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lunedì 22 settembre 2014

Operazione Isis, l’obiettivo è la Cina

Stati uniti. Secondo una società collegata alla Cia, gli islamisti punterebbero al sud est asiatico
Musulmani indonesiani a Jakarta
Men­tre l’Isis dif­fonde attra­verso le com­pia­centi reti media­ti­che mon­diali le imma­gini della terza deca­pi­ta­zione di un cit­ta­dino occi­den­tale, suona un altro cam­pa­nello di allarme: dopo essersi dif­fuso in Siria e Iraq, l’Isis sta pene­trando nel Sud-Est asia­tico. Lo comu­nica la Muir Ana­ly­tics, società che for­ni­sce alle mul­ti­na­zio­nali «intel­li­gence con­tro ter­ro­ri­smo, vio­lenza poli­tica e insur­re­zione», facente parte dell’«indotto» della Cia in Vir­gi­nia, usata spesso dalla casa madre per dif­fon­dere «infor­ma­zioni» utili alle sue operazioni.
Campo in cui la Cia ha una con­so­li­data espe­rienza. Durante le ammi­ni­stra­zioni Car­ter e Rea­gan essa finan­ziò e adde­strò, tra­mite il ser­vi­zio segreto pachi­stano, circa 100mila muja­hed­din per com­bat­tere le forze sovie­ti­che in Afgha­ni­stan. Ope­ra­zione a cui par­te­cipò un ricco sau­dita, Osama bin Laden, arri­vato in Afgha­ni­stan nel 1980 con migliaia di com­bat­tenti reclu­tati nel suo paese e grossi finan­zia­menti. Finita la guerra nel 1989 con il ritiro delle truppe sovie­ti­che e l’occupazione di Kabul nel 1992 da parte dei muja­hed­din, le cui fazioni erano già in lotta l’una con l’altra, nac­que nel 1994 l’organizzazione dei tale­ban indot­tri­nati, adde­strati e armati in Paki­stan per con­qui­stare il potere in Afgha­ni­stan, con una ope­ra­zione taci­ta­mente appro­vata da Washington.
Nel 1998, in una inter­vi­sta a Le Nou­vel Obser­va­teur, Brze­zin­ski, già con­si­gliere per la sicu­rezza nazio­nale Usa, spiegò che il pre­si­dente Car­ter aveva fir­mato la diret­tiva per la for­ma­zione dei muja­hed­din non dopo ma prima dell’invasione sovie­tica dell’Afghanistan per «atti­rare i russi nella trap­pola afghana». Quando nell’intervista gli fu chie­sto se non si fosse pen­tito di ciò, rispose: «Che cosa era più impor­tante per la sto­ria del mondo? I tale­ban o il col­lasso dell’impero sovietico?».
Non ci sarebbe quindi da stu­pirsi se in futuro qual­che ex con­si­gliere di Obama ammet­tesse, a cose fatte, ciò di cui già oggi si hanno le prove, ossia che sono stati gli Usa a favo­rire la nascita dell’Isis, su un ter­reno sociale reso «fer­tile» dalle loro guerre, per lan­ciare la stra­te­gia il cui primo obiet­tivo è la com­pleta demo­li­zione della Siria, finora impe­dita dalla media­zione russa in cam­bio del disarmo chi­mico di Dama­sco, e la rioc­cu­pa­zione dell’Iraq che stava distac­can­dosi da Washing­ton e avvi­ci­nan­dosi a Pechino e Mosca.
Il patto di non-aggressione in Siria tra Isis e «ribelli mode­rati» è fun­zio­nale a tale stra­te­gia (v. sul mani­fe­sto del 10 set­tem­bre la foto dell’incontro, nel mag­gio 2013, tra il sena­tore Usa McCain e il capo dell’Isis facente parte dell’«Esercito siriano libero»). In tale qua­dro, l’allarme sulla pene­tra­zione dell’Isis nelle Filip­pine, in Indo­ne­sia, Malay­sia e altri paesi a ridosso della Cina – lan­ciato dalla Cia attra­verso una sua società di comodo – serve a giu­sti­fi­care la stra­te­gia già in atto, che vede gli Usa e i loro prin­ci­pali alleati con­cen­trare forze mili­tari nella regione Asia/Pacifico.
Là dove, avver­tiva il Pen­ta­gono nel 2001, «esi­ste la pos­si­bi­lità che emerga un rivale mili­tare con una for­mi­da­bile base di risorse, con capa­cità suf­fi­cienti a minac­ciare la sta­bi­lità di una regione cru­ciale per gli inte­ressi sta­tu­ni­tensi». La «pro­fe­zia» si è avve­rata, ma con una variante. La Cina viene temuta oggi a Washing­ton non tanto come potenza mili­tare (anche se non tra­scu­ra­bile), ma soprat­tutto come potenza eco­no­mica (al cui raf­for­za­mento con­tri­bui­scono le stesse mul­ti­na­zio­nali Usa fab­bri­cando molti loro pro­dotti in Cina). Ancora più temi­bile diventa la Cina per gli Usa in seguito a una serie di accordi eco­no­mici con la Rus­sia, che vani­fi­cano di fatto le san­zioni occi­den­tali con­tro Mosca, e con l’Iran (sem­pre nel mirino di Washing­ton), impor­tante for­ni­tore petro­li­fero della Cina.
Vi sono inol­tre segnali che la Cina e l’Iran siano dispo­ni­bili al pro­getto russo di de-dollarizzazione degli scambi com­mer­ciali, che sfer­re­rebbe un colpo mor­tale alla supre­ma­zia sta­tu­ni­tense. Da qui la stra­te­gia annun­ciata dal pre­si­dente Obama, basata sul prin­ci­pio (spie­gato dal New York Times) che, in Asia, «la potenza ame­ri­cana deve seguire i suoi inte­ressi eco­no­mici». Gli inte­ressi Usa che seguirà l’Italia par­te­ci­pando alla coa­li­zione inter­na­zio­nale a guida Usa «con­tro l’Isis».

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