Al centro di tutto la “vittima meritevole”. Come l'uso politico della nozione di vittima ha trasformato l'azione penale e l'idea di giustizia
Paolo Persichetti, Gli Altri 17 maggio 2013
Per lungo tempo l’idea di giustizia corredava il tentativo di raggiungere obiettivi universali in grado di ripercuotersi nel miglioramento delle condizioni di vita materiali e spirituali di ciascuno. Al concetto di giustizia si associavano l'idea di eguaglianza e fraternità (oggi diremmo anche sorellanza), di libero sviluppo dell'esistenza umana, oppure la salvezza. Insomma qualcosa che contribuiva al bene collettivo (tanto per stare al mutamento dei linguaggi, ora si pronuncia “bene comune”).
Oggi il concetto di giustizia non è semplicemente sovrapposto a quello di diritto, ma indica un diritto tutto particolare, il diritto di punire. Il desiderio di migliorare le sorti collettive sopravanzato da una visione penitenziale del mondo che vede nell’azione penale, concepita come un paradiso incontaminato contrapposto alla realtà impura dell’agire politico, lo strumento per intervenire sulla realtà. Questo nuovo senso comune interamente immerso all'interno di una visione manichea del mondo che non offre scampo, o si è interamente vittime o totalmente colpevoli, ha proiettato la figura della vittima tra gli status sociali più ambiti, rendendola un’«autentica incarnazione dell’individuo meritevole: quasi un modello ideale di cittadino». In una società dove sempre più viene meno ogni capacità inclusiva e prevalgono al suo posto dispositivi predatori, risultato della «tensione tra ideologia neoliberale del libero mercato e autoritarismo morale neoconservatore», le contraddizioni, i malesseri sociali, la fatica di vivere assumono l’aspetto di un viluppo confuso di sentimenti, di grumi di rancore che intrecciando la paura per l’avvenire e l’ossessione per il declino sociale accentuano i processi d’identificazione vittimistica. Se c'è una vittima deve esserci per forza un carnefice, ciò preclude per definizione la possibilità che vi possa essere una comune condivisione vittimaria. Non potendo essere tutti vittime ecco che presto si apre la competizione vittimaria. L’investitura legittimante offerta dallo status di vittima, infatti, resta caratterizzato da un accesso limitato e diseguale. Non tutti hanno il diritto di essere vittime e non tutte le vittime sono vittime allo stesso modo. La postura vittimaria – spiegano gli studi che si occupano del fenomeno – è riconosciuta unicamente sulla base di selezionati requisiti di ordine sociale, economico, politico, culturale ed etnico; criteri che variano secondo le latitudini. Per i gruppi sociali stigmatizzati in partenza, nei confronti dei quali si presume una contiguità originaria con l’universo criminale o la genealogia del male, non vi è alcuna possibilità di accedere alla santità vittimaria. In effetti, più della vittima in sé è la nozione di “vittima meritevole” che trova affermazione e legittimazione. La vittima forte non lascia scampo alla vittima debole. Non basta aver subito un torto o un danno per poter essere riconosciuti come tale, occorre innanzitutto entrare a far parte della categoria legittimata ad esserlo, un pantheon esclusivo. Proiettata dall’ombra lunga d’Auschwitz, l’immagine della vittima trae la sua superiorità etica dalla figura dell’inerme, colui che è oggetto di un’aggressione totale di fronte ad una passività assoluta. Questa asimmetria originaria è tuttavia ben diversa dall’intricato groviglio di conflitti presenti nelle società attuali e che inevitabilmente rende spurio e controverso ciò che si tende a collocare tra le vittime odierne, difficili da districare nell’intreccio spesso simmetrico dei contrasti, delle tensioni e delle violenze. Più che un giudizio di fatto, lo status di vittima è il risultato di un giudizio di valore talmente significativo, poiché fonte immediata di legittimazione politica, da essere divenuto esso stesso il luogo della disputa. Un terreno di battaglia innescato da quella «esaltazione narcisistica della sofferenza», di cui ha scritto Zigmunt Bauman in Modernità e olocausto, e che alla fine - come sosteneva Hannah Arendt - genera solo altre vittime, negando quel riconoscimento dell’altro che nel dispositivo agonistico del conflitto è il nemico, mentre in quello vittimario diventa l’assolutamente diabolico, il male universale, l’extraumano da bandire, colui che per definizione è fuori da ogni consesso civile. Lungi dall’aver rafforzato il riconoscimento della dignità umana, la competizione vittimaria si è prestata ad una facile strumentalizzazione che è servita a rafforzare il potere dei Leviatani. Sul piano internazionale, grazie al pretesto dell’ingerenza umanitaria, il paradigma vittimario ha favorito il passaggio dall’etica guerriera alle guerre etiche, alimentando la grande ipocrisia della giustizia penale internazionale che ha permesso ai vincitori di processare i vinti. Come diceva Pascal, «non riuscendo a fare della ragione una forza, hanno fatto della forza l’unica ragione», abolendo ogni capacità di discernimento tra i crimini di lesa umanità universalmente riconosciuti, come tortura, schiavitù, genocidio, misfatti coloniali e le infrazioni commesse da chi ha esercitato il diritto di resistenza. Sul piano interno, l’ideologia vittimaria ha accompagnato la deriva giustizialista e la controriforma del processo penale, trasformato da luogo di accertamento delle prove a teatro di una cerimonia catartica che dovendo offrire riparazione simbolica alla vittima anticipa anzitempo un giudizio senza scampo per il reo. Infine, sul piano sociale passivizza i soggetti vittimizzati, amputandone l’interezza umana e la complessità politica e civile, così ridotta all’aspetto monodimensionale di chi esprime solo dolore e sofferenza e domanda una riparazione. Richiesta che non trovando l’appagamento promesso dal processo penale precipita spesso nella spirale del risentimento infinito. |
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venerdì 31 maggio 2013
«Non tutti hanno il diritto di essere vittime. Non tutte le vittime sono vittime allo stesso modo»
Se questo è un uomo. Ora provate ancora a dire che il 41 bis non è tortura
by insorgenze |
Il filmato qui sotto mostra Bernardo Provenzano ripreso dalle telecamere di sorveglianza della sala colloqui 41 bis del carcere di Parma durante l'unica ora mensile di colloquio ammessa con i propri familiari. Le immagini venute in possesso della trasmissione televisiva Servizio Pubblico risalgono al 15 dicembre 2012.
Provenzano è stato arrestato nell'aprile del 2006. Sei anni di 41 bis lo hanno ridotto in questo stato. L'uomo ormai ottantenne appare poco presente a se stesso, incapace di intendere. I suoi movimenti sono rallentati, il suo stato è poco vigile, non riesce ad impugnare correttamente la cornetta del citofono che permette di parlare con i familiari al di là del vetro. Per ogni gesto deve essere sollecitato più volte dal figlio. Ricurvo su se stesso porta un vistoso berretto di lana sul capo perché - dice - «fa freddo». Il figlio si accorge della presenza di un cerotto e gli chiede prima cosa sia successo e poi di togliersi il copricapo. Sulla testa appare il segno evidente di una ferita. Alla richiesta di cosa sia accaduto, Provenzano, articolando le parole con molta difficoltà, risponde di aver preso «Lignate, sì. Dietro i reni». Il figlio gli chiede se sia caduto, Provenzano risponde di sì in modo confuso. Due giorni dopo queste immagini, forse a seguito di una caduta, l'anziano detenuto è rimasto colpito da un’emorragia celebrale. Ricoverato d'urgenza è stato operato. Da allora sembra che abbia molte difficoltà a parlare e sia quasi incapace di intendere e di volere, tanto che per questo è stato escluso da un processo.
