività e l'immaginazione sono piegate a criteri di produttività, mercificazione e valorizzazione. Siamo in presenza di un processo di SUSSUNZIONE TOTALE dell'essere umano ai dettami della produzione. Il risultato è che la dannazione del lavoro ci perseguita più di prima. A fronte di questa situazione, sembra esserci una sola soluzione: il diritto alla scelta del lavoro. Ma condizione necessaria (anche se non sufficiente) è che ci si liberi dal ricatto del bisogno: solo la garanzia di un REDDITO DI BASE INCONDIZIONATO, e non il lavoro, costuisce oggi un bene comune, seppur improprio

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