UN UOMO SOLO AL COMANDO. Il filo conduttore del ddl Renzi sulla c.d.
Buona scuola è “rafforzare la funzione del Dirigente scolastico” (art. 2) che
diventa “responsabile (..) delle scelte didattiche, formative, della
valorizzazione delle risorse umane e del merito dei docenti” (art. 7). Spesso i
DS in questi anni si sono posti illegittimamente come superiori gerarchici
degli organi collegiali, con questo ddl
si sancisce la supremazia giuridica del DS anche in campo didattico e
formativo, fin qui di competenza esclusiva del collegio. Ciò conferma una
tesi storica dei Cobas: autonomia
significa strutturalmente aziendalizzazione e gerarchizzazione, con connessa
competizione delle scuole sul mercato, con buona pace di tutti quelli che
fantasticano su “un’altra autonomia
possibile”.
IL
PIANO TRIENNALE Prima di tutto il DS ha il potere-dovere di elaborare entro ottobre il Piano
triennale dell’offerta formativa, su cui Collegio e C. d’Istituto sono
solo “sentiti” (art.2). Quindi il potere
decisionale è di competenza esclusiva del DS. Sulla base di esso vengono assegnate
le risorse economiche (e non più sulla base di criteri oggettivi) e l’organico.
Il Piano dovrà contenere il fabbisogno
dell’organico dell’autonomia, articolato in posti comuni, posti di sostegno
e quelli per il “potenziamento dell’offerta formativa” (progetti vari,
supplenze ...), nonché il fabbisogno di infrastrutture e materiali. Su tale base i DS scelgono i docenti
dell’organico dell’autonomia (art.7) nell’ambito di albi territoriali
organizzati per gradi di istruzione, classi di concorso e le 3 tipologie di
posti di cui sopra.
Negli albi
confluiscono tutti i neo assunti, ma anche i docenti già di ruolo in mobilità,
quindi tutti quelli che fanno domanda di trasferimento o che sono dichiarati
soprannumerari a partire dall'a.s. 2015/2016. Inoltre, il DS potrà proporre
l’incarico anche a docenti di altre scuola in un’ottica di competizione tra le
scuole ad accaparrarsi docenti, magari offrendo premi di merito. Tutto questo non accadrà sulla base di
criteri oggettivi (anzianità di servizio, titoli, continuità di servizio), ma sulla base della valutazione
discrezionale del DS, che dovrà solo pubblicare criteri e motivazioni, che
potranno esser diversi da scuola a scuola. Tutti gli incarichi saranno triennali, per cui salta quella stabilità reale
del posto di lavoro in una determinata scuola che è anche il presupposto della
continuità didattica. Essendo l’incarico triennale, non è escluso che, in
caso di valutazione negativa, il DS
possa non rinnovare l’incarico, ricollocando il prof. bocciato negli albi territoriali, con una conseguente precarizzazione anche dei docenti c.d. di
ruolo. È un meccanismo molto simile
al c.d contratto a tutele crescenti del settore privato. Infine, in nome
della flessibilità, il DS potrà
scegliere anche docenti da destinare all’insegnamento di materie non comprese
nella classe di concorso, purché sia in possesso del relativo titolo di studio:
immaginiamo gli effetti sulla qualità dell’insegnamento, che d’altronde
deve diventare sempre più un’infarinatura general–generica. Sembra che la
destinazione all’insegnamento su posto comune o di sostegno o per il
potenziamento dell’offerta formativa verrà determinata al momento
dell’iscrizione all’albo, per cui i DS potranno scegliere i “propri” docenti
all’interno delle diverse sezioni, a seconda del proprio fabbisogno.
In questo modo per legge viene rivoltata completamente
una storica materia contrattuale, quale la mobilità, mettendo il prossimo CCNL
davanti al fatto compiuto. Tra l’altro il ddl ribadisce quanto già previsto dalla
Brunetta: le norme del ddl (sia
quelle immediatamente efficaci, sia quelle che rinviano a decreti legislativi) sono inderogabili dai contratti collettivi
e tutte le norme contrattuali in contrasto sono inefficaci a partire dalla
data di entrata in vigore della legge stessa. La chiamata nominativa, insieme ai premi ai “meritevoli” e ad altri
strumenti, mette il docente in una condizione di subordinazione nei confronti
del DS, che non riguarda più solo gli aspetti amministrativi, ma anche il campo
della didattica e della stessa valutazione, con una drastica riduzione della
libertà di insegnamento e del pluralismo che dovrebbe caratterizzare la scuola
pubblica prevista dalla Costituzione. Anche quel che resta di democrazia collegiale sarà seriamente
compromesso perché un docente sotto continuo controllo gerarchico si sentirà di
fatto meno libero di esercitare il proprio dissenso nell’ambito degli organi
collegiali.