Provenzano è stato arrestato nell'aprile del 2006. Sei anni di 41 bis lo hanno ridotto in questo stato. L'uomo ormai ottantenne appare poco presente a se stesso, incapace di intendere. I suoi movimenti sono rallentati, il suo stato è poco vigile, non riesce ad impugnare correttamente la cornetta del citofono che permette di parlare con i familiari al di là del vetro. Per ogni gesto deve essere sollecitato più volte dal figlio. Ricurvo su se stesso porta un vistoso berretto di lana sul capo perché - dice - «fa freddo». Il figlio si accorge della presenza di un cerotto e gli chiede prima cosa sia successo e poi di togliersi il copricapo. Sulla testa appare il segno evidente di una ferita. Alla richiesta di cosa sia accaduto, Provenzano, articolando le parole con molta difficoltà, risponde di aver preso «Lignate, sì. Dietro i reni». Il figlio gli chiede se sia caduto, Provenzano risponde di sì in modo confuso. Due giorni dopo queste immagini, forse a seguito di una caduta, l'anziano detenuto è rimasto colpito da un’emorragia celebrale. Ricoverato d'urgenza è stato operato. Da allora sembra che abbia molte difficoltà a parlare e sia quasi incapace di intendere e di volere, tanto che per questo è stato escluso da un processo.
Di fronte a queste immagini c'è forse ancora qualcuno che può ancora negare come il 41 bis sia un particolare forma di tortura esercitata attraverso lo strumento della deprivazione sensoriale assoluta?
Attualmente 673 persone (rilevamento del 2011) subiscono questo tratamento di restrizione assoluta, ulteriormente aggravata per quelli tra di loro che si trovano nelle “aree riservate” (circa una ventina).
Attualmente 673 persone (rilevamento del 2011) subiscono questo tratamento di restrizione assoluta, ulteriormente aggravata per quelli tra di loro che si trovano nelle “aree riservate” (circa una ventina).
Nelle scorse settimane il legale della famiglia Provenzano, l'avvocato Rosalba Di Gregorio, ha chiesto la revoca del 41 bis per il suo assitito e la sospensione dell'esecuzione della pena per motivi di salute, ma l'istanza è stata respinta. Dopo l'apparizione di un articolo su Repubblicadel 21 maggio, nel quale si faceva riferimento alle presunte percose subite da Provenzano, il ministro della Giustizia a chiesto al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di svolgere delle verifiche.
Attorno alle condizioni di salute di Provenzano si è accesa una singolare polemica che, omettendo completamente ogni interrogativo sul senso di un tale regime carcerario praticato su un uomo ridotto ormai ai minimi termini, solleva al contrario sospetti che dietro le innumerevoli cadute registrate in cella nel corso dell'ultimo anno, in particolare l'ultima che l'ha ridotto in coma, vi sia dell'altro.
Che cosa? L'eventuale tentativo - si lascia intendere - di esercitare pressioni fisiche per impedire ad un Porvenzano ormai allo stremo di collaborare con la giustizia. E' la tesi in particolare dell'eurodeputata Sonia Alfano, appartenente all'ormai dissolta Italia dei Valori, che nel corso dell’ultimo anno ha realizzato diverse visite al prigioniero. Secondo la parlamentare il peggioramento delle condizioni di salute di Provenzano potrebbe essere collegato al fatto che l’ex boss aveva mostrato interesse per un’eventuale collaborazione con la giustizia, che gli avrebbe permesso di ottenere un regime carcerario più morbido del 41bis. Secondo Alfano, Provenzano sarebbe stato “neutralizzato”, ovvero sarebbe stato picchiato fino rendere impossibile una sua collaborazione. In ragione di ciò, si sostiene in un comunicato diffuso da Servizio Pubblico, «la procura di Palermo ha aperto un'indagine per fare luce sui tanti misteri che ancora una volta avvolgono il super boss dei corleonesi».
Che cosa? L'eventuale tentativo - si lascia intendere - di esercitare pressioni fisiche per impedire ad un Porvenzano ormai allo stremo di collaborare con la giustizia. E' la tesi in particolare dell'eurodeputata Sonia Alfano, appartenente all'ormai dissolta Italia dei Valori, che nel corso dell’ultimo anno ha realizzato diverse visite al prigioniero. Secondo la parlamentare il peggioramento delle condizioni di salute di Provenzano potrebbe essere collegato al fatto che l’ex boss aveva mostrato interesse per un’eventuale collaborazione con la giustizia, che gli avrebbe permesso di ottenere un regime carcerario più morbido del 41bis. Secondo Alfano, Provenzano sarebbe stato “neutralizzato”, ovvero sarebbe stato picchiato fino rendere impossibile una sua collaborazione. In ragione di ciò, si sostiene in un comunicato diffuso da Servizio Pubblico, «la procura di Palermo ha aperto un'indagine per fare luce sui tanti misteri che ancora una volta avvolgono il super boss dei corleonesi».
Sul corpo di Provenzano si sta giocando uno scontro senza mezzi termini tra chi mostra di utilizzare il 41 bis cone una sorta di anticipazione della morte del detenuto, seppellito nei cimiteri per vivi che sono questi particolari reparti carcerari, affinché l'ex capo mafioso porti nella tomba tutti i suoi segreti, e chi utilizza questo regime detentivo come mezzo per estorcere dichiarazioni da utilizzare contro i propri avversari politici. Una belle contesa insomma.
Il 41 bis
Questo regime detentivo prevede la sospensione di tutte le regole ordinarie previste nell'ordinamento penitenziario. Può essere applicato anche a chi è in attesa di giudizio.
I detenuti in 41 bis possono fare una sola ora di colloquio al mese con parenti strettissimi attarverso un vetro divisiorio e con i citofoni. Non potendo cumulare le ore come nelle carceri normali, molti di loro senza mezzi economici finiscono col fare pochissime ore di colloquio nell'arco dell'anno. La telefonata di 10 minuti ai familiari (alternativa al colloquio) è registrata e il familiare deve recarsi, per poterla ricevere, nel carcere più vicino al luogo di residenza. Le ore d'aria sono solo due mentre la socialità è limitata ad un massimo di tre persone individuate dalla DIrezione dell'istituto senza possibilità di alcuno scambio tra detenuti (cibo, vestiti, libri…). La corrispondenzaè limitata alle persone con cui si fanno i colloqui e sottoposta a censura. Non si possono tenere più di tre libri in cella. Recentemente il ministro della Giustizia Severino con una circolare ha disposto che il numero di tre libri dovesse ritenersi complessivo. In esso andavano inclusi anche quelli lasciati in magazzino, vietando al contempo la possibilità di ricevere giornali, riviste e libri dai familiari e per posta e autorizzando unicamente l'acquisto tramite la ditta che gestisce il sopravvitto e che offre una scelta ridottissima (settimana enigmistica, sorrisi e canzoni ecc. Niente riviste culturali, politiche, di letteratura, scientifiche o specialistiche).
Nelle sezioni con regime 41 bis opera un corpo speciale di polizia penitenziaria - il Gom (Gruppo operativo mobile) - che può stabilire norme particolari per questotipo tipo di sezioni. Alla sospensione dei diritti voluta dal Ministero si possono perciò aggiungere divieti particolari e specifici come la possibilità di avere con sé solo un numero limitatissimo di indumenti, calzini, fogli di carta, biro, ecc.
Questo regime detentivo prevede la sospensione di tutte le regole ordinarie previste nell'ordinamento penitenziario. Può essere applicato anche a chi è in attesa di giudizio.
