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mercoledì 30 novembre 2016

I giudici di potenza: il capo di istituto può arrivare fino alla censura. Non si applica la norma brunetta Il professore va sospeso, ma non può decidere il preside Così la sentenza. Eppure la circolare Miur dice il contrario

anche a Terni due ordinanze sospensive di provvedimenti del DS in attesa della sentenza....


La competenza disciplinare dei dirigenti scolastici nei confronti dei docenti non va oltre l'avvertimento scritto e la censura. Pertanto, è da considerarsi illegittima la sanzione della sospensione, se inflitta al docente dal dirigente scolastico. Anche se il ministero dell'istruzione, con la circolare 88/2010, ha stabilito il contrario. E' quanto si evince da una sentenza del Tribunale di Potenza depositata il 22 novembre scorso (700/2016). Il giudice monocratico ha spiegato che ai docenti non va applicato il decreto Brunetta nella parte che prevede la possibilità, per i dirigenti della pubblica amministrazione, di sospendere il dipendente fino a 10 giorni, una volta accertata la responsabilità disciplinare.

Il motivo di tale preclusione va individuato nel fatto che il ruolo particolarmente rilevante svolto dai docenti giustifica l'individuazione, da parte del Legislatore, di un soggetto diverso dal dirigente scolastico ogni qualvolta venga in rilievo una sanzione più grave dell'avvertimento scritto o della censura. La sentenza fa il paio con una recente pronuncia emessa dal Tribunale di Foggia il 27 ottobre scorso (si veda Italia Oggi del 15/11/2016) e si inquadra nell'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di merito, costante nel ritenere che la responsabilità disciplinare dei docenti continui ad essere regolata dalle norme (più rigorose) contenute nel testo unico (il decreto legislativo 297/94). Tali norme si collocano in rapporto di specialità rispetto alle norme contenute nel decreto Brunetta. E per questo motivo sono da ritenersi prioritarie rispetto alla disciplina generale.

In pratica, le disposizioni contenute nel decreto legislativo 297/94, proprio perché riferite ad una solo categoria di lavoratori del pubblico impiego (i docenti) derogano le norme generali previste per il restante personale della pubblica amministrazione. E quindi, quando si tratta di docenti, le norme da applicare sono quelle del testo unico e non le disposizioni previste dal decreto Brunetta. Va detto subito che ciò non costituisce un vantaggio per gli insegnanti. La disciplina sostanziale delle sanzioni disciplinari che si applicano ai docenti è molto più rigorosa rispetto a quella dei restanti lavoratori del pubblico impiego. Le sospensioni, infatti, prevedono anche sanzioni accessori quali il ritardo della progressione di carriera (che si traduce in una perdita salariale permanente che si riverbera anche sulla pensione) e la preclusione della possibilità di partecipare agli esami di stato e ai concorsi a preside.

Oltre tutto, i docenti, proprio per la delicata funzione che svolgono quotidianamente, sono assistiti dalla libertà di insegnamento prevista dall'articolo 33 della Costituzione e ciò giustifica la necessità di garantire la terzietà del giudizio disciplinare, la cui competenza si radica in capo all'ufficio dei provvedimenti disciplinari costituito presso l'ufficio scolastico regionale. Va detto, inoltre, che la frequenza con la quale si verifica l'adozione di sanzioni sospensive da parte dei dirigenti scolastici è dovuta all'orientamento espresso dal ministero dell'istruzione con la circolare 88/2010. In tale occasione il ministero ha interpretato la normativa vigente nel senso della sussistenza della competenza dei dirigenti scolastici ad infliggere sanzioni sospensive ai docenti, purché di durata non superiore ai 10 giorni.

Tale orientamento, che l'amministrazione non ha ritenuto di modificare, ha indotto diversi uffici scolastici ha scoraggiare i dirigenti scolastici ad investire gli uffici per i provvedimenti disciplinari di questioni riguardanti casi da trattare con sospensioni di pochi giorni. E ciò ha posto i dirigenti scolastici nella difficile situazione di provvedere autonomamente, anche nel timore di incorrere nella responsabilità disciplinare dirigenziale, prevista dal decreto Brunetta in caso di inerzia. A ciò va aggiunto il fatto che, proprio per effetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 150/2009, non è più possibile comporre in via stragiudiziale le controversie aventi per oggetto le sanzioni disciplinare. Salvo il caso, piuttosto residuale, della possibilità di adire il collegio di conciliazione presso le direzioni provinciali del lavoro.

Pertanto, il rimedio più frequente utilizzato dai docenti è costituito dall'esperimento dell'azione giudiziale. Tale azione, peraltro, necessita della difesa tecnica e si conclude, nella maggior parte dei casi, con la condanna alle spese in capo alla parte soccombente. La riforma del codice di procedura civile, infatti, ha imposto ai giudici di compensare le spese solo in caso di gravi ed eccezionali motivi da specificare nella motivazione della sentenza.

Pertanto, a fronte del consolidato orientamento della giurisprudenza di merito, che va nel senso della inesistenza della competenza dei dirigenti scolastici in materia di sanzioni sospensive, la soccombenza dell'amministrazione espone l'erario al rischio di un aggravio di costi destinato a crescere nel tempo.

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