Il ddl fa rientrare tra gli obiettivi del Piano anche
un obiettivo storico dei Cobas, la riduzione del numero di alunni per classe,
ma lo rimette alla discrezionalità del DS, che potrà operare solo nel rispetto dell’organico assegnato e delle risorse disponibili,
quindi se riduce in una classe dovrà aumentare in un’altra come chiarisce la
relazione tecnica.
Se effettivamente si vuole raggiungere
tale obiettivo tutti i neo assunti vanno utilizzati per l’insegnamento e non
per progetti deleteri e supplenze come prevede il ddl per ben 48.812 docenti,
riducendo il numero di alunni per classe per decreto, con norma generale e
astratta. Così, invece, il Grande
Imbonitore si impadronisce mediaticamente anche della parola d’ordine del
“no alle classi pollaio” ma con scarse modifiche reali.
Il Piano per le
superiori può prevedere, oltre alle ore curricolari, alle quote di autonomia e
flessibilità previste dalla riforma Gelmini, anche degli insegnamenti
opzionali ulteriori liberamente scelti dallo studente nell’ottica della
personalizzazione del curriculum. Quindi, anche su questo la decisione finale
spetta al DS.
Anche le esperienze di alternanza scuola
lavoro e l’attivazione dei contratti di apprendistato sono tra i
contenuti del Piano. A partire dalle
classi terze del 2015/2016, 400 ore per il triennio dei tecnici e professionali
e 200 per quello dei licei devono essere destinate alla formazione aziendale,
che può, ma non deve necessariamente,
essere svolta durante la sospensione delle lezioni, nonché con le modalità
dell’impresa simulata. Quindi
l’alternanza può essere sia sostitutiva che complementare alle ore di
insegnamento. Nel primo caso possiamo arrivare anche a 133 ore all’anno, cioè 4
a settimana, sottratte all’insegnamento. Anche nel caso di alternanza fatta
in orario extracurriculare, ma di pomeriggio
con le lezioni al mattino è evidente il possibile effetto negativo
sull’apprendimento, soprattutto se si segue una logica puramente sommatoria e
non funzionale al miglioramento del lavoro in classe, che dovrebbe essere il centro del fare scuola. Inoltre, già dal
secondo anno gli studenti di tutti gli indirizzi potranno svolgere formazione
aziendale tramite i contratti di apprendistato. Si tratta di due fondamentali strumenti di subordinazione degli
obiettivi didattici e culturali agli interessi imprenditoriali, su cui decide
in ultima istanza il DS, perché si tratta di materia di competenza del Piano
triennale.
È chiaro che gli studenti devono essere in grado di
inserirsi nel mondo del lavoro, ma
forniti di strumenti cognitivi che li
mettano in grado di capire in quale contesto si collocano, per chi si produce,
per quali scopi, in quale modo. La formazione aziendale si caratterizza nel
migliore dei casi per l’apprendimento rapido di nozioni o saper fare
decontestualizzati, da smettere rapidamente per acquisire altri saperi e saper
fare analoghi, come è tipico di una forza lavoro flessibile e precaria. La
formazione del cittadino e del lavoratore–cittadino prevista dalla scuola della
Costituzione si pone su un piano del tutto diverso. Poi, nel peggiore e più diffuso dei casi, la
formazione aziendale è lavoro gratuito o sottopagato, come nel caso degli
apprendisti che sono sotto inquadrati di due livelli. Invece fino ai 18 anni
bisognerebbe fare tutto il possibile per formare tutti gli studenti a scuola e
solo dopo deve partire la formazione in azienda.