I detenuti in 41 bis possono fare una sola ora di colloquio al mese con parenti strettissimi attarverso un vetro divisiorio e con i citofoni. Non potendo cumulare le ore come nelle carceri normali, molti di loro senza mezzi economici finiscono col fare pochissime ore di colloquio nell'arco dell'anno. La telefonata di 10 minuti ai familiari (alternativa al colloquio) è registrata e il familiare deve recarsi, per poterla ricevere, nel carcere più vicino al luogo di residenza. Le ore d'aria sono solo due mentre la socialità è limitata ad un massimo di tre persone individuate dalla DIrezione dell'istituto senza possibilità di alcuno scambio tra detenuti (cibo, vestiti, libri…). La corrispondenzaè limitata alle persone con cui si fanno i colloqui e sottoposta a censura. Non si possono tenere più di tre libri in cella. Recentemente il ministro della Giustizia Severino con una circolare ha disposto che il numero di tre libri dovesse ritenersi complessivo. In esso andavano inclusi anche quelli lasciati in magazzino, vietando al contempo la possibilità di ricevere giornali, riviste e libri dai familiari e per posta e autorizzando unicamente l'acquisto tramite la ditta che gestisce il sopravvitto e che offre una scelta ridottissima (settimana enigmistica, sorrisi e canzoni ecc. Niente riviste culturali, politiche, di letteratura, scientifiche o specialistiche).
Nelle sezioni con regime 41 bis opera un corpo speciale di polizia penitenziaria - il Gom (Gruppo operativo mobile) - che può stabilire norme particolari per questotipo tipo di sezioni. Alla sospensione dei diritti voluta dal Ministero si possono perciò aggiungere divieti particolari e specifici come la possibilità di avere con sé solo un numero limitatissimo di indumenti, calzini, fogli di carta, biro, ecc.
Gli imputati rinchiusi in regime di 41 bis sono esclusi dai processi. Non vengono più condotti nelle apposite gabbie predisposte nelle aule bunker dei tribunali ma portati in stanze, ricavate all'interno delle carceri, collegate in videoconferenza con i tribunali dove sono presenti soltanto giudici e avvocati. Viene così azzerato il diritto alla difesa.
Le aree riservate
Nelle carceri di Parma, Ascoli Piceno, Terni, Tolmezzo, Novara, Viterbo, L'Aquila e Spoleto, sono state allestite delle aree riservate, un 41 bis ancora più ristrettivo.
Nelle carceri di Parma, Ascoli Piceno, Terni, Tolmezzo, Novara, Viterbo, L'Aquila e Spoleto, sono state allestite delle aree riservate, un 41 bis ancora più ristrettivo.
Attualmente tre prigionieri politici sono sottoposti a questo regime detentivo:
Nadia Desdemona Lioce (a L'Aquila)
Marco Mezzasalma (a Parma)
Roberto Morandi (a Terni)
Nadia Desdemona Lioce (a L'Aquila)
Marco Mezzasalma (a Parma)
Roberto Morandi (a Terni)
Domani a Parma si terra una corteo nazionale contro il carcere e il 41 bis
Servitù volontaria e lealizzazione delle coscienze, la non-collaborazione come nuovo orizzonte di libertà
by insorgenze |
Alla stregua di quanto avvenne ai primordi della società capitalista durante l'accumulazione originaria, quando vi fu una formattazione coatta della forza-lavoro attraverso un disciplinamento feroce dei corpi, oggi assistiamo a qualcosa di analogo difronte ai meccanismi sempre più profondi di lealizzazione delle coscienze richiesti dall'ideologia d'impresa. La non-collaborazione opposta alla servitù volontaria diventa allora uno dei nuovo orizzonti di libertà. «Non possiamo più di tanto illuderci - spiega Guagliardo - su un ritorno del welfare state. Dal terreno rivendicativo bisognerà passare a quello ricostruttivo. Alle società di mutuo soccorso»
di Vincenzo Guagliardo, maggio 2013
Rispetto a quanto scrissi anni fa in "Di sconfitta in sconfitta", i temi allora affrontati in un ambito piuttosto particolare oggi andrebbero riaffrontati all'interno di un'immensa montagna dov'è facile smarrirsi. I dispositivi per lealizzare le coscienze, ormai ben al di là del sistema penale o delle dinamiche delle sconfitte rivoluzionarie da me analizzate oltre dieci anni fa, sono diventati tout-court la politica principale per il nuovo proletariato, il ricatto che in questa crisi ormai permanente e niente affatto ciclica del capitalismo, riguarda tutto il mondo del lavoro o della ricerca di un posto di lavoro. Questo ricatto è anzi la nuova scuola di formazione della forza-lavoro attuale, una sorta di nuova Inquisizione sociale globale. Ogni lavoratore, o quasi, deve diventare il guardiano di se stesso come quei prigionieri che devono volontariamente rientrare in carcere alla sera dopo una giornata di lavoro svolta fuori.
Mi sembra che, anche se in modo diverso ovviamente, molto più sofisticato, stiamo ritornando alle origini del capitalismo, quelle della nascita di una forza-lavoro necessaria al suo avvento. Ogni precedente figura proletaria venne allora vista come sospetta, levatrice o fabbro o contadino o vagabondo che fosse. Recuperando i dispositivi inquisitoriali già messi in campo nei secoli precedenti contro i cosiddetti eretici, cioè contro i rivoluzionari di quei tempi, chi non si adeguava alle nuove condizioni di lavoro era un sospetto, sospettato cioè di avere stabilito un patto eretico – col diavolo –, e pertanto, rivelava sicuramente nei suoi comportamenti di essere un perverso – ossia sodomita – e ebreo – cioè deicida. Quei pigri indios d'America – si ricorderà – furono perciò proprio accusati di essere ebrei (cioè discendenti degli ebrei colà trasferiti per provvedimento divino!), sodomiti e perciò indiavolati da inviare in miniera. Questa politica di formazione di una forza-lavoro recalcitrante costò in pochi decenni la vita al 90% della popolazione (69 milioni). Il meccanismo inquisitoriale obbliga infatti alla delazione del vicino, scatena perciò come prima cosa il rito della ricerca capro espiatorio. Ma attenzione: il processo inquisitoriale non conosce presunti innocenti, bensì, in un'originale versione del peccato originale, solo presunti colpevoli. Per chi poi si ostina quindi a non voler imparare a "stare al proprio posto" scatta un secondo rito, la caccia all'uomo: escludente e annientante. Ti escludo ammazzandoti, in modo possibilmente feroce e spettacolare, per meglio includere gli altri. E questo fu il prezzo dell'accumulazione originaria capitalistica dove cito solo l'esempio significativo degli indios, tanto per non dilungarci a parlare anche dell'Europa. L'intera vicenda è ancora conosciuta sotto il nome assai riduttivo di "caccia alle streghe" (a prescindere dal sesso delle vittime, ovviamente).
La crisi attuale è sempre un problema di accumulazione del capitale. Non si risolve mai e scatena sempre guai. Sempre più grossi. Oggi diventa sempre più "distruttiva" e sempre meno "produttiva". Quali altre zone non capitalistiche si possono mai conquistare con una guerra purificatrice per creare nuovi mercati che favoriscano l'accumulazione come successe con la conquista dell'America e i vari stermini coloniali? Siamo alla saturazione. Vedo oggi attraverso le tante "piccole" guerre o le grandi operazioni finanziarie, coadiuvate da uno stato nazione–commissario di polizia e dalla legislazione supina del "sistema dei partiti" (di destra e sinistra) non più un rilancio possibile di forze produttive ma la loro distruzione in un immenso trasferimento di redditi dai più poveri ai più ricchi che garantisce il profitto e lo aumenta pure, ma non risolve affatto le difficoltà di accumulazione del capitale. Il suo tasso cala lo stesso.
Il risultato è che la crisi "permanente" liberista è distruttiva d'ogni tessuto sociale (per non dire del pianeta) in una spasmodica riformazione della forza-lavoro che si fondi su una servitù volontaria assoluta (e un sovrappiù di umanità). Non-collaborazione o servitù volontaria assoluta sono i due poli su cui si confronteranno oppressi e oppressori.
