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martedì 1 ottobre 2013

Una conferma da Assisi: la Polizia di Stato è al servizio del papato

In Arabia Saudita esiste una polizia religiosa, preposta al rispetto del rispetto della legge islamica. È sottoposta a un ente statale che si chiama “Comitato per l’imposizione della virtù e l’interdizione del vizio”. In Italia non esiste una polizia religiosa. Esiste però una Polizia di Stato che, a giudicare dai fatti, è sottoposta a un ente religioso. Appartenente a uno stato estero.
Gli episodi sono così tanti da poter parlare, a ragion veduta, di una vera e propria evidenza. Nel 2007 due giovani furono fermati dalla Digos e accompagnati in questura, dove furono trattenuti per ore, per aver volantinato contro la beatificazione di 498 martiri franchisti. Nel 2008, a Cagliari, in occasione della visita di Ratzinger, fu il turno di un giovane perquisito solo perché indossava una maglietta del gruppo rock dei Bad Religion. Nel 2009 la questura di Brescia convocò un giovane che si era limitato a dar vita su Facebook a un gruppo contrario alla visita papale. Il XX settembre 2010 i soci Uaar che volevano manifestare a Porta Pia furono bloccati dalla Digos perché il cardinale Bertone, incongruamente presente all’evento, avrebbe potuto restare “turbato” dalle loro bandiere (e non furono gli unici a essere fermati: capità anche esponenti radicali e IDV, di partiti cioè rappresentati in parlamento). Pochi giorni dopo, in occasione della visita del papa a Palermo, furono passate al setaccio le case e furono rimossi gli striscioni ritenuti “scomodi”. Nel 2012 fu silenziata una contestazione contro l’omofobia clericale in occasione della visita a Milano di Benedetto XVI. E non sono che gli esempi più significativi. Criticare pacificamente il papa è vietato, in Italia: e non per legge, ma per decisione delle forze dell’ordine (clericale).
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Le cose non sono cambiate con il nuovo papa. L’ultimo episodio è accaduto ad Assisi, dove il 4 ottobre papa Francesco onorerà san Francesco, in nome di una pace imposta manu militari. I nostri soci umbri, in tale occasione, volevano distribuire un volantino insieme all’associazione locale Civiltà Laica. La Digos ha negato loro l’autorizzazione, motivandola con il fatto che un raduno “monotematico” poteva essere disturbato da un manifestino che, almeno da una parte dei convenuti, avrebbe potuto essere inteso come “provocatorio”. Poiché, per prevenire possibili diverbi, la Polizia avrebbe dovuto impiegare diverse unità per “tutelarli” da possibili scalmanati e faziosi credenti, e poiché si sarebbe trattato di un impegno troppo gravoso, stante la carenza di uomini e il carico di tensione e pericoli che avrebbe comportato, il volantinaggio è stato vietato.
Ringraziamo la Questura per la premura e la sensibilità dimostrate. Che si trasforma però, ahinoi — e ahi libertà di espressione, in una vera e propria censura. L’ennesima. Si tratta del resto di quella stessa questura che, nella stessa occasione, ha stabilito che il 4 ottobre (e solo il 4 ottobre) sarà vietato cacciare “ad Assisi e nelle diocesi limitrofe”: forse perché le province stanno per essere soppresse, qualche autorità civile conta evidentemente di sostituirle con l’amministrazione ecclesiastica. È un favor religionis, quello della Polizia di Stato, che trova applicazione concreta e quotidiana anche nelle scorte assicurate ai vescovi, spesso ingiustificate, e che è sostenuto da un’ideologia rimasta alla Controriforma, quella che vede negli atei dei pericolosi delinquenti, e nei pericolosi delinquenti degli atei. Non più tardi di ieri il vicequestore di Ragusa, Francesco Marino, ha definito gli scafisti che hanno provocato la morte di tredici persone “senza Dio che non hanno avuto pietà”. Frasi che tradiscono — anche in una tragedia del genere — una mentalità che le istituzioni pubbliche non dovrebbero mai far propria.
Abbiamo ora un pontefice che si dichiara “non proselitista” e che rilascia interviste a un giornalista ateo che lo chiama “Santità”. Papa Bergoglio sostiene che diventa addirittura “anticlericale”, quando vede qualche clericale, e che la Chiesa “non si deve occupare di politica”. Ma i cattolici sì, eccome, e il Catechismo impone loro di essere “obbedienti e sottomessi alle gerarchie ecclesiastiche”. Non sorprende dunque che in Italia un braccio secolare sia ancora attivo, e più che mai al suo servizio. E hanno un bel coraggio, le istituzioni clericali, a definire un paese in cui è vietato criticare pacificamente qualcuno “una Repubblica democratica”. Rammentiamo però che, in fondo, anche i gerarchi della Ddr facevano altrettanto…

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