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venerdì 30 ottobre 2015

Legge 107, mobilitiamoci per difendere la libertà d’insegnamento

la risposta a Marina è lo sciopero generale della scuola indetto il 13 novembre, con manifestazione nazionale a Roma. I cobas e l'autorganizzazione continuano le mobilitazioni e le lotte contro la malascuola della legge 107, i sindacati di stato, orfani della concertazione (per volontà governativa che l'ha superata nei rapporti di classe) stanno sbavando per un posto al tavolo delle trattative per frimare un suicida contratto normativo che fagociterà la legge 107 al suo interno.  I pompieri delle lotte vanno individuati nei 5 sindacati che da settembre stanno spegnendo qualsiasi forma di mobilitazione e lotta dei lavoratori della scuola, cercando in tutti i modi la collabozionee col governo amico per ottenere, come cagnolini scodinzolanti, un boccane lanciato dall'alto. Sindacati gialli che hano detreminato negli ultimi 20 anni, con la concertazione, le leggi antisciopero, l'attacco alle pensioni ed ai servizi, la precarizzazione del lavoro e delle vite e -come afferma Creemaschi che finalmente è uscito dalla CGIL (meglio tardi che mai)- lo scambio  tra i tagli ai diritti dei lavoratori vs privilegi per la casta sindacale. 
franco coppoli, cobas Terni
di Marina Boscaino,  MicroMega  26.10.2015.  
Siamo in una fase di grande incertezza e di posizionamenti complessi, in particolare nel mondo sindacale. Ci troviamo di fronte al silenzio pressoché totale delle associazioni e dei soggetti che potrebbero in qualche modo intervenire per sollevare le questioni relative ad un testo di legge – la 107/15, la sedicente “Buona Scuola” – imposto con il voto di fiducia contro un dissenso quasi totale. Siamo delusi dalla mancata promessa di un “Vietnam in ogni scuola” con l’inizio del nuovo anno scolastico, che ha fatto invece registrare cadute di tensione (e do attenzione) sul tema caldo dell’ultimo anno, la scuola.
Vediamo collegi dei docenti proni ed acquiescenti, sfiduciati o disorientati, che, essendo passata la legge, ritengono che la battaglia sia esaurita, dimenticando o addirittura ignorando il fatto che esistono ancora le armi (le “fatte salve” prerogative degli organi collegiali) per il contrasto e – ancora di più – le deleghe in bianco previste dalla legge al Governo, sulle quali si può e si deve intervenire.
E così navighiamo più o meno a vista di fronte ad alcune emergenze: il bonus per il presunto merito; la questione dell’accredito di 500 euro, gentile concessione del governo-padrone, che ricompensa con donazioni una tantum e non attraverso la norma contrattuale; l’elezione del Comitato di Valutazione, al momento la più urgente.
Il Comitato di Valutazione previsto dalla legge 107 è il frutto concreto della progressiva rivisitazione del testo originale (che prevedeva il totale arbitrio del dirigente nell’assegnare i fondi per il merito e pertanto la sua appropriazione delle principali prerogative degli organi collegiali), conseguente al montare del dissenso e della mobilitazione. Nei passaggi parlamentari che si sono susseguiti prima del voto di fiducia in Senato, il testo è così andato apparentemente “addolcendo” le sue iniziali asperità; queste modifiche non erano segnale di ascolto delle ragioni della scuola,  ma conferma della astuzia demagogica del premier e del suo staff: qualche leggera concessione ad una falsa democrazia per continuare ad andare avanti come treni.
Il Comitato di Valutazione, così come la legge 107 lo ha ridefinito, è presieduto dal dirigente e comprende 2 docenti scelti dal collegio, 1 docente, 1 genitore e 1 studente (alle superiori) nominati dal consiglio di Istituto e un funzionario inviato dall’Ufficio Scolastico Regionale. Le sue funzioni sono di diverso tipo perché riprendono anche le prerogative precedenti, come la valutazione dell’anno di prova dei docenti neoassunti; al netto della composizione, la fondamentale novità è il fatto che il Comitato deve definire i criteri sulla base dei quali il dirigente premierà con un bonus in denaro i docenti meritevoli.
La legge fissa alcune categorie generali, prevedendo che questo avvenga sulla base:
“a) della  qualità dell’insegnamento e del contributo  al miglioramento dell’istituzione scolastica, nonché del successo formativo e scolastico degli studenti;
b) dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche;
c) delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale”.
Riprendo rapidamente alcune considerazioni sulle quali mi sono soffermata diverse volte. È testimoniata l’assoluta inconsapevolezza da parte del Miur delle condizioni interne ai singoli istituti scolastici, a volte egemonizzati da un vero e proprio gruppo di potere, che agisce più o meno arbitrariamente, con atteggiamento proprietario, in palese violazione della dimensione collegiale, che determina in modo forzoso gli indirizzi della scuola e che può essere ulteriormente rafforzato da operazioni che classifichino il personale in “meritevole” e non.
È poi evidente l’irragionevolezza delle categorie proposte dalla norma. Un’impostazione qualitativa dei criteri di valutazione è opinabile di per sé: come si fa a valutare realmente la qualità dell’insegnamento? Un’impostazione quantitativa sarebbe ancora una volta mirata a premiare il volume di lavoro svolto, ma escluderebbe quello messo in atto in classe, determinando il concreto rischio che siano da considerare “meritevoli” i tanti interpreti di quel disorganico e spartitorio “progettificio” a cui è stato ridotto il POF in molte realtà. È giusto questo?
