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lunedì 21 maggio 2018

Esame di terza media: NO ai docenti di religione cattolica

DISCRIMINAZIONE: 
un decreto legislativo del 2017 espone gli allievi a modalità diverse di valutazione
Per prima cosa chiariamo che la normativa di riferimento su questo tema è la seguente:
a. Decreto Legislativo numero 62/2017 (articolo 8 comma 2),
b. Decreto Ministeriale numero 741/2017 (articolo 4 comma 2)
c. Articolo 2 cc 3 e 6 del Decreto legislativo 13 aprile 2017, numero 62
d. Nota Ministeriale numero 1865/2017.
La riforma dell’Esame di Stato conclusivo del primo ciclo di studi, quello di terza media per intenderci, «apre» la Commissione d’esame alla presenza degli insegnanti di religione cattolica poiché in luogo dell’elenco delle materie oggetto d’esame, la normativa di riferimento cita solamente che detta commissione dev’essere composta da tutti i docenti del Consiglio di Classe, Consiglio cui partecipano anche i docenti di religione cattolica e quelli delle attività alternative per quanto attiene alla valutazione delle alunne e degli alunni che se ne avvalgono. Forse è bene ricordare che l’Insegnamento della religione cattolica (Irc) non è materia obbligatoria, non è soggetta a esami e l’insegnante che se ne occupa non può influire con il suo voto nel determinare l’ammissione alla classe successiva. Nell’ambito del Consiglio di classe, l’insegnante di religione cattolica non esprime valutazioni ma solo giudizi motivati iscritti a verbale laddove il suo voto sia determinante nello scrutinio finale.
Obbligare le scuole a inserire il docente di Irc nella Commissione d’esame significa poi complicare l’organizzazione dei lavori della stessa, poiché bisognerà prendere in considerazione tutte le classi terze in cui l’Irc è impartito dal medesimo insegnante, spesso in più scuole, e cercare di trovare orari diversi per ogni attività della commissione. Ancora più complicato, se possibile, risulta garantire la presenza dell’insegnante dell’attività alternativa (a.a.) che, nella maggior parte dei casi, non è un docente della classe e si occupa dell’insegnamento di altra materia in altre classi. E fin qui abbiamo solo fatto cenno alle difficoltà organizzative che le scuole dovranno affrontare, senza far riferimento alle eventuali situazioni di illegittimità che potrebbero perfino compromettere l’esito stesso dell’esame.
Con questo provvedimento, anche nel contesto della scuola secondaria di primo grado, come già accade in quella di secondo grado con il sistema dei crediti, si va ad attribuire un peso differente alle opzioni scelte da chi non si avvale dell’insegnamento dell’Irc, poiché non vi è nessuna rappresentanza per chi sceglie lo studio assistito (opzione B) o la non-presenza a scuola (opzione D), opzioni che dovrebbero godere di pari dignità con l’attività didattica formativa (opzione A) scelta in alternativa all’Irc.Proprio per segnalare tutte queste difficoltà e disparità di trattamento, il Comitato nazionale «Scuola e Costituzione» ha inviato al ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) la richiesta urgente di fare chiarezza sull’inserimento dei docenti di Irc nella Commissione d’esame. Docenti Irc commissari d’esame? è il titolo del documento cui anche il Consiglio della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia Fcei) ha aderito, unitamente a molte realtà nazionali e locali impegnate nella promozione della laicità delle istituzioni e in particolare della scuola.
Sottolineando che «l’inserimento di docenti Irc nelle Commissioni d’esame per la terza media è l’ultimo atto di un processo sotterraneo – iniziato con il rinnovo del sistema concordatario – per recuperare all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche il ruolo di ”materia obbligatoria” con diritto all’esonero», nel documento si ricorda che «solo con difficoltà sono state introdotte norme e istituti per rendere effettiva la nuova facoltatività con la formulazione delle quattro alternative fra cui la frequenza di una reale materia alternativa. Nessuna promozione è stata fatta per informare le famiglie su tali alternative sulle quali, anche per la difficoltà a superare certe prassi e il timore di esporre i figli a discriminazioni, sono state esercitate, in particolare nella scuola primaria, ben poche opzioni».
I firmatari «rivolgono pertanto al MIUR la richiesta urgente di chiarimenti indispensabili per insegnanti e famiglie di alunni e alunne in procinto di affrontare la prova del citato Esame:
– l’Irc sarà materia d’esame? Se non lo sarà, a qual fine la presenza del docente? L’eventuale presenza di un docente di a. a. non si configura come discriminante nei confronti di coloro che hanno scelto attività di studio o di ricerca individuali o la non presenza a scuola durante l’Irc?
– nella prova d’esame, a differenza di quanto avviene nelle operazioni di scrutinio, i voti sono soltanto numerici: è quindi prevedibile una valutazione numerica dell’Irc?
– il docente di R.C. nella votazione per promozione o bocciatura si comporta come previsto nel DPR 202/1990, ossia non vota se il suo voto fosse determinante?».
         A oggi il Miur non ha evidentemente ritenuto di dover intervenire per porre rimedio a quella che tutto può apparire tranne che una decisione assennata, e pertanto il documento termina con una più ampia proposta di riflessione: «denunciare l’incongruenza di tale nuova norma diventa un’occasione per riproporre la necessità di rivedere l’intera normativa concernente l’Irc e di riproporne la collocazione fuori dell’orario ordinario delle lezioni».