Insomma, anche noi allora oggi dobbiamo, per certi versi, come il capitalismo, tornare alle origini: quelle del movimento operaio. Se la riformazione coatta della forza-lavoro distrugge la comunità umana, compito della politica (rivoluzionaria) è quello di ricostruirla. Ciò che prima veniva dato spontaneamente e su cui si costruiva poi la politica degli oppressi oggi è sottosopra. Non possiamo più di tanto illuderci su un ritorno del welfare state. Dal terreno rivendicativo bisognerà passare a quello ricostruttivo. Alle società di mutuo soccorso o, di contro, alle distinzioni tra buoni e cattivi e a tutto quello che ne consegue. Cambiano gli orizzonti dell'agire, ed è su questo che vorrei invitare ognuno a riflettere.
Mi sembra che, anche se in modo diverso ovviamente, molto più sofisticato, stiamo ritornando alle origini del capitalismo, quelle della nascita di una forza-lavoro necessaria al suo avvento. Ogni precedente figura proletaria venne allora vista come sospetta, levatrice o fabbro o contadino o vagabondo che fosse. Recuperando i dispositivi inquisitoriali già messi in campo nei secoli precedenti contro i cosiddetti eretici, cioè contro i rivoluzionari di quei tempi, chi non si adeguava alle nuove condizioni di lavoro era un sospetto, sospettato cioè di avere stabilito un patto eretico – col diavolo –, e pertanto, rivelava sicuramente nei suoi comportamenti di essere un perverso – ossia sodomita – e ebreo – cioè deicida. Quei pigri indios d'America – si ricorderà – furono perciò proprio accusati di essere ebrei (cioè discendenti degli ebrei colà trasferiti per provvedimento divino!), sodomiti e perciò indiavolati da inviare in miniera. Questa politica di formazione di una forza-lavoro recalcitrante costò in pochi decenni la vita al 90% della popolazione (69 milioni). Il meccanismo inquisitoriale obbliga infatti alla delazione del vicino, scatena perciò come prima cosa il rito della ricerca capro espiatorio. Ma attenzione: il processo inquisitoriale non conosce presunti innocenti, bensì, in un'originale versione del peccato originale, solo presunti colpevoli. Per chi poi si ostina quindi a non voler imparare a "stare al proprio posto" scatta un secondo rito, la caccia all'uomo: escludente e annientante. Ti escludo ammazzandoti, in modo possibilmente feroce e spettacolare, per meglio includere gli altri. E questo fu il prezzo dell'accumulazione originaria capitalistica dove cito solo l'esempio significativo degli indios, tanto per non dilungarci a parlare anche dell'Europa. L'intera vicenda è ancora conosciuta sotto il nome assai riduttivo di "caccia alle streghe" (a prescindere dal sesso delle vittime, ovviamente).
La crisi attuale è sempre un problema di accumulazione del capitale. Non si risolve mai e scatena sempre guai. Sempre più grossi. Oggi diventa sempre più "distruttiva" e sempre meno "produttiva". Quali altre zone non capitalistiche si possono mai conquistare con una guerra purificatrice per creare nuovi mercati che favoriscano l'accumulazione come successe con la conquista dell'America e i vari stermini coloniali? Siamo alla saturazione. Vedo oggi attraverso le tante "piccole" guerre o le grandi operazioni finanziarie, coadiuvate da uno stato nazione–commissario di polizia e dalla legislazione supina del "sistema dei partiti" (di destra e sinistra) non più un rilancio possibile di forze produttive ma la loro distruzione in un immenso trasferimento di redditi dai più poveri ai più ricchi che garantisce il profitto e lo aumenta pure, ma non risolve affatto le difficoltà di accumulazione del capitale. Il suo tasso cala lo stesso.
Il risultato è che la crisi "permanente" liberista è distruttiva d'ogni tessuto sociale (per non dire del pianeta) in una spasmodica riformazione della forza-lavoro che si fondi su una servitù volontaria assoluta (e un sovrappiù di umanità). Non-collaborazione o servitù volontaria assoluta sono i due poli su cui si confronteranno oppressi e oppressori.
Insomma, anche noi allora oggi dobbiamo, per certi versi, come il capitalismo, tornare alle origini: quelle del movimento operaio. Se la riformazione coatta della forza-lavoro distrugge la comunità umana, compito della politica (rivoluzionaria) è quello di ricostruirla. Ciò che prima veniva dato spontaneamente e su cui si costruiva poi la politica degli oppressi oggi è sottosopra. Non possiamo più di tanto illuderci su un ritorno del welfare state. Dal terreno rivendicativo bisognerà passare a quello ricostruttivo. Alle società di mutuo soccorso o, di contro, alle distinzioni tra buoni e cattivi e a tutto quello che ne consegue. Cambiano gli orizzonti dell'agire, ed è su questo che vorrei invitare ognuno a riflettere.
Per chi vuole approfondireIl paradigma del capro espiatorio e la nuova filosofia penale nell'ultimo libro di Vincenzo Guagliardo
Guagliardo, “Punizioni e premi, la funzione ambigua della rieducazione”
Guagliardo, “Logica premiale e logica vittimaria ispirano la nuova filosofia penale”
A dieci anni di distanza torna nelle librerie “Di sconfitta in sconfitta”, di Vincenzo Guagliardo
Guagliardo, “Punizioni e premi, la funzione ambigua della rieducazione”
Guagliardo, “Logica premiale e logica vittimaria ispirano la nuova filosofia penale”
A dieci anni di distanza torna nelle librerie “Di sconfitta in sconfitta”, di Vincenzo Guagliardo
Mandato via da Terni il capo della DIGOS
Trasferito a Roma il dirigente della DIGOS Moreno Fernadez In Vaticano si direbbe :"PROMOVEATUR UT RIMOVEATUR" |
il sig Fernandez è quello seduto a destra |
Trasferimento per il dirigente della Digos della questura di Terni Moreno Fernandez che da lunedì prossimo ricoprirà un nuovo incarico alla questura di Roma. Il suo posto nel frattempo rimarrà vacante.
Intanto è in corso anche un’indagine della procura di Terni sul comportamento dello stesso Fernandez avvenuto negli ultimi mesi e che riguarderebbe il suo lavoro di investigatore nell’ambito di importanti inchieste, come quella che ha portato nel marzo del 2012 all’arresto di nove persone con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata all'immigrazione clandestina tra cui sei curdi, arrestate nel marzo del 2012 proprio dalla squadra Digos in seguito ad un'indagine durata quasi un anno.
Secondo le accuse queste fornivano agli immigrati, quasi tutti curdi, dietro pagamento, un pacchetto «tutto compreso» che gli garantiva viaggio, alloggio e un lavoro. Dopo averli istruiti sulle dichiarazioni da fare alle autorità italiane, anche con storie false di torture in realtà mai avvenute per ottenere l'asilo politico o permessi per motivi umanitari. I curdi avrebbero gestito con prestanomi e direttamente cinque kebab. All'epoca ordinanza di custodia cautelare anche per una collaboratrice di una scuola di formazione di Roma, accusata di avere consentito in cambio di soldi il rilascio a cittadini stranieri di abilitazioni per la conduzione di esercizi pubblici. Ma nell’ottobre scorso per tutti è caduta l’accusa di più grave, quella dell’associazione a delinquere. A deciderlo il giudice per le indagini preliminari Pierluigi Panariello dopo l'istanza del pm Elisabetta Massini.
