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venerdì 31 agosto 2012

COSA DEVONO FARE I SUPPLENTI ANNUALI AI QUALI SCADE IL 31 AGOSTO IL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO?

   Per il ritardo delle operazioni di immissione in ruolo per l’anno scolastico 2012-’13, che si concludono oggi 31 agosto, le nomine a tempo determinato per lo stesso anno (supplenze annuali e fino al termine delle attività didattiche) dalle Graduatorie ad Esaurimento saranno effettuate dal 5 al 7 settembre ed oltre.   A cura degli U.S.T. devono ancora uscire i calendari delle convocazioni con i posti disponibili.
   Inutile dire che il danno economico per i supplenti fino al termine delle attività didattiche, il cui contratto è scaduto il 30 giugno scorso (anche se si tratta di una settimana o 10 giorni di disoccupazione in più), per personale che tra l’altro sta ancora aspettando la liquidazione delle ferie maturate e non godute, bloccata dal decreto sulla spending-review e che solo ora, grazie anche alle diffide Cobas, probabilmente sarà messa a pagamento, è notevole.
   Ma ancora più odioso è il danno per i supplenti annuali, ai quali il contratto scade oggi: infatti – a parte il mancato pagamento di qualche giorno di stipendio, cosa non accettabile, e l’impossibilità di partecipare alle operazioni di inizio d’anno scolastico (collegi docenti ed attività varie) – a costoro viene interrotta la continuità – anche se di pochi giorni – del rapporto di lavoro, nel caso questi fossero in posizione utile in graduatoria per stipulare, anche per l’a.s. 2012-’13, un contratto fino al prossimo 31 agosto.
   Esiste da anni un contenzioso, con centinaia di ricorsi al Giudice del Lavoro, sulla trasformazione dei contratti da tempo determinato a tempo indeterminato, per il personale con almeno 36 mesi continuativi di servizio senza soluzione di continuità, ai sensi della Direttiva Europea 99/70, che alla clausola 5 impone che gli Stati membri l’adozione di misure preventive finalizzate “a evitare la reiterazione abusiva dei contratti a termine (ragioni obiettive per la stipulazione, numero dei rinnovi o durata massima dei contratti), oltre che a prevedere, se del caso, quando ricorre una successione di contratti e l'eventuale loro trasformazione a tempo indeterminato”.
Tale principio di diritto rischia di essere condizionato in negativo nel caso di illegittima interruzione del rapporto di continuità della situazione lavorativa del personale scolastico.

MA COSA DEVONO FARE I SUPPLENTI ANNUALI, AI QUALI SCADE OGGI IL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO?

Innanzitutto devono comunque recarsi alla scuola di servizio dell’a.s. 2011-’12 per presentare la domanda di liquidazione della quota di TFR e all’INPS che ha assorbito l'Inpdap, la quale è tenuta  a corrispondere il TFR entro 105 giorni dalla cessazione del servizio se è avvenuta per limiti di età, di servizio, inabilità o decesso; entro 270 giorni se è avvenuta per qualsiasi altro motivo. Ricordando che, in caso di ritardo, l’Inps/Inpdap provvederà a corrispondere al dipendente gli interessi di mora, anche nel caso in cui il ritardo sia dovuto ad datore di lavoro.
In caso di interruzione del contratto di lavoro per più di 5 gg. – dovrà essere prodotta la richiesta di indennità di disoccupazione ordinaria, anche per garantirsi la copertura previdenziale del periodo di disoccupazione; la domanda va presentata entro il 68° giorno dal licenziamento, interruzione del rapporto di lavoro. Si suggerisce di presentarla dal momento contestuale in cui avviene l'interruzione del rapporto di lavoro poiché l'indennità decorre dall'8° giorno dal licenziamento, se la domanda è stata presentata entro i primi 7 giorni e dal 5° giorno successivo alla presentazione della domanda negli altri casi. Ricordando a tal proposito che l'indennità di disoccupazione viene corrisposta ogni mese con uno specifico assegno ed è concessa per un periodo massimo di 8 mesi, che può arrivare a 12 mesi per chi ha compiuto 50 anni, e si deve avere l' anzianità assicurativa di due anni e quella contributiva di un anno (52 contributi settimanali) nel biennio precedente la cessazione dell'ultimo rapporto di lavoro.
 L'importo sarà determinato con la misura normativamente prevista (60% per i primi sei mesi; 50% per i due mesi successivi; 40% per i restanti mesi).
Il diritto a percepire l'indennità di disoccupazione ordinaria decade nel caso di un nuovo rapporto di lavoro dipendente di oltre 5 giorni e dopo tale rapporto di lavoro dipendente è possibile presentare una nuova domanda oppure nel caso di qualsiasi rapporto di lavoro parasubordinato da denunciare al centro per l'impiego competente in base alla residenza.

giovedì 30 agosto 2012

L'ANTIFASCISTA

Pensare che le dichiarazioni di Pierluigi Bersani sul fascismo di Grillo appartengano esclusivamente ad un catalogo, oltretutto piuttosto ristretto, di banalità non significa solo trascurare l’importanza che ha la produzione di parole sui media. Anche se già qui sarebbe come pensare che Facebook è uno strumento banale, e non una complessa infrastruttura di reti sociali, solo perchè non è raro trovarci delle banalità. Bisogna piuttosto leggere le dichiarazioni di Bersani come una modalità di funzionamento della politica istituzionale. Un dispositivo da smontare piuttosto che qualcosa da ignorare o da insultare.
In questo senso l’accusa di “fascismo”, poi vedremo in che modo, lanciata da Bersani sostanzialmente contro Grillo e Di Pietro è qualcosa che merita un livello minimo di analisi. Facciamo un passo indietro: da tempo circola un video, commentato da Grillo e Di Pietro, dove Bersani, assieme ad altri protagonisti della politica istituzionale, è raffigurato come uno zombie. E qui bisogna vincere la voglia di affermare la verità, e cioè che Bersani e gli altri non sono solo dei morti viventi ma ne rappresentano l’epifania, e guardare alle reazioni del segretario del Pd.  Bersani ha infatti accusato chi dà dello zombie ai dirigenti del Pd di essere un “fascista”, anzi un “fascista del web” che sta cercando di riproporre al paese una nuova stagione diciannovista. Tutte la categorie usate meritano attenzione. Vediamo come.
L’uso dell’accusa di fascismo all’interno della sinistra, e poi del centrosinistra, è vecchio più o meno quanto le camice nere. A lungo, entro modi e linguaggi molto diversi, l’accusa di fascismo è servita per indicare un pericolo esterno (il fascismo, appunto, in molteplici forme) ma anche quello di un forte autoritarismo interno alla sinistra (ed è qui che l’accusa di fascismo è stata scambiata, poi sostituita, con quella di stalinismo). La novità storica, preceduta da significative censure contro singole lotte all’epoca dell’occupazione delle terre in Sicilia, irrompe con il ’77 quando il Pci costruisce l’accusa di “diciannovismo” nei confronti del movimento. E’ la prima volta in cui un movimento di sinistra viene accusato, dal maggior partito della sinistra, di contribuire a generare il fascismo. Accusa, quella di diciannovismo, che non è di poco conto nella cultura antifascista ma, cosa spesso dimenticata, ricavata da un concetto che nasce da un libro di Pietro Nenni (“Il diciannovismo”, uscito nel quarantennale della marcia su Roma). Le tesi di Nenni sono piuttosto chiare: l’ascesa del fascismo è stata favorita dall’estremismo di destra e dal massimalismo di sinistra, e anche da ibridazioni tra questi due estremi, che hanno delegittimato il parlamento, isolato la sinistra riformista, spaccato in due la classe operaia. Nenni scrive all’epoca dell’accordo storico tra Dc e Psi ed è evidente l’uso politico, proprio perchè Nenni aveva anche la stoffa dello storico, di queste concezioni: mentre il Psi va al governo con la Dc, chi lo critica rischia di guardare oggettivamente al massimalismo genere 1919, facendo il gioco delle destre. Un modo, all’epoca elegante, per pararsi a sinistra mentre ci si alleava con la Dc, un partito che pochissimi anni prima, proprio grazie all’intesa con le destre, aveva costituito il governo Tambroni. L’accusa di diciannovismo rivolta dal Pci, all’epoca nell’area di governo della Dc di Andreotti, nei confronti del movimento del’77 non sarà però una polemica politica nascosta sotto le pieghe di significato costruite dalla storiografia. Si tratterà di una accusa, diretta, sul campo contro un’area politica ed una generazione. L’accusa di preparare il fascismo, grazie alla quale il Pci si comportò di conseguenza con una stagione di leggi speciali “a difesa della democrazia”. E che il lessico e i riti di quella stagione siano ancora celebrati oggi dalle  istituzioni deve essere oggetto di riflessione.
Il diciannovismo del ’77 marca però uno spartiacque storico: da quel momento in poi l’accusa di fascismo, o di connivenza con le destre pericolose per la democrazia, sarà rivolta in maniera quasi esclusiva verso sinistra. Le polemiche sul rischio di fascismo saranno rivolte contro quei soggetti di sinistra non riconducibili alle strategie della sinistra istituzionale prima o del centrosinistra poi. Non è finita: chi, da quel momento in poi e specie dagli anni ‘80, leggerà la storia in modo diverso da quella del principale partito del centrosinistra sarà accusato di revisionismo. Come per i Nolte o i Faurisson. Verso il resto della società italiana, specie verso destra, dopo la fine del Pci il centrosinistra non sarà così intransigente. Da Luciano Violante che, aprendo la legislatura della bicamerale (quella delle “riforme” da fare con Berlusconi) parlò apertamente e pubblicamente di comprensione delle ragioni ideali dei “ragazzi di Salò” (usando praticamente le stesse espressioni di uno scritto di Giovanni Gentile sulle ragioni dell’adesione al fascismo repubblichino) alla istituzione della festa della memoria sulle foibe (comunque la si veda, tema caro alla destra italiana del dopoguerra) all’azzeramento della memoria delle stragi coloniali italiane in Africa e Dalmazia, alla riduzione ai minimi termini del ruolo dell’antifascismo nella vita pubblica etc.
Per arrivare alla cronaca si capisce perché Bersani accusi di fascismo, e di diciannovismo, Grillo e Di Pietro mentre esponenti nazionali del Pd allegramente presentano (alle feste democratiche) i libri sulla sessualità del Duce (scritto così come fanno a destra). E mentre si tace, al livello politico nazionale che conta, sulla rete di camerati messa in piedi dal sindaco Alemanno per governare Roma, sulle aggressioni che i fascisti (quelli veri) non mancano mai di fare, sulle recenti e gravi commemorazioni pubbliche al generale Graziani (fascista e autore di gravissime stragi, anche con uso massiccio di gas, in Libia e in Abissinia). La spiegazione di tutto questo non è certo difficile: l’accusa di fascismo oggi va spesa solo verso chi si pensa essere qualcuno che ti sottrae i consensi che hai all’interno. Serve quindi per accumulare pressione politica nel processo di costruzione, o di rigenerazione, della propria superiorità morale, delegittimare i propri competitor politici di area, compattare il proprio elettorato ed evitare, ammonendolo implicitamente, che si senta tentato da un nuovo tipo di rappresentanza.
Allo stesso tempo, verso l’esterno, la legittimazione di temi, fatti, argomenti e concetti di destra (sulla naturalizzazione nel Pd del decisionismo, che è una mistica politica della destra, traghettata in “democrazia” anche qui dal Psi ci sarebbe molto da dire) serve non solo per mantenere un livello diplomatico con l’avversario (non più nemico, anzi alleato vista la composizione del governo di oggi) ma anche per attirarne gli elettori. Secondo la logica del partito generalista, il catch-all-party del marketing politico americano (del resto dalle primarie al nome, nel Pd si è importato molto da oltreoceano, in passato anche qualche costoso consulente) per cui per vincere (concetto ripetuto fino all’ossessione dal Pd, rimuovendo il nome di chi nella politica italiana ha costruito la propria fama sull’uso di quel concetto) bisogna saper pescare elettori anche nello schieramento avversario. E se accusi gli elettori di destra di essere fascisti, specie quando lo sono, si sentiranno talmente stigmatizzati e disprezzati da non votarti mai. Perchè hai delimitato nettamente il campo, provando ad emarginare gli altri, mentre, per attirare voti dall’altra parte, devi confondere i confini. Strategia consapevolmente diciannovista quella del Pd, confondere i confini, ma guai ad ammetterlo. Bisogna, appunto, vincere e per questo ci vogliono anche i voti della destra. I cui elettori saranno sempre rappresentati come “moderati”, secondo la strana bussola della politica italiana di oggi in cui gli estremisti pericolosi stanno a sinistra o in chi critica il centrosinistra ma non è di destra. Già perchè in tutto questo antifascismo del Pd, impossibile trovare una campagna, ma neanche una parola, sulle nuove destre quelle vere. Non a caso quindi, al momento della stesura della carta dei valori fondativi del Pd, l’antifascismo non trovò posto. Seguirono polemiche, aggiustamenti, ma il dato parlava, e parla, da solo.
Il Pd è quindi un partito sia “antifascista” che postdemocratico, sia vigile nei confronti del diciannovismo che revisionista e silenzioso, a livello nazionale, rispetto agli eccessi delle destre. Come devono esserlo i cartelli elettorali, che prendono voti sapendo intercettare i flussi di opinione pubblica usando le categorie in quel momento utili per intercettarli. Con una regola aurea tutta italiana: usare la categoria di fascismo all’interno del proprio campo elettorale (centrosinistra, sinistre, elettori in uscita) e mai verso i fascisti. Non è poi nemmeno da trascurare la categoria di “fascista del web” che, per quanto assurda e usata per temperare l’accusa di fascismo a Di Pietro e Grillo, svela quel sottofondo di cultura della fobia della rete ormai preda del gruppo dirigente del Pd. Intendiamoci, dopo i primi entusiasmi dell’epoca della fondazione del partito, i social network si sono rivelati per il Pd un vero e proprio, continuo Vietnam. La rete in Italia si esprime come una critica infinita ad ogni aspetto del Pd, le stesse pagine Facebook del partito democratico servono più come critica che come sostegno. Meglio allora accoppiare il sostantivo “web” all’aggettivo “fascista” nel tentativo di far scattare, con il meccanismo del sospetto, tattiche di controllo dell’elettorato. Dietro Bersani, che parla in tv contro il pericoli di fascismo provenienti dal web, c’è il tentativo di rilegittimare la credibilità uno strumento oggi regressivo della comunicazione politica, la televisione, perchè è l’unico che è in mano al ceto politico istituzionale.
Ma sia il Pd che Di Pietro o Grillo sono i prodotti di una lunga stagione, detta “della fine delle ideologie” (riprendendo, ben oltre il contesto storico che le hanno prodotte, le teorie di Daniel Bell) che i confini tra destra e sinistra li ha smontati quanto possibile. Ma si tratta, al momento, di prodotti diversi. Quello Pd, che si esercita in nome del “non ci sono alternative” cerca di produrre argomenti validi per creare consenso attorno alla più cruda stagione di neoliberismo di questo paese. Quello di Grillo e Di Pietro si esercita parlando a chi è “effetto collaterale” di queste politiche, che ha persino possibilità di diventare maggioritario. Si tratta, ogni modo, di differenti tipi di catch-all-party, destinati a riprodurre stratificazione e verticalizzazione sociale proprio perchè sovrappongono tipi di elettorato socialmente molto diversi tra di loro. Le accuse di “corruzione” o di “populismo”, la prima rivolta da Grillo al Pd la seconda a ruoli di accusa invertiti, sono quindi speculari perché rivolte tra cartelli elettorali generalisti. Che si contendono non solo fasce di elettorato ma anche un metodo: accumulare consenso sovrapponendo strati di società diversi provenienti indifferentemente da destra o da sinistra.
Certo, dall’accusa di diciannovismo rivolta al movimento dal Pci, mentre faceva l’accordo con la Dc di Andreotti, e quella rivolta a Grillo, mentre il Pd ha l’accordo di governo con l’Udc, siamo all’ennesima conferma dell’analisi marxiana che vede la storia accadere come tragedia per ripetersi poi come farsa. Del resto l’accumulazione della politica come spettacolo, con un comico che va contro un segretario di partito che ha fatto da spalla ad un altro comico (un successone su youtube), si riproduce proprio in questi passaggi. Ma non va affatto sottovalutata la concretezza che sta dietro questa continua accumulazione di spettacolo propedeutica alla estrazione di consenso politico. Il Pd cerca la vittoria elettorale per garantire la più pericolosa e letale, persino rispetto alle precedenti, ristrutturazione liberista della società italiana. Al netto della propaganda dove il partito democratico si è smarcato dal linguaggio liberista, per raccogliere consensi in chi ha subito le stesse politiche che il Pd ha votato, si tratta di un disegno criminale che garantirebbe a questo paese di percorrere fino in fondo un decennio perduto che lo stesso Fmi, guardiano del liberismo mondiale, esplicitamente vede per le stesse politiche liberiste in Europa. Bersani quindi non è tanto un fallito, come dice Grillo, ma quel genere di disperato che, per mantenere gli assetti di potere di cui fa parte, è disposto a cacciare un intero paese in un ulteriore decennio di disgrazie già previste e analizzate come tali. Strepitoso che la propaganda Pd chiami tutto questo “senso di responsabilità”. E che diversi residui della sinistra sperino, in qualche modo, di allearsi con questo genere di disperati.
Grillo rappresenta invece la malattia di un sistema politico che, per quello che può accadere, può anche candidarsi ad uccidere il malato. Soprattutto se si tratta di quel genere di malattia che si riproduce velocemente senza che il malato che la ospita possa efficacemente produrre anticorpi, magari grazie ad una cura. Probabilmente, senza aderire a nessuna delle offerte politiche in campo, c’è però da augurarsi che la malattia faccia velocemente, soprattutto in modo virulento, il suo corso. In politica bisogna affrontare un problema alla volta.
Ed oggi la possibilità che il Pd trascini il paese nell’abisso, possibilità concreta dietro la fraseologia banale di un partito senza alcun spessore culturale e umano, è il primo vero problema da affrontare. Di antifascisti come Bersani gli antifascisti reali non solo non sanno che farsene. Ma soprattutto vedono il pericolo nero del fascismo liberista delle procedure, dei protocolli, dei trattati di cui il Pd è spontaneo portatore."
per Senza Soste, nique la police

