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martedì 23 settembre 2014

Back to school con Renzi l’americano

Il documento. Il governo punta forte su un modello che ha già fatto disastri negli States. Adottando il «bring your own device», ovvero «portati il tuo pc da casa», e «social impact bonds» a beneficio dei privati. Così il preside-manager sarà costretto a cercarsi uno sponsor
Rem tene, verba sequen­tur (attieniti ai fatti, le parole seguiranno) si diceva tanto tempo fa. E allora ana­liz­ziamo le parole e rico­struiamo indut­ti­va­mente il para­digma cul­tu­rale sot­teso alla recente pro­po­sta del Governo sulla scuola.
Il docu­mento, da sot­to­porre nei pros­simi due mesi a con­sul­ta­zioneonline e offline, è tutto un flo­ri­le­gio di angli­smi: la scuola deve uscire dalla com­fort zone e diven­tare l’avamposto del rilan­cio del made in Italy. Dotarsi di inse­gnanti men­tor capaci di pro­porre for­ma­zione online ma anche blen­ded. Pro­durre piat­ta­forme spe­ri­men­tali con un design chal­lenge lan­ciato pre­sto­daun hac­ka­ton mirante alla crea­zione di una app. Attrez­zarsi per sfide di gover­nance policy a colpi di data school nazio­nali, design di ser­vizi e ope­ning up edu­ca­tion, ovvia­mente rife­rita allebest prac­ti­ces.
Ma non basta: final­mente arriva la good law e il nud­ging sbarca al Miur per­ché «assi­cu­rare piena com­pren­sione e chia­rezza su quanto il Miur pub­blica è un’azione di aper­tura e tra­spa­renza di pari dignità rispetto all’apertura dei dati».
La buona scuola pro­muove il CLIL, cioè il Con­tent and Lan­guage Inte­gra­ted Lear­ning, e alle ele­men­tari inse­gna il coding attra­verso la gami­fi­ca­tion. Valo­rizza il pro­blem sol­ving, il deci­sion making e, ove neces­sa­rio, poten­zia l’agri-business. Gli stu­denti diven­te­ranno digi­tal makers, si supe­rerà il digi­tal divide e riu­sci­remo a intrat­te­nere gli early lea­vers, ovvero quei «gio­vani disaf­fe­zio­nati» (sic) che la scuola oggi non rie­sce a tenere con sé. Per fare que­sto adotta il BYOD, bring your own device, ovvero «por­tati il tuo pc da casa». Ma, non paga, la buona scuola del governo pro­porrà school bonus, school gua­ran­tee, cro­w­d­fun­ding, emet­tendo all’occorrenza social impact bonds a bene­fi­cio dei pri­vati che vor­ranno appro­fit­tare del suc­cu­lento ban­chetto dell’istruzione imban­dito da Renzi. Good appe­tite.
Ma l’anglofilia del docu­mento non si esau­ri­sce nella patina les­si­cale e nel regi­stro lin­gui­stico. La buona scuola di Renzi è quella ame­ri­cana, auto­noma nell’organizzazione, nella didat­tica e nei finan­zia­menti. È la scuola intesa non come isti­tu­zione della Repub­blica, costi­tu­zio­nal­mente garan­tita a tutti e che offre pari oppor­tu­nità di accesso cri­tico alla cono­scenza e al sapere, bensì come espres­sione dif­fe­ren­ziata, cul­tu­ral­mente mar­cata e com­pe­ti­tiva, delle realtà e delle comu­nità locali: la scuola che si fa il suo pro­getto for­ma­tivo e si cerca sul mer­cato qual­cuno che abbia inte­resse a pagarlo.
La scuola, in Ame­rica, è nata prima degli Stati Uniti, quando i coloni strap­pa­vano le terre ai Nativi e costrui­vano pri­gioni e saloon. Comi­tati locali le orga­niz­za­vano, spesso in case pri­vate, si pro­cu­ra­vano gli inse­gnanti, met­te­vano a dispo­si­zione i libri e la Bib­bia non man­cava mai. Oggi i comi­tati si chia­mano Con­si­gli Diret­tivi, sono com­po­sti da cit­ta­dini eletti e man­ten­gono gli stessi com­piti: adot­tano pro­grammi didat­tici e gesti­scono il bilan­cio. L’autonomia sco­la­stica con­sente alle fami­glie ame­ri­cane il con­trollo sui con­te­nuti dell’insegnamento — in Lou­siana e nel Ten­nes­see, la lobby crea­zio­ni­sta osta­cola tena­ce­mente l’insegnamento dell’evoluzionismo — e per­mette ai fun­zio­nari eletti di imporre con­te­nuti e metodi di inse­gna­mento nei loro distretti scolastici.