E dopo ci sarebbero state, secondo una prima ipotesi accusatoria, alcuni abusi nelle indagini e nelle intercettazioni telefoniche. E proprio su queste oggi lo stesso Fernandez dovrebbe essere interrogato al palazzo di giustizia di Corso del Popolo dal magistrato Elisabetta Massini. Nove le ipotesi di reato fatte dal pm.
giovedì 30 maggio 2013
Franca Rame è morta.
Con Franca se ne va la donna, l'artista, la compagna attenta e impegnata nella trasformazione della società, che con grande generosità e a rischio della vita ha contribuito ad innovare.Innumerevoli sono i ricordi e gli episodi che legano tante/i di noi a questa donna eccezionale, che non ha mai smesso di portare solidarietà e motivazioni nei confronti dei meno abbienti, dei diseredati,delle donne ,dei detenuti politici e comuni.I fascisti,i razzisti, la destra , la odiavano per lo scompiglio che portava alle loro odiose e deboli certezze. Fino a sequestrarla e stuprarla in piena Milano,nel tentativo di annichilirla e metterla fuori gioco, mentre Franca da donna intelligente e risoluta elaborava la criminale offesa , realizzando il testo teatrale " Lo stupro" visto in tutto il mondo, manifesto della condanna delle donne contro ogni femminicidio.Anche la sinistra parlamentare non l'amava. Per la critica sferzante e documentata che Franca e Dario hanno portato al becero bigottismo del Pci fino alla loro odierna devoluzione, al compromesso storico, al loro vedere il nemico sempre alla loro sinistra.Dopo la cacciata dalla RAI, anche le strutture culturali dell'allora Pci gli fecero muro, così che nacque felicemente " Nuova Scena" che ci ha permesso di conoscerli approfonditamente e di apprezzarne le loro qualità, ricavandone un enorme contributo umano e formativo.Addio Franca, amica dei diversi, dei lavoratori, degli oppressi. Sarà difficile dimenticarti, smarrire la tua immagine esile quanto dolce e distintiva.A Dario e Jacopo , tutto l'affetto e la vicinanza delle lavoratrici e dei lavoratori della Confederazione Cobas.
Dignità…
La sempre più triste tornata Invalsi è finita, ma non dobbiamo smettere di parlarne. Il 10 maggio il maestro Flavio(alle primarie i bambini li chiamano così, senza cognome; in realtà Flavio Maracchia, insegnante della Crispi di Roma) ha suggerito una pratica interessante per sbarrare la strada ai test Invalsi: l’obiezione di coscienza.
Provo a raccontarne la storia, anche per ricordare come nella nostra scuola spesso sonnolenta, pavida e acquiescente esistano ancora individui capaci di reagire e rischiare in prima persona per sostenere un principio.
Il maestro Flavio il 10 non ha somministrato le prove di matematica alla sua classe, la VA, e ha inviato alla dirigenza un testo, corredato da un impianto normativo di tutto rispetto, che riporto di seguito, perché a tanti farebbe bene leggere o ri-leggere certe cose (il Testo Unico sulla scuola, dlgsl 297/94 art. 395, Funzione docente; dlgsl 59/04, art. 5 Capo III. Finalità della scuola primaria; Dpr 104/85, Premessa generale Caratteri e fini della scuola e valutazione). Il testo è questo:
Il sistema di valutazione Invalsi non funziona.
Nel migliore dei casi è frutto di un nonsense pedagogico, un equivoco, o semplicemente il risultato ultimo di un’ingenuità didattica.
Nel peggiore dei casi è invece il maldestro tentativo di un appiattimento formativo, il documento certificato di un decadimento culturale, una blasfemía.
Ma non è questa la circostanza opportuna per una sua confutazione.
Questo è soltanto il momento per una doverosa obiezione di coscienza. Una opposizione netta. Una forma di resistenza, coerente con il faticoso lavoro quotidiano di docente della scuola primaria, nel carrozzone malconcio della scuola italiana.
La nostra memoria storica è ricca di persone qualunque contraddistintesi per il solo fatto di essere rimasti fedeli a un ideale. Uomini e donne che nel risorgimento, poi nel periodo delle due guerre mondiali, nelle lotte per i diritti civili condotte fino ai nostri giorni, hanno trovato il coraggio di dire un semplice NO. Capaci di coerenza anche quando la loro professione di fede ha significato scelte scomode e comportato finanche la loro sciagura.
A scuola li celebriamo spesso portandoli come esempio ai nostri studenti. Che credibilità avremmo allora come maestri se chinassimo la testa davanti a quanto consideriamo ingiusto e offensivo?
Adesso tocca a noi. E non potrebbe essere altrimenti. Guai al popolo la cui scuola smettesse di essere luogo primigenio e culla di princípi e ideali.
Venerdì 17 maggio, dopo il collegio dei Docenti, il maestro Flavio ha ricevuto dalla dirigente una lettera che configura l’inizio di un procedimento disciplinare per “omissione svolgimento atti dovuti inerenti alla funzione docente (art. 493 Dlgsl 297/94)”. Nella lettera della dirigente si legge che “la somministrazione delle Prove Invalsi è obbligatoria ai sensi dell’art. 51 del DL 5/2012, che prevede che la rilevazione degli apprendimenti costituisce parte integrante dell’attività ordinaria di istituto” e che “tale attività è stata deliberata dal Collegio dei Docenti del 03/09/2012 ed inserita nel Piano Annuale delle Attività”. Alla richiesta del maestro Flavio di avere in mano la delibera del collegio dei docenti, gli viene prodotta copia del verbale del collegio di settembre (durante il quale quella delibera avrebbe dovuto essere assunta), che non fa alcuna menzione degli Invalsi. Inoltre: la circolare che scandiva la somministrazione delle prove nei giorni in cui la scuola primaria vi ha partecipato (7 e 10 maggio) si riferisce ad una presunta obbligatorietà della somministrazione stessa da parte dei docenti, in virtù dell’art. 51 del DL 5/12 sopra citato. In realtà, senza un’apposita delibera del collegio dei docenti non esiste alcun vincolo in tal senso.
Proviamo a mettere in ordine le cose. Anche perché il caos artatamente creato rispetto alla normativa Invalsi ha consentito ai soliti dirigenti più realisti del re di sostenere ipotesi insostenibili e commettere arbitri inaccettabili.Non è vero che il DL 5/12, in cui l’articolo sull’Invalsi va a cadere quasi casualmente (dopo la lunga vicenda normativa, farraginosa e ingarbugliata, culminata con il pronunciamento nel 2011 dell’avv. dello Stato Paolucci, che affermava la non obbligatorietà per le scuole di essere sede degli Invalsi e determinò l’incompetenza delle scuole rispetto alla materia, poiché nessuna legge affidava loro questa competenza), ne determini l’obbligatorietà. A proposito dell’art. 51 del DL 5/12 l’avvocato Mauceri (Per la scuola della Repubblica) chiarisce: “Si tratta di una disposizione formulata in modo ambiguo, ma che certamente non afferma l’obbligatorietà dei docenti a svolgere tale specifica attività a prescindere dalle delibere dei Collegi, né, tanto meno, l’obbligo dei collegi dei docenti di deliberarle. Poiché l’anno scorso era stato a lungo dibattuto proprio di obbligatorietà e la questione si è riproposta anche quest’anno, se il legislatore avesse voluto stabilire l’obbligatorietà delle prove INVALSI, avrebbe potuto affermarla esplicitamente. Il legislatore si è invece limitato a qualificare dette prove come attività ordinaria di istituto; si tratta in sostanza di una norma attributiva di una competenza alle istituzioni scolastiche; il problema dell’obbligatorietà della partecipazione dei docenti a dette prove non è quindi risolto da tale disposizione”. Il DL 5/12 corregge, casomai, il vulnus segnalato da Paolucci. Ciò non toglie che – per rendere l’Invalsi obbligatorio – occorra una delibera del collegio dei docenti, che – nella dimensione della volontà collettiva su temi di competenza esclusiva – contempera il principio della libertà di insegnamento, costituzionalmente determinato.