mercoledì 22 agosto 2012

“Quota 96”: quali conseguenze dopo i provvedimenti del giudice del lavoro di Venezia?


Come abbiamo riportato, il giudice del lavoro di Venezia (e prima anche di Oristano) ha accolto la richiesta del comitato “Quota 96”, ordinando il pensionamento di circa 50 ricorrenti con decorrenza dal 1 settembre 2012. Che potrebbe succedere ora? L’abbiamo chiesto all’avvocato Domenico Naso che sta patrocinando le cause del comitato.
Tutto ebbe origine, possiamo dire, con la legge Fornero sulle pensioni del novembre scorso, la quale stabilì che i benefici della vecchia legge legati alle quote, età anagrafica più età contributiva, per il pubblico impiego erano validi fino al 31 dicembre 2011, non tenendo conto volutamente, viste le tante interpellanze parlamentari e gli interventi in commissione cultura e bilancio da parte soprattutto delle parlamentari Ghizzoni e Bastico, della specificità della scuola che ha da sempre usufruito di una sola finestra di uscita in coincidenza con la fine dell’anno scolastico. Una legge estremamente punitiva perché sposta improvvisamente di ben 4 anni l’uscita di quel personale della scuola, che stava invece per maturare il diritto proprio al 31 agosto, e che non tiene nemmeno conto che l’insegnamento ha bisogno serenità e certezze, visto i delicati compiti che deve svolgere ogni giorno.
Di fronte alla evidente ingiustizia, non solo si costituisce spontaneamente il comitato civico “Quota 96” per chiedere il diritto alla pensione e ai benefici delle quote, ma anche tutti i sindacati rappresentativi della scuola, consapevoli della intransigenza della riforma, mettono a disposizione i propri uffici legali per adire le strade della giustizia amministrativa.
Il primo atto è l’istanza presentata al Tar del Lazio che però rimanda tutta la materia al giudice del lavoro delle varie circoscrizioni italiane. Se per un verso l’avvocato dei ricorrenti accetta la sentenza, dall’altro si rivolge al Consiglio di stato contro quanto stabilito dal Tar.
E in attesa di questa ulteriore pronunciamento abbiamo chiesto all’avvocato Domenico Naso cosa potrebbe succedere a questo punto dopo le sentenze favorevoli ai ricorrenti da parte dei giudici del lavoro di Oristano, Venezia e Torino.
D: Le sentenze dei giudici del lavoro di Oristano e Venezia sono state chiare. Più ambigue quelle di Milano e Roma. Di rilievo quella del giudice di Torino. Ci spiega in sintesi le varie sentenze e il loro rilievo giuridico?R:Vorrei precisare preliminarmente che non si trattano di sentenze, ma di provvedimenti cautelari: Ordinanza e decreto per il Tribunale di Oristano. Difatti, in questa fase abbiamo attivato dei provvedimenti d'urgenza al fine di ottenere dei provvedimenti che avessero degli effetti immediati prima dell'inizio del prossimo anno scolastico.
Milano e Roma, ritengo abbiamo preso una decisione di incompetenza funzionale rinviando alla Corte dei Conti, su l'errato presupposto che la domanda fosse diretta unicamente ad ottenere l'immediato collocamento a riposo, senza valutare la portata complessiva dell'impugnativa degli atti e delle circolari proposte e senza valutare il recente orientamento della Cassazione a Sezioni Unite così come ha fatto il Tribunale di Torino.
L'aspetto importante dei provvedimenti pronunciati dal Tribunale di Oristano, di Venezia e di Torino è la valenza sul piano strettamente giuridico della normativa speciale applicata al personale della scuola che non risulta abrogata o modificata dall'introduzione dell'art. 24 della riforma Fornero.
E' chiaramente specificato che il limite temporale è l'anno scolastico e non l'anno solare così come avviene nel pubblico impiego.
Proprio per la forza di tale normativa sono certo che anche il Tribunale di Roma e quello di Milano quando dovranno affrontare nel merito la questione avranno modo di rivalutare le decisioni assunte in via sommaria e d'urgenza ed orientarsi nella direzione già tracciata dagli altri Tribunali.

D:Può capitare che gli insegnanti di Venezia e di Oristano vadano in pensione e gli altri no? Almeno quelli delle circoscrizioni che hanno avuto esito negativo o attendista e quelli che ancora aspettano?
R: Si è possibile ed è una soluzione che avevamo già preso in considerazione quando è stato avviato il contenzioso presso tutti i tribunali d'Italia. Ma l'aspetto importante non è chi per primo potrà andare in pensione, ma l'affermazione di un diritto che possa consentire a tutti i ricorrenti nel corso del prossimo anno scolastico 2012/2013 di raggiungere lo stesso risultato.
D:E se ciò capitasse, come possono tutelarsi coloro che hanno ottenuto sentenze non favorevoli?
R:Come Le dicevo siano in una fase cautelare e d'urgenza le fasi di merito verranno discusse nei prossimi mesi con l'avvio dell'attività Ordinaria dei Tribunali e sono certo che discutendo in modo più approfondito la normativa ogni tribunale non potrà che riconoscere il giusto diritto dei ricorrenti.
Va, evidenziato, che oltre i Tribunali del Lavoro dovrà pronunciarsi anche il Consiglio di Stato avendo proposto appello avverso la sentenza del Tar Lazio, che considero errata sulla base di quanto previsto dal nostro ordinamento giuridico che riconosce al Giudice amministrativo la possibilità di annullare quegli atti amministrativi viziati ed in contrasto con la normativa di rango primario.

