RISCHIANDO S’IMPARA
Per una pedagogia del rischio in una scuola non autoritaria
di Enrico Roversi
“Dovremmo insegnare ai bambini a danzare sulla fune, a dormire di notte da soli sotto un cielo stellato, a condurre una barca in mare aperto. Dovremmo insegnare loro ad immaginare castelli in cielo, oltre che case sulla terra, a non sentirsi a casa se non nella vita stessa ed a cercare la sicurezza dentro se stessi”
(H.H. Dreiske)
L'ossessione della sicurezza «totale» e obbligatoria è diventata uno dei miti ideologici oggi più diffusi nelle società occidentali. Si assiste ad un aumento esponenziale di cause legali, di richieste di risarcimenti di ogni genere e verso tutti (specie se è un ente che può pagare), quando – magari per distrazione – si inciampa attraversando la strada o si scivola in un qualche locale. La pretesa di una «société sicuritaire», come dicono i francesi, cioè di una società che si faccia carico in modo totalizzante della sicurezza dei suoi membri, e che elimini l’alea del rischio nelle cose, sembra aver colonizzato l'immaginario collettivo e la cultura in generale, anche quella giuridica. Quando infatti il legislatore cerca di prefissare, attraverso la legge, il divenire umano e ogni aspetto dell’imponderatezza della vita secondo dettagliate e prescrittive norme regolamentari, in molti casi si rasenta una psicopatologia della sicurezza. Un meccanismo deresponsabilizzante per l'individuo sulla base dell'assioma per il quale è la società che deve garantire la sicurezza personale di ciascuno. Per non parlare di politici, amministratori e burocrati che preferiscono stabilire divieti e vincoli in maniera totalmente autoderesponsabilizzante per timore che possa succedere qualcosa di non previsto in ogni aspetto della sua dinamica.
La ricerca ossessiva della sicurezza ad ogni costo invade ormai tutti i campi del vivere sociale, con una conseguente volontà di risarcimento e di monetizzazione di ogni evento. Ma non si può ipotizzare un determinismo meccanicistico della vita, che sterilizzi ogni atto dagli eventuali rischi ad esso correlati, imponendo l’obbligo di compiere solo ciò che è immune da ogni aleatorietà, addebitando per forza ad un responsabile qualsiasi eventuale accadimento con la compensazione economica di ogni imprevisto legato ad una libera scelta. Quello che si sta giocando oggi sulla sicurezza è uno stadio ulteriore della pretesa tecnocratica e assolutista di controllare la vita in ogni suo determinarsi, che sempre più di frequente si traduce in pericolosa giurisprudenza. Pericolosa per il futuro della libertà della persona, ma anche per il destino di una società che rischia di finirne prigioniera.
Quali sono le ripercussioni di tutto ciò sulla scuola? La relazione con l’ambiente, a cui molte delle esperienze delle nostre scuole sono orientate, mette in luce la mancanza di un pedagogia del rischio. Una pedagogia che riconosca il valore formativo a esperienze che incrociano i confini, il limite, la fatica, la sconfitta e talvolta anche il dolore, elementi fondanti della nostra umanità. Zygmunt Bauman nota come nei Paesi sviluppati “contrariamente alle prove oggettive, siamo proprio noi tanto vezzeggiati e viziati, a sentirci più minacciati, insicuri e spaventati, più inclini al panico e più interessati a tutto ciò che riguarda l’incolumità e la sicurezza, rispetto alla maggior parte delle altre società conosciute.”[1] Questa riflessione riguarda anche l’atteggiamento nei confronti dei bambini nelle nostre società occidentali che sono a volte protetti in maniera ossessiva, all'interno di una vera e propria cultura dell’apprensione, a costo di sacrificarne l’autonomia personale e sociale. A tal proposito significativo è il film documentario “Vado a scuola” di Pascal Plisson (Sur le chemin de l’école, Francia 2013) nel quale si racconta il percorso fisico e geografico ed i suoi rischi e pericoli che i piccoli protagonisti devono affrontare ogni giorno per arrivare a scuola, nei più svariati angoli del pianeta.
Ma cosa vuol dire “sicurezza” nella scuola? Sicurezza per chi e da cosa? Bambini e bambine hanno il diritto di vivere l’esperienza scolastica in ambienti privi di pericoli ma le scuole si stanno trasformando in luoghi dove non esistono nemmeno rischi. Rischio e pericolo, seppure con alcuni punti di congiunzione, sono due situazioni molto diverse. Il rischio è un elemento fondamentale del discorso pedagogico: un bambino, una bambina, deve poter rischiare. L’affrontare il rischio porta all’autonomia. Il bambino che tenta di arrampicarsi sui rami di un albero non si sta mettendo in una posizione di pericolo, a meno che l’altezza o la fragilità dei rami non lo comportino e in questo caso è doveroso l’intervento dell’adulto, sta, invece, entrando in una situazione di rischio. Impedire al bambino di mettersi in una situazione di pericolo e impedirgli di assumersi la responsabilità di affrontare un rischio sono discorsi diversi. Nel primo caso si tutela il bambino, nel secondo lo si castra.