Mercoledì prossimo il maestro Flavio è convocato dalla dirigente per il contraddittorio. La sanzione più grave in cui potrebbe incorrere sono 10 giorni di sospensione dello stipendio; Flavio è comunque tranquillo e determinato, per niente spaventato; propenso ad esporsi perché il caso venga conosciuto e difeso.
Mi è sembrato utile raccontare una storia di dignità e convinzione (pedagogica, culturale, democratica), che –comunque vada a finire – costituisce un monito per tutti noi, troppo spesso inconsapevoli di quelli che sono realmente diritti e doveri.
di Marina Boscaino
SOLIDARIETA' A FRANCO COPPOLI
La cronaca ternana del “Il Messaggero”
del 14 Maggio 2013 riferisce che la
Magistrata Barbara di Giovannantonio ha
ricevuto una busta contenente minacce e 2 proiettili.
Nell’articolo si fa anche riferimento,
pur senza citarne il nome, al Coordinatore Cobas di Terni, il Professor Franco
Coppoli ed al processo relativo alla controversia del crocifisso, che il
docente aveva tolto dalla parete dell’aula in cui faceva lezione: la Giudice,
nel corso del dibattimento di primo grado, aveva rigettato la tesi, sostenuta
dall’ insegnante, di una condotta discriminatoria del Dirigente Scolastico nei
suoi confronti, quando quest’ultimo lo aveva sospeso dal servizio proprio a
seguito di quell’episodio.
Questo riferimento suscita in che legge
il sospetto di un possibile collegamento tra i due episodi e quindi induce il
lettore implicitamente a considerare come possibile autore della lettera
minatoria, ricevuta dalla Magistrata, proprio il Professor Coppoli.
Il giornalista de “ Il Messaggero “, messe da parte
dignità personale e deontologia professionale, agisce al servizio di chi, a
cominciare del suo “datore di lavoro” Caltagirone, trova grande fastidio
nell’attività di chi si schiera in modo diretto ed efficace, sempre alla luce
del sole, in difesa di diritti e beni comuni.
“Il Messaggero” non è nuovo a
queste cronache infamanti, frutto di un indirizzo politico teso a mettere in
cattiva luce tutto quello che si muove in alternativa ai progetti della classe
economica dominante e della casta politica.
Il proprietario de “Il Messaggero”,
Caltagirone, noto palazzinaro romano, sta promuovendo con ostinazione
quotidiana una campagna tesa a criminalizzare il “Movimento per il diritto
all’abitare”, che mette in discussione il suo soverchiante potere immobiliare,
l’ulteriore cementificazione e sottrazione di suolo.
La stessa dichiarata ostilità colpisce
il Forum dell’Acqua, vittorioso nel referendum del 2011, per l’attuale campagna
sulla ripubblicizzazione di Acea.
Caltagirone, con il solo 13% delle azioni, controlla Acea, che, come è noto, è presente in Umbra Acque SPA, contribuendo in modo determinante all’aumento costante e sproporzionato delle tariffe dell’acqua a scapito dei cittadini umbri.
Caltagirone, con il solo 13% delle azioni, controlla Acea, che, come è noto, è presente in Umbra Acque SPA, contribuendo in modo determinante all’aumento costante e sproporzionato delle tariffe dell’acqua a scapito dei cittadini umbri.
Sicuramente, Franco Coppoli dà molto
fastidio a tutti i “ sacerdoti ” dell’ordine sociale esistente.
Allo stesso modo danno fastidio i movimenti ed i comitati di cittadini, che in modo sempre più massiccio ed insistente agiscono in difesa dei beni comuni, perché tutti i servizi pubblici siano sottratti al profitto dei privati e riconquistati dai cittadini, per l’affermazione di una società veramente laica.
Allo stesso modo danno fastidio i movimenti ed i comitati di cittadini, che in modo sempre più massiccio ed insistente agiscono in difesa dei beni comuni, perché tutti i servizi pubblici siano sottratti al profitto dei privati e riconquistati dai cittadini, per l’affermazione di una società veramente laica.
Nel riaffermare il nostro impegno antifascista, la
nostra volontà di difendere diritti e beni comuni, la nostra determinazione nel
promuovere la liberazione sociale e culturale, dichiariamo fallito il tentativo
di isolare socialmente e politicamente i sostenitori ed i promotori di questo
genere di lotte a Terni ed in Umbria.
Come Sindacalismo di Base, comprendente
Confederazione Cobas ed USB della provincia di Perugia, come
Comitato per la memoria storica e contro l’ingerenza clericale nella società
civile “Pietro Castellini” e come Circolo Anarchico “Sana Utopia” esprimiamo la
nostra solidarietà incondizionata al Compagno Franco Coppoli.
Perugia, 30 Maggio 2013
mercoledì 29 maggio 2013
A PROPOSITO DI VIDEOSORVEGLIANZA
Come specificato nel Provvedimento del garante della Privacy sotto riportato “il trattamento dei dati personali effettuato mediante l’uso di sistemi di videosorveglianza non forma oggetto di legislazione specifica; al riguardo si applicano, pertanto, le disposizioni generali in tema di protezione dei dati personali”, cioè quanto stabilito dal Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n.196 “Codice in materia di protezione dei dati personali”, che trovi all’indirizzo:
A partire da tale Decreto il Garante della Privacy ha emesso il “Provvedimento in materia di videosorveglianza – 8 aprile 2010” (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 99 del 29 aprile 2010), scaricabile all’indirizzo:
Infine all’indirizzo:
si trovano altri rimandi alla normativa relativa alla videosorveglianza.
In sostanza l’utilizzo di videosorveglianza in ambienti privati (e nella fattispecie negli ambienti di lavoro) è possibile purché vengano applicati dal proprietario dei luoghi e (nel tuo caso) dal datore di lavoro i seguenti accorgimenti
La videosorveglianza deve essere giustificata da comprovati motivi di tutela della sicurezza o dei benidelle persone o dell’azienda.
A tale proposito il Provvedimento del Garante riporta al punto 2:
“Un’analisi non esaustiva delle principali applicazioni dimostra che la videosorveglianza è utilizzata a fini molteplici, alcuni dei quali possono essere raggruppati nei seguenti ambiti generali:
1) protezione e incolumità degli individui, ivi ricompresi i profili attinenti alla sicurezza urbana, all’ordine e sicurezza pubblica, alla prevenzione, accertamento o repressione dei reati svolti dai soggetti pubblici, alla razionalizzazione e miglioramento dei servizi al pubblico volti anche ad accrescere la sicurezza degli utenti, nel quadro delle competenze ad essi attribuite dalla legge;
2) protezione della proprietà;
3) rilevazione, prevenzione e controllo delle infrazioni svolti dai soggetti pubblici, nel quadro delle competenze ad essi attribuite dalla legge;
4) acquisizione di prove.
La necessità di garantire, in particolare, un livello elevato di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali rispetto al trattamento dei dati personali consente la possibilità di utilizzare sistemi di videosorveglianza, purché ciò non determini un’ingerenza ingiustificata nei diritti e nelle libertà fondamentali degli interessati”.
Tutti gli interessati devono essere sempre informati che stanno per accedere in una zona video sorvegliata, mediante apposito cartello da applicarsi prima dell’area video sorvegliata (il modello è riportato nel Provvedimento) che deve essere di dimensioni e forma tale da essere chiaramente visto, e se necessario illuminato. Tutti gli interessati dovrebbero essere inoltre informati della presenza di sistemi di videosorveglianza, mediante comunicazione scritta, da consegnare o diffondere a tutti i lavoratori o possibili visitatori, specificante in dettaglio la tipologia di videosorveglianza (telecamere fisse o brandeggiabili, loro ubicazione, area interessata, registrazione o meno delle immagini rilevate).
