la
scuola è democratica: nessun potere disciplinare di sospensione ai
dirigenti-manager
I
dirigenti scolastici non possono sospendere i docenti, è questo il
principio confermato definitivamente dalla Cassazione
con sentenza n. 20059/21 del 14 luglio 2021 che ha respinto il
ricorso del MIUR e anche condannato l'amministrazione scolastica
alle spese legali di 3200€ .
La
pronuncia della Corte di Cassazione conferma definitivamente
l’orientamento assunto dalla giurisprudenza di merito: i dirigenti
non hanno alcun titolo a sospendere i docenti, perché la loro
competenza si esaurisce nella possibilità di irrogare sanzioni che
non vadano oltre l'avvertimento scritto e la censura.
Tutto
è partito dalla sospensione di 10 giorni irrogata dal dirigente
scolastico dell’ITT di Terni, Cinzia Fabrizi al prof. Franco
Coppoli, referente provinciale dei COBAS DELLA SCUOLA. La
sospensione è stata annullata per incompetenza prima dal Tribunale
di Terni, successivamente la Corte di Appello di Perugia (avvocati
G. Caponi/V. Fratini)
e ora, definitivamente, la Corte di Cassazione (avvocato
A. Ariotto)
hanno respinto i ricorsi del MIUR, condannato anche al pagamento
delle spese legali.
Questa
sentenza toglie definitivamente l’arma ricattatoria dell’uso
intimidatorio dei procedimenti disciplinari da parte di quei tanti
dirigenti scolastici che hanno usato in questi anni i dispositivi
disciplinari per cercare di intimidire o tacitare quei docenti che
rappresentano e praticano una scuola come comunità educante
orizzontale e democratica, figlia della Costituzione antifascista,
che ha al centro la formazione critica e libera dei soggetti e dei
cittadini e contrastano il modello scolastico neoliberista
basato
sulle vuote competenze,
sui quiz INVALSI e sulla gerarchia e obbedienza
dei docenti al preside-padrone, che
si è cercato di imporre anche con il
bastone disciplinare
e
la carota dei
bonus premiali.
E’
questo un modello di scuola che tanti docenti e i COBAS DELLA SCUOLA
avversano, che ha al centro la didattica per competenze,
cioè l’addestramento
per le imprese della futura manodopera, una visione del sistema
educativo costruito sul modello aziendale e sul new
public managment
cioè sulla gerarchia e l’obbedienza a modelli vuoti e deleteri
proposti dalle controriforme bipartisan
degli ultimi 20 anni, da quella Luigi Berlinguer alla nefasta buona
scuola
di Renzi, per terminare con la scuola tecnocratica e vuota del
ministro Bianchi che cerca di utilizzare politicamente la crisi
sanitaria
per imporre riforme che cercano di rendere strutturale l’emergenziale
quanto dannosa didattica a distanza/ibrida investendo sulle
piattaforme e la didattica digitali invece di valorizzare la
relazione educativa, dare un taglio alle classi
pollaio
e investire su assunzioni di docenti e ATA e sulla ristrutturazione e
la messa in sicurezza dei locali scolastici
Fra la penna elettronica e quella su carta quest’ultima ha il vantaggio di poter incidere su un vero materiale fisico sviluppando così, in modo più completo, le tante connessioni neurocerebrali in gioco. Molte ricerche mettono in luce il pericolo di voler a tutti i costi passare dalla penna alla tastiera, come a suo tempo si fece dal pennino alla penna. Non è per nulla la stessa cosa, ricorda Daniele Novara. Di certo, l’uso della penna facilita l’apprendimento soprattutto per i suoi tempi dilatati che costringono a selezionare i concetti più importanti e, di conseguenza, assimilarli meglio. Già, forse è proprio questa resistenza al dominio della velocità che non piace ai venditori di prodotti elettronici e agli ossessionati della Dad
Mentre la scuola si accinge alla digitalizzazione della didattica, penso sia importante mettere qualche paletto per evitare che la moda prevalga a prescindere da ogni consapevolezza scientifica, pedagogica e psicoevolutiva. Il punto più importante della questione è che ogni cosa ha il suo tempo e quello che vale per un ragazzo di quindici anni non può valere per un bambino né di un anno, né di tre, né di cinque, né di sei, né di sette, né di otto.
