Nel 2000 la scuola italiana era la migliore d’Europa: riduceva il gap tra i ricchi e poveri. Poi sono arrivati i nipotini di Attila: Berlinguer, De Mauro, Moratti, Fioroni, Gelmini,Giannini e Fedeli e la scuola oscilla tra l'opificio e il carcere...
La scuola italiana migliore d’Europa: riduce il gap tra i ricchi e poveri Sorpresa: la scuola italiana funziona, almeno per gli allievi meno abbienti. E meglio di quanto non accada nei sistemi scolastici di tante altre realtà europee e del mondo. Questa volta il confronto internazionale condotto dall’Ocse consegna a presidi e insegnanti italiani due buone notizie. E solo una cattiva notizia, che però è condivisa con quasi tutte le nazioni oggetto del focus pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: uscendo dalla scuola le differenze si accentuano. Il titolo dello studio è significativo: “Come si comportano alcune coorti di studenti dell’indagine Pisa nell’indagine successiva sulle competenze degli adulti Piaac?”. In altre parole: come varia il gap tra studenti svantaggiati e compagni più fortunati nel corso della vita, dopo il diploma, in termini di abilità in Lettura e Matematica?
Per contabilizzare le differenze di performance in Lettura e Matematica dei quindicenni di una quarantina di paesi e economie dei cinque continenti, che ogni tre anni partecipano all’indagine Pisa (Programme for International Student Assessment), con lo stesso gap riscontrato tra i soggetti di 25/27 anni di età che partecipano all’indagine Piaac (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) sulle capacità in Lettura e Matematica degli adulti, gli esperti dell’Ocse hanno messo a punto un indice. Scoprendo che dopo il diploma le differenza di prestazione tra studenti avvantaggiati (con almeno un genitore laureato e con oltre 100 libri a casa) e svantaggiati (con meno libri e genitori con un livello di istruzione più basso) crescono in tutti e 20 i paesi oggetto dello studio, tranne che in Canada, Stati Uniti e Korea. Anche in Italia.
Dallo studio “emerge in modo abbastanza chiaro il fatto che, dato l’allungamento della vita lavorativa e della fine della sicurezza di percorsi lineari della vita lavorativa, le competenze e soprattutto lo sviluppo delle competenze lungo la propria vita siano importantissime”, spiega Francesca Borgonovi, che ha partecipato alla stesura del focus. “Tuttavia, il mondo del lavoro, la formazione professionale e l’università – conclude l’esperta Ocse – non sono in grado di alleviare le differenze tra classi sociali che emergono alla fine della scuola dell’obbligo anzi tendono a rinforzarle”. Ma il risvolto positivo è che nel Belpaese la scuola riesce a tenere abbastanza vicini i risultati degli studenti con opportunità di partenza molto diverse. Più di quanto non accada all’estero.
L’indice che descrive la sperequazione in termini di preparazione tra soggetti più e meno fortunati, riguardo alle competenze linguistiche dei quindicenni, vale per l’Italia 0,45 mentre a livello Osce sale a 0,48. Per la Danimarca è pari a 0,64 e per la Germania sfiora il valore di 0,49. In altri termini, la scuola italiana è più inclusiva di quanto si pensi e riesce a supportare meglio i soggetti meno fortunati.
Una caratteristica che viene confermata anche dopo il diploma. Perché, fin quando gli studenti frequentano la scuola il divario si mantiene entro livelli relativamente bassi. Ma a 27 anni, sempre riguardo alla cosiddetta literacy, in Italia il divario si amplifica anche oltre la media Ocse: 0,67, in Italia, e 0,61 a livello internazionale. Confermando che nel Belpaese la scuola riesce ad attenuare le differenze socio-economiche di partenza. Caratteristica che, con valori diversi, si mantiene anche riguardo alla Matematica: quella che gli inglesi chiamano la numeracy.
La “Buona scuola”? Un miracolo … retroattivo
“La scuola italiana migliore d’Europa: riduce il gap tra i ricchi e i poveri”. Questo il titolo con cui La Repubblica29/3/2017 ha dato notizia di una ricerca OCSE appena pubblicata.
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