Pietra portante del sistema scolastico Usa, sono sempre più contestati sia dai ragazzi che da genitori e prof. E il governo valuta ritorsioni economiche contro le scuole ribelli di Carola Traverso Saibante
Manifestazione contro i test
            standardizzati PARCC davanti alla Mayfield High School di
            Las Cruces, New Mexico (foto Ap/Robin Zielinski)
        
 Da noi
            sono arrivati solo da qualche anno con l’introduzione dei
            questionari Invalsi e continuano a suscitare grosse
            diffidenze sia nei docenti che fra genitori e studenti. Ma
            in America i test standardizzati sono parte integrante del
            sistema scolastico da mezzo secolo. Eppure da qualche tempo
            anche nella culla dei questionari a risposta multipla
            qualcosa sembra essersi rotto: i test standardizzati sono
            diventati oggetto di feroci polemiche e boicottaggi in varie
            parti del Paese, al punto da costringere le autorità a
            ripensare il ruolo di queste prove nell’iter educativo. 
            
          
Dalla Cina all’America con ardore
Onnipresenti in tutti i gradi
            d’istruzione in America, i «test standardizzati» sono quelle
            prove di valutazione progettate in modo da garantire
            condizioni di elaborazione e valutazione uguali per tutti
            gli studenti che vi si sottopongono, a prescindere
            dall’istituto scolastico o lo Stato da cui provengono. Messi
            a punto nella Cina imperiale, sono stati introdotti in
            Europa e in Nord America via Regno Unito. Gli Usa ne sono
            diventati accaniti sostenitori: in principio erano foglio
            matita; oggi si elaborano sul computer. L’ultima generazione
            di questi test si è adattata alle convinzioni didattiche
            contemporanee, per esempio enfatizzando il pensiero critico.
            Rispetto alla generazione precedente, forniscono più
            materiale per valutare le conoscenze e i progressi degli
            studenti.
Inefficaci, costosi e inadeguati
In circa tre dozzine di Stati
            americani, in questo semestre gli studenti sono chiamati a
            sottoporsi a questi test, dagli acronimi come PARCC e SBAC.
            Ma ecco la novità: per la prima volta c’è chi si ribella
            arrivando persino al boicottaggio. Il movimento che rifiuta
            queste prove di valutazione si espande a macchia d’olio,
            scavalca i confini statali e diventa trasversale: partito
            dai genitori, ha trovato il supporto del sindacato degli
            insegnanti e pare ora guidato dagli studenti stessi. Cosa si
            rimprovera a questi test? Di essere deboli e inefficaci,
            innanzitutto, nel riuscire a valutare davvero le capacità
            degli studenti. Una pratica molto costosa per le casse
            pubbliche, a cui le scuole destinano risorse economiche
            preziose, che potrebbero essere impiegate per sviluppare
            metodi d’insegnamento e di valutazione creativi, che
            riescano a coinvolgere maggiormente gli studenti rispetto a
            un test a risposta multipla. E ancora: la nuova generazione
            dei PARCC usati in New Jersey e altri 11 Stati è stata
            elaborata in collaborazione con un’azienda privata, la
            Pearson Education, e questa declinazione commerciale non
            convince, tanto più che i test – se non determinano la
            promozione degli studenti, giocano un ruolo decisivo nelle
            possibilità che questi hanno di beneficiare di programmi e
            aiuti speciali. E incidono sulla valutazione degli
            insegnanti, di quanto sono stati bravi con i propri alunni,
            che negli Stati Uniti vuol dire: incidono sul loro salario.
        Il caso del New Jersey
Un caso per tutti, forse il più
            eclatante: quello del New Jersey. In questo Stato a sud di
            New York, il più popoloso degli Stati Uniti, la rivolta
            delle famiglie – portata avanti in primis via Facebook -
            contro i test PARCC (Partnership for Assessment of Readiness
            for College in Careers), a cui dovevano essere sottoposti
            tutti gli alunni tra gli 8/9 e i 16/17 anni, ha trovato
            ampio appoggio nei consigli d’istituto. A febbraio la
            Commissione Educazione dell’Assemblea dello Stato ha votato
            all’unanimità tre proposte di legge: moratoria di tre anni
            sui test; divieto di sottoporvi bambini dall’asilo fino al
            secondo grado (8 anni d’età), e libertà dei genitori di non
            farli fare ai figli. In marzo il più grande sindacato degli
            insegnanti dello Stato ha promosso una serie di feroci spot
            alla tv anti-test standardizzati. E adesso, mentre i
            politici stanno vagliando le misure da prendere, sulla
            scrivania del Ministero dell’Istruzione dello Stato è
            arrivata un’istanza – promossa da cinque cittadini –
            affinché stabilisca nuove regole per uniformare il modo con
            cui i genitori possano rifiutare di far sottoporre i figli
            al test. Una «petizione a legiferare», procedura rara che
            scavalca i passaggi legislativi standard e si appella
            direttamente all’autorità di competenza.
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