L’infanzia è una fase della vita molto particolare dove la sensorialità, l’esperienzialità, la motricità, il movimento e la socialità devono prevalere su tutto e su tutti. Dare, viceversa, la precedenza assoluta al mondo virtuale appare una scelta estremamente incauta.
Fra la penna elettronica e la penna su carta quest’ultima ha il vantaggio di poter incidere su un vero materiale fisico sviluppando così, in modo più completo, le tante connessioni neurocerebrali in gioco. Molte ricerche mettono in luce il pericolo di voler a tutti i costi passare dalla penna alla tastiera, come a suo tempo si fece dal pennino alla penna. Non è la stessa cosa. Già nel 2007, una ricerca pubblicata da Connelly – psicologo della Oxford Brookes University – e altri sul British Journal of Educational Psychology dimostrava che i temi scritti a mano dai bambini delle Scuole Primarie erano migliori rispetto a quelli scritti con una tastiera. Addirittura, dallo stesso studio emerse che i temi scritti al computer sembravano fatti da soggetti il cui sviluppo era indietro di due anni (un bambino di terza scriveva quindi come un bambino di prima). Nel 2011, lo studio di Sandra Sulzenbruck e altri analizzò il rischio che l’utilizzo continuo della tastiera per la produzione di testi possa contribuire in modo significativo alla perdita delle capacità di scrittura a mano. I vari studi condotti dalla neuroscienziata norvegese Audrey Van de Meer, dimostrano l’importanza dell’aspetto sensomotorio della penna sulla carta.
La penna consente connessioni neurocerebrali articolate e raffinate assolutamente improponibili e imparagonabili col puro e semplice battito del dito su una tastiera.Il movimento della mano che traccia lettere e parole, implica, nel bambino che sta incominciando a leggere e a scrivere, il riconoscimento di linee, curve, spazi, creando, dal punto di vista cognitivo, una connessione visivo-motoria.
La scrittura manuale “costringe” in qualche modo a direzionare il movimento della mano a seconda della lettera che si deve scrivere.
Il testo va orientato nello spazio e contenuto all’interno delle dimensioni di un foglio (per fare un esempio).Tutte queste azioni attivano la corteccia parietale preposta alla capacità di calcolo, linguaggio, orientamento spaziale e memoria.
Più avanti, lo scrivere in corsivo richiederà necessariamente di saper collegare le lettere tra loro. La tastiera non richiede un simile sforzo: basta picchiare su tasti tutti uguali e le parole vengono da sé. L’uso della penna, inoltre, facilita l’apprendimento anche per i suoi tempi “dilatati” che costringono il cervello a selezionare i concetti più importanti e, di conseguenza, assimilarli meglio.
I rischi della scrittura su tastiera sono chiari: soprattutto nei bambini piccoli, viene impedito il corretto sviluppo di alcuni meccanismi cognitivi fondamentali.
Sono noti i ritardi che l’uso della televisione, dei videoschermi, dei videogiochi e della tastiera provocano nei processi di lettoscrittura. Occorre ricordarli per evitare, fra anni, di ritrovarci con un aumento drammatico di disgrafie, disortografie se non, addirittura, ritardi nella vera e propria capacità di leggere e scrivere.
Genitori e insegnanti non possono permettere che siano date informazioni non solo sbagliate, ma decisamente in malafede. A volte sono gli stessi venditori di questi prodotti che finiscono per promuovere convegni specifici sul passaggio dalla penna alla tastiera.
Le ricerche scientifiche lasciano poco spazio ai dubbi e quindi i bambini vanno, ancora una volta, tutelati nel loro mondo e nel loro pensiero che è pratico, operativo, concreto e sensoriale. Solo in questo modo potranno crescere e raggiungere le altre fasi della vita.