Stavolta la Confindustria ha dato un “compito a casa” alla ministra
Giannini che da brava alunna scrive il suo compitino e la Confindustria lo
pubblica sul suo giornale.
Di sicuro la Confindustria ha gradito perché, anche se la ministra si
dimostra poco ferrata sulla sua riforma – ma non è grave, probabilmente gliel’ha
scritta qualcun altro – tanto da dimenticare che l’alternanza scuola lavoro è
400 ore nel triennio nei professionali e tecnici, per il resto l’alunna si
dimostra molto brava, ad es. nel fare le citazioni giuste, come l’esempio della
bottega rinascimentale, vero faro-guida per la scuola di oggi – esempio ripreso
pari-pari dal dossier della Confindustria sull’alternanza scuola-lavoro, ed è
brava anche nel toccare i tasti giusti, come la leccatina sul ruolo fondamentale
delle “multinazionali tascabili” italiane o ancora dove ricorda che il
miur su sta roba dell’alternanza ci sta mettendo tanti soldi (dieci volte di più
dell’anno scorso!)
A buon intenditor...
Silvana Vacirca FI
p.s. l’unica cosa che non si capisce è il titolo: che c’entra Pompei?
Nell’articolo non ce ne è traccia. Ma forse voleva dire che alla prossima
assemblea del personale, a tenere aperto il sito archeologico ci possono mandare
i ragazzi in alternanza scuola-lavoro. Poi il passo è breve: magari potrebbero
pure mandarli a tenere aperto quando scioperano i dipendenti.
Ecco l’articolo
Scuola-lavoro, il futuro di Pompei
Da quest’anno
la direzione cambia: la pratica diventa strumento di apprendimento e di
potenziamento delle competenze.
Non per
copiare la Germania, vorrei sottolineare, ma per copiare l’Italia che fu e
l’Italia che funziona: quella delle botteghe rinascimentali, quella
dell’innovazione diffusa delle nostre multinazionali tascabili, per cui vivere e
comprendere la bellezza e il lavoro che sta dietro di essa diventa un elemento
fondante del gusto, dello stile, della cultura italiana.
L’alternanza
supera culturalmente lo stage: propone una formazione congiunta che accade nella
realtà del lavoro. Rilancia, attraverso un attento processo di controlli,
verifiche, certificazioni elaborate da docenti e da tutor delle imprese, il
dinamismo laboratoriale, innovativo e creativo di una Scuola che torna ad essere
un’agenzia del territorio, il soggetto protagonista che sa orientare, che non
rincorre il lavoro, ma coglie e inventa nuove opportunità al lavoro
stesso.
È un progetto
strategico esecutivo e strutturale: dal 2016 il Miur investe sulle scuole in
alternanza 100 milioni di euro l’anno. Più di dieci volte l’anno scorso.
L’obiettivo primario è mettere lo studente al centro di processi curriculari e
disciplinari rigenerati da un’esperienza di formazione congiunta costruita
attraverso l’apertura della scuola al mondo esterno.
Una formazione
che riduce dispersione scolastica e favorisce non solo e non tanto la
professionalizzazione – i lavori che faranno i nostri figli tra dieci anni
ancora non esistono – ma anche le competenze trasversali, la creatività, l’etica
della responsabilità, il lavoro in gruppo. In una parola, diamo basi solide a un
nuovo protagonismo delle nuove generazioni.
Nel modello di
alternanza all’italiana che stiamo costruendo, il lavoro non diventa strumento
di apprendimento solo per i ragazzi dei tecnici e dei professionali, ma anche
per i loro colleghi che hanno scelto i licei. In questo caso la collaborazione
con gli enti locali, e con le istituzioni culturali del nostro Paese diventa
essenziale.
Un’istruzione
che miri ad una formazione critica, prammatica, processuale, di reale apertura
alle identità dei territori e al valore della cittadinanza attiva, trova nel
patrimonio culturale un’occasione di formazione essenziale. L’alternanza scuola
lavoro può essere lo strumento che sancisce l’alleanza tra istruzione e cultura.
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