D: Di fronte a queste che più comunemente chiamiamo “sentenze”, non dovrebbe la politica prenderne atto e lasciare al personale della scuola che matura i diritti al 31 agosto la libertà di uscire dal lavoro.
R:Francamente, è una domanda alla quale non sono in grado di dare una risposta, posso dire che una proposta di modifica è stata più volte discussa in Parlamento, ma la volontà politica del Parlamento si è arresa innanzi alla indisponibilità del Governo nel trovare la necessaria copertura finanziaria.
D: Sappiamo che anche tutti sindacati rappresentativi della scuola stanno facendo similari ricorsi ai giudici del lavoro: sa qualcosa di queste sentenze?
R:Legalmente seguo la UIL Scuola, con la quale abbiamo deciso di avviare a settembre tutti i ricorsi presso i diversi Tribunali del Lavoro al fine di tutelare tutti gli iscritti. La UIL Scuola ha dal primo momento condiviso questa battaglia di legalità e condiviso tutte le iniziative anche presentando un ricorso al Tar per quasi 3.000 iscritti al sindacato.
D:Cosa si potrebbe fare e cosa succederebbe se la maggioranza dei giudici del lavoro desse ragione ai ricorrenti? O viceversa naturalmente.
R:Le posso confermare la necessità di proseguire le azioni legali in tutti i gradi di giudizio, al fine di tutelare un diritto dei lavoratori della scuola codificato da numerose norme e che nelle diverse riforme pensionistiche è sempre stato tutelato anche in danno dello stesso personale della scuola che è perfettamente a conoscenza che nonostante possa raggiungere il diritto a pensione in un periodo precedente deve sempre ed in ogni caso attendere la conclusione di ogni anno scolastico al fine di esercitare il proprio diritto. Invito, pertanto, tutto il personale della scuola ad esercitare i propri diritti proponendo il ricorso.

di Pasquale Almirante La Tecnica della Scuola, 21.8.2012

venerdì 17 agosto 2012

Guida sulle immissioni in ruolo 2012/13


 Il Ministero ha emanato il decreto n. 74/2012 e la circolare n. 6103 del 10 agosto 2012 sulle nomine in ruolo per l'a.s. 2012/13. Le nomine vanno conferite per il 50% dalle graduatorie di merito del concorso ordinario e per il 50% dalle graduatorie ad esaurimento. Analizziamo in modo analitico i contenuti, ricordando che le operazioni avranno inizio dopo giorno 20 agosto ed entro il 31. Il 1° settembre 2012 scatta la decorrenza giuridica ed economica del contratto.Quante assunzioni saranno realizzate? Il contingente è stato fissato in 21.112 unità di personale docente ed educativo (corrispondente esattamente al numero delle cessazioni). Il Ministero ha poi distribito questo numero tra le classi di concorso, posti di insegnamento risultate vacanti in ogni provincia. Il numero indicato nelle tabelle è il numero massimo di assunzioni che l'Ufficio preposto può realizzare.Quando si svolgeranno le operazioni di nomina?Il Ministero ha comunicato che le operazioni avranno avvio dopo il 20 agosto. Per l'a.s. 212/13 il Ministero affianca alle modalità tradizionali di convocazione (telegramma per il concorso ordinario, avviso sui siti degli Uffici Scolastici Provinciali) la possibilità di essere convocati tramite PEC. L'utilizzo della Posta Elettronica Certificata (PEC), per quanto auspicato nell'ottica del progetto di informatizzazione in atto del rapporto tra P.A e cittadino, non può considerarsi esclusivo. Pertanto verificate che la PEC funzioni, altrimenti riceverete la convocazione tradizionaleLe note del Ministero Nota Prot. n. AOODGPER 5838 del 31/7/2012  Nota 5909 del 2 agosto 2012  N. B. Si procederà alle nuove assunzioni solo dopo aver concluso tutte le operazioni di utilizzazione e di assegnazione provvisoria previste dalla normativa vigente.Il Ministero quest'anno ha dato delle indicazioni ben preciseLe operazioni di nomina dovranno essere effettuate al netto dei posti accantonati sul contingente dell"a.s. 2010/2011, da ricoprirsi a seguito dello scioglimento delle vertenze relative ai docenti inseriti " a pettine" nelle graduatorie ad esaurimento a seguito di provvedimenti giudiziari.Graduatoria esauritaSe il posto non può essere assegnatoin assenza della graduatoria per esaurimento della graduatoria interessata perchè il posto in organico di diritto è venuto meno nell'adeguamento all'organico di fatto per effetto dell'utilizzazione di personale docente in esubero l'eccedenza deve essere destinata ad altra graduatoriaCome viene compiuta la scelta?Il posto dovrà essere destinato, se possibile, nello stesso ordine e grado di istruzione, compreso il sostegno.Si terrà conto delle esigenze accertate in sede locale, con particolare riguardo agli insegnamenti per i quali da tempo esista la disponibilità del posto e agli insegnamenti per i quali non sia stata prevista l'attribuzione di contingenti, ma che diano garanzia di assorbimento nell'organico.Per i posti di sostegno, in caso di mancanza di candidati le eccedenze vanno assegnate al sostegno di altra area o di altro ordine o grado di scuola, prima di destinarle ad incrementare posti comuni.Come si assegnano i posti del contingenteInnanzitutto bisogna vedere se ci sono recuperi da effettuare rispetto alla precedente tornata di immissioni in ruolo poi procedere alla suddivisione al 50% tra le due graduatorie (GM e GaE) qualora il numero risulti dispari l'unità eccedente viene assegnata alla graduatoria penalizzata nella precedente tornata di nomine. Le riserveLa quota di riserva da calcolare sulla dotazione di 10.000 unità di personale riferita all'a.s. 2010/11 va correttamente imputata e calcolata in base al nuovo totale complessivo delle assunzioni riferibile al medesimo anno scolastico.Circa le assunzioni a favore del personale avente titolo alla riserva di posti iscritto nelle graduatorie ad esaurimento, si richiamano le sentenze della Corte di Cassazione, sezioni unite, n. 4110 del 22/02/2007 e sezione Lavoro, n.19030 dell'11 settembre 2007, secondo cui la graduatoria ad esaurimento deve essere considerata, ai fini della copertura dei posti riservati ai sensi della legge 68/99, come graduatoria unica.Si richiama, inoltre, l'attenzione delle SS.LL. sull'obbligo di applicare alle assunzioni del personale scolastico, la normativa di cui all'art. 3, comma 123, della legge 244/07 che assimila, ai fini del collocamento obbligatorio, gli orfani o, in alternativa, il coniuge superstite, di coloro che siano morti per fatto di lavoro, ovvero siano deceduti a causa dell'aggravarsi delle mutilazioni o infermità che hanno dato luogo a trattamento di rendita da infortunio sul lavoro, alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata di cui all'art.1, comma 2, della legge 407/98.Assunzioni su posto di sostegnoAvvengono sempre al 50% tra le due graduatorie (ricordiamo che per le Graduatorie di merito ogni anno vengono ricostituiti gli elenchi aggiuntivi, comprendenti coloro che avevano svolto il concorso e solo successivamente hanno acquisito la specializzazione per il sostegno) Saranno utilizzati i rispettivi elenchi. Per la scuola secondaria di II grado, tali elenchi includono i docenti inseriti nelle graduatorie concorsuali, relative alle classi di concorso rientranti nelle singole aree disciplinari, di cui all'art. 4 del D.M. 26 aprile 1993 n. 132, secondo i punteggi e le precedenze delle graduatorie di origine.Nella scuola secondaria di I grado tutte le classi di concorso sono inserite in un'unica area disciplinare.Il personale in possesso del titolo di specializzazione sul sostegno conseguito nei corsi speciali riservati di cui all'art. 3 del D.M. 21/05, nonché il personale di cui all'art.1, comma 2, lettere a), b) e c) dello stesso D.M. (docenti in possesso del titolo di specializzazione per il sostegno, che sono stati ammessi ai corsi in quanto hanno prestato 360 gg. di servizio sul sostegno) è obbligato a stipulare, ai sensi dell'art.7, comma 9, del D.M.21/05, contratto a tempo indeterminato e determinato con priorità su posto di sostegno.Completate le nomine dagli elenchi, per la graduatoria del concorso si passa allo scorrimento degli elenchi aggiuntivi.L'accettazione o la rinuncia nell'ambito del medesimo anno scolastico di una proposta di assunzione a tempo indeterminato su posto di sostegno consentono di accettare nello stesso anno scolastico e nella stessa provincia successiva proposta per altri insegnamenti di posto comune sulla base della medesima o altra graduatoria, salvo per i candidati vincolati alla nomina prioritaria su posto di sostegno.Per il personale docente destinatario di nomina su posto di sostegno relativo a qualsiasi ordine e grado di scuola permane l'obbligo di permanenza quinquennale su tale tipologia di posto.Le assunzioni sui posti di sostegno saranno disposte sotto condizione di accertamento della regolarità formale e sostanziale del titolo di specializzazione.Nel caso di nomine su posti di sostegno da effettuare nella scuola secondaria sulla base di elenchi in cui confluiscano più classi di concorso, e per cui debbano essere utilizzate graduatorie di merito di concorsi precedenti - su base provinciale - e graduatorie di merito di concorsi banditi nel 1999 - su base regionale - considerata la disomogeneità delle graduatorie e la complessità dei relativi adempimenti, si ritiene di procedere con la formulazione di un unico elenco graduato compilato a cura dei Direttori Regionali, in cui siano collocati, nel rispetto del punteggio conseguito nel concorso, tutti i candidati dei concorsi ordinari banditi nell'anno 1990 (e non reiterati nell'anno 1999) e tutti i candidati dei concorsi ordinari indetti nell'anno 1999 che abbiano conseguito il titolo di specializzazione entro il termine di scadenza di presentazione della domanda di partecipazione ai concorsi indetti con DD.MM. 31.3.1999 e 1.4.1999, fermo restando che i candidati dei concorsi ordinari banditi nell'anno 1990 possono aspirare solo ai posti e alle cattedre della provincia nella cui graduatoria sono inseriti.Gli elenchi aggiuntivi saranno utilizzati dopo l'assunzione degli aspiranti di questa graduatoria unica (ma che è esaurita in quasi tutta Italia, infatti le nomine dagli elenchi aggiuntivi di sostegno sono sempre numerose).Le assunzioni sui posti di sostegno saranno disposte sotto condizione di accertamento della regolarità formale e sostanziale del titolo di specializzazione.Personale educativoAnche per l'assunzione a tempo indeterminato del personale educativo tutte le nomine dovranno essere effettuate ripartendo al 50% la graduatoria del concorso ordinario e la graduatoria ad esaurimento. Si procede alle nomine nei convitti ed educandati secondo le prescrizioni di cui all'art. 4 ter, comma 3, della legge 333 del 20 agosto 2001.Strumento musicale nella scuola media (classe 77/A)Dopo aver assicurato le assunzioni in relazione alle effettive disponibilità a tutti i docenti presenti in seconda fascia ( ex prima fascia), le eventuali residue disponibilità sono ripartite tra i docenti inseriti in terza fascia(ex seconda fascia).Nomine in ruolo in surroga Assunzioni in ruolo effettuate entro il 31 agosto possono non andare a buon fine (il docente non accetta la proposta), pertanto sarà necessario proporre nuovamente la cattedra. Dopo il 31 agosto i contratti a tempo indeterminato avranno la decorrenza giuridica dall'a.s. 2012/2013 ed assunzione in servizio dall'anno scolastico successivo.Cosa comporta accettare o rinunciare alla proposta?L'accettazione o la rinuncia nell'ambito del medesimo anno scolastico di una proposta di assunzione a tempo indeterminato su posto di sostegno consentono di accettare nello stesso anno scolastico e nella stessa provincia successiva proposta per altri insegnamenti di posto comune sulla base della medesima o altra graduatoria, salvo quanto previsto dal precedente punto A.9 e dal successivo A.16, 2° cpv., per i candidati vincolati alla nomina prioritaria su posto di sostegno.L'accettazione di una proposta di assunzione a tempo indeterminato in una provincia consente, nello stesso anno scolastico, di accettare un'eventuale altra proposta a tempo indeterminato per altra classe di concorso, posto o per una diversa tipologia di posto (posto comune/sostegno) nella medesima provincia ovvero nell'altra provincia per coloro che hanno titolo ad essere inclusi in due province. I candidati vincolati alla nomina prioritaria su posto di sostegno, non possono esercitare la successiva opzione dell'accettazione della nomina su posto comune, per insegnamenti collegati ad abilitazioni conseguite ex D.M. 21/05.DocumentazioneSi ricorda l'obbligo che, entro tre giorni dalla stipula del contratto a tempo indeterminato, devono essere attivate, da parte dell'Ufficio Scolastico Territoriale competente, tutte le necessarie operazioni relative al controllo della regolarità dell'attuale punteggio di graduatoria nel rispetto di quanto previsto dall'art. 15 della legge n. 183/2011, in materia di autocertificazioni.Trasferimento, utilizzazione e assegnazione provvisoria in altra provinciaSecondo le disposizioni di cui all'art. 9 comma 21 del D.L. n. 70/2011, convertito in Legge 12/07/2011 n. 106, i docenti destinatari di nomina a tempo indeterminato possono chiedere il trasferimento, l'assegnazione provvisoria o l'utilizzazione in altra provincia, dopo cinque anni di effettivo servizio nella provincia di titolarità.Vincolo su sostegnoPer il personale docente destinatario di nomina su posto di sostegno relativo a qualsiasi ordine e grado di scuola permane l'obbligo di permanenza quinquennale su tale tipologia di posto.Part time per i docenti neo immessi in ruoloE' possibile stipulare, avendone i requisiti e le condizioni, contratti in regime di part-time, secondo quanto previsto dall'art.73 del decreto legge 112 del 25 giugno 2008.Assunzioni in scuole speciali per minorati della vista e dell'udito e didattica MontessoriSul contingente di posti destinati alle assunzioni in ruolo nelle scuole speciali per minorati della vista e dell'udito può essere nominato solo il personale inserito nelle corrispondenti graduatorie ad esaurimento, che dovrà permanere per almeno cinque anni su tale tipologia di posto (art.7, del D.M. 42 dell'8aprile 2009).Nelle sezioni di scuola dell'infanzia o nelle classi di scuola primaria che attuano la didattica differenziata Montessori, può essere nominato solo il personale in possesso del titolo di specializzazione nella specifica metodologia didattica, conseguito presso l'Opera Nazionale Montessori.Assunzione per lingua inglese scuola primariaAll'atto della individuazione e della accettazione della nomina i docenti immessi in ruolo nella scuola primaria dovranno rilasciare apposita dichiarazione in merito al possesso dei requisiti per l'insegnamento della lingua inglese. Nell'ipotesi di dichiarazione negativa, al candidato viene notificato, contestualmente, l'obbligo di partecipazione al primo corso utile di formazione per l'insegnamento della lingua inglese. Quanto sopra dedeve essere notificato anche al dirigente scolastico che amministrerà il docente per l'a.s. 2012/2013.Scelta della sedeLa scelta della sede provvisoria a livello provinciale è assegnata prioritariamente al personale che si trova nelle condizioni previste, nell'ordine, dall'art. 21 e dall'art. 33, commi 5, 6 e 7 della legge 104/92.La precedenza viene riconosciuta alle condizioni previste dal vigente contratto nazionale integrativo sulla mobilità del personale di ruolo.La priorità nella scelta della sede, per chi beneficia del citato art. 33, è limitata alla sola provincia ove risiede il congiunto da assistere.I docenti assunti nell'a.s. 2012/13 sceglieranno una sede provvisoria, scegliendo tutte quelle a tal fine disponibili sino alla conclusione del medesimo anno scolastico.La sede definitiva verrà attribuita secondo i criteri e le modalità da determinare con il contratto sulla mobilità relativo all'anno scolastico 2013/2014.
  da Orizzonte scuola, 16.8.2012