Lo stato giuridico dei docenti viene modificato ope
legis anche con la formazione obbligatoria, ivi compresa
quella digitale e per la didattica laboratoriale (in cui di bel nuovo
possono entrare pesantemente le imprese
condizionando obiettivi didattici e contenuti). La relazione tecnica parla
di un format con 50 ore di formazione,
che comunque dovrà essere coerente con
il Piano triennale (deciso dal DS) e con il piano di miglioramento emerso dal
SNV, sostanzialmente incentrato sui risultati dei quiz Invalsi. È probabile che i risultati ai quiz siano
uno dei criteri di valutazione del merito dei docenti, anche questa
di esclusiva competenza del DS, che dovrà solo “sentire” il Consiglio
d’istituto. Si tratta di 200 milioni
all’anno dal 2016, da ripartire tra le scuole in proporzione all’organico, che
i DS potranno usare per premiare i migliori (il comunicato stampa del
governo parla di 5% dei docenti di ogni
scuola) in base alla “valutazione dell’attività didattica” con
riferimento “ai risultati ottenuti in termini di qualità dell’insegnamento,
di rendimento scolastico degli studenti [bisognerà alzare i voti e
praticare il 6 di mercato], di progettualità nella metodologia
didattica, di innovatività e contributo al miglioramento complessivo della
scuola” (art. 11). Quindi, la
valutazione tocca sia l’attività al di fuori della classe (il progettificio e
le attività funzionali all’insegnamento), sia quel che finora eravamo riusciti a
preservare: il lavoro in classe.
Lo scopo è scatenare la competizione e la concorrenza
individuale tra i docenti – come nelle aziende private - perché questo
migliorerebbe la qualità della scuola. Sia ben chiaro, tra i docenti, come tra
tutti gli esseri umani, esistono differenze, ma la domanda è: differenziare la
retribuzione, mettere in competizione i docenti tra di loro, gerarchizzarli,
selezionarli … migliora la qualità della scuola o la peggiora? La scuola ha bisogno di competizione o di
collegialità effettiva?
Qual è il primo
scenario che viene in mente sia per le scelte relative al merito che per quelle
relative all’organico? I DS sceglieranno
i più bravi in base a fattori lobbystici, tra quelli che sono a priori
d’accordo con loro, tra quelli che privilegiano la scuola dei progetti
dispersivi e autoreferenziali rispetto al lavoro in classe, tra i componenti
dello staff (i collaboratori salgono a 3, art. 7). Insomma, servilismo, clientelismo, approccio esecutivo saranno
premiati, mentre coloro che osano criticare il DS o semplicemente hanno
maggiore autonomia di giudizio saranno marginalizzati o addirittura non avranno
il rinnovo dell’incarico triennale? È uno scenario possibile, se non
probabile, ma scartiamolo e ipotizziamo lo scenario migliore.
Il DS sceglie
veramente i più bravi e magari anche i più bravi in classe e non solo nella
marea di progetti che producono dispersione scolastica e affliggono noi e gli
studenti. È prassi costante che nella scuola pubblica vi siano diverse idee
sulla programmazione didattica, sull’articolazione dei contenuti, sulle diverse
teorie o scuole di pensiero nell’ambito dei vari saperi disciplinari, sul
bisogno di semplificare l’approccio o di abituare alla complessità, sul ragionare
per modelli, magari alternativi tra di loro, sull’approccio induttivo o
deduttivo, sui criteri di valutazione.
Se il DS - che presiede gli scrutini, il Collegio
ed è membro del Consiglio d’istituto - deve
giudicare il lavoro di un docente è perlomeno possibile, se non probabile, che
una buona parte dei docenti assimilerà le idee, i criteri di valutazione di chi
dovrà giudicarli! Pensate, per esempio, al dibattito su darwinismo e
creazionismo oppure alla contrapposizione tra classici, marxisti, liberisti e
keynesiani in Economia politica. È chiaro che
l’effetto sarebbe una drastica riduzione del pluralismo, della democrazia e
della stessa libertà di insegnamento! Ma la Costituzione ha dato centralità alla scuola pubblica perché essa
garantisce il pluralismo, perché lo studente nel corso dei vari anni può venire
a contatto con diverse visioni dei vari saperi disciplinari, al contrario di
quello che accade nelle scuole di tendenza o peggio ancora nelle scuole di
mercato, che soddisfano i bisogni dei clienti vendendo titoli di studio e non
istruzione. È questa la ratio legis di quel “senza oneri per lo Stato”
dell’art. 33 che ha spinto la stragrande maggioranza degli studenti verso la
scuola pubblica. E meno pluralismo e
democrazia significa Cattiva e non Buona Scuola.
