Frullate il tutto e fatelo presentare da un conduttore de noantri e dalla collega palestinese,
visibilmente terrorizzati dalle polemiche passate e prevedibilmente
future. Che cosa otterrete?
Se non ci fossero di mezzo le vere sofferenze dei profughi,
la risposta sarebbe una sola: due
ore di comicità involontaria e irresistibile. Questo è Mission,
la cui prima puntata è andata in onda il 4 dicembre su Rai 1. Basterebbe
Al Bano, conciato come in una vacanza aziendale a Miami, con paglietta
e sciarpa bianca, e accompagnato dalle figliole Romina Jr
e Cristel. Inforna il pane, trasporta tappeti, accarezza bambini
e si produce in una gag da Oscar. C’è un signore siriano seduto per terra
che pensa ai fatti suoi: Al Bano arriva e lo benda con la sua kefiah, mentre
quello sorride cortesemente, un po’ imbarazzato. Dopodiché,
l’indimenticabile gorgheggiatore di Felicità porta due caprette, lo sbenda
e gliele consegna. Finalmente i bambini avranno un po’ di latte.
Commozione, gratitudine, lucciconi. Applausi in studio.
E che dire della coppia Candida Morvillo-Francesco Pannofino?
La prima, in trasferta in Mali e immortalata mentre pianta un chiodo
(senza riuscirci), è la perfetta parodia della radical snob che dà
un’occhiatina al terzo mondo — peccato però che non si tratti di una parodia.
Il secondo, in fondo, è il più sincero di tutti quando dichiara di
essersi «sentito come un cretino» durante la sua esperienza di turismo umanitario.
Applausi in studio.
Ma il picco del grottesco si tocca con il siparietto di immigrati
di Rosarno che hanno messo in piedi una squadra di calcio — accompagnati
dall’allenatore e dall’inevitabile prete. Mentre scorrono immagini
della rivolta di tre anni fa (senza che nessuno dica una parola sul lavoro
nero, sullo sfruttamento, sugli italiani che sparavano agli stranieri per
farli fuggire prima di essere pagati ecc.), arriva il giocatore Zambrotta —
un babbino Natale bianco — che li omaggia di palloni e magliette
e proclama profonde verità sul calcio che combatte il razzismo. Sintesi
e traduzione: non fate casino, se vi danno 25 euro al giorno per
9 ore di lavoro. Invece, giocate al calcio che vi passa. Applausi convinti
in studio.
Raramente si è visto in televisione qualcosa di così
dolciastro, ipocrita e buonista (ma perché, allora, non hanno invitato
Veltroni l’Africano?). L’idea di mandare delle facce televisive, più
o meno note, a farsi un po’ di pubblicità tra i profughi
della Giordania e del Mali è orrenda, e poteva venire solo in
un paese come il nostro, in cui i leader politici principali sono il
proprietario di tre reti, un comico diventato famoso con la tv e un
sindaco piacione che imperversa da mane a sera sul piccolo schermo
(speriamo che la smetta di perseguitarci, se diventa segretario
del Pd).
Se quelli dell’Unhcr e di Intersos speravano di farsi
pubblicità con Mission,
hanno preso una bella cantonata. Agli occhi del pubblico, qualsiasi
discorso sui profughi, d’ora in poi, sarà questione di vip e siparietti
commoventi. Ma, soprattutto, la realtà dei conflitti che producono profughi
— conflitti in cui è coinvolto anche il nostro bel paese, così buono
e sensibile — sarà ignorata quanto e più di prima, mentre invece
i vip non perderanno l’occasione di dirci come soffrivano, mentre
facevano la loro vacanza umanitaria.
E questa bella roba costa. Il mistero sui cachet dei vip in
sedicesimo è fitto: si parla di 700 euro al giorno di diaria, ma chi ci
crede? Il buon Al Bano, notoriamente genuino come il vino delle sue tenute,
ha dichiarato di aver preso una «miseria», 500.000 euro invece dei 750.000
previsti. Sarà vero? Sarebbe il caso di indagare, anche per non lasciare
solo alla destra le denunce degli sprechi Rai. Ma se fosse vero, non si tratterebbe
solo di dilapidazione di denaro pubblico: sarebbe un vero e proprio
insulto ai profughi, strumentalizzati per rinverdire l’immagine di cantanti,
attori e conduttori.
Vista la prima puntata, non possiamo che aspettarci il peggio
dalla seconda. Infatti, con altri turisti del dolore, è in arrivo dal
Congo niente meno che Emanuele Filiberto Umberto Reza Ciro René Maria di
Savoia, uno che di profughi s’intende (forse perché per anni non ha potuto
mettere piede in Italia?). Aspettiamo con ansia che ci racconti, con la sua
erre moscia, quanto ha sofferto in Congo.
Alessandro dal Lago
Alessandro dal Lago
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