AUTORIZZATE 21.112 ASSUNZIONI IN RUOLO SOLO DEL PERSONALE DOCENTE, PARI AL NUMERO DEI PENSIONATI, E NESSUNA PER IL PERSONALE ATAL’IMBROGLIO DELLE ASSUNZIONI CHE….. COPRONO APPENA IL TURN OVER


Considerato che per l’anno scolastico 2012/2013 il numero delle cessazioni è risultato per il personale docente ed educativo pari a n. 21.112 unità, il Governo ha autorizzato un numero pari di immissioni in ruolo. In diverse regioni però, soprattutto al sud dove vi sono consistenti esuberi dovuti non solo all’andamento demografico, ma anche ai tagli della cosiddetta riforma Gelmini (che alle superiori è arrivata al terzo anno di corso), le immissioni in ruolo saranno pari alla metà (o poco più) delle cessazioni dal servizio. I criteri di nomina per i docenti rimangono quelli già utilizzati in precedenza: il 50% delle assunzioni avverrà da Graduatorie di merito dei concorsi ordinari, banditi addirittura nel 1999, il rimanente 50% dalle graduatorie ad esaurimento.  Per il personale Assistente Tecnico ed Amministrativo non è stato autorizzato per il momento alcun posto, anche perché l’Amministrazione, nonostante la dura resistenza del personale docente inidoneo, intenderebbe far transitare appunto nei posti vacanti del personale ATA i docenti che si sono ammalati e  che in  questi anni sono stati utilizzati ad altri compiti nelle scuole (biblioteche, etc).  Intanto c’è da dire, ma nessuno finora l’ha detto, che, ai sensi del Contratto separato e in deroga al Contratto Nazionale, firmato da Cisl-Uil, Snals e Gilda il 19 luglio del 2011, anche per questa tornata è previsto per i neoassunti il congelamento della ricostruzione di carriera: il primo gradone di carriera (fascia 0-2) per i neoassunti non c’è più, in pratica i neoassunti manterranno fino al nono anno di servizio lo stipendio da precari.  Nella scuola, la percentuale del personale con contratti a tempo determinato è altissima.    Circa un sesto dei Docenti e quasi la metà degli ATA - per circa 220.000 unità - sono precari.  Questo sia per avere una quota di personale da poter facilmente lasciare a casa quando si attuano tagli straordinari alla stregua della cosiddetta riforma Gelmini, sia per una questione di risparmio. E’ per questo motivo che moltissimi sono i posti che vengono mantenuti ad arte in organico di fatto sui quali occupare supplenti fino al 30 giugno, evitando di trasformarli in organico di diritto, sui quali, previa autorizzazione interministeriale, sono possibili le immissioni in ruolo.  Mediamente il personale precario percepisce - per svolgere la stessa prestazione lavorativa - in un anno - circa 9.000 € lordi in meno del personale a tempo indeterminato (con la recente “spending review”, tra l’altro, ai precari si vogliono scippare persino i soldi delle ferie maturate e non godute in spregio, non solo al Contratto di Lavoro Collettivo, ma persino alla Costituzione).  Questo per lo stipendio estivo che i supplenti fino al termine dell’attività didattica non percepiscono e per la progressione di carriera (gli scatti di anzianità) di cui precari, anche se hanno lustri e lustri di servizio, non godono.  E’ per questo motivo che l’Amministrazione effettua le immissioni in ruolo con il contagocce, non garantendo neppure, o garantendo appena, il normale turn-over con le cessazioni dal servizio di coloro che vanno in pensione. Si tratta di una questione di sfruttamento: poter sottopagare una quota consistente di personale per svolgere la stessa attività professionale, anche a costo di precarizzare il servizio scolastico e non garantire la continuità didattica agli studenti. Basti pensare che nell’anno scolastico 2011-2012, appena trascorso, nonostante fosse l’ultimo del piano straordinario triennale di tagli della Gelmini (143.000 posti di docenti e ata in meno), il MIUR ha stipulato, solo per il personale docente, oltre 120 mila contratti di supplenza di lunga durata: 38 mila per il sostegno, gli altri su cattedre ordinarie, di cui 71 mila fino al 30 giugno. Ed altrettanti, se non di più, visto l’aumento degli studenti soprattutto nelle regioni del Nord, saranno stipulati per l’a.s. 2012-2013. Se pensiamo ai 1991 posti per il sostegno ai disabili autorizzati per le immissioni in ruolo, a fronte dei circa 38.000 posti di sostegno che l’anno scorso sono stati occupati con una supplenza fino al termine delle attività didattiche, risulta chiara l’assoluta esiguità dei numeri delle prossime assunzioni. Senza contare che il DM n. 74 del 10 agosto 2012, che disciplina le nuove assunzioni, dice esplicitamente che, prima di assegnare i posti, si tratta di verificare la possibilità di coprirli con personale in esubero di altre discipline, anche se non abilitato per quel posto d’insegnamento, quindi il numero dei posti potrà persino essere inferiore a quello autorizzato.  Insomma non c’è molto da festeggiare per le 21.112 assunzioni di docenti, a parte naturalmente per chi entrerà in ruolo dal prossimo settembre, spesso dopo 10-15 o anche venti anni di precariato ed umiliazioni.  E’ per questo che si tratta, nella scuola ma non solo, di aprire una nuova stagione di conflittualità che faccia pagare la crisi a chi l’ha provocata e non ai lavoratori, agli studenti, ai precari e ai pensionati, rivendicando nello specifico:-    LA FINE DELLA PRECARIETA’, CON LE ASSUNZIONI SU TUTTI I POSTI DISPONIBILI, NON SOLO QUELLI DI ORGANICO DI DIRITTO, MA ANCHE QUELLI CHE SI OSTINANO A MANTENERE IN ORGANICO DI FATTO;-    IL RITIRO DEI TAGLI;-    LA PARITA’ DI TRATTAMENTO TRA PERSONALE A TEMPO DETERMINATO ED INDETERMINATO, come già i Tribunali del Lavoro di tutta Italia stanno sancendo, emettendo sentenze favorevoli ai precari che sono ricorsi per il diritto appunto a percepire gli scatti di anzianità anche nel periodo pre-ruolo.Solo la parità di trattamento - e quindi l’abolizione dello sfruttamento di precarie e precari - potrà in futuro, abolendo la convenienza per lo Stato di mantenere la precarietà stessa, risolvere i problemi del precariato della scuola.

giovedì 16 agosto 2012

Effetto Domino. Riva finanziava Bersani. Vendola inchiodato all'Ilva. E la Fiom dove va?

E' proprio vero, follow the money, segui la pista del denaro e tutto si chiarirà.
LE FESTIVITA' hanno portato, sulla vicenda Ilva, la notizia, divulgata dal Fatto, del finanziamento diretto dell'industriale Riva a Pierluigi Bersani. Si, proprio l'attuale segretario del Pd, che nel periodo in cui riceveva il finanziamento di 98.000 euro (2006-7) era ministro dello sviluppo economico. Cifre e rendicontazioni ufficiali, niente di oscuro o di non certificabile. Solo che se nel 2007 il finanziamento diretto di Riva a Bersani poteva passare inosservato oggi è qualcosa che si nota come un grattacielo in un giardino.
Il significato politico, inutile girarci intorno, è pesante: il ministro dello sviluppo economico riceveva finanziamenti dal proprietario di una azienda che avrebbe dovuto controllare.C'è quindi da chiedersi quali controlli, tra il 2006 e il 2008, il ministro Bersani ha attivato nei confronti delle acciaierie Ilva. Impianti su cui l'Organizzazione mondiale della sanità aveva denunciato la grave pericolosità dal '97 (epoca, anche quella, di governo di centrosinistra). Cosa faccia Bersani oggi, a fronte di una fabbrica che "produce" oltre mille morti l'anno, lo sappiamo: ha chiesto l'intervento del governo "formale e informale" nei confronti della sentenza del Gip di Taranto e un atteggiamento che "rassicuri gli investitori esteri in Italia". Evidente mente, per Bersani, i Riva devono venire anche dall'estero.

Quello che sta accadendo è di una chiarezza cristallina: da un lato Ilva sta producendo ogni tipo di ricorso possibile contro la procura di Taranto, e il provvedimento di sequestro di una fabbrica che produce un numero di decessi record in Europa, dall'altro il governo si sta attivando per delegittimare la sentenza sull'Ilva. Chi parla di mediazione istituzionale sull'Ilva dovrebbe tener quindi conto che il governo è da una parte sola.

