di pAOLO persichetti
450 pagine per 18 euro. Ma più dell’insieme contano i dettagli. Ad esempio le due paginette, 441e 442, situate nei ringraziamenti. Qui l’autore è prodigo di riconoscimenti e gratitudine verso:
«L’Arma dei Carabinieri, la Polizia, la Guardia di Finanza, i Ros, i Gico, lo Sco, la Dia e la Dda di Roma, Napoli, Milano, Reggio Calabria, Catanzaro e tutte quelle che qui ho dimenticato, per avermi permesso di studiare, leggere e in alcuni casi vivere le loro inchieste e operazioni: Alga, Box, Caucedo, Crinime-Infinito, Decollo, Decollo bis, Decollo Ter, Decollo Money, Dinero, Dionisio, Due Torri Connection, Flowers 2, Galloway-Tiburon, Golden Jail, Gree Park, Igres, Magna Charta, Maleta 2006, Meta 2010, Notte Bianca, Overloading, Pollicino, Pret à Porter, Puma 2007, Revolution, Solare, Tamanaco, Tiro grosso, Wite 2007, Wite City.
Ringrazio la Dea, l’Fbi, l’Interpol, la Guardia Civil, i Mossos d’Esquadra, Scotland Yard, la Gerndarmerie Nationale francese, la Polícia Civil brasiliana, alcuni membri della Policía Federal messicana, alcuni membri della Policía Nacional de Colombia, alcuni membri della Policija Russa, che mi hanno accompagnato nelle loro inchieste e operazioni: Cabana, Cornestone, Dark Waters, Delfín Blanco, Leyneda, Limpieza, Millennium, Omni Presence, Padrino, Pier Pressure, Processo 8000, Project Colissée, Project Coronado, Russiagate, Reckoning, Relentles, SharQC 2009, Sword, Xcellerator.
Ringrazio tutti i pm, antimafia e non solo, con cui ho studiato e discusso in questi anni. Senza di loro non avrei potuto scoprire molte cose: Ilda Boccassini, Alessandra Dolci, Antonello Ardituro, Federico Cafiero De Raho, Raffaele Cantone, Baltasar Garzón, Nicola Gratteri, Luis Moreno Ocampo, Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino, Franco Roberti, Paolo Storari.
Ringrazio i vertici dell’Arma dei Carabinieri, il Comandante Generale Gallitelli, il Capo della Polizia di Stato Antonio Manganelli, e il Comandante Generale Capolupo della Guardia di Finanza. Ringrazio in particolare il Generale dei Carabinieri Gaetano Maruccia, il Comandante dei Ros Mario Parente, il Generale della GdF Giuseppe Bottillo, che hanno seguito la crescita di questo libro.
[...]
Ringrazio nell’Arma dei Carabinieri coloro che gestiscono la mia vita: il colonnello Gabriele Degrandi, il capitano Giuseppe Picozzi, il capitano Alessandro Faustini».
E bene, cosa c’è di nuovo? Qualcosa c’è. Quanto era già largamente percettibile in passato, seppur ancora in modo implicito nelle pieghe del discorso, ora è esposto in modo trasparente: Saviano ammette la sua natura di scrittore embedded.
Che cosa è uno scrittore embedded?
Il termine è divenuto d’uso corrente nel 2003 quando nel febbraio di quell’anno venne introdotta dal nuovo regolamento del Dipartimento della Difesa Usa, diffuso poco prima dello scoppio della guerra in Iraq, una nuova figura professionale: il giornalista arruolato dalle forze armate di una nazione per essere al loro fianco, in prima linea, a narrare cosa accade durante le azioni belliche. Il regolamento diceva: «Questi embedded media vivranno, lavoreranno, viaggeranno come parte delle unità in cui saranno inseriti per facilitare la copertura delle azioni delle forze di combattimento».
Questa innovazione è stata recepita dalla stragrande maggioranza degli eserciti mondiali, compreso quello italiano. Ovviamente l’intento che ha mosso gli Stati Maggiori delle forze militari non era certo quello di farsi democratici e trasparenti ma di riuscire in questo modo a governare il “Quarto potere”, imbrigliando l’informazione, controllandola e orientandola alla fonte, memori della guerra del Vietnam persa politicamente nelle retrovie, all’interno delle proprie frontiere a causa della circolazione di immagini sulla guerra troppo libere e anarchiche, che non nascondevano la sofferenza dei propri morti, i bombardamenti a tappeto delle città vietnamite, le stragi e le violenze gratuite inferte alla popolazione civile. Scene che avevano mobilitato l’opinione pubblica statunitense e mondiale creando una forte corrente pacifista.
Tutto ciò non avrebbe più dovuto ripetersi. La guerra doveva diventare asettica, pulita ed etica, i morti andavano nascosti dietro i cosiddetti “danni collaterali”, il flusso e il ritmo delle informazioni selezionato e ripulito. L’uso delle immagini, della parola e della scrittura trasformato in una nuova arma strategica. Per fare ciò andava creato un nuovo tipo di soldato: il giornalista embedded.