A tale proposito il Provvedimento del Garante riporta al punto 3.1:
“Gli interessati devono essere sempre informati che stanno per accedere in una zona videosorvegliata; ciò anche nei casi di eventi e in occasione di spettacoli pubblici.
A tal fine, il Garante ritiene che si possa utilizzare lo stesso modello semplificato di informativa minima, indicante il titolare del trattamento e la finalità perseguita [...] e riportato in fac-simile nell’allegato n. 1 al presente provvedimento.
Il modello è ovviamente adattabile a varie circostanze. In presenza di più telecamere, in relazione alla vastità dell’area oggetto di rilevamento e alle modalità delle riprese, potranno essere installati più cartelli.
Il supporto con l’informativa:
- deve essere collocato prima del raggio di azione della telecamera, anche nelle sue immediate vicinanze e non necessariamente a contatto con gli impianti;
- deve avere un formato ed un posizionamento tale da essere chiaramente visibile in ogni condizione di illuminazione ambientale, anche quando il sistema di videosorveglianza sia eventualmente attivo in orario notturno;
- può inglobare un simbolo o una stilizzazione di esplicita e immediata comprensione, eventualmente diversificati al fine di informare se le immagini sono solo visionate o anche registrate.
Il Garante ritiene auspicabile che l’informativa, resa in forma semplificata avvalendosi del predetto modello, poi rinvii a un testo completo contenente tutti gli elementi [...], disponibile agevolmente senza oneri per gli interessati, con modalità facilmente accessibili anche con strumenti informatici e telematici (in particolare, tramite reti Intranet o siti Internet, affissioni in bacheche o locali, avvisi e cartelli agli sportelli per gli utenti, messaggi preregistrati disponibili digitando un numero telefonico gratuito)”.
In caso di sistemi evoluti di videosorveglianza (ad esempio associati a software di elaborazione delle immagini per il riconoscimento delle persone e di comportamenti anomali) deve essere richiesta specifico parere (verifica preliminare) al Garante della Privacy.
A tale proposito il Provvedimento del Garante riporta al punto 3.2.1:
“Devono essere sottoposti alla verifica preliminare di questa Autorità i sistemi di videosorveglianza dotati di software che permetta il riconoscimento della persona tramite collegamento o incrocio o confronto delle immagini rilevate (es. morfologia del volto) con altri specifici dati personali, in particolare con dati biometrici, o sulla base del confronto della relativa immagine con una campionatura di soggetti precostituita alla rilevazione medesima.
Un analogo obbligo sussiste con riferimento a sistemi c.d. intelligenti, che non si limitano a riprendere e registrare le immagini, ma sono in grado di rilevare automaticamente comportamenti o eventi anomali, segnalarli, ed eventualmente registrarli. In linea di massima tali sistemi devono considerarsi eccedenti rispetto alla normale attività di videosorveglianza, in quanto possono determinare effetti particolarmente invasivi sulla sfera di autodeterminazione dell’interessato e, conseguentemente, sul suo comportamento. Il relativo utilizzo risulta comunque giustificato solo in casi particolari, tenendo conto delle finalità e del contesto in cui essi sono trattati, da verificare caso per caso sul piano della conformità ai principi di necessità, proporzionalità, finalità e correttezza”.
Le immagini registrate devono essere memorizzate per non più di ventiquattro ore (o di più, se strettamente necessario, ad esempio relativamente a periodi di festività, ma comunque non oltre la settimana) e la cancellazione delle immagini antecedenti deve avvenire in maniera automatica.
A tale proposito il Provvedimento del Garante riporta al punto 3.4:
“Nei casi in cui sia stato scelto un sistema che preveda la conservazione delle immagini, in applicazione del principio di proporzionalità, anche l’eventuale conservazione temporanea dei dati deve essere commisurata al tempo necessario – e predeterminato – a raggiungere la finalità perseguita.
La conservazione deve essere limitata a poche ore o, al massimo, alle ventiquattro ore successive alla rilevazione, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione in relazione a festività o chiusura di uffici o esercizi, nonché nel caso in cui si deve aderire ad una specifica richiesta investigativa dell’autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria. Solo in alcuni casi, per peculiari esigenze tecniche (mezzi di trasporto) o per la particolare rischiosità dell’attività svolta dal titolare del trattamento (ad esempio, per alcuni luoghi come le banche può risultare giustificata l’esigenza di identificare gli autori di un sopralluogo nei giorni precedenti una rapina), può ritenersi ammesso un tempo più ampio di conservazione dei dati che, sulla scorta anche del tempo massimo legislativamente posto per altri trattamenti, si ritiene non debba comunque superare la settimana.
Il sistema impiegato deve essere programmato in modo da operare al momento prefissato l’integrale cancellazione automatica delle informazioni allo scadere del termine previsto da ogni supporto, anche mediante sovra-registrazione, con modalità tali da rendere non riutilizzabili i dati cancellati. In presenza di impianti basati su tecnologia non digitale o comunque non dotati di capacità di elaborazione tali da consentire la realizzazione di meccanismi automatici di expiring dei dati registrati, la cancellazione delle immagini dovrà comunque essere effettuata nel più breve tempo possibile per l’esecuzione materiale delle operazioni dalla fine del periodo di conservazione fissato dal titolare”.
La videosorveglianza non può essere utilizzata per verificare il comportamento dei lavoratori sul luogo di lavoro, né il rispetto dell’orario di lavoro (ad esempio la telecamera non può inquadrare una postazione operativa di lavoro o la timbratrice di ingresso/uscita).
A tale proposito il Provvedimento del Garante riporta al punto 4.1:
“Nelle attività di sorveglianza occorre rispettare il divieto di controllo a distanza dell’attività lavorativa, pertanto è vietata l’installazione di apparecchiature specificatamente preordinate alla predetta finalità: non devono quindi essere effettuate riprese al fine di verificare l’osservanza dei doveri di diligenza stabiliti per il rispetto dell’orario di lavoro e la correttezza nell’esecuzione della prestazione lavorativa (ad es. orientando la telecamera sul badge).
Tali garanzie vanno osservate sia all’interno degli edifici, sia in altri contesti in cui è resa la prestazione di lavoro, come, ad esempio, nei cantieri edili o con riferimento alle telecamere installate su veicoli adibiti al servizio di linea per il trasporto di persone o su veicoli addetti al servizio di noleggio con conducente e servizio di piazza (taxi) per trasporto di persone (le quali non devono riprendere in modo stabile la postazione di guida, e le cui immagini, raccolte per finalità di sicurezza e di eventuale accertamento di illeciti, non possono essere utilizzate per controlli, anche indiretti, sull’attività lavorativa degli addetti”.
Il mancato rispetto di quanto sopra prescritto comporta l’applicazione della sanzione amministrativa stabilita dall’art. 162, comma 2-ter, del Codice [pagamento di una somma da trentamila euro a centottantamila euro].
L’utilizzo di sistemi di videosorveglianza preordinati al controllo a distanza dei lavoratori o ad effettuare indagini sulle loro opinioni integra la fattispecie di reato prevista dall’art. 171 del Codice [punibile, ai sensi dell’articolo 38 della legge 20 maggio 1970, n.300 (Statuto dei lavoratori) con l'ammenda da 52 euro a 516 euro o con l'arresto da 15 giorni ad un anno]”.
Infine, i sistemi di videosorveglianza sui luoghi di lavoro devono essere installati previo accordo con le RSA, mancando il quale deve provvedere all’autorizzazione l’Ispettorato del Lavoro.