Anche la centralità dei quiz Invalsi nel meccanismo di
valutazione delle scuole, dei DS e, quindi, anche dei docenti costituisce un
fattore fortissimo di standardizzazione degli insegnamenti e di ulteriore
dequalificazione della scuola. È
uno strumento molto più efficace di qualsiasi imposizione normativa esplicita.
Ipotizziamo che un docente non abbia svolto un determinato argomento per scelta
didattica o per rispetto dei tempi diversi dei suoi studenti o che abbia
impostato diversamente la trattazione di quel tema, magari puntando più allo
sviluppo di capacità cognitive e spirito critico che all’acquisizione rapida di
nozioni decontestualizzate. Se i suoi studenti vanno male ai quiz e, quindi,
lui non accede al premio di merito o addirittura rischia di non vedersi
rinnovato l’incarico triennale, magari temendo che i suoi colleghi più invalsizzati di lui lo superino nella
valutazione del DS, egli inevitabilmente adatterà il suo percorso ai test,
indipendentemente da ogni altra considerazione. È il teaching to test che ha
già ampiamente rovinato le scuole inglesi e USA.
Le agevolazioni fiscali Le scuole-aziende dovranno competere sul mercato anche
a caccia di finanziamenti: le imprese
private, i genitori.. potranno destinare il 5 per mille anche alle scuole, sia
statali che paritarie. È facile immaginare che le scuole private imporranno
tale donazione per ridurre i costi delle iscrizioni. Nelle scuole pubbliche l’effetto sarà che quelle con studenti
provenienti da famiglie più ricche avranno più risorse rispetto alle scuole dei
poveri o degli immigrati: scuole di serie A e B anche dal punto di vista delle
risorse economiche, come è tipico del modello privatistico USA. Soprattutto
la dequalificazione della scuola pubblica dovrà servire a potenziare le scuole private, a cui vengono destinati altri 116 milioni
per il 2016 e successivamente 66,4 milioni annui, mediante detrazioni di imposta del 19 % delle
spese di iscrizione. Il massimale è di 400 € per il quale basta un prezzo di
iscrizione di 2100 €, per cui tutti gli iscritti alle private avranno questo
regalo, che si aggiunge ai 700 milioni di finanziamento diretto alle scuole.
Il Piano
straordinario di assunzioni Renzi ha chiarito più volte il nesso tra
aziendalizzazione della scuola e assunzioni, in una logica di scambio che
costituisce il motivo per cui ha posto il veto al decreto legge solo per le
assunzioni. Se il Parlamento non dovesse fare in tempo ad approvare il ddl si
assumerà la responsabilità di far saltare le assunzioni e/o legittimerà Renzi a
fare il DL, che comunque riguarderà tutto il pacchetto.
Ma è veramente
straordinario questo piano? L’annuncio
di settembre parlava di 148.000 assunzioni a settembre 2015, che comunque
lasciavano fuori almeno altrettanto precari, molti dei quali con più di 3 anni
di insegnamento.
Il ddl riduce le assunzioni a 100.701 (i 2/3 rispetto
alle promesse del Grande Imbonitore), in
relazione all’organico dell’autonomia
che dovrebbe essere definito entro il 30 maggio 2015. La relazione tecnica
prevede 52.889 su posti comune o di
sostegno e 48.812 per il potenziamento. I neoassunti saranno i vincitori di concorso del 2012 (non più anche
gli idonei) e gli iscritti alle GAE. Entrambi dovranno indicare le loro preferenze tra una serie di albi
territoriali, ma se non vi sono posti disponibili (come per es. per
Filosofia) non si procede all’assunzione. I
vincitori di concorso sceglieranno gli albi in ambito regionale nel limite del
50% dei posti disponibili; gli iscritti GaE in ambito provinciale sempre nel
limite del 50% dei posti; quelli che residuano verranno assunti nel limiti
dei posti vacanti a livello nazionale. Quindi, mobilità territoriale, ma anche professionale perché 48.812 neo assunti
andranno nella sezione degli albi
territoriali per il c.d. “potenziamento” dell’offerta formativa: progetti
vari, supplenze fino a 10 gg con la
possibilità di essere usati anche per diversi gradi d’istruzione presumibilmente negli Istituti
compresivi,in una perfetta logica da ”tappabuchi”. Ma attenzione: gli aspiranti all’assunzione indicano le
loro preferenze per gli albi territoriali; in base alla disponibilità di
posti riceveranno la proposta di assunzione (da accettare entro 10 gg; se
rifiutano non potranno essere destinatari di altre proposte), ma non
sceglieranno più la scuola, bensì saranno scelti dai DS! E per ridurre le
supplenze residue potranno essere scelti
anche per insegnamenti diversi da quelli inclusi nella classe di concorso,
purché abbiano il titolo di studio. E gli altri? Il comma 10 dell’art. 8 è
chiaro: dal 1° settembre 2015 le GaE e
le graduatorie dei concorsi perdono efficacia ai fini delle assunzioni! Come ha
detto l’uomo solo al comando (la
versione originale) “chi è dentro è
dentro e chi è fuori è fuori!”