LA POSIZIONE DI VENDOLA, presidente della Puglia, è di conseguenza impiccata ai comportamenti del Pd. Non può inimicarsi il maggiore alleato nazionale e locale, specie dopo un'accordo elettorale raggiunto, e quindi non ha margini di manovra nel confronti di un finanziatore storico e certificato del segretario Pd: il proprietario dell'Ilva, Felice Riva.
Vendola ha fatto quindi di necessità virtù: ha dichiarato che l'Italia "non può rinunciare all'acciaio". Parole che contrastano perlomeno con la seconda "e" di Sel che starebbe per ecologia. Ora, i verdi tedeschi, che sono stati anni al governo, non è che hanno chiuso le acciaierie. Ma nemmeno hanno fatto in modo di far colare l'acciaio a prescindere da, non diciamo centinaia di morti all'anno come a Taranto, piani di riduzione delle emissioni inquinanti semplicemente impensabili in Italia. Tra le tante parole rilasciate dal presidente Vendola manca poi lo scopo che si prefiggono le istituzioni locali
pugliesi. Esiste un piano particolareggiato della regione Puglia per la riduzione dei decessi, per portarli a zero, entro quando? L'impressione è che più si entra nel dettaglio e nella realtà più le narrazioni di Vendola franano. Anche perchè il  sequestro della procura di Taranto è frutto di una ordinanza, al momento, che rende difficili fantasiose mediazioni. Infatti il ministro Clini si è lamentato anche della facoltà dei magistrati di poter giudicare sui materiali da adoperare nel possibile "risanamento". Segno che i margini di aggiramento dell'ordinanza del gip al momento sono pochi.
Ma Clini è il ministro che, al telefono, è stato definito "nostro" dai dirigenti dell'Ilva. Uno di questi è stato arrestato per tentativo di corruzione di un perito del tribunale di Taranto. E tra tutte queste dichiarazioni sull'acciaio e sugli investitori esteri nè il governo nè la regione Puglia hanno speso una parola sui comportamenti dell'Ilva.
Va detto che Clini e Vendola un'accordo l'hanno trovato. Sul finanziamento all'Ilva "per la bonifica" di oltre 300 milioni di euro a carico dello Stato e con il contributo economico della Regione Puglia. C'è un dettaglio di non poco conto: pare proprio, a meno di clamorose smentite, che in quest'opera di bonifica non ci sia un'euro dell'Ilva. Se è così siamo in aperta violazione dell’art. 174 del Trattato Ce e del Decreto legislativo n. 152/2006 (Codice dell’Ambiente) che prevede l'obbligo di intervento economico dell'inquinatore. Obbligo che c'è ameno, come ha detto Clini, attribuire le cause di quello che sta accadendo adesso solo a un periodo precedente all'Ilva.
C'è un ultimo aspetto da non trascurare: Vendola è ufficialmente sotto inchiesta della magistratura pugliese per favoreggiamento in un concorso. Vicenda che, sul piano dell'immagine nazionale, può pesare specie se continua. Un presidente della regione in questa condizione cosa è? Un soggetto oggettivamente condizionato dalla magistratura o uno che cerca di sfruttare l'occasione Ilva per condizionarla? Ecco i danni dei partiti-personaggio, dove un uomo solo deve rimanere in piedi e fare tutto sennò crolla il partito perchè rimane privo di immagine. Evidentemente il berlusconimo ha tracimato ben oltre l'argine originario
Intanto una intercettazione telefonica tra membri della famiglia Riva riporta questa frase, a commento delle richieste ufficiali di dati su quello che accadeva all'Ilva  "vendiamogli fumo, diciamo che va tutto bene". Ecco il profilo sociologico dei finanziatori dell'ex ministro Bersani oggi segretario del Pd. L'indispensabile alleato di Vendola, ci mancherebbe.

LA POSIZIONE DELLA FIOM. La Fiom nazionale ha cominciato a differenziarsi dagli altri sindacati dell'Ilva sulla questione della contestazione alla magistratura tarantina. Posizione sensata visti i continui ricorsi che la stessa Fiom ha fatto alla magistratura impugnando gli atti discriminatori del gruppo Fiat (su Melfi, Pomigliano e la stessa Mirafiori) nei confronti del sindacato diretto da Landini. Non si può usare la via giudiziaria nelle vertenze e, allo stesso tempo, delegittimare la magistratura. Solo che la questione Ilva non riguarda più solo Taranto ma il funzionamento o meno dell'intera filiera italiana dell'acciaio. Ufficialmente la Fiom ha chiesto, da sola, che il gruppo Riva paghi il risanamento dell'Ilva. Ma bisogna vedere quanto un risanamento reale è fattibile, in quali tempi e modi, con uno impianto ormai vecchio di mezzo secolo. A questo va aggiunto l'evidente tentativo del gruppo Riva di usare la minaccia di chiusura della filiera italiana dell'acciaio per mettere all'angolo il sindacato di Landini proprio su Taranto. Inoltre c'è la situazione sul campo. Negli ultimi 15 anni la Fiom non ha mai indetto uno sciopero all'Ilva sull'inquinamento.Segno evidente quantomeno di un basso profilo tenuto da tempo proprio su quel territorio. L'ammissione del ritardo, sui temi del risamento ambientale (specie in presenza di un numero molto anno di vittime), non esenta però la Fiom dal problema del recupero di posizioni chiare, praticabili ed efficaci in materia. Questione non facile specie quando i referenti politici del sindacato di Landini sono sia il Pd che Sel.

SCENARIO E FUTURO. La questione Ilva è il risultato di 20 anni di complessiva deregolazione dell'industria italiana: si è praticato il laissez-faire nei confronti del privato, mentre il pubblico non ha investito in ricerca, autorità reali di regolazione e su modelli di sviluppo che non fossero invasivi. I profitti sull'acciaio si sono giocati tutti non solo sui bassi salari ma anche sul differenziale di sicurezza interna ed esterna: ieri ce lo mostra la vicenda Thyssenkrupp di Torino oggi Taranto.
La vicenda Ilva ci mostra anche come si siano trasformati i partiti: in cartelli elettorali dove rimane il rapporto diretto, finanziario con la grande industria mentre quello con le popolazioni è completamente sganciato. Si comprende come l'esito di avvicinamento al modello Usa sia ormai compiuto: grandi sponsor verso un partito e, per prendere voti, campagne spettacolo. Rispetto agli Usa mancano però le grandi autorità, ad esempio a protezione dell'ambiente come l'Epa. Se l'Italia costruisce i propri profitti grazie al differenziale di sicurezza si può star sicuri che queste autorità, se ci saranno, saranno solo una concessione simbolica o clientelare. Da considerare però l'effetto domino. Un partito, il PD, è legato materialmente ad una industria (il finanziamento esplicito ha un valore politico niente affatto da trascurare, esprime l'esistenza di una sponsorizzazione) i partiti alleati e  sindacati di area devono tener quindi conto non degli interessi della popolazione (in questo caso, non morire) ma dei legami concreti di interesse che ha il partito più grande. Un insegnamento per le future vertenze e per il dopo 2013 se Pd e Sel governeranno con l'Udc? Una cosa è certa: se lo scenario politico rimane questo la soluzione Ilva verrà trovata al ribasso mentre lo schema di risoluzione delle emergenze sarà sempre simile a questo emerso con Taranto. Un effetto domino con risultati pessimi se non letali per la società italiana.
(red.)

Sentenza PG: i docenti di religione, privilegiati da “norme speciali”

Nessuno vorrebbe avere un lavorio precario, nemmeno gli insegnanti di religione. Che possono però contare su un privilegio esclusivo: gli scatti biennali. Che gli altri precari possono solo sognarsi.
Non è polemica anticlericale. E’ invece quanto ha stabilito la Corte d’Appello di Perugia, in una sentenza di cui ha dato notizia il quotidiano Italia Oggi. La situazione è del resto nota da tempo, e quattro anni fa il Tribunale del lavoro aveva stabilito che si trattava di un ingiusto vantaggio. Sentenza che rimase sulla carta, e che adesso è carta straccia. Perché d’ora in poi sarà la sentenza di Perugia a “fare giurisprudenza”. Secondo i giudici d’appello, gli scatti sono previsti solo per i precari di religione, il cui rapporto di lavoro è regolato da norme speciali.
La sentenza ha dunque beffato i precari delle materie fondamentali (italiano, matematica, storia, scienze, ecc.) che reclamavano analogo trattamento economico: ha infatti certificato che la legge favorisce gli insegnanti di religione cattolica. Non è del resto questo l’unico privilegio di cui godono. Se chi li nomina, e per impartirvi la dottrina della Chiesa, è il vescovo, chi li paga è lo Stato. Dal 2003 possono essere assunti a tempo indeterminato anche se per legge insegnano una materia facoltativa, scelta da genitori e studenti all’iscrizione di ogni anno scolastico. Se i 13.880 insegnanti di religione cattolica entrati in ruolo ricevessero il ritiro del nulla osta vescovile, lo Stato continuerebbe comunque a pagarli. A questa serie di privilegi si aggiunge il fatto che i precari di religione cattolica sono gli unici ad ricevere aumenti di stipendio biennali del 2,5%. Senza dimenticare, come emerge da documenti ministeriali, che sono gli unici per i quali, negli ultimi anni, il fenomeno del precariato è nettamente diminuito.
Il tutto per insegnare una materia in modo assai discutibile, visto il grado di ignoranza religiosa esistente nel nostro paese, anche in chi ha studiato la materia per sedici anni. Se è indispensabile che gli studenti acquisiscano nozioni sulla religione cattolica, è invece assai opinabile che tali nozioni siano così importanti da richiedere l’istituzione di un insegnamento ad hoc, ed è evidentemente assurdo che tali nozioni siano impartite da docenti nominati da un’autorità esterna, che si garantisce in tal modo un’impermeabilità assoluta all’esame imparziale delle proprie dottrine. La sentenza di Perugia mortifica ulteriormente la scuola della Repubblica.
UAAR , unione atei agnostici e razionalisti

mercoledì 15 agosto 2012

Scene di lotta di classe nella crisi della «città industriale». Discutendo dell’Ilva con Cataldo Ranieri e il Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti

