Il curriculum dello studente
Con l’avvio quest’anno scolastico del “curriculum dello studente” la transizione da scuola reale a scuola virtuale, alla quale si sta lavorando da anni negli uffici di viale Trastevere, raggiunge un nuovo traguardo.
Ma che cos’è il curriculum dello studente? Leggiamo dalla nota ministeriale protocollo 15598 del 2 settembre 2020:
«La prima parte, a cura della scuola, denominata “Istruzione e formazione”, riporta i dati relativi al profilo scolastico dello studente e gli elementi riconducibili alle competenze, conoscenze e abilità acquisite in ambito formale e relative al percorso di studi seguito […] La seconda parte, denominata “Certificazioni”, riporta le certificazioni (linguistiche, informatiche o di eventuale altra tipologia) rilasciate allo studente da un Ente certificatore riconosciuto dal MIUR […] La terza parte, denominata “Attività extrascolastiche”, è a cura esclusiva dello studente e contiene, in base al dettato della norma, le informazioni relative alle competenze, conoscenze e abilità acquisite in ambiti informali e non formali, con particolare riferimento alle attività professionali, culturali, artistiche e di pratiche musicali, sportive e di volontariato, svolte in ambito extrascolastico».
A quale scopo da quest’anno si obbligano le scuole superiori e si invitano gli studenti a compilare un documento del genere, del quale nessun docente e nessuno studente ha mai espresso il bisogno o il desiderio? A che cosa serve? Leggiamo la risposta nella stessa nota ministeriale:
«Con il curriculum dello studente si introduce nel secondo ciclo di istruzione, a partire dall’a.s. 2020/2021, un documento di riferimento fondamentale per l’esame di Stato e per l’orientamento dello studente, così come indicato dalla normativa di riferimento: art. 1, comma 30, Legge 13 luglio 2015, n. 107 […] art. 21, comma 2, D.lgs. 13 aprile 2017, n. 62».
La prima delle due leggi richiamate, la 107/2005, è la sedicente “Buona scuola” fortemente voluta dall’allora presidente del consiglio Matteo Renzi[1]. Difatti essa, prescrivendo alle scuole secondarie di introdurre «insegnamenti opzionali nel secondo biennio e nell’ultimo anno anche utilizzando la quota di autonomia e gli spazi di flessibilità» (art. 1 comma 28: una prescrizione fortunatamente mai applicata), introduceva il “curriculum dello studente” al fine dichiarato di realizzare un documento nel quale tali insegnamenti opzionali (dunque liberamente eligibili dal singolo studente) venissero registrati; quindi allargava il curriculum alla raccolta di «tutti i dati utili anche ai fini dell’orientamento e dell’accesso al mondo del lavoro, relativi al percorso degli studi, alle competenze acquisite, alle eventuali scelte degli insegnamenti opzionali, alle esperienze formative anche in alternanza scuola-lavoro e alle attività culturali, artistiche, di pratiche musicali, sportive e di volontariato, svolte in ambito extrascolastico»; infine (comma 30) prescriveva che «nell’ambito dell’esame di Stato conclusivo dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado, nello svolgimento dei colloqui la commissione d’esame tiene conto del curriculum dello studente».
Una tipica misura da Buona scuola renziana, dunque, che prescinde dalla realtà delle cose postulando un mondo artificiale nel quale lei, la Buona scuola, soddisferebbe bisogni e porterebbe benefici: come se gli studenti del mondo reale avessero bisogno, nel momento in cui scelgono la facoltà universitaria, di un curriculum che ricordi loro le esperienze che hanno fatto; come se i datori di lavoro del mondo reale fossero interessati alle esperienze maturate dalle persone quando erano ragazzi tra i 14 e i 18 anni; come se i commissari di un pubblico esame potessero o dovessero, per formulare le domande di un colloquio orale nel quale a ciascuna materia sono dedicati cinque-dieci minuti, studiare il curriculum vitae et studiorum degli esaminandi. È la stessa Buona scuola, si ricorderà, del “mai più precari nella scuola”; la stessa in cui il bonus di fine anno elargito direttamente dai presidi avrebbe incentivato i professori a lavorare di più e meglio, a seguire l’esempio virtuoso dei colleghi premiati, addirittura avrebbe attivato una proficua “mobilità orizzontale”…[2]
Potrà forse sembrare strano, ai non addetti ai lavori, che una ‘riforma’ così intimamente legata alla figura del riformatore continui a produrre i suoi effetti, dopo il repentino declino politico di quella stagione e in specie l’insuccesso della campagna propagandistica della “Buona scuola”. Ma questa, di mantenere in vigore tutti gli obblighi e adempimenti introdotti dalle riforme precedenti aggiungendo i propri desiderata, è la regola aurea dell’endemico riformismo scolastico italiano (già annunciata la Bianchi: il prossimo sarà “un anno costituente per la scuola”): come un cuoco di Masterchef che aggiungesse ogni volta nuovi ingredienti al minestrone preparato dai concorrenti precedenti, così la scuola-minestrone diviene anno dopo anno più trimalcionica e pantagruelica, faticosa e indigesta: i piatti e i cibi semplici, sostanziosi e salutari, difesi strenuamente dai docenti più anziani che, ricordandone ancora il sapore, vorrebbero continuare a prepararli per i loro studenti, sono assediati e sepolti da una pletora di inutili snacks di ‘nuova ricetta’ dei quali, alla fin fine, nessuno sa mai cosa fare e che non lasciano alcun nutrimento.