Per chi è fuori vi sarà: - l’ennesimo concorso, unico strumento
dal 1° settembre 2015 per l’accesso ai ruoli e con validità solo per 3 anni; - ancora un po’ di precariato con le
supplenze residue (classi di concorso in cui vincitori e iscritti non sono
sufficienti come matematica) per gli
iscritti alla prima fascia delle graduatorie d’istituto, valide però solo fino
al 2016/2017; - o la disoccupazione!
E se tra gli esclusi vi sono precari con più di 36 mesi
di servizio? La Corte di Giustizia europea aveva lasciato aperta sia l’ipotesi
della stabilizzazione che quella del risarcimento del danno per abuso di
ricorso ai contratti a tempo determinato. Le prime sentenze dei giudici
nazionali hanno optato per la stabilizzazione. Ma l’art. 12 del ddl è chiaro: solo risarcimento, con lo
stanziamento di 10 milioni annui per il 2015 e il 2016. Al tempo stesso
il primo comma dello stesso art. 12
sancisce l’assoluta inderogabilità del limite dei 36 mesi anche non
continuativi per i contratti a tempo determinato per il personale della scuola.
Il che significa che, se non vieni assunto tramite concorso, dopo 3 anni di
supplenze il posto, che ti sarebbe spettato in base alle graduatorie residue,
lo daranno a qualcun altro. Di bel nuovo per chi è fuori non vi sarà neanche un lavoro precario, ma solo
disoccupazione!
Ma se non fanno i
bravi la disoccupazione è un rischio anche per i neoassunti. L’art. 9 prevede che i docenti in prova e
formazione per un anno non sono più sottoposti alla valutazione collegiale del
Comitato di valutazione, ma a quella del DS, che si deve limitare a basarsi
sull’istruttoria del tutor (che il sempre il Ds potrà scegliere se e quanto
retribuire) e ad acquisire il parere del Collegio e del Consiglio, tutti non
vincolanti. Un DM individuerà obiettivi della formazione, valutazione del grado
di raggiungimento, attività di formazione, criteri e modalità della
valutazione, anche con verifiche e ispezioni in classe: il DS onnipotente, oltre che podestà sarà anche un pò poliziotto! “In caso di valutazione
negativa il DS provvede alla dispensa dal servizio con effetto immediato, senza
obbligo di preavviso”: in pratica licenziamento in tronco!
Quindi, ricapitolando l’Uomo solo al comando: sceglie
i docenti che possono venire nella Sua scuola per l’incarico, che però è
solo triennale, con conseguente
ricattabilità del docente per mancato rinnovo; sceglie e retribuisce con il premio i più “bravi”; con il Piano
triennale decide gli insegnamenti opzionali,
le attività di alternanza scuola lavoro, i contratti di apprendistato e
l’organico dell’autonomia con la relativa differenziazione delle funzioni
(insegnamento o potenziamento dell’offerta formativa); può destinare il docente anche all’insegnamento di materie non comprese
nella classe di concorso; decide sulla riduzione del n. di alunni in alcune
classi e sull’incremento in altre; decide sulla formazione obbligatoria; può
licenziare in tronco alla fine dell’anno di prova.
COBAS DELLA SCUOLA -TERNI
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