Il termine è divenuto d’uso corrente nel 2003 quando nel febbraio di quell’anno venne introdotta dal nuovo regolamento del Dipartimento della Difesa Usa, diffuso poco prima dello scoppio della guerra in Iraq, una nuova figura professionale: il giornalista arruolato dalle forze armate di una nazione per essere al loro fianco, in prima linea, a narrare cosa accade durante le azioni belliche. Il regolamento diceva: «Questi embedded media vivranno, lavoreranno, viaggeranno come parte delle unità in cui saranno inseriti per facilitare la copertura delle azioni delle forze di combattimento».
Questa innovazione è stata recepita dalla stragrande maggioranza degli eserciti mondiali, compreso quello italiano. Ovviamente l’intento che ha mosso gli Stati Maggiori delle forze militari non era certo quello di farsi democratici e trasparenti ma di riuscire in questo modo a governare il “Quarto potere”, imbrigliando l’informazione, controllandola e orientandola alla fonte, memori della guerra del Vietnam persa politicamente nelle retrovie, all’interno delle proprie frontiere a causa della circolazione di immagini sulla guerra troppo libere e anarchiche, che non nascondevano la sofferenza dei propri morti, i bombardamenti a tappeto delle città vietnamite, le stragi e le violenze gratuite inferte alla popolazione civile. Scene che avevano mobilitato l’opinione pubblica statunitense e mondiale creando una forte corrente pacifista.
Tutto ciò non avrebbe più dovuto ripetersi. La guerra doveva diventare asettica, pulita ed etica, i morti andavano nascosti dietro i cosiddetti “danni collaterali”, il flusso e il ritmo delle informazioni selezionato e ripulito. L’uso delle immagini, della parola e della scrittura trasformato in una nuova arma strategica. Per fare ciò andava creato un nuovo tipo di soldato: il giornalista embedded.
Saviano ha innovato ulteriormente questa figura professionale, diventando l’arruolato numero uno delle forze di polizia, degli apparati investigativi e inquirenti sul fronte interno della criminalità organizzata e dei narcotraffici. Una funzione intellettuale che appartiene alla particolare categoria degli imprenditori morali, al prototipo dei creatori di norme, come li ha descritti il sociologo Howard S. Becker che in Outsiders: costui «opera con un’etica assoluta: ciò che vede è veramente e totalmente malvagio senza nessuna riserva e qualsiasi mezzo per eliminarlo è giustificato. Il crociato è fervente e virtuoso, e spesso si considera più giusto e virtuoso degli altri».
Il dispositivo Saviano con le sue parole, i suoi libri, le sue prese di posizione, la sua semplice presenza, legittimate dalla postura cristica e l’interpretazione vittimistica del proprio ruolo, garantisce sulla verità morale, sempre più distante da quella storica. Una macchina da guerra mediatica messa a totale disposizione degli imprenditori delle emergenze, dei guerrieri delle battaglie giudiziarie contro il crimine. Il risultato è una trasfigurazione della lotta contro le organizzazioni criminali che rende mistica la legalità, edifica una forma di Stato etico che fa della soluzione giudiziario-militare predicata una medicina peggiore del male.
Tutto ciò era stato sempre negato da Saviano. Fino ad oggi.
Per aver sollevato, nel 2010, degli interrogativi «sul ruolo di amministratore della memoria dell’antimafia che a Saviano è stato attribuito da potenti gruppi editoriali» e sottolineato «L’inquietante livello di osmosi raggiunto con gli apparati inquirenti e d’investigazione, che l’hanno trasformato in una sorta di divulgatore ufficiale delle procure antimafia e di alcuni corpi di polizia, dovrebbe sollevare domande sulla sua funzione intellettuale e sulla sua reale capacità d’indipendenza critica», (vedi qui), sono stato querelato da Saviano e attaccato dalla Direzione del carcere (sono in regime di semilibertà).
Per aver sollevato, nel 2010, degli interrogativi «sul ruolo di amministratore della memoria dell’antimafia che a Saviano è stato attribuito da potenti gruppi editoriali» e sottolineato «L’inquietante livello di osmosi raggiunto con gli apparati inquirenti e d’investigazione, che l’hanno trasformato in una sorta di divulgatore ufficiale delle procure antimafia e di alcuni corpi di polizia, dovrebbe sollevare domande sulla sua funzione intellettuale e sulla sua reale capacità d’indipendenza critica», (vedi qui), sono stato querelato da Saviano e attaccato dalla Direzione del carcere (sono in regime di semilibertà).
Saviano poi ha perso. Le denuncia è stata archiviata (vedi qui). Forse la lezione gli è servita. La trasparenza è sempre un valore positivo, un atto di onestà. Saviano si è così deciso a fare un passo avanti contribuendo alla chiarezza sul proprio ruolo e sulla propria funzione intellettuale messa la servizio di alcuni apparati dello Stato.
Nessun commento:
Posta un commento