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martedì 22 gennaio 2013

Al funerale di Gallinari la generazione «più infelice e più cara»


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Hanno detto di lui che era un rivoluzionario d'altri tempi. Per via della continuità con la tradizione comunista insurrezionalista, coltivata a Reggio Emilia, la sua città (però lui abitava nel contado). Hanno detto che era stalinista e che non avrebbe esitato a far fuori un sovversivo tipo '77, presumibilmente «creativo» e fricchettone oppure sostenitore dell'operaio sociale e del non-lavoro, se gliel'avessero chiesto. Sicuri? Qualcuno davvero gli ha fatto domande su questi argomenti, prima, durante e dopo la sua avventura con le Br? Soprattutto durante. Perché è innegabile la sua crescita politica all'ombra delle grandi narrazioni resistenziali e comuniste, ma è anche innegabile il suo ingresso nella lotta rivoluzionaria armata nel crogiuolo delle nuove lotte e delle nuove culture sessantottesche e oltre.
Prospero Gallinari deve aver contattato tanti generi di persone dopo il '68. E quel che è certo è che senza la grande ondata di quegli anni, senza le sfaccettature, con tante impronte libertarie ben visibili, di quegli anni, non gli sarebbe venuto in mente di colpire, armi in pugno, il «cuore dello stato». Adesso è qui, in una bara avvolta in un drappo rosso con falce e martello. Tra qualche giorno sarà in un'urna di ceneri che non saranno disperse al vento come quelle del padre dell'operaio edile di Riff Raff di Ken Loach, ma tumulate nella tomba di famiglia. Nel cimitero di Coviolo, frazione di Reggio, il rito dell'ultimo saluto è sì, forse, di quelli d'altri tempi. Come quando si accompagnavano i morti di Reggio Emilia nel 1960, quelli che Fausto Amodei chiamava a «uscire dalla fossa», e i morti giovani, di anni dopo, gli anni dell'Orda d'oro, come l'hanno intitolata Nanni Balestrini e Primo Moroni, studenti del Ms come Roberto Franceschi, anarchici come Franco Serantini. Saluto a pugno chiuso. Ebbene sì. Si può persino essere imbarazzati, si può pensare che va evitata ogni retorica. Ma volevate non esserci a questo funerale di un combattente per la rivoluzione? Volevate risparmiare quelle lacrime che inevitabilmente a un certo punto vi scendono lungo le gote? Succede, per esempio, quando uno dei suoi compagni legge un ricordo collettivo: «... ti rasserenava al termine di ogni discussione... la sensazione di aver ricevuto qualcosa e la convinzione che il Gallo avesse preso qualcosa...». È un convegno brigatista questa cerimonia così fervida e così laica? Ce ne sono tanti dei compagni d'arme (e stavolta non è un modo di dire) di Gallinari, anche quelli che si trovarono in dissenso con lui. Curcio, Balzerani, Senzani, Fiore, Seghetti. Storie e destini diversi dai suoi, qualcuno più tormentato rispetto a lui che, semplicemente, nel 1988 aveva firmato un documento in cui si riconosceva finita e sconfitta la lotta armata. E dopo aveva vissuto sereno, per quel che può esserlo un uomo mitragliato alla testa e scampato a vari infarti. Ma c'è tanta gente qui al cimitero di Coviolo. Almeno un migliaio di persone. Non tutti ex brigatisti. Ci sono vecchi e giovani, amici del posto, ragazzi dei centri sociali, militanti della sinistra senza paraocchi venuti da vicino e da lontano. Solo un piccolo striscione rosso: «La rivoluzione è un fiore che non muore». Clima teso, tremendo, come in Germania in autunno, ultimo episodio di quel film a dieci firme, Fassbinder, SchlSchlöndorff, Kluge, Reitz tra gli altri, i funerali di Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Irmgard Möller, i tre «suicidi» di Stammeim? Ma no. Gli agenti della Digos si tengono a distanza, gironzolano, occhieggiano. Gli amici e i compagni di Prospero si raccolgono tranquilli e commossi a commemorarlo. Ognuno a modo suo, chi in forma epigrammatica chi con piccoli comizi. Tonino Paroli: «Non chiamateci terroristi, non lo siamo mai stati». Oreste Scalzone: «Prospero sentiva l'appartenenza ma non come un Rodomonte». Sante Notarnicola: «Vorrei ricordare la generazione degli anni '50 e '60, la più pura, la più infelice, la più cara». Facce segnate dal tempo e da delusioni cocenti? Se si vuole, sì. Ma dove non si trovano in giro per le città? Per un amore perduto, per un flirt finito male. E la rivoluzione è un amore grande, un flirt potentissimo. Sempre a cercare, noi, che finisca meglio. Mario Gamba il manifesto

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