di DAVIDE COBBE, DEVI SACCHETTO, LUCA COBBE

Cataldo Ranieri ci dà appuntamento in un piazzale, alle otto di sera, in uno dei tanti baracchini in cui si mangiano le pucce tarantine. La nostra intervista dovrebbe svolgersi prima della riunione del Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti, ma ben presto si tramuta in una sorta di chiacchierata collettiva con circa trenta persone che, a nostro avviso, mostrano bene le diverse sfaccettature di questo movimento ancora in fasce. L’incontro avviene il 9 agosto, cioè il giorno prima che il giudice per le indagini preliminari di Taranto, Patrizia Todisco, notificasse all’Ilva che il risanamento va fatto a fuoco spento. Colpisce come l’onnipotente governo tecnico sia messo in crisi dalla decisione tecnica di una funzionaria burocratica. Improvvisamente la decisione politica torna a essere occasionale e in deroga alle regole. E’ persino divertente che il provvedimento di ieri esautori Bruno Ferrante, scelto affinché la sua faccia tecnico-burocratica nascondesse quella del padrone interessato solo al profitto. Ma più che sulle sventure tecniche dei vari livelli di governo tecnico della crisi, o sul ruolo della magistratura che, immaginiamo, abbia ancora molto altro da indagare, ci interessava cominciare a ragionare sulla condizione operaia in Italia, a partire da quanti sembrano esprimere nuove forme di soggettività dentro e fuori le fabbriche.
La rottura consumata durante lo sciopero della settimana scorsa sembra aver fatto da detonatore per le diverse esperienze di militanza che fino ad allora si esprimevano nel chiuso dei piccoli gruppi politici tarantini. Ora, invece, si coglie l’esigenza di «fare sintesi», confrontandosi collettivamente. Non che manchino i tentativi di monopolizzazione, ma sembrano resti di un passato che questo Comitato cerca di superare. Lo slancio messo in campo oscilla tra la decisione di rovesciare le contraddizioni esplose all’interno dei rapporti lavorativi, con i sindacati e gli altri operai, e quella di volgersi verso l’esterno, per rafforzare le relazioni costruite in quest’ultimo periodo tra pezzi di società coinvolti direttamente dal disastro ambientale e sanitario dell’Ilva. Un’oscillazione che, tuttavia, lungi dall’essere espressione particolare del «caso» tarantino, emerge come una costante delle prese di parola nella precarietà e ne scandisce tanto i limiti quanto la forza.
All’Ilva, la precarietà si manifesta con il volto feroce dell’alternativa tra lavoro e morte. Non indossa le vesti apparentemente legali di un contratto atipico, ma è la scelta imposta nella «città industriale», un modo di organizzare il territorio che impedisce ogni alternativa possibile e costringe la forza lavoro a una piena disponibilità. Persino chi commercializza i residui del ciclo produttivo dopo averli rubati sta dentro alla «città industriale», che fagocita ogni cosa. Perciò, la «città industriale» entra in crisi quando il suo corpo operaio rifiuta questa coazione, quando esce dalla fabbrica per incontrare coloro che vivono e vogliono quella crisi, e con ciò diventa esso stesso l’alternativa anche per quanti dentro alla fabbrica non ci sono. I comportamenti di questi proletari indicano possibilità impreviste nello stagno di collusione tra padronato e sindacati. La divisione operaia non è quella tra produttivisti e ambientalisti, ma è il risultato del ricatto e della logica del «favore», che produce non solo endemica corruzione, ma anche e soprattutto estrema individualizzazione. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che questa classe operaia gridi vendetta tanto rispetto agli scioperi generali, che retoricamente cercano di mantenere in vita e riprodurre il ceto sindacale, quanto rispetto agli scioperi contro gli infortuni proclamati dal sindacato per ricordare ai vivi l’estrema precarietà della loro esistenza. Contro queste rappresentazioni di impotenza, i facinorosi dell’«u tre rote» hanno espresso la pretesa di esercitare una forza. Hanno cominciato in pochi – e lo rivendicano con orgoglio – ma sono stati capaci di affermare un senso di possibilità che non è rimasto isolato.
Il rifiuto di continuare a essere una «città industriale» con cui i membri di questo Comitato chiudono la chiacchierata, mostra che i comportamenti del proletariato rimangano, almeno in parte, autonomi dalle scelte obbligate imposte dall’economia politica. Non si tratta qui di glorificare la precarietà di chi mette insieme a fatica il pranzo con la cena, passando dal legale al cosiddetto illegale senza soluzione di continuità. Si tratta piuttosto di cogliere che in questa classe emerge un senso di giustizia molto lontano da quello della magistratura. «La città industriale» come modo di organizzare il territorio sperimentato anche altrove – a Torino, per esempio – è in crisi da almeno 30 anni. Movimenti imprevisti e imprevedibili di forza lavoro s’incaricano in continuazione di impedire la sincronizzazione del tempo e dello spazio del capitale. Forse gli operai dell’Ilva non «sono» il cambiamento, ma certamente sono espressione di quei movimenti imprevisti e imprevedibili che possono far conflagrare questa crisi.
Iniziamo chiedendo a Cataldo quali sono le prossime mosse.
Che cosa ha intenzione di fare adesso il Comitato?
Noi abbiamo intenzione di proseguire; il Comitato nasce perché c’è l’esigenza di essere rappresentati da qualcuno, perché noi a Taranto abbiamo una classe sindacale e politica che non rappresenta nessuno, quindi c’è l’esigenza di autorappresentarci. La città ha un tasso di disoccupazione altissimo e chi ha il lavoro se lo deve tenere anche a costo di sacrificare se stesso e la propria famiglia. Le amministrazioni comunali e i sindacati fino a oggi hanno campato sulle mazzette al fine di darci il pane avvelenato pur di farci stare zitti; hanno permesso che questa condizione perdurasse. Noi stiamo continuando una serie di iniziative in tutte le piazze, autofinanziandoci per farci conoscere e per fare capire alla gente chi siamo e cosa vogliamo, per chiedere di sostenerci perché realizzare quello che vorremmo è difficile, ma non impossibile. Un pensiero nuovo che viene dal basso non dall’alto. Non ci arroghiamo la presunzione di essere noi il cambiamento, però noi vogliamo essere partecipi di questo cambiamento. Questa città è addormentata sulla rassegnazione perché chi la rappresenta è lo specchio di se stesso.
Forse questo lo si può dire di tutta l’Italia…
Diciamo che Taranto è lo specchio di quello che avviene a livello nazionale in tutti i sensi, sin dagli anni novanta, abbiamo avuto Cito a Taranto e Berlusconi a livello nazionale.
Questo comitato com’è nato?
L’elemento di novità estremamente importante, anche esemplificativo, è il fatto che questo comitato, nato in solo tre giorni, è stato capace di far scappare senza colpo ferire Angeletti, Bonanni e la Camusso. Io credo sia un fatto epocale per quello che abbiamo combinato all’interno di quel luogo di lavoro, ma in più in generale per quanto riguarda la svendita dei diritti dei lavoratori che sono avvenuti in questi anni e la svendita dei cittadini, della salute dell’ambiente. Per tanti anni in questa città sono state fatte manifestazioni per l’ambiente, manifestazioni per la salute, però erano abbastanza deboli, in parte perché parcellizzate e in parte perché ognuno provava a mettere il cappello. C’era un senso di scoramento perché tu sapevi che la gente moriva di tumore, sono anni che ci sono le devastazioni. Ovviamente c’è stato il detonatore che ha fatto scoppiare il tutto, cioè la chiusura dell’Ilva e questa reazione scomposta di Cgil, Cisl e Uil che hanno preso per le orecchie i lavoratori. L’altra parte della città, compresi i lavoratori dell’Ilva, invece ha provato a ribaltare il concetto. Ci siamo trovati in 50 persone che se vuoi non sono poche in un’assemblea autoconvocata e con un piccolo tam tam siamo aumentati. Tutti con le proprie esperienze anche diversificate, ma con un obiettivo comune. L’ambizione è questa: noi dobbiamo effettuare un controllo dal basso su tutte le scelte, assolutamente non mettere più in contraddizione quella che è l’occupazione con l’elemento ambientale e della salute. Questo lo dicono in tanti ma bisogna praticarlo. È inutile che qui ci prendiamo per fessi perché quest’Ilva chiuderà da sé perché è un impianto che ha più di 50 anni. Quando ha acquistato nel 1995, Riva aveva un obiettivo chiaro: sfruttare l’Ilva per 20 anni, una gallina dalle uova d’oro, ha fatto sette miliardi di utile. Non ha mai badato né a mettersi in regola su quanto era previsto rispetto alle norme ambientali e alla salute, né all’anti-infortunistica. Allora la differenza oggi è che questo problema lo pongono cittadini e lavoratori in carne e ossa che in tre giorni hanno costruito una presenza di piazza che è partita da 500 persone e che si è decuplicata durante il percorso. Se tu vedi la piazza, durante lo sciopero, alla fine ci siamo solo noi e tutti quei lavoratori e quelle lavoratrici che disobbedendo palesemente all’ordine dato dal palco di andare nella piazza adiacente sono rimasti là. Andiamo a fare le assemblee nei quartieri così ti vengono tre, quattrocento persone. Ieri è nato un altro Comitato spontaneo di ragazzi di 30-40 anni del quartiere Tamburi che ci hanno chiesto di lavorare insieme. È venuta per la prima volta ufficialmente una donna della città vecchia in rappresentanza dei mitilicoltori, per dirci che dobbiamo fare iniziative insieme. Commercianti ci hanno fermati dicendoci che vogliono fare delle cose con noi. L’elemento di novità è che nasce tutto dal basso e si sta entrando nella logica che solo in questo modo, non delegando più, si possono scompaginare le scelte su questo territorio. Questa decisione del riesame è solo una bombola d’ossigeno per due, tre anni, che consente a Riva di sfruttare gli ultimi anni e poi caricare la collettività dei costi, senza per altro cagare di suo. Ecco noi non ci stiamo a questo. Abbiamo le idee chiare su come può essere lo sviluppo. Qua chi è tarantino lo sa: la mitilicoltura è distrutta, la pescicoltura è distrutta, il turismo è distrutto, l’agricoltura è distrutta.
Torniamo in fabbrica. Che tipo di composizione c’è in fabbrica?
In fabbrica c’è una logica aziendale che già nasce sbagliata, perché per riuscire a fare profitti si è risparmiato su tutto, salvo i premi di fine anno che sono divisi tra tutti quelli che contano in fabbrica. Ad esempio il fumo rosso che si vede uscire: l’acciaieria ha un sistema di cappe di aspirazione che è tarato ad assorbire tutti i fumi nel caso in cui tu quando arrivi con la siviera sul convertitore di ghisa la sversi lentamente e rispetti i tempi previsti. È come versare un bottiglia di birra nel bicchiere: se tu la versi velocemente tutta la schiuma sale sopra e fuoriesce, se tu la versi lentamente la schiuma non la fai o quel poco che fai viene captata dall’aspirazione. Non si fa perché si deve produrre velocemente. Un altro esempio. Se per quell’impianto è prevista una fermata di tre giorni perché bisogna fare dei lavori, lo si fa in un giorno sovrapponendo tutti i lavori senza definizione, perché si deve fermare il meno possibile perché si deve fare produzione. Ci sono delle figure, i cosiddetti «fiduciari», che non hanno nessuna responsabilità giuridica e penale nei confronti dei lavoratori ma che girano nella fabbrica come dei capò a dare disposizione ai capi reparti, a chi è realmente responsabile. Impartiscono ordini che loro devono eseguire pur non capendo che sono loro i responsabili se succede qualche cosa.
Questi cosiddetti capò chi sono?
Con noi non parlano; è gente di qua come di altre parti d’Italia. Ci sono quelli che magari hanno avuto esperienze a Brescia e nelle altre fabbriche e ci sono quelli che vengono qua con lo scopo di controllare e magari non hanno competenze a livello tecnico d’impianti. Fungono solo da controllori a vantaggio dell’azienda. Questa situazione nasce da una strategia che si è vista anche nel ricambio occupazionale; le leggi sull’amianto hanno favorito la fuoriuscita di tante persone dal 1996 al 2003, e lì si è scelto di assumere parenti di dipendenti in uscita. Mano a mano che quelli che avevano il beneficio dell’amianto uscivano, hanno fatto entrare i familiari i nipoti, i figli, in modo da tenerne uno per la gola e l’altro per le palle. Anch’io sono un parente di un dipendente per questo sono entrato, avevo mio zio che lavorava; prima di entrare all’Ilva avevo lavorato solo a nero. I lavoratori vecchi sono pochissimi, la forza lavoro è di 35-40 anni. In questo lasso di tempo l’azienda è diventata padrona, e il sindacato l’ha fatta diventare padrona un po’ perché non c’erano le condizioni per poter contrastare, e un po’ perché essendo tutti quanti in un certo senso ricattabili si è arrivati a quel punto. Una volta usciti da questa condizione sono rimasti soltanto i compromessi e un sindacato senza armi perché ormai è assoggettato a quello che dice l’azienda. Questa è la situazione. Io per esempio sono stato raggiunto da un provvedimento disciplinare perché sono obbligato a partecipare alle riunioni di sicurezza in cui mi spiegano come devo fare il lavoro e l’azienda vuole che firmi che ho appreso come si deve fare. Quando mi trovo nella situazione di lavoro e chiedo che venga applicato, io sono un problema, perché sono uno che non può andare a lavorare là. Da allora io non ho più firmato le riunioni di sicurezza. Sono stato raggiunto da un provvedimento disciplinare, in tre pagine ho espresso le mie ragioni, così come è previsto, di che cosa è successo, ma non hanno accettato la giustificazione. Sono andato all’Ufficio provinciale del lavoro per dire che voglio che l’azienda venga qui per vedere chi ha ragione. L’ufficio provinciale mi ha detto che, se non hai il sindacato che ti porta, tu autonomamente non lo puoi fare, per cui sono andato dal primo sindacato che ho trovato che non poteva essere la Fiom e sono andato dalla Fim. Ho detto che ho bisogno di una assistenza legale, mi sono iscritto tre settimane fa, ma adesso alla luce di come sono andate le cose non mi serve il sindacato.
