E il collegio dei docenti non può deliberare diversamente
Bisogna distinguere tra:
1. valutazione del profitto e dell’interesse di un alunno in religione cattolica che va espressa in una nota separata (art. 309, quarto comma, del dpr n. 297 del 1994) e «senza attribuzione di voto numerico» (art. 2, quarto comma, del dpr n. 122 del 2009),
2. giudizio di ammissione all’esame di terza media è un voto espresso in decimi, deliberato a maggioranza dal consiglio di classe (art. 3, secondo comma, del decreto n. 122). Tale giudizio, alla cui formulazione concorre anche l’insegnante di religione, deve essere coerente con «il percorso scolastico complessivo compiuto dall’allievo nella scuola secondaria di primo grado» (circolare ministeriale n. 48 del 2012), e proprio per questo non può essere solo il risultato di una media aritmetica dei voti conseguiti nelle singole discipline.
Ed è del tutto fuori luogo trasformare la valutazione discorsiva dell’Irc in un numero, giacché non lo prevede alcuna norma né sul punto il collegio dei docenti è legittimato a inventarsi una propria tassonomia.
Il voto dell’insegnante di religione, se determinante, diviene un giudizio motivato iscritto a verbale. Così l’intesa del 13 giugno 1990, resa esecutiva con dpr n. 202 del 1990, di cui Giancarlo Lombardi, ministro della pubblica istruzione nel governo Dini, provò a spiegare il signifi cato, affermando «che quando il voto dei docenti [di religione] diviene determinante, esso deve trasformarsi in un giudizio motivato che non rientra nel conteggio” (nota del 29 novembre 1995).
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