Le scuole si stanno trasformando in ambienti iperprotettivi in senso paternalistico, dove l’adulto è esageratamente presente e le sue azioni sono a tutela non del bambino ma delle ansie dell’adulto stesso. Una vita senza rischi è una vita immobile. Movimento ed emozione sono parole che hanno una radice comune nel termine latino motus e per il bambino sono fondamentali. Il movimento, il muoversi, il rischiare sono legati all’emotività che è il motore dell’apprendimento. La staticità è esattamente il contrario. Emblematico è il caso di una scuola dell’infanzia bolognese i cui genitori hanno proposto al Dirigente Scolastico di circondare gli alberi del giardino con la gommapiuma perché i bambini correndo avrebbero potuto sbatterci contro. Un non senso dal punto di vista educativo e pedagogico. Significa creare un ambiente completamente innaturale e slegato dalla realtà della vita. Ma quando la pratica educativa è slegata dalla realtà diventa arida ed inefficace, buona forse per risolvere i test invalsi ma non per imparare a vivere e a crescere nell’autonomia e nella costruzione libera del sé. A differenza del pericolo, che è oggettivo, il rischio è legato alle dimensioni di incertezza e imprevedibilità dell’esperienza umana ma anche al piacere della sfida, al desiderio di mettersi alla prova, all’affermazione della propria individualità e libertà. Per il bambino si tratta di scoprire, indagare e problematizzare il mondo entrando nella vita attraverso eventi e situazioni che sollecitano curiosità, domande e mettono in gioco contemporaneamente l'unità inscindibile di mente e corpo: emozioni, sensazioni, percezioni, creatività, capacità e limiti fisici. Tutto ciò contribuisce all’acquisizione di un’immagine realistica di sé e delle proprie potenzialità in relazione non solo al rischio fisico (il farsi male) ma anche al rischio cognitivo ed emotivo (il rischio di sbagliare, di trasgredire, di entrare in conflitto, di affrontare il cambiamento).
Ma come retroagisce questa ideologia della sicurezza sulla pratica quotidiana degli insegnanti e nelle scuole? Una prima riflessione a titolo esplicativo può essere fatta sulla ricreazione. Si sta consolidando una tendenza generale a vivere lo spazio della ricreazione come un momento potenzialmente pericoloso. In alcune scuole esistono dei veri e propri protocolli che regolamentano rigidamente questo momento della giornata scolastica. Protocolli pieni di divieti, restrizioni e proibizioni. Se pensiamo all’enorme sviluppo dell’industria delle assicurazioni scolastiche e ai timori crescenti di dirigenti ed insegnanti rispetto a potenziali denunce e risarcimenti economici non stupisce che una parte delle pratiche didattiche maggiormente legate ad una quota di rischio negli ultimi anni si siano avvitate sulla sicurezza e ne siano rimaste inibite. Un laboratorio di falegnameria o di meccanica è impensabile, quasi tutti gli attrezzi necessari ad allestirlo sono considerati potenzialmente pericolosi e quindi vietati. Un laboratorio di cucina non è possibile per il pericolo relativo a possibili scottature o a eventuali ferite prodotte dall'uso di coltelli e forchette. Molti altri potrebbero essere gli esempi di proibizioni al fare manuale a scuola. Tutto questo non è a costo zero. Comporta una perdita per lo sviluppo delle capacità intellettive ed emotive del bambino. La smania di sicurezza rende le scuole una sorta di prigione dalla quale non è possibile evadere. Le uscite a piedi nel territorio sono soggette a forti restrizioni e proibite al singolo insegnante che per far uscire dall'edificio scolastico la classe deve essere accompagnato almeno da un collega, cosa spesso non possibile con la conseguente perdita da parte dei bambini di molte esperienze educative.
In generale la pratica educativa segue vie sempre più virtuali e slegate dalla fisicità della vita. Certo esplorare il mondo seduti in classe magari utilizzando google earth non comporta i rischi connessi al farlo nella realtà ma in questo modo si rende monco il bambino di un elemento di vitale importanza nel processo evolutivo che è quello dell’esperienza nella sua globalità. Le esperienze tattili e motorie rappresentano infatti il punto di partenza per la maturazione delle aree superiori di linguaggio e pensiero. Assumere su di sé il rischio porta inoltre il bambino ad interrogarsi criticamente sulla realtà, a leggerla, a porsi domande, a fare ipotesi e previsioni. Questo contribuisce alla sua autonomia e libertà. “L’uomo crede di volere la libertà, in realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere decisioni e le decisioni comportano rischi, può danneggiarsi, perché deve assumersi tutta la responsabilità. Se invece si sottomette ad una autorità allora può sperare che l’autorità gli dica ciò che è giusto fare. E ciò vale tanto più se c’è un’unica autorità, come è spesso il caso, che decide per tutta la società ciò che è utile e ciò che è nocivo.”[2] Occorre concedere al bambino il rischio di entrare in contatto con la realtà che o è rischio o è irrealtà e sottomissione. Solo il rischio rende un essere umano libero, responsabile e autonomo. Questo dovrebbe essere lo scopo della scuola.
[1] Z. Bauman, Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido, Laterza, 2007.
[2] E. Fromm, Fuga dalla libertà, Edizioni di Comunità, 1980.
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