La fram­men­ta­zione della scuola pub­blica ame­ri­cana ha pro­dotto e pro­duce risul­tati sco­la­stici così sca­denti da indurre oggi il Con­gresso a forme di con­trollo cen­tra­liz­zato ex post. Stan­dard e obiet­tivi di appren­di­mento nazio­nali da misu­rare con bat­te­rie di test dai cui risul­tati dipende la soprav­vi­venza o la chiu­sura delle scuole. Un rime­dio peg­giore del male, per­ché tra­sforma l’insegnamento in adde­stra­mento e, soprat­tutto, non sol­leva gli stu­denti ame­ri­cani dalle ultime posi­zioni nelle clas­si­fi­che inter­na­zio­nali. La buona scuola di Renzi è quella di un paese, l’America, in cui le scuole migliori sono pri­vate e costo­sis­sime; un paese in cui anche le scuole pub­bli­che, finan­ziate con la fisca­lità muni­ci­pale, pos­sono avere rette molto ele­vate e dove le più acces­si­bili si tro­vano nei quar­tieri depri­vati e accol­gono i poveri, gli svan­tag­giati, i discri­mi­nati. Un paese in cui la dispa­rità eco­no­mica è diret­ta­mente pro­por­zio­nale alla dispa­rità educativa.
C’è un pas­sag­gio, nel docu­mento, in cui si dice che «ogni scuola dovrà avere la pos­si­bi­lità di schie­rare la squa­dra con cui gio­care la par­tita dell’istruzione», ossia la libertà di sce­gliere i docenti che riterrà «più adatti» per rea­liz­zare la pro­pria offerta for­ma­tiva. La meta­fora cal­ci­stica di ber­lu­sco­niana memo­ria, rivela esat­ta­mente qual è la dire­zione del governo: por­tare a com­pi­mento il pro­cesso di pri­va­tiz­za­zione della gestione della scuola intra­preso da Ber­lin­guer con la legge sull’autonomia e, con­tem­po­ra­nea­mente, com­ple­tare il per­corso di arre­tra­mento dello stato inau­gu­rato da Tre­monti, fino alla com­pleta dismis­sione della scuola pub­blica. Il preside-manager, costan­te­mente in cerca di spon­sor per finan­ziare la sua scuola, sce­glierà e licen­zierà discre­zio­nal­mente i suoi docenti, affian­cato in que­sto da un nucleo di valu­ta­zione in cui la pre­senza di esterni garan­tirà forme di con­trollo politico-culturale ma soprat­tutto il ritorno eco­no­mico degli inve­sti­menti pri­vati. L’esperienza di Chan­nel One, che in Ame­rica ha un con­tratto con 12.000 scuole, impo­nendo a milioni di stu­denti in classe dosi quo­ti­diane della sua pro­gram­ma­zione tele­vi­siva e pub­bli­ci­ta­ria, dovrebbe indurre i cit­ta­dini ita­liani a una rifles­sione seria.
Il resto del docu­mento è pura dema­go­gia. La pro­po­sta del ser­vi­zio civile a scuola, la col­la­bo­ra­zione con il terzo set­tore, l’ingresso del volon­ta­riato: un omag­gio dell’esecutivo a certa cul­tura scou­ti­sta e demo­cri­stiana; il rife­ri­mento alla sus­si­dia­rietà, una striz­zata d’occhio a Com­pa­gnia delle Opere e a Comu­nione e Liberazione.
E infine, l’impegno di assun­zione di 150.000 pre­cari nel 2015, accom­pa­gnato dall’ignobile ricatto a milioni di inse­gnanti di ruolo che impone di rinun­ciare al loro attuale sta­tus giu­ri­dico e di restare inchio­dati fino alla pen­sione al loro mise­re­vole sti­pen­dio ini­ziale. Un impe­gno spac­ciato come scelta e come testi­mo­nianza della volontà del governo di inve­stire nella scuola, in realtà ine­lu­di­bil­mente impo­sto dalla pro­ce­dura d’infrazione avviata a Bru­xel­les con­tro l’Italia per la vio­la­zione della nor­ma­tiva comu­ni­ta­ria sulla rei­te­ra­zione dei con­tratti a termine.
Una pro­messa da far tre­mare i polsi in tempi di tagli dra­co­niani e di riforme feu­dali impo­ste dalla Troika: ma forse, l’ennesima vel­leità di chi, assai peri­co­lo­sa­mente, «vuo’ fa’ l’americano».

Anna Angelucci, Asso­cia­zione Nazio­nale Per la Scuola della Repubblica

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