Con la new entry del “curriculum dello studente”, però, siamo di fronte a una cosa che non è tanto espressione di un orientamento politico quanto sintomo dell’impostazione di fondo che da anni ha investito, dall’alto e da fuori (anche stavolta non troverete un solo docente che dica: che buona idea, il curriculum dello studente), la scuola pubblica italiana in ogni suo aspetto: e questa è la promozione fideistica delle carte, delle certificazioni, dei protocolli, degli attestati, dei moduli al rango di sostanza, la degradazione noncurante di tutto ciò che è sostanza culturale e disciplinare al rango di accidente, di accessorio: entrambe sotto il dogma trinitario, effuso e profuso manibus plenis su entrambi i versanti, delle Conoscenze, Competenze e Abilità, per l’imposizione del quale non sono serviti concili o guerre di religione ma è bastata la consueta acquiescenza della classe docente. Il passaggio, insomma, dalla scuola reale alla scuola virtuale.
Per questo motivo vale la pena di riflettere su questa ennesima pennellata di Nuovo e di Buono imposta alla scuola italiana dal MIUR, che di per sé non meriterebbe tanta attenzione: nella speranza che ci si renda finalmente conto che la scuola finta di cartone e plastica che da anni stiamo sovrapponendo a quella vera di cultura e di scienza la intralcia, la soffoca, la umilia; e che se alla presunzione riformatrice di pochi fanatici o ingenui che non vivono la scuola, ma dal di fuori promettono di guarirla da mali veri o immaginari con farmaci e terapie la cui efficacia non è mai stata sperimentata né verificata, si unisce dal di dentro l’ipocrisia e il silenzio opportunista o rassegnato dei molti che vi lavorano, la decadenza della scuola pubblica non avrà fine.
“Un documento di riferimento fondamentale per l’esame di Stato”
“Nello svolgimento dei colloqui si tiene conto del curriculum”, recitava la legge 107: il curriculum è “un documento di riferimento fondamentale per l’esame di Stato”, rettifica la nota ministeriale n. 15598. E non è propriamente la stessa cosa.
Avremo quindi un orale dell’esame di Stato che già
«partirà dalla discussione di un elaborato il cui argomento sarà assegnato a ciascuna studentessa e a ciascuno studente dai Consigli di classe entro il prossimo 30 aprile. L’elaborato sarà poi trasmesso dal candidato entro il successivo 31 maggio. Ci sarà dunque un mese per poterlo sviluppare. Ciascuna studentessa e ciascuno studente avrà il tempo di curarlo approfonditamente grazie anche al supporto di un docente che accompagnerà questo percorso, aiutando ciascun candidato a valorizzare quanto appreso»[3].
Al solito una ‘tesina’ prodotta prima dell’esame, con l’ausilio e la collaborazione non solo di tutte quelle persone che lo studente potrà e vorrà adibire tra parenti, amici, conoscenti e professionisti sul mercato, ma espressamente di uno dei docenti o commissari d’esame. Bello, ipocrita sistema, quello di blandire e adulare gli studenti e allo stesso tempo di postulare e asserire il loro stato di minorità intellettuale e psichica nel momento in cui li si chiama a sostenere l’esame di Stato, l’esame di Maturità; e alla faccia dei principi di uguaglianza tanto sbandierati, di favorire ancora e sempre Pierino del dottore.
Poi il colloquio dovrebbe proseguire tenendo presente, come “riferimento fondamentale”, il curriculum dello studente: cioè essenzialmente – dato che la sezione “Istruzione e formazione” del curriculum è comune alla classe, in assenza dei famigerati e mai comparsi “insegnamenti opzionali” – tenendo presenti le “Certificazioni” e le “Attività extrascolastiche” del curriculum (sezione, questa, la cui compilazione è «a cura esclusiva dello studente»). E che esame è un esame che nella sua stessa prova tiene conto di certificazioni pregresse, se non un esame che rinuncia ad essere se stesso? E che esame scolastico è un esame che nella sua stessa prova tiene conto delle attività extrascolastiche? E non è che per caso Pierino del dottore avrà certificazioni e attività extrascolastiche che Martino e Berta non hanno potuto acquisire?
Ma il contributo democratico e ugualitario venuto alla scuola da sinistra, in questi anni, si è limitato alla lotta senza quartiere per l’uguaglianza di tutti i docenti, declinato per lo più come preteso diritto umano all’assunzione in ruolo per chiunque avesse messo piede in un istituto scolastico. Per il resto non è stato che una progressiva e inesorabile spinta a prendere in considerazione e a valorizzare, a scuola, qualsiasi cosa non avesse a che fare con la scuola: cosicché lo studente che, semplicemente, studia è ormai considerato una figura poco interessante, marginale, indegna di attenzione; anzi potenzialmente un usurpatore di attenzioni che devono, tutte, essere riservate a chi presenta qualche specialità esogena alla scuola stessa.
