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lunedì 10 settembre 2012

Dove sta andando la scuola Alcune riflessioni per una mobilitazione contro l'espropriazione della democrazia anche nella scuola.

Dall'estate scorsa, dalla famosa lettera di   intenti inviata dalla BCE all'annaspante Governo   Berlusconi, è sotto gli occhi di tutti il   crollo, anche formale, del rapporto democratico   tra cittadini, gruppi sociali, classi e Stati   che stava alla base della convivenza sociale,   registrato nelle Costituzioni dei Paesi europei,   nei Trattati, in quello stesso adottato per la   Costituzione Europea: la politica economica   della Crisi ha macinato la formalizzazione dei   rapporti di forza determinatisi nella seconda   meta del secolo scorso e sta ponendo le basi per   dei nuovi Contenitori strutturali nazionali ed   internazionali.    Se consideriamo questo come l'orizzonte sociale   ed istituzionale entro cui ci muoviamo e si   vanno assestando gli ambiti, gli attori sociali   ed istituzionali, possiamo cogliere più   agevolmente quanto profondo e radicato nel tempo   sia il progetto di trasformazione e di   involuzione della democrazia anche nella scuola.    La ricaduta normativa dei movimenti di lotta e   culturali degli anni 60 produsse una virata   nell'istituzione scolastica italiana   introducendo, a partire dal 1973 un insieme di 6   leggi che vanno sotto il nome di Decreti   Delegati: questi hanno messo nell'angolo la   vecchia scuola autoritaria e segnato l'ingresso   della democrazia, della cooperazione, della   compartecipazione e della sperimentazione nella   nostra scuola. In vero la parte radicale dei   movimenti li ha fortemente contestati   individuando in essi il tentativo istituzionale   [allora] di ingabbiare, di svuotare, di   stravolgere la spinta destrutturatrice delle   lotte studentesche, ma, ciò non di meno, i   Decreti Delegati hanno impresso una svolta che   ha segnato in profondità il cambiamento nel fare   scuola con la presenza degli Organi Collegiali   attraverso cui è passata una buona parte della   decisionalità nella gestione del sistema   scolastico periferico. Questa, peraltro, è   l'accusa sottesa agli insegnanti e più in   generale alla scuola di sessantottina memoria   contro cui si sono scagliati i ministri Moratti   e Gelmini, con il codazzo di giornalisti,   giornali e metre a pensè di tutti gli   orientamenti politici.    E' stato il ministro dell'istruzione Luigi   Berlinguer del 1° governo Prodi nel lontano 1996   a prendere la scuola pubblica per le corna,   dando l'avvio a quel processo di trasformazione   strutturale che aveva ed ha come obiettivo la   mutazione antropologica dello studente -   cittadino in cliente - utente di un servizio   erogato secondo i principi aziendali e   privatistici con la finalità di ottenere un   prodotto finito [lo studente - addestrato]   capace di essere duttile e flessibile, al passo   con le esigenze della produzione nell'epoca del   just in time, superando d'un balzo le   peculiarità del sistema educativo italiano.    Berlinguer fu dimesso da ministro dalla rivolta   degli insegnanti contro l'introduzione della   gerarchia/meritocrazia nella professione docente   [forse per l'ultima volta nella scuola   l'egualitarismo è stato il collante di una lotta   vincente] ma la filosofia che sottendeva la sua   riforma della scuola aveva già messo forti   radici capaci di svilupparsi rizomaticamente   fino a produrre, pur con resistenze e momenti di   lotta importanti, quei cambiamenti che si era   prefissata.    La trasformazione è stata imposta a forza di   decreti legge e legislativi, modificando i cicli   scolastici, le discipline d'insegnamento, i   tempi d'apprendimento, le modalità di verifica   degli apprendimento, il tutto forzato e   giustificato dalle direttive europee, dal   progressivo decadimento del successo scolastico   anche in riferimento agli standard europei ed   internazionali. La progressiva introduzione   dell'INVALSI, quale strumento di rilevazione e   misurazione delle conoscenze e competenze ha   segnato la determinata volontà di, appunto,   destrutturare tutto il peculiare percorso   formativo italiano per ricondurlo dentro gli   alvei delle esigenze e delle compatibilità   proprie del contemporaneo modo di produzione. In   questo quadro la recentissima legge 953 [ex   Aprea], licenziata alla Camera, e presto al   Senato, con parere favorevole di tutti gli   schieramenti parlamentari, vuole segnare un   punto di non ritorno nella struttura del sistema   scolastico italiano, con una   istituzionalizzazione della privatizzazione   oltre che nella gestione delle scuole con la   soppressione degli Organi Collegiali   compartecipati anche nelle pratiche didattiche.    Lo stesso Concorsone, proposto quale risoluzione   del reclutamento dei nuovi insegnanti, venduto   quale soluzione del precariato nella scuola e   del suo svecchiamento, contro il quale si   stanno, giustamente, mobilitando le varie   stratificazioni storiche dei precari della   scuola, rappresenta un ritorno al futuro. Nel   senso che viene ripescato un vecchio strumento,   il concorso, per funzionalizzarlo alla nuova   scuola rimodellata da un comando centralistico   senza precedenti, dove sia i soggetti [gli   insegnanti] che l'oggetto [la didattica e   contenuti della stessa] sono passati al setaccio   di un Miniculpop statalista che comprime   democrazia e cooperazione didattica,   decisionalità e compartecipazione periferica,   egualitarismo e contrattazione, facendo a pezzi   ogni residua velleitaria idea autonomistica   della scuola.    Beppi Zambon Adl-Cobas  

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