Altro che 3 miliardi in più a scuola e università come promesso dal ministro Lorenzo Fioramonti. La manovra 2020 potrebbe addirittura riservare un taglio dei fondi all’istruzione. Almeno stando alla nota di aggiornamento al Def, la cosiddetta Nadef, che rivede al ribasso (dal 3,5 al 3,4%) la quota di spesa pubblica in percentuale sul Pil dedicata al mondo dell’education rispetto alle previsioni del Documento di Economia e finanza di aprile. Un taglio dello 0,1% che, se confermato nella legge di bilancio, vorrebbe dire 1,8 miliardi in meno già dall’anno prossimo alla lunga filiera che parte dalle scuole dell’infanzia e arriva agli atenei.
L’impegno del neoministro. Eppure Lorenzo Fioramonti era stato chiaro. Un minuto dopo il suo upgrade da viceministro dell’Istruzione del Governo Conte1 a ministro del Governo Conte 2 aveva promesso 3 miliardi in più per l’istruzione: 2 miliardi per la scuola e 1 per l’università. Individuando anche la fonte di finanziamento in una serie di mini-imposte di scopo sui consumi inquinanti o insalubri (dai voli aerei alle bibite gassate fino alle merendine) e promettendo che si sarebbe dimesso qualora la sua voce non fosse stata ascoltata. E non era un semplice annuncio. Come conferma il fatto che i primi tavoli avviati a viale Trastevere dopo il suo insediamento sono stati dedicati proprio a sugar tax e dintorni. Dopodiché l’aria all’interno della maggioranza, e soprattutto del M5S, deve essere cambiata. L’ipotesi di finanziare l’istruzione con nuove tasse, in un primo momento avallata dal premier Giuseppe Conte, è stata stroncata subito dopo dal ministro degli Esteri (nonché capo politico dei pentastellati), Luigi Di Maio.
La promessa del leader M5S e i numeri della Nadef. Proprio Di Maio, all’indomani del varo della Nota di aggiornamento al Def, aveva assicurato che non ci sarebbero stati tagli all’istruzione. Anzi, ai microfoni di Agorà, il leader M5S aveva annunciato che la prossima manovra avrebbe aumentato gli investimenti per università e ricerca. Ma guardando il testo della Nadef lo scenario sembra differente. La tabella R1, a pagina 48 del testo pubblicato sul sito del ministero dell’Economia, riassume l’andamento della spesa pubblica «age-related». Alla voce scuola scopriamo che gli stanziamenti in percentuale del Pil nel 2020 sono attesi al 3,4 per cento. Per poi calare progressivamente al 3,2% nel 2025, al 3,1% nel 2030 e al 3% nel 2035. E iniziare la risalita solo nel 2040.
Le stime del governo precedente. Ma se nel lungo periodo il calo della spesa potrebbe essere compensato dai flussi demografici che danno in diminuzione in calo i giovani in età scolare, i problemi maggiori potrebbero esserci sul breve. Per sua natura la Nadef serve ad aggiornare il quadro macroeconomico definito in primavera nel Documento di Economia e finanza e a fornire la “cornice” numerica nella quale la legge di bilancio inserirà il “quadro” con le singole misure. E qui arriva la sorpresa. Nel Def di aprile – quando a Palazzo Chigi sedeva Giuseppe Conte ma la maggioranza era composta da Lega e M5S – la spesa per istruzione era data al 3,5% del Pil nel 2020. Dunque lo 0,1% in più rispetto al 3,4% cifrato adesso. E il fatto che nel vecchio documento questa voce fosse denominata come «istruzione» anziché come «scuola» non deve trarre in inganno. Che si tratti dello stesso ambito di uscite lo confermano i dati storici. Sia nel Def gialloverde che nella Nadef giallorossa le percentuali di spesa relative al 2010 e al 2015 sono infatti identiche: rispettivamente 3,9 e 3,6% sul Pil. Dunque, all’appello rischiano di mancare 1,8 miliardi. Trovarli o meno non è questione da poco per tradurre in realtà le promesse contenute nella Nadef stessa. A cominciare dalla riduzione delle classi pollaio e dell’aumento degli stipendi degli insegnanti. Due misure che insieme potrebbero costare un paio di miliardi.
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