E quale destino aspetta il docente preparato sulla disciplina e abilissimo nell’instaurare relazioni educative significative, ma incapace di ossequiare il Capo e i suoi accoliti, di improntare eventualmente la didattica a precise direttive, di rinunciare a partecipare democraticamente e criticamente all’esercizio del proprio diritto di parola nelle sedi preposte? E, ancora, di respingere le ottime opportunità che il marketing configura per il mantenimento della scuola, a costo però della rinuncia al mandato che la Costituzione le affida, cioè di strumento di equità sociale e pari opportunità per i cittadini?
Insomma, da qualsiasi prospettiva lo si guardi, il Comitato di Valutazione – oltre tutto presieduto dal dirigente, ovvero da chi deve ricevere e impiegare i criteri per agire, in una paradossale configurazione di quel conflitto di interesse nelle istituzioni di cui il nostro Paese vanta un campionario ineguagliabile – si configura come uno strumento di aggressione intenzionale al principio alla libertà dell’insegnamento. Che non è un residuale privilegio di maestri e professori, ma un principio inserito dai Costituenti dopo la fine politica e la condanna morale del regime fascista a tutela dell’interesse generale, per garantire i giovani cittadini della Repubblica (e pertanto tutti i cittadini) contro ogni forma di pensiero unico e di indirizzo culturale autoritario, con il conseguente obbligo per ciascuna scuola di essere un’istituzione democratica, laica, pluralista, inclusiva.
Sul Comitato di Valutazione si sono già dette e scritte molte cose, anche in contraddizione le une con le altre, in conseguenza delle ambiguità del testo di legge.
Un tema che ha indubbiamente tenuto banco è stato se esso debba configurare o meno un collegio “perfetto”. Il quesito è se – per operare relativamente ad una delle sue funzioni, quella della determinazione dei criteri del merito – il Comitato abbia il vincolo della presenza di tutti i suoi componenti o possa invece operare anche solo con la presenza di alcuni di essi.
Sulla prima ipotesi, con argomentazioni anche molto convincenti, si sono attestati tutti coloro che hanno dato indicazioni di non votare in collegio i  membri del Comitato  di Valutazione, cosa che infatti si è  verificata in varie scuole.
Di contro – e questo non è che uno degli esempi del modo farraginoso e viscoso in cui è scritta la 107 – si è sostenuto che sarebbe opportuno entrare a far parte del Comitato per indirizzare all’assunzione di criteri quantitativi (ad esempio il coordinamento delle classi o dei dipartimenti e altre funzioni strutturali della scuola, che – a causa del progressivo dimezzamento del Fis – sono attualmente sottopagate) piuttosto che qualitativi. Alcuni collegi hanno così eletto i membri del comitato con un “vincolo di mandato”: essere operativo – tra le funzioni che esso ha – sulla valutazione dei nuovi assunti e non sulla determinazione dei criteri per l’assegnazione del bonus-merito ai docenti.
A tentare di dirimere le controversie – e a sottolineare la cialtroneria con cui la legge è stata redatta – è intervenuta una FAQ ministeriale, che su questo punto recita:
Quando si può ritenere che il Comitato è validamente costituito?
Una norma di carattere generale sulla costituzione degli organi collegiali (art. 37 del Testo Unico) prevede che l’organo collegiale è validamente costituito anche nel caso in cui non tutte le componenti abbiano espresso la propria rappresentanza. Ciò vale, ad esempio, se il Consiglio d’Istituto o il Collegio dei docenti non provvede volontariamente alla scelta dei componenti di sua spettanza.
Nel Paese di Pulcinella (e anche di Renzi) tutto può accadere: mettere una pezza ad una legge scritta con i piedi attraverso una FAQ ministeriale – che giuridicamente non ha alcuna valenza – potrebbe essere un malcelato tentativo di spingere i docenti a non boicottare il comitato.
Detto in altre parole: quanto abbiamo riportato qui sopra NON è la legge. Ma certamente questa interpretazione può indurre alcuni indecisi – rispetto ad un groviglio così inestricabile – ad assumere una certa posizione.
L’incertezza è ulteriormente sottolineata dal fatto che molti sindacati e associazioni (persino l’ANP) stiano dando ai propri dirigenti l’indicazione di andar cauti, cosicché in molti collegi il tema non è stato ancora affrontato.
Il percorso di contestazione del Comitato di Valutazione sembrerebbe determinarsi pertanto attraverso due possibilità: boicottaggio tout court, con il rischio che l’interpretazione del Miur determini invece effetti contro questa posizione, che si basa sulla presunzione del collegio perfetto; oppure scelta di docenti – ma, laddove sia possibile, anche di genitori e studenti – convinti della necessità di non creare discriminazioni e di tutelare la libertà di insegnamento.
Quale posizione assumere dipende, innanzitutto, dai rapporti di forza nei singoli collegi docenti. Prospettiva quest’ultima che, in questo momento di profondo disorientamento e di mancanza assoluta di certezze – oltre a quella di doversi opporre con ogni forza all’arbitrio configurato dalla 107 –, mi pare forse non la più giusta, ma la più praticabile.
C’è da giurare, in ogni caso, che l’azione concreta dei Comitati di Valutazione sarà un ulteriore campo di contenzioso. Ma occorre che – nonostante l’apatia e l’inerzia che troppi docenti stanno piuttosto irresponsabilmente dimostrando in questo momento – ci si renda conto che coloro che la scorsa primavera si sono opposti alla 107, se allora erano davvero convinti e in buona fede, hanno ora una ottima occasione per manifestare il proprio dissenso e fare il proprio dovere di cittadini prima ancora che di docenti nella tutela di uno dei principi costituzionali primari.
Marina Boscaino

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