A tale proposito il Provvedimento del Garante riporta al punto 4.1:
“Vanno poi osservate le garanzie previste in materia di lavoro quando la videosorveglianza è resa necessaria da esigenze organizzative o produttive, ovvero è richiesta per la sicurezza del lavoro: in tali casi, ai sensi dell’art. 4 della l. n. 300/1970, gli impianti e le apparecchiature, dai quali può derivare anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti”.
Da: Cobas Pisa http://www.cobaspisa.it/
Riflessioni di Marco Spezia sulla installazione di telecamere nei luoghi di lavoro
Ata in servizio fino al 30 giugno e al 31 agosto
Gli assistenti amministrativi e gli assistenti tecnici in servizio nel corrente anno scolastico con contratto fino all'avente titolo, conferito dai dirigenti scolastici ai sensi dell'art. 40 della legge 449/1997, potranno permanere in servizio fino al 30 giugno, se occupano un posto disponibile ma non vacante, ovvero fino al 31 agosto, se occupano un posto disponibile e vacante.
È quanto si ricava dalla lettura della nota n. 4988 del 21 maggio 2013 trasmessa dalla direzione generale per il personale scolastico del ministero dell'istruzione agli uffici scolastici regionali e territoriali.
La decisione ministeriale è la inevitabile conclusione del pasticcio venutosi a creare a seguito del mancato perfezionamento della procedura di transito del personale docente inidoneo per motivi di salute nei ruoli del personale Ata, come prevede l'art. 14 del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95.
All'inizio del corrente anno scolastico, la predetta direzione generale con la nota n. 6340/bis del 30 agosto 2012, aveva infatti autorizzato i dirigenti scolastici a conferire, appunto nelle more del perfezionamento della suddetta procedura di transito e in attesa dell'autorizzazione per le immissioni in ruolo sui posti vacanti di assistenti amministrativi e tecnici e per la stipula di contratti annuali sui posti non vacanti ma disponibili, supplenze fino alla nomina dell'avente titolo.
Avendo dovuto prendere atto che alla fine dell'anno scolastico in corso non sussistono le condizioni perché la procedura di transito possa essere perfezionata neppure in un immediato futuro, a causa delle notevoli resistenze da parte dei docenti inidonei e delle loro organizzazioni sindacali e professionali che li sostengono e che ritengono il transito tra il personale Ata una dequalificazione professionale oltre che un notevole danno economico, al direttore generale, Luciano Chiappetta, non è rimasto altro che prenderne atto e autorizzare gli uffici periferici a ridefinire la natura e la durata dei contratti, da fine all'avente titolo a fino al 30 giugno o al 31 agosto 2013.
Stipendi al palo, il Senato pronto a votare il blocco dei gradoni
I gradoni rientrano dalla finestra ed escono nuovamente dalla porta. Tra oggi e domani è previsto il via libera della VII commissione del senato allo schema di decreto del Presidente della repubblica, che prevede la proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali nel pubblico impiego (n.9). Dopo di che la bozza di provvedimento sarà posta al vaglio della I commissione, affari costituzionali. E a seguito del placet di quest'ultima l'istruttoria dello schema di regolamento potrà dirsi conclusa. Fermo restando che prima di dispiegare effetti, diventando un vero e proprio provvedimento, dovrà essere sottoscritto dal Presidente della Repubblica e pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Salvo ulteriori ripensamenti in sede politica.
In ogni caso, se l'ipotesi di regolamento andrà in vigore così com'è, l'effetto sarà quello di un'ulteriore perdita del potere d'acquisto degli stipendi dei dipendenti pubblici. In modo particolare per la scuola. Per questo comparto, infatti, oltre al blocco della contrattazione collettiva e degli incrementi dell'indennità di vacanza contrattuale per il 2013 e il 2014, è prevista anche la cancellazione dell'utilità del 2013 ai fini della progressione economica di carriera (i cosiddetti gradoni). E gli effetti più devastanti si avrebbero soprattutto per quest'ultima previsione. Il perché è presto detto.
Il blocco della contrattazione collettiva per altri due anni avrebbe come effetto immediato la preclusione dell'adeguamento delle retribuzioni al costo della vita nel biennio. Ma tale effetto verrebbe, per così dire, «attutito» dall'applicazione dell'indennità di vacanza contrattuale. Che consente di recuperare annualmente circa la metà del tasso di inflazione programmata. E comunque, eventuali rinnovi contrattuali, per quanto tardivi, non precluderebbero il recupero totale, di fatto, di quanto è andato perduto finora. Perlomeno in via meramente teorica.
Anche il blocco del ricalcolo dell'indennità di vacanza contrattuale, in seguito, potrebbe essere comunque sanato. Non così, invece, per la cancellazione dell'utilità del 2013, che comporterebbe un ulteriore ritardo di un anno nella maturazione della progressione stipendiale. Il tutto con danni strutturali nell'ordine di circa 1000 euro mensili, circa 4mila euro in meno sulla liquidazione ed effetti sull'importo della pensione.
Va detto, inoltre, che sebbene governo e sindacati abbiano già trovato una soluzione per la reintegrazione dell'utilità del 2010 e del 2011, la strada per il recupero del 2012 appare tutta in salita. E la cancellazione del 2013 complicherebbe ulteriormente le cose. Tanto più che saremmo di fronte ad una progressiva decontrattualizzazione dell'unica materia che non era stata rilegificata dal governo Berlusconi con la legge 15/2009 e con il decreto Brunetta. La cancellazione dell'utilità del quadriennio 2010-2013 ai fini dei gradoni (il triennio 2010-2012 con il decreto legge 78/2010 e il 2013 con il regolamento al vaglio del senato) costituisce, infatti, una vera e propria riduzione dell'importo delle retribuzioni.
Perché nel comparto scuola la progressione economica di carriera non corrisponde a mutamenti di qualifica. Quanto, invece, ad una diversa quantificazione degli importi stipendiali diretta a valorizzare l'esperienza accumulata sul campo. Bloccare i gradoni significa, quindi, ridurre i fondi complessivamente spettanti all'intera categoria e, di conseguenza, ridurre l'importo delle retribuzioni dovute secondo il contratto attualmente in vigore. Il tutto lasciando intatti i fondi destinati all'accessorio.
In altre parole, il governo, anziché ridurre i fondi da destinare alla copertura del lavoro straordinario, che per loro natura sono previsti per la copertura finanziaria di prestazioni solo eventuali, ha tagliato e sta per tagliare risorse necessarie ad onorare debiti retribuitivi derivanti dall'erogazione del lavoro ordinario. E cioè derivanti dall'adempimento della prestazione obbligatoria ordinariamente connessa alla realizzazione della funzione.
Tutti i testi delle prove Invalsi 2013 con le griglie di correzione
di Comitato Genitori ed Insegnanti per la Scuola Pubblica di Padova
L’Invalsi ha reso disponibili in formato scaricabile i testi di tutte le prove effettuate fra il 7 e il 16 maggio nei vari ordini di scuola.
Quest’anno ha accelerato i tempi (forse le pubblicazioni “clandestine” che effettuiamo da quattro anni l’hanno convinto ad avere un minimo in più di trasparenza…).
Di seguito trovate i link a tutti i testi ed alle relative griglie di correzione per le (poche) domande aperte di entrambe le discipline coinvolte (Italiano e Matematica) e i questionari studente somministrati in quinta primaria, prima media e seconda superiore.
Avvertenza: in queste prove il testo è stato impaginato in cinque maniere diverse (modificando la numerazione delle domande) per evitare (o comunque rendere più difficile) la copiatura fra compagni di classe; quella che propiniamo è una di esse, nelle altre quattro versioni le stesse domande sono state proposte con una numerazione differente.
Buona consultazione (si fa per dire…)