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giovedì 24 gennaio 2019

Maturità 2019: l’orale diventa un quizzone con le buste, come in tv. Al peggio non c’è mai fine

Al peggio non c’è mai fine, diceva il Poeta. E aveva ragione. Tocca tornare così a nuovi esami di maturità, all’indomani del decreto che ci fa sapere infine, ad appena cinque mesi dalla data di inizio, come si svolgerà il colloquio orale.
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Ma come – direte voi, incliti lettori – non bastavano i primi sciatti esempi di tracce di prima e seconda prova? Una tipologia A con il trucco, che nei commenti, da letteraria che era, si trasforma in “storiografica” (una toppa peggiore del buco aperto abolendo la traccia storica); una rinnovata tipologia B, di cui ho già parlato facendo l’elenco di tutto quanto aveva di desolante; una tipologia C che in realtà è un saggio breve sotto mentite spoglie: non erano già abbastanza?
Non era abbastanza neanche il dolce e sussurrato avvertimento del professor Luca Serianni, che alle critiche di quanti tra noi gli facevano notare come prima si dovessero cambiare i curricula che portano alle prove e poi le prove, ha risposto dicendo che invece era ovvio dovesse accadere così, e che il tutto andava inteso come un suggerimento fatto a noi insegnanti, per indurci a cambiare le nostre programmazioni, come se noi potessimo davvero mutare in modo tanto radicale le indicazioni ministeriali, al punto da sostituire ore e ore di Storia della letteratura con altre di linguistica testuale?

Non era sufficiente neanche un esempio di seconda prova che risulta essere copiata da non so quale vecchio manuale universitario russo(russo? Sì, russo!)? A quanto pare, no. Eppure eravamo tutti sereni e tranquilli per il colloquio orale, dopo le tante rassicurazioni del ministro che aveva detto che nessuno avrebbe impedito al presidente di Commissione, in mancanza di tesina, di far iniziare il colloquio da un argomento a piacere.
Invece no: l’orale si svolgerà sulla falsariga obbligata di un elenco di “domande” stabilite prima dalla Commissione sulla base dei programmi svolti. Chiuse in una busta che il candidato, come fosse a un telequiz, dovrà scegliere tra quelle approntate in numero superiore di due al numero degli allievi di quella determinata classe. E la domanda a piacere? Non pervenuta. E già qui, gentile ministro, ci sarebbe come minimo da fare pubbliche scuse, perché delle due l’una: o lei ci stava prendendo in giro (e non sarebbe bello), o non sa neanche cosa il suo ministero stia decretando (che sarebbe ancora peggio).

Ma, al di là della sinistra rassomiglianza di questo rito di estrazione con la sub-cultura nozionistica premiata in questo o quel programma televisivo, ciò che è peggio è che la modalità scelta renderà praticamente nulla la possibilità di chi conduce l’esame di intervenire per correggere o rendere più efficace il dialogo (questo è un colloquio di maturità) che si sta svolgendo tra il candidato e la Commissione. Tutto diventerà rigido e spersonalizzato. Un quiz ad alta voce, di quelli che piacciono tanto ai pasdaran dei test Invalsi.
Nessun allievo, inoltre, neanche il migliore, è ugualmente preparato su tutto il programma svolto, anche semplicemente perché alcuni argomenti lo motiveranno di più e altri di meno, pur avendo le medesime “competenze”. Cosa accadrà se sarà sfortunato ed estrarrà la busta peggiore, quella con l’unico argomento che non ha amato? E se qualcuno, per timidezza, paura, o anche solo per impreparazione, resterà muto, a norma di decreto sarà perduto.

Non si potrà certo provare con un’altra domanda a sondare se si tratta di una lacuna episodica, o invece di schietta impreparazione. Le domande, i testi, gli stimoli utilizzabili saranno solo quelli dell’elenco contenuto nella busta estratta. Dunque morta là. Il commissario dovrà arrangiarsi e, in caso di dubbio persistente, tirare la monetina e affidarsi alla sorte? Un colloquio strutturato così, cioè, impedirà di aiutare i più fragili, ma anche di valorizzare le eccellenze. Due piccioni (zoppi) con una fava. Difficile fare peggio.
D’altra parte, quale che sarà lo sforzo della Commissione nell’approntare buste equipollenti dal punto di vista delle difficoltà, in realtà le cose andranno diversamente: a volere immaginare testi, stimoli e domande diverse – per esempio in letteratura italiana – per una classe di 25 allievi (e dunque 27 liste diverse) e anche a voler replicare alcuni temi, affrontandoli da angolazioni differenti, è indubbio che colui al quale capiterà Giovanni Pascoli avrà meno difficoltà a cavarsela di quello che dovrà affrontare, ad esempio, argomenti a cui oggettivamente in classe si può dedicare meno tempo, pur essendo altrettanto complessi e importanti, per esempio l’Espressionismo tra le due guerre e le riviste di primo Novecento.

Questo dal punto di vista della Commissione. Da quello dell’allievo a cui sarà andato male il colloquio, invece, come ci si potrà sottrarre alla sensazione che se si fosse pescata una busta diversa le cose sarebbero andate meglio? In fondo a lui è toccato di scegliere tra le ultime tre buste rimaste, ma se avesse scelto per primo, forse…
Cosa c’è di educativo in tutto ciò, nel lasciare alla sorte di decidere i risultati finali di un percorso quinquennale di studi? I nostri allievi certo ci devono rispetto, ma noi lo dobbiamo a loro, alle loro aspettative, ai loro sforzi, al loro bisogno di affrontare la prima vera prova della loro vita da adulti con la certezza che sarà concesso loro di gareggiare alla pari, non solo con gli altri, ma anche con se stessi.
Facciamo così, amici del Miur, diteci che avete scherzato, che se ne riparlerà l’anno venturo. Lasciate tutto com’era, forse non era il meglio, ma certamente era meglio di quest’incubo inutile e goffo in cui avete deciso di precipitare allievi e docenti della scuola italiana. Già siamo pagati peggio del peggio, lasciateci almeno la dignità di fare il nostro lavoro come va fatto.

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