Tu sei stato a lungo iscritto alla Fiom. Ci spieghi come mai te ne sei andato?
Io sono un ex dirigente della Fiom, sono andato via, ho rinunciato, ho dato le dimissioni. È una storia che dura da troppo tempo; nel novembre 2007 ho dato le dimissioni, perché non volevo essere come loro. Ho provato a cambiare quel mondo ma con i sotterfugi mi hanno fatto perdere. Nel 2007 nella Fiom avevo la maggioranza e abbiamo scritto una lettera firmata da 53 persone e l’abbiamo mandata a Rinaldini, che allora era il segretario della Fiom e che è venuto a Taranto. Ha indetto un attivo a cui ha partecipato anche l’allora segretario provinciale della Fiom, Franco Fiusco, che a nostro avviso non ci rappresentava più. Poi invece di rimuovere Franco Fiusco così come previsto se non ha la maggioranza, si è preso un po’ di giorni e nel frattempo hanno cominciato a venir meno le firme con i classici sistemi. Quando mi sono trovato in minoranza sono andato dall’azienda e ho detto: io rinuncio a tutte le mie carte [cioè al distacco sindacale]. Mi hanno detto: «dove vuoi andare?» «A lavorare»; e sono andato a lavorare. Non che prima non lavorassi. Prima ero sempre in fabbrica ma non ero assoggettato alla marcatura del cartellino. Sono sempre stato sugli impianti, i lavoratori mi conoscono e lo possono dire. Sono rimasto sempre iscritto alla Fiom fino al marzo di quest’anno, non avevo motivi di vendetta, come dicono adesso che questo sarebbe un movimento di vendetta verso la Fiom. I cinque anni successivi io sono rimasto iscritto, mi sono cancellato quando si sono permessi di espellere Massimo Battista. Io gli ho fatto una lettera alla Fiom in cui dicevo che fino a oggi sono rimasto in silenzio ma siccome so cosa ha fatto Massimo Battista insieme a me per la Fiom e per i lavoratori allora gliel’ho scritto tutto in una lettera.
Ci spieghi il ruolo della Uilm?
L’unico diritto che riesce ottenere in quella fabbrica è «il favore»: «per favore posso avere le ferie, per favore posso essere spostato», e chi si occupa di questo monopolio è la UILM. Ecco perché in quella fabbrica la UILM ha 2500 iscritti derivanti dal periodo d’oro delle assunzioni, non so come abbia potuto fare 2500 deleghe, però deriva da lì. Lo sponsor dell’azienda è la Uilm , questo lo metterei anche per iscritto.
La Fiom ha subito un processo progressivo di erosione. Anche a gennaio di quest’anno 400 iscritti e sei Rsu se ne sono andati.
La Fiom quando c’eravamo noi cinque anni fa ce aveva 2300-2400 iscritti, era la seconda forza, da quando ce ne siamo andati noi se ne sono andati in 1000 e sono diventati la terza forza. La Fim sono tipo 1200-1300.
Quindi è una fabbrica sindacalizzata?
Per il 50% , ma comunque dopo le ultime vicissitudini la vedo dura.
Quanti lavoratori ci sono dentro all’Ilva tra diretti e indiretti?
I diretti sono circa 11-12 mila, quelli degli appalti sono intorno ai 6-7 mila persone, e la maggior parte sono tutte ditte esterne non di Taranto, gli appalti vengono da fuori.
Che rapporto c’è tra gli operai esterni e interni?
Solidarietà più che altro, non siamo uno contro l’altro, assolutamente, anzi si socializza. Però loro fanno dei lavori diversi dai nostri; fanno la manutenzione più specializzata, più precisa, più tecnica. Ci sono delle ditte che vengono in prestazione per tre mesi, ci sono soprattutto lavoratori precari nelle ditte di appalto. Sono assunti dalle agenzie interinali; quelle se non ti comporti bene il contratto non te lo rinnovano mica.
Mentre in Ilva qual è il rapporto fra precari e stabili?
Nel reparto in cui siamo noi ce ne stanno 4 su 200 persone, non è una cifra alta. Dall’azienda non viene assunto più nessuno. Le assunzioni sono terminate già da un pezzo, anzi adesso la gente che va via per l’amianto non viene rimpiazzata, la gente che va in pensione non viene rimpiazzata. Adesso con dodicimila persone si fa il doppio della produzione rispetto ai 40 mila dipendenti che c’erano alla metà degli anni Novanta, quando era dello Stato, prima che arrivasse Riva, e si chiamava Italsider.
Com’è andata quando siete ritornati in fabbrica dopo lo sciopero, dopo il botto?
Io ti posso dire la mia esperienza personale. A me si sono avvicinate tante persone, tantissimi lavoratori che mi hanno detto bravo avete fatto bene, finalmente, e sono per la gran parte del luogo che hanno le famiglie che respirano questi veleni, ma ci sono anche tanti non del luogo e hanno capito che non possono essere così egoisti da pensare che pur di lavorare si possa sacrificare una comunità come quella di Taranto. Ci sono delle persone che ragionano in un certo modo e ci sono delle persone che sono chiuse dentro la loro voglia di preservare il posto di lavoro a qualsiasi costo, anche sapendo e vedendo i veleni che noi per primi respiriamo. Noi li conosciamo questi veleni.
Tutti gli operai secondo te sono consapevoli della questione ambientale? Lo erano anche cinque anni fa?
Chi vive quegli impianti è impossibile che non si accorga dei veleni che ci sono. Là basta che passa una macchina che si alzano i veleni. La questione è che non c’erano alternative. Un sindacato che non risultava, un’azienda che li sfrutta, una città che non ti offre alternative, cosa devi pensare? Tanto che stai almeno ci lavoro, almeno porto lo stipendio a casa. Se ci fosse alternativa chi lavorerebbe in quella fabbrica? Domandalo a uno qualsiasi di quei 12.000. Ecco perché ti parlavo di quella condizione a cui siamo stati sottoposti meschinamente.
Tu stai parlando quindi di una solitudine operaia, di un isolamento, un posto dove ognuno deve pensare a se stesso e basta.
Ti faccio un esempio. Il sindacato dice di tenerci all’ambiente e alla sicurezza. Io sto in quella fabbrica da quasi 15 anni, non è mai stato fatto uno sciopero sull’ambiente e sulla sicurezza, mai. Si fanno scioperi nazionali e scioperi per i morti. Scioperi per la sicurezza, per i diritti dei lavoratori, in quella fabbrica ci sono chiare mancanze! Perché non si è mai fatta nemmeno un’ora di sciopero. Noi quando stavamo nel sindacato abbiamo fatto le denunce alla magistratura, alla procura della repubblica, all’Asl abbiamo fatto fermare convertitori, abbiamo fatto mettere sotto sequestro gli impianti, noi l’abbiamo fatto. Io Battista e anche [Francesco] Rizzo che eravamo i tre rompicoglioni. Stavamo nella Fiom, noi ci rivediamo ancora nei valori che rappresenta, ma la Fiom è fatta di uomini e gli uomini non sono quei valori per cui questa è la fine che abbiamo fatto.
Prima di questa vicenda, qual era il tasso di adesione agli scioperi?
Era molto basso, perché se tu devi fare uno sciopero nazionale o uno sciopero per qualsiasi altra cosa che non deriva da Taranto e sai che i tuoi diritti sono sempre calpestati, tanto vale che ti affidi all’azienda che continui a essere uno che almeno si fa lo straordinario, che può fare carriera e può avere il livello. Perché il livello non lo hai sulla professionalità, lo hai se non fai malattia, se non partecipi agli scioperi, lo fai se lecchi il culo, sono pochi che vanno avanti per meritocrazia.
 Chi riesce ad ottenere un posto di lavoro all’Ilva di solito lo tiene stretto?
Chi ottiene il lavoro a Taranto, all’Ilva, è disposto a rinunciare alla dignità, all’orgoglio, all’essere uomo perché in quella fabbrica ti annullano. Quella è una fabbrica di repressione, persecuzione, lo dimostra la palazzina LAF. Battista per esempio è un esiliato, lui sta fuori dalla fabbrica, è un indesiderato dall’azienda. Lui sta in una zona gestita dal sindacato; sta lì lui, seduto alla sua scrivania senza un bagno, non ha una mensa dove mangiare.
Gli operai che lavorano all’Ilva hanno qualche altro introito, hanno un secondo lavoro?
Ci sta chi viene dalla provincia che ha ancora la terra e magari durante il periodo di vendemmia prende le ferie. Però a Taranto dove vai? Potevi andare a pescare una volta, ma ora non ci sono alternative.
È tutta gente che proviene da famiglie in cui lavora solo una persona?
Nel mio caso io lavoro all’Ilva e mia moglie in un call center, però se tu ti compri una casa e paghi 700 euro di mutuo, quello che prende tua moglie se ne va per il mutuo, con quello che ti rimane devi pagare tutto il resto. Io mi ritengo fortunato ma c’è gente che deve andare avanti con 1300 euro al mese, ecco perché è importante tenersi il posto di lavoro a costo di qualsiasi cosa, perché se esci dall’Ilva non c’è nulla, perché qualcuno ha deciso così. C’è da dire che anche la politica tarantina non dà alternative; anche i giovani che non vogliono andare a lavorare all’Ilva non possono. Se io ad esempio mi invento un lavoro come ambulante e vorrei un posto, e sono disposto a pagare anche la luce e il suolo pubblico, non mi danno la possibilità perché non c’è niente che regoli il livello economico di Taranto. Qui non creano proprio l’alternativa e se ti crei qualcosa ti mettono i bastoni tra le ruote perché non vogliono che tu sviluppi il tuo cervello e trovare alternative a quello che tu hai. Quelli che non lavorano all’Ilva come i mitilicoltori, o gli allevatori sono stati distrutti dall’Ilva stessa, e i lavoratori dell’Ilva pensano al loro lavoro e non pensano al lavoro che hanno perso gli allevatori, i mitilicoltori, i pescatori, di coloro che hanno deciso di non andare a lavorare all’Ilva. Tutti pensano che basta che ti trovi un lavoro sicuro con un posto a tempo indeterminato, ma oggi non esiste più il posto a tempo indeterminato. L’Ilva non assume più, e che facciamo? Che dobbiamo fare? Dobbiamo andare a rubare? Se qualcuno ha la voglia di cambiare la situazione non te la fanno cambiare, c’è sempre qualcuno che ti mette i bastoni tra le ruote. Come le denunce che ci hanno dato per i casi di piazza, perché abbiamo rovinato un’organizzazione sindacale, abbiamo rovinato una loro festa dove chiedevano e facevano pressioni alla magistratura per non far prendere delle decisioni pesanti anti-Riva. Come si fa un decreto legge in due giorni solo per Taranto? Un tavolo tecnico per Taranto?
Lo spezzone di 500 persone come era composto?
C’erano precari, disoccupati, studenti. I precari sono di vari settori o nei meccanismi dell’ illegalità. Parliamo anche di persone che fanno dell’illegale, diciamo le cose con molta chiarezza, è evidente. Ti faccio un esempio, è notizia di qualche giorno fa che due padri di famiglia di una cooperativa di mitilicoltori si sono visti distrutti tonnellate e tonnellate di cozze e dopo manco una settimana sono stati trovati a rubare. Ma qui è la normalità. L’illegalità è normale. Quando parliamo di precariato qui parliamo dell’arte dell’arrangiarsi! L’arte dell’alzarsi la mattina e dire oggi vado a rubare per esempio il rame rosso e me lo vado a vendere. Si va anche alla discarica dell’Ilva che butta del materiale di risulta delle colate e alcuni ragazzi vanno a raccogliere quello che rimane dei pezzi di ferro e poi lo vanno a vendere. Molti vengono fermati e denunciati, chi ha tentato di coltivarsi un pezzettino di terra per poi vendere quello che ha prodotto in mezzo alla strada non gli viene permesso. Qui ti fanno 5000 euro di verbale per non aver chiesto permessi o autorizzazioni che costano parecchi soldi. Qui non danno la possibilità di alzare la testa! C’è un grosso lavoro a nero sommerso soprattutto nei servizi, parliamo di gente che lavora due ore al giorno, ma non ragazzini padri e nonni. Questa è la realtà nei grandi enti tipo l’Arsenale, l’ospedale dove si lavora nelle ditte di pulizia.
Da qua si è emigrato spesso, una parte di questa parte di operai che lavorano all’Ilva sono emigrati prima di entrare?
No, a Taranto nei tempi d’oro c’erano 335 mila abitanti. Da quando si è passati da 40.000 a 12.000 lavoratori il tasso di disoccupazione è diventato altissimo. E molti sono andati via da Taranto e oggi in città siamo 175.000.
L’Ilva storicamente è stato un blocco dell’emigrazione, addirittura di immigrazione, oggi qual è lo stato d’animo tra i lavoratori, la spinta a emigrare sta aumentando?
I tarantini vogliono tornare a essere padroni del proprio territorio, e quindi del proprio destino. Noi vogliamo un’economia diversa non una città industriale.

