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lunedì 7 marzo 2016

La Buona scuola introduce forme di sfruttamento minorile

La riforma della “buona scuola” non cessa mai di stupirci. E non solo per il suo nome: che, nella
miglior tradizione orwelliana, chiama le cose con i nomi invertiti (“la guerra è pace”“la schiavitù è libertà”, ecc.).
A destare stupore e, insieme, scandalo, è un altro aspetto della riforma con cui il governo ha scelto consapevolmente di “rottamare” la scuola, la formazione e l’istruzione, peraltro proseguendo con coerenza sulla linea dei precedenti governi di centro-destra e di centro-sinistra.
Il fanatismo economico mira a distruggere la scuola e l’università come momenti etici. I continui tagli dei finanziamenti destinati alla cultura e all’istruzione – tagli coerenti con il paradigma neoliberista e con l’assunzione del momento economico come unica sorgente di senso – rispondono essi stessi a questo programma politico di annichilimento della formazione come momento etico, opportunamente mascherato dietro le leggi anonime dell’economia.
Il potere nichilistico della finanza e del capitale mira a decapitare ogni testa pensante, sostituendola con il “cretinismo economico” (Gramsci) delle teste calcolanti, organiche alla nuova razionalità neoliberista: ecco perché tra gli obiettivi ministeriali della scuola figura la promozione del “pensiero computazionale” (sic!).
Il capitale non può accettare l’esistenza di teste pensanti, di soggetti formati e portatori di identità culturale e di spessore critico, consapevoli delle loro radici e della falsità del tempo presente.
Aspira, invece, a vedere ovunque il medesimo, vale a dire atomi di consumo senza identità e senza cultura, pure teste calcolanti e non pensanti, in grado di parlare unicamente l’inglese dei mercati e della finanza.
Per questo, nell’ultimo ventennio la scuola è stata sottoposta a una radicale dinamica di aziendalizzazione, che l’ha rapidamente riconfigurata nelle sue stesse fondamenta. Da istituto di formazione di esseri umani in senso pieno, consapevoli del proprio mondo storico e della propria storia, la si è trasformata in azienda erogatrice di abilità e competenze indisgiungibilmente connesse con il dogma utilitaristico del “servire-a-qualcosa”.
È, dunque, del tutto coerente con questa dinamica che la neo-orwelliana riforma detta della “buona scuola” ha introdotto un aspetto sul quale troppo poco si è insistito. Ed è questo: i commi dal 33 al 41 prevedono l”alternanza scuola-lavoro’.
In concreto, i minorenni dovranno per legge lavorare gratis per 200 ore nelle aziende se frequentanti i licei, e 400 ore se frequentanti gli istituti professionali. Sarà il dirigente scolastico a individuare le imprese disponibili all’attivazione di percorsi di alternanza e a stipulare apposite convenzioni.
L’alternanza si farà in azienda, di modo che i giovani si abituino a quel mondo aziendale sul quale la scuola stessa è sempre più massicciamente modellata e che diventa paradigma universale delle esistenze esse stesse aziendalizzate. L’alternanza potrà essere svolta durante la sospensione dell’attività didattica, anche con la modalità – ancora con gergo neo-orwelliano- dell’“impresa formativa simulata”.
Si tratta, è evidente, dell’introduzione di nuove forme di lavoro coatto minoriledi pura estorsione di pluslavoro peraltro non retribuito. Ritorna la corvée, peraltro ai danni dei minorenni, un po’ come con lo stage, che è anch’esso una forma di volgare sfruttamento del lavoro di giovani per di più umiliati dall’ossequiosità che è loto richiesta.
Definire criminale la “alternanza scuola-lavoro” come sfruttamento del lavoro minorile significa, in fondo, essere ancora politicamente corretti.   
di Diego Fusaro,  Il Fatto Quotidiano   6.3.2016 

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