Erano i tempi del secondo governo Berlusconi, con ministro dell’Istruzione Letizia Moratti. La legge 186 del 18 luglio 2003 diede il via all’assunzione in ruolo degli insegnanti di religione cattolica. Un esercito di 13.880 docenti scelti dal vescovo venne così assunto con contratto statale a tempo indeterminato. Uno schiaffo ai precari delle materie obbligatorie, un (ennesimo) schiaffo alla laicità della scuola. Nel 2011 lo Snadir, Sindacato degli insegnanti di religione, rivendicò per i suoi assistiti il diritto di essere nominati presidente di commissione per gli “esami di terza media”, ossia gli esami di Stato conclusivi del primo ciclo di istruzione. Possibilità forse mai messa in pratica: non c’è la fila per far domanda per un incarico privo di retribuzione aggiuntiva e da svolgere ad anno scolastico concluso. Più allettante, e in alcuni casi percorsa con successo, la strada di diventare preside: nel 2012 una sentenza del Tar Liguria aprì la strada al ruolo dirigenziale degli istituti scolastici anche agli insegnanti di religione, sacerdoti inclusi. Arriviamo all’ultima prodezza del nostro Stato clericale. Finora gli insegnanti col vangelo in mano contribuivano alla valutazione dei loro studenti senza voti numerici, con un generico giudizio. Erano esclusi dalla commissione d’esame. Il D.Lgs. 62/2017 ha scombinato le carte e conferito loro una sedia nella commissione esaminatrice di terza media.
Ci troviamo di fronte a una situazione surreale: il prossimo giugno un docente scelto dal vescovo giudicherà anche studenti i cui genitori hanno espressamente chiesto di tenerli alla larga dal suo insegnamento confessionale? Oppure si aprirà un balletto di insegnanti a seconda degli studenti da esaminare per l’esame di terza media? Dentro l’insegnante di religione, poi dentro quello di “alternativa”, poi fuori entrambi e commissione temporaneamente con un componente in meno se lo studente non ha seguito né l’una né l’altra materia?
L’Uaar ha più volte scritto alle scuole a agli uffici scolastici territoriali per arginare l’increscioso fenomeno della discriminazione infantile legata alla mancata attivazione delle attività didattiche alternative all’insegnamento della religione cattolica. Una piaga segnalata anche dalle organizzazioni che vigilano sul rispetto delle convenzioni internazionali per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che vede il nostro Paese messo sotto accusa in rapporti delle Nazioni Unite. L’ennesima tegola clericale rappresentata dagli insegnanti di religione cattolica nelle commissioni d’esame di terza media ha spinto ora l’Uaar a sottoscrivere un appello, condiviso da diverse realtà laiche, affinché il Miur ritorni sui suoi passi rettificando l’interpretazione del D.Lgs. 62/2017.
Il quadro è preoccupante. Al posto di una scuola pubblica inclusiva, laica e all’avanguardia si sta consolidando il modello scuola-parrocchia, sostenuto sia dal centro destra che dal centro sinistra, con un insegnamento «impartito in conformità della dottrina della Chiesa» che occupa ben due ore settimanali nell’età scolastica più vulnerabile, quella della scuola primaria. I relativi docenti, pagati dallo Stato ma scelti dai vescovi, stanno incrementando la capacità di controllo della vita della scuola della Repubblica. Si deve sventare questo recente colpo di mano sugli esami di terza media, senza abbassare la guardia su altri fronti, come quello dei finanziamenti pubblici alle scuole private paritarie e quello dell’alternanza scuola-lavoro affidata, guarda un po’, anche agli insegnanti di religione cattolica.


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