E naturalmente è facile capire che, a prescindere dalle considerazioni di merito, lo scenario previsto dal MIUR per l’utilizzo del curriculum nell’esame di Stato è assolutamente velleitario: se mai fosse giusto farlo, non ci sarebbe materialmente il tempo di prendere in considerazione e di utilizzare seriamente un documento del genere. Ma anche questa è una regola del riformismo scolastico italiano: introdurre misure che sono ugualmente deprecabili tanto in linea di principio quanto nell’applicazione pratica.
“Un documento di riferimento fondamentale per l’orientamento dello studente”
Orientamento: il mantra della scuola pubblica italiana di oggi. L’orientamento “in entrata”, eufemismo col quale si maschera da servizio alla collettività un’attività di pubblicità del singolo istituto, in una competizione ormai allo stesso tempo ridicola e feroce nella quale il livello di ipocrisia sulle proprie magagne e sui propri pregi è divenuto colossale; l’orientamento “in uscita”, che dovrebbe aiutare gli studenti a scegliere il percorso successivo, dunque nella scuola superiore tipicamente a scegliere un corso universitario.
La crescita delle attività e del tempo dedicati all’orientamento in uscita, nel triennio delle superiori, è stata continua negli ultimi anni: paradossalmente pari, come ben sanno i genitori, i docenti e in primo luogo gli studenti stessi, alla crescita del disorientamento dei beneficiari. Paradosso apparente: perché è evidente che riducendo e svalutando la scuola nella sua sostanza culturale si rende più difficile, nei ragazzi, la maturazione di quella ‘bussola interiore’ che, essa sola, permette a un individuo di orientarsi nella vita e nel mondo; e senza quella bussola interiore – che a scuola nasce da uno studio serio, continuo, riflessivo di discipline storicamente costituitesi come fondative della cultura – tutte le attività di orientamento non sono che rumore di fondo, pulviscolo negli occhi, specchietti per le allodole che abbagliano la vista invece di far vedere meglio la direzione in cui si vuole veramente andare.
All’orientamento viene ora aggiunto, naturalmente presentandolo come “fondamentale”, il curriculum dello studente. E chi è che dovrebbe utilizzare questo strumento, lo studente per orientarsi o qualcun altro per orientarlo? Lo studente si presume che sappia quali materie ha studiato, quali lingue conosce e quali attività sportive o musicali ha svolto: se non lo sapesse, dubito che il curriculum dello studente potrebbe risolvere i suoi problemi di orientamento. Lo orienterà qualcun altro, a diciotto-diciannove anni, leggendo il suo curriculum? Proverebbe che tutto quanto è stato fatto per permettere allo studente di orientarsi lo ha completamente disorientato. Ma qui la distanza e la sproporzione tra il mezzo ed il fine sono tali da meritare la frase manzionana su Antonio Ferrer: «Costui vide, e chi non l’avrebbe veduto? che l’essere il pane a un prezzo giusto è per sé una cosa molto desiderabile; e pensò, e qui fu lo sbaglio, che un suo ordine potesse bastare a produrla».
Una cosa molto desiderabile: tanto basta al MIUR; ed ecco le carte, le certificazioni, i protocolli, gli attestati, i moduli… Entità di un mondo fittizio proposte ed imposte alle scuole come soluzione ai bisogni del mondo reale. Entità che la scuola intimamente disprezza e rifiuta; ma di fatto adotta, e propone agli studenti e ai genitori, divenendo complice di una narrazione che tutti ci stiamo raccontando ad occhi chiusi: i vestiti nuovi dell’imperatore.
di Enrico Rebuffat,
Roars, 20.4.2021.
[1] Rapporto La Buona scuola. Facciamo crescere il Paese, settembre 2014, p. 133: «Il Rapporto “La Buona Scuola. Facciamo crescere il Paese” è il frutto del lavoro portato avanti congiuntamente, tra luglio e agosto 2014, dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi e dal Ministro Stefania Giannini».
[2] Rapporto La buona scuola, cit., p. 58: il sistema premiale «permetterà di migliorare le scuole di tutta Italia, dal momento che favorirà una mobilità “orizzontale” positiva. I docenti mediamente bravi, infatti, per avere più possibilità di maturare lo scatto, potrebbero volersi spostare in scuole dove la media dei crediti maturati dai docenti è relativamente bassa e quindi verso scuole dove la qualità dell’insegnamento è mediamente meno buona, aiutandole così ad invertire la tendenza». I docenti mediamente bravi, la qualità mediamente buona: su concetti del genere siamo stati chiamati a confrontarci, come cosa seria, nel 2014.
[3] Https://www.miur.gov.it/web/guest/comunicati, comunicato del 19 febbraio 2021.
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