Milano. Venerdì mattina. Il centro città è invaso da migliaia di persone per lo sciopero generale convocato da numerosi sindacati, dagli studenti e dai No EXPO. Gli operai della Fiom si concentrano in Porta Venezia assieme ai facchini dello Slai Cobas. Gli studenti, i sindacati di base e i No Expo si ritrovano invece in Largo Cairoli.
Due cortei differenti si muoveranno per le vie della città senza mai riuscire ad incrociarsi, la Fiom partita da Porta Venezia arriverà in Piazza Duomo per il comizio finale mentre gli altri da Cairoli si muoveranno per il Ticinese per giungere infine in Piazza Fontana. Questo è il piano preventivo per il mantenimento dell’ordine perché lo sciopero rimanga quello a cui siamo abituati: interruzione di qualche ora di studio e lavoro e sfilata in corteo per rivendicare le proprie specifiche ragioni.
Con questo striscione uno spezzone No Tav proverà a rompere questa divisione cercando di praticare quello che il movimento valsusino ha espresso nei magici momenti della sua storia di lotta: istanze diverse e lontane geograficamente si possono toccare e addensare in un magma altamente esplosivo. Le bandiere No Tav decidono così di muoversi per raggiungere questo intento. Non si seguirà il corteo pronto a partire. Si saluta calorosamente e si prende la metro dribblando abilmente tornelli e controllori ci si sposta in Piazza San Babila.È qui che si trova il contatto con le migliaia di operai della Fiom giunti a Milano da tutta Italia. È un incontro che si realizza raramente, dei mondi in realtà così vicini vengono spesso tenuti a debita distanza, a volta per la chiusura dei dirigenti sindacali o per l’azione preventiva di questura e prefettura. Questa volta succede qualcosa di inaspettato: per due-tre ore migliaia di metalmeccanici sfilano davanti a decine di bandiere No Tav, leggendo gli striscioni appesi ai pali della piazza, fermandosi con curiosità e approvazione ad applaudire quando si sentono i racconti della lotta in valle, degli occupanti di case dei quartieri popolari di Milano, infine della volontà di unire le lotte per diventare più forti.
Ma le parole che risuonano più forti così come le scritte che appaiono sulle tele vanno per i quattro compagni No Tav rinchiusi da quasi un anno in carcere, ora all’aula bunker di Torino in attesa che i Pm avanzino le loro assurde richieste di condanna a 9 anni e 6 mesi per attentato con finalità di terrorismo. A San Babila si realizza la prima piccola incrinatura della normalità dei cortei sindacali, molti operai condividono l’insoddisfazione e lo sfinimento di fare sfilate che mostrano la debolezza della concertazione e della mediazione. Si percepisce un sibilo sottile e insistente che sfiata dall’aria compressa tra gli striscioni rossi e le bandiere Cgil. Chissà se la giornata darà l’occasione di fuoriuscire davvero.
A chiusura del corteo della Fiom ci sono i facchini che sventolano le bandiere dei Cobas, sono centinaia, giunti da tutta Italia forti degli ultimi due anni di lotta dura contro lo sfruttamento delle cooperative, le notti di blocchi ai cancelli, le cariche respinte della polizia. Con loro non c’è bisogno di tante parole, l’intesa è immediata. Lo spezzone No Tav con alcuni occupanti di case di Corvetto e Ticinese si incastra in mezzo a questi operai che arrivano da tutte le parti del mondo.
Giunto in Duomo il corteo si ferma perché la dirigenza sindacale vuole imporre il suo noioso spettacolo dal palco montato nella piazza. Mentre la Camusso inizia il suo comizio le bandiere No Tav provano a superare le transenne poste a chiudere l’accesso delle scale per il sagrato del Duomo, lasciato vuoto e isolato per indirizzare tutta l’attenzione verso il palco situato dalla parte opposta della piazza. Mentre qualche compagno riesce a scavalcare ostacolato dai militari di guardia un cordone di celere giunge correndo sul posto per fermare le intenzioni dei No Tav. L’apparizione di manganelli e scudi e il fermo di un compagno rimasto al di là delle transenne trascinato via dalla digos scatena la rabbia dei presenti. Davanti a queste immagini con il ricordo fresco delle cariche a Roma sugli operai di Terni molti operai scattano verso le transenne. Qualche pettorina del servizio d’ordine si mette in mezzo per calmare gli animi, la polizia è però costretta a lasciare il compagno ed ad indietreggiare con qualche botto che gli salta tra i piedi. Mezza piazza Duomo, piena come non si vedeva da tempo, si gira ad osservare la scena, magari non comprendendo cosa stesse accadendo ma sicuramente più interessata ad eventi reali piuttosto che false promesse lanciate dalla Camusso.
Qualche minuto dopo viene urlato al megafono che il corteo degli studenti sta venendo caricato in piazza Fontana. L’immagine dei manganelli è ancora la molla che fa scattare tanti, No Tav, studenti, operai Fiom, lavoratori Cobas lasciano queste accezioni divisorie e si lanciano correndo verso la piazza adiacente. La polizia, già prevedendo possibili contatti ha chiuso ogni accesso, via Larga è piena di camionette, gli studenti sono lontani dalla vista, in piazza Santo Stefano, e praticamente irraggiungibili se non fronteggiando una celere ben più numerosa. Si chiudono le bandiere, si riallacciano i caschi, si rinuncia all’intento di rivincita sulla polizia ma senza frustrazioni, anzi con una consapevolezza in più che unendo le forze, incrociando le lotte anche questo spazio altamente metropolizzato può essere sovvertito.
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