venerdì 10 agosto 2012

oltre al danno anche le beffe: Buone vacanze dal Ministro dellIstruzione, dellUniversità e della Ricerca, Francesco Profumo

E' appena arrivata questa email del ministro Profumo, un primo sintetico commento potrebbe essere: oltre al danno anche le beffe.

Nonostante la canicola agostana si impone però qualche commento in più della sgradita email grondante di retorica gratuita e melensa, con vari richiami a quella comunità (educativa) che il DDL 953 (la legge Aprea) appena calendarizzato dalla VII commissione della Camera vorrebbe disarticolare.
I riferimenti culturali e gli accadimenti nel mondo della scuola cui il ministro Profumo fa riferimento sono due:
·         il 150° anniversario dell’unità (e ti pareva...gli ultimi fuochi d'artificio da spendere per questo evento/bufala, patriottardo e vuoto che comunque riguardava il primo trimestre dell’a.s.)
·         l'attentato alla scuola di Brindisi, che prima è stato usato strumentalmente per unire a coorte (dell'obbligatorietà della studio di quel tristo motivetto dell'inno di Mameli andrebbe fatto un discorso a parte) la scuola col nemico interno della criminalità organizzata, poi, una volta derubricata la cosa ad attentato-Ikea  (bomba fatta in casa) continua ad essere usato in maniera cinica ma si sa è sempre utile pescare nel torbido della lacrima facile per le giovini vite spezzate (e molto di tendenza e giovanilistico è il chiamare la vittima per nome...)
I richiami all’ammodernamento del sistema scolastico ed universitario sono diversi e non si capisce di cosa si parli, ma l’appello alle “risorse interiori”, alla “generosa disponibilità” e ai “grandi slanci” non costano nulla e stendono un velo pietoso ai tagli alle risorse ed al personale che continuano la macelleria sociale della Gelmini.
Ancora più triste la lista della spesa finale, se dobbiamo fare il bilancio di questo anno scolastico (il tutto, ancora una volta a costo zero…):
·         Il ministro parla vagamente della modernizzazione della maturità (che da anni è esame di Stato, sarebbe il caso di avvisarlo..) e non si riesce a capire quale orgoglio di essere italiani si sia generato in centinaia di migliaia di persone (sic) per il fatto che i plichi sono stati inviati (con qualche casino, ma tant’è..) online
·         Profumo passa poi al programma “temerario” per la ripresa autunnale ma non si capisce a cosa si riferisca. Sembra più che altro una minaccia, visto che il resto si compone di parole in libertà costruite intorno al concetto-feticcio di dematerializzazione. Quelli che si dematerializzano da anni sono le decine di migliaia di cattedre per i precari e i posti di lavoro per gli ATA. Invece il ministro fa riferimento all’ aggiornamento del sito Universitaly (o yeah) e di quello della scuola, “arricchito di nuove informazioni”. Punto.
Poi in un contesto così pesante di crisi economica, occupazionale, di tagli e  disoccupazione giovanile in aumento esponenziale arriviamo al ridicolo: “Saranno anche disponibili dati sul mercato del lavoro ed in particolare sulla domanda della aziende in modo da collegare meglio formazione e lavoro”.
Un accenno all’unico ambiente che verrà tutelato: quello virtuale, che ancora è a costo zero (o quasi). Non gli ambienti/edifici scolastici ridotti in condizioni semplicemente pietose (nonché  criminalmente pericolose come vediamo dalle indagini sul territorio nazionale e come ci ha ricordato il terremoto in Emilia o la tragedia di San Giuliano). Molto meglio parlare di “nuvola scolastica” (strano non abbia usato cloud, che fa più figo), così vicina al polverone retorico da due soldi costituito dalla missiva ministeriale.
Conclude con il ripetuto richiamo ad un nuovo concorso per i docenti: sono mesi che lo ripete senza che nulla si veda all’orizzonte, parlare di “programmare molto presto un concorso per insegnanti” non costa un eurocent e fa sperare tanti, non sicuramente quei precari storici che da anni mandano avanti la scuola e avrebbero voluto qualcosa in più delle assunzioni appena realizzate, sempre inferiori ai pensionamenti. Per non dire nulla degli ATA che non hanno avuto neppure questa “concessione” (il lavoro, come ci ha spiegato la Fornero non è più un diritto).
Vorremmo domandare -visto che i tagli alle cattedre continuano in sintonia con la “riforma “ Gelmini- cosa pensa di fare il ministro con i precari storici, ormai su con gli anni. Oppure ancora peggio con quella categoria da rottamare (per lorsignori) dei docenti inidonei, in lotta da settimane per la loro dignità ed i loro diritti.
Di questo neanche una parola, il richiamo finale, dovuto forse ad un colpo di sole è di unirsi tutti per l’ammodernamento, per primeggiare in Europa e nel mondo. Senza una parola ad investimenti o assunzioni, come è accaduto nella vicina Francia, ma solo appellandosi all’unità, della serie volere è potere.
Noi vorremmo capire il rapporto c’è tra queste parole e la realtà, per esempio la“fuga dei cervelli”, degli universitari, dei ricercatori che non trovano né le risorse, né le condizioni, né gli investimenti per poter non tanto primeggiare nel mondo ma più semplicemente fare ricerca o sopravvivere.
 Avremmo preferito un decoroso silenzio a questa valanga di stronzate, ma come insegna il Preside Monti, oltre che massacrare le pensioni, i diritti dei lavoratori, l’articolo 18 continuando con i tagli lineari (chiamandoli  però spending rewiew), la precarizzazione del mercato del lavoro e delle vite bisogna fare la lezioncina. L’Europa ce lo chiede. Come dicevamo all’inizio: oltre il danno, anche le beffe.
franco coppoli

----- Messaggio inoltrato -----
Da: "noreply@istruzione.it"
A: comunicazioni.docenti@istruzione.it
Inviato: Venerdì 10 Agosto 2012 15:25
Oggetto: Buone vacanze dal Ministro dellIstruzione, dellUniversità e della Ricerca, Francesco Profumo
Cari studenti,
cari insegnanti e professori,
cari ricercatori, cari genitori,
cari impiegati del personale amministrativo, tecnico e ausiliario,
cari dirigenti.
Prima della breve pausa estiva desidero condividere con voi alcune riflessioni su questi mesi passati, così densi di impegno e di duro lavoro quotidiano per la salute e l’ammodernamento del nostro sistema formativo e della ricerca, così come su quelli che ci aspettano alla ripresa autunnale, che saranno senz’altro intensi ma che possono nondimeno, se tutto il nostro sforzo sarà collettivo, rivelarsi perfino entusiasmanti.
In questi mesi ho infatti potuto toccare con mano la forza di questa grande comunità, il suo grande giacimento di risorse interiori fatte di generose disponibilità e di grandi slanci, la sua capacità di contribuire in modo determinante alla formazione dell’identità nazionale. Ricordo in particolare due momenti tra i tanti importanti: il centocinquantenario dell’unità nazionale, dove la scuola italiana ha mostrato la sua centralità anche nelle celebrazioni, e i tragici fatti dell’attentato alla scuola Falcone-Morvillo di Brindisi, dove la giovane vita di Melissa è stata innaturalmente stroncata e altre fra le sue compagne hanno sofferto e stanno ancora soffrendo. L’unità che il Paese ha potuto sperimentare in quei momenti costituisce al contempo un monito per i suoi detrattori e una ricchezza per tutti noi, anche se il mio pensiero non cessa di andare a chi ha visto la sua vita sconvolta in un luogo che dovrebbe essere di serenità e di impegno verso il futuro.
Ed è al futuro che voglio dunque invitarvi a guardare, oggi nel momento del riposo come domani in quello della ripresa. Tutto il ministero, a cominciare dai direttori e dai dirigenti impegnati negli uffici centrali e periferici, così come con eguale convinzione e sforzo tutti i funzionari e i lavoratori che collaborano con la nostra azione, è infatti dentro questo sforzo da molti mesi. Lo dimostra il successo avuto per esempio dalla modernizzazione delle procedure per la maturità, che per un momento hanno unito nell’orgoglio di essere italiani e parte del mondo della scuola centinaia di migliaia di persone. A tutti voi va la mia personale gratitudine ed un augurio di serene festività, oltre che il ringraziamento dell’Italia.
La ripresa autunnale non sarà del resto priva di sfide. Il nostro programma di azione nei prossimi mesi è quasi temerario, se si pensa alle fragilità del nostro Paese. Eppure sono certo che esso è alla nostra portata. Troppo spesso infatti le fragilità italiane sono invocate come alibi e non, invece, usate come stimolo a fare di più e con maggior impegno. E’ nella storia del nostro Paese sia la prima sia la seconda possibilità. Noi scegliamo la seconda!
Del resto, non partiamo da zero. Alcune azioni sono state già impostate. Per esempio, il nuovo sito Universitaly, che mette a disposizione le informazioni sempre aggiornate su tutti i percorsi di studio in Italia. Così come il sito  Scuola in chiaro arricchito di nuove informazioni. Saranno anche disponibili dati sul mercato del lavoro ed in particolare sulla domanda delle aziende in modo da collegare meglio formazione e lavoro. Una accelerazione importante avrà anche il piano di innovazione digitale nella scuola, che vedrà anche un primo passo verso la costruzione di un ambiente assai ambizioso e innovativo: una “nuvola della scuola”. Un ambiente non solo di contenuti digitali ma anche di spazi personali e sociali.
Il processo di innovazione vedrà poi un deciso impulso alla “dematerializzazione” dei processi, eliminando progressivamente la carta e facilitando in questo modo le iscrizioni, che dal prossimo anno si faranno solo online, così come tutti i processi amministrativi, l’archiviazione e la gestione documentale delle scuole e di tutto il Ministero.
Lo possiamo progettare e fare perché i lavoratori pubblici sono una risorsa preziosa del paese e non certo un ramo secco da tagliare, capace – spesso in condizioni di lavoro assai difficili - di grande spirito di servizio e perfino di sacrificio. Per questo ho deciso di programmare molto presto un nuovo concorso per insegnanti: perché è giusto ed anzi necessario per la salute di tutto il sistema formativo che anche le generazioni più giovani possano dare il loro insostituibile ed originale apporto alla formazione dei futuri italiani. Una scelta che ha molto pesato nella mia decisione di sbloccare il sistema di reclutamento anche nel sistema universitario, con il varo qualche settimana fa dell’abilitazione nazionale. Insomma, stiamo lavorando ad una scuola e ad un sistema di formazione e di ricerca al passo con i tempi e capace di primeggiare in Europa e nel mondo, non solo come già accade per casi individuali ma anche per la complessiva forza stessa del sistema.
Si tratta di una sfida ardua ma alla nostra portata. Perché quando siamo capaci di unirci  siamo davvero un grande paese. E allora nulla ci è precluso.
Buone ferie
Francesco Profumo