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COMITATI DI BASE DELLA SCUOLA- CONFEDERAZIONE COBAS

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venerdì 27 aprile 2012

Massimo Germani: «La tortura non serve solo ad estorcere informazioni, mira a distruggere l’identità e ridurre al silenzio»

L’intervista – Parla Massimo Germani, medico e terapeuta del centro di cure per i disturbi da stress post-traumatico dell'ospedale san Giovanni di Roma. Coordinatore nazionale del Nirast, una rete nata nel 2007 e che raccoglie 10 centri ospedalieri universitari diffusi nel territorio e specializzati per i richiedenti asilo che hanno ricevuto torture e traumi estremi

Paolo Persichetti, Gli Altri 27 aprile 2012
In Italia c’è stata e continua ad esseci la tortura. Non è una novità anche se recentemente sono emerse circostanze nuove che portano a rileggere in modo più compiuto quanto è accaduto. Per esempio nel 1982, quando il governo allora guidato da Giovanni Spadolini decise di ricorrervi per contrastare la lotta armata. Libri, inchieste giornalistiche e televisive, blog, le rivelazioni per la prima volta senza reticenze di Salvatore Genova (un funzionario di polizia in forza alla squadra speciale dell’Ucigos, creata nel dicembre 1981 dal ministro della Giustizia Virginio Rognoni per condurre le indagini sul sequestro Dozier) apparse sull’Espresso del 6 aprile, hanno aperto squarci importanti. Oggi conosciamo i nomi dei torturatori, di chi ha dato gli ordini e di chi li ha coperti. Un film, Diaz, ci reintroduce nell’atmosfera del massacro nella palestra della scuola di Genova e delle sevizie nella caserma di Bolzaneto durante il G8 del 2001. Tuttavia siamo portati sempre a soffermarci sugli aspetti politici e giuridici che il ricorso alla tortura implica all’interno della società. Una riflessione che non deve cessare ma anzi va ancora di più approfondita. Questa volta però vogliamo proporvi uno sguardo diverso, quello di un medico-terapeuta che cura i torturati. Questo anche perché esiste un risvolto ancora sconosciuto: nelle carceri Italiane ci sono da più decenni persone che hanno subito torture, non hanno visto riconosciuto questo trattamento violento subito, non sono state curate.
E’ venuto il momento di cominciare a parlarne e soprattutto esigere la loro scarcerazione.
Che cosa accade nella psiche di una persona torturata?
Negli ultimi dieci anni si è capito che la tortura, come ogni tipo di violenza interpersonale, soprattutto se ripetuta e prolungata nel tempo, provoca degli effetti assolutamente specifici che vanno molto al di là della classica sindrome da stress post-traumatico.
Che tipo di effetti?
Si assiste ad una frantumazione dell’identità che da luogo a patologie della personalità di tipo dissociativo. La nostra identità è fatta di tante cose messe insieme che vanno a costruire quello che si vede all’esterno e quello che sentiamo dentro. Una composizione complessa di fattori con molte facce: culturale, politica, religiosa, sociale… che ad un certo punto si frammentano e si dissociano dando vita ad una serie di fenomeni clinici, spesso purtroppo non riconosciuti, che se non sono trattati in modo specifico possono divenire cronici aggravandosi nel tempo, anche lontano dall’episodio di tortura e di violenza.
Come si scatena questo sfaldamento della personalità?
La tortura produce conseguenze che investono la profondità della psiche. Rispetto ai traumi dovuti ad incidenti, catastrofi naturali, qui si tratta dell’incontro con qualcosa di negativo che viene portato da un altro uomo e che dal punto di vista analitico è chiamato il “male incarnato”. E’ il ritorno ad un’angoscia primitiva che ognuno di noi ha nella fase infantile ma che impariamo ad allontanare con un rapporto genitoriale sufficientemente buono. Quest’angoscia può ricomparire se ci si ritrova completamente inermi nelle mani di qualcuno che vuole distruggerci. L’idea di un io stabile e unitario ci sembra un fatto acquisito. In realtà non è così. Si tratta di un equilibrio fragile. Ce ne accorgiamo solo in determinati momenti della nostra vita, quando subiamo dei lutti, dei contraccolpi, ma in genere si tratta di brevi esperienze. Questa percezione stabile e unitaria dell’io può andare completamente in frantumi proprio nei momenti in cui incontriamo un essere umano che ci tiene in pugno e vuole annientarci.

Parli di “fenomeni non riconosciuti”. Soffermiamoci un momento su questo punto. In un contesto dove la tortura è stata praticata ma non riconosciuta, il perdurare di questa menzogna che effetti ha? Siamo abituati a riflettere sugli effetti politici e storici ma sulla singola persona quali conseguenze si ripercuotono?
Uno dei problemi nelle persone che hanno subito torture è proprio il dopo. Si è visto nelle ricerche compiute sui sopravvissuti ai campi di concentramento che quanto accade dopo, soprattutto nell'immediato, quando sembra che è finita, si è scampati, fuggiti, è molto importante. Se viene meno il riconoscimento da parte dei riferimenti che c’erano prima si incrementata in modo esponenziale la violenza subita. In questo caso la tortura raggiunge il suo scopo primario, anche se implicito: non solo estorcere informazioni ma distruggere l’identità e indurre al silenzio civile, politico e sociale. L’effetto finale della tortura è far sì che le persone non siano più tali e si trasformino in fantasmi che sopravvivono nel mondo. In modo che attraverso questo silenzio e questa sofferenza siano testimoni del potere, siano monito a tutti di cosa può succedere a chi prende posizioni diverse da quelle possibili o richieste dal potere stesso.
Dunque il riconoscimento ha una doppia valenza, storico-politica ma anche clinico-sociale?
Certo, se c’è un riconoscimento da parte della collettività, che può essere più o meno allargata, come poter tornare in un gruppo sociale di riferimento, in qualche modo sentire una condivisione e un sostegno da parte del gruppo in cui si è reinseriti, l’effetto è positivo. Aiuta a ritrovare le proprie radici, la possibilità di ritornare a quelle che precedentemente erano le proprie identità. Questo ovviamente è un qualcosa che non prelude automaticamente alla possibilità di un recupero.
Fino ad ora mi hai descritto la condizione dell’inerme, quella che per definizione è definita “vittima assoluta”. Tuttavia nei militanti che hanno subito torture si tende a rifiutare questa identità. Esiste una differenza?
Questo è un punto molto importante. La ricerca clinica ha dimostrato che la consapevolezza del rischio a cui si va incontro facendo certe cose, sapere che si può essere presi, messi in carcere, subire delle violenze, nella maggioranza dei casi è un fattore di protezione importante. Aiuta rispetto a quello che può essere il risultato finale di una esperienza di tortura o di violenza. Questo è possibile perché si ha la consapevolezza che quello che sta accadendo, la sofferenza subita, è legato ad un significato. Questo significante può svolgere una funzione di protezione, come tutte le credenze condivise che riescono a sopravvivere alla esperienza della tortura: siano esse religiose, sociali o politiche. Naturalmente questo non significa che chi ha una fede politica o religiosa sia esente dalle conseguenze della tortura. Ho in mente tante persone che nonostante questo sono uscite distrutte e hanno dovuto fare percorsi lunghi prima di ritrovare un senso di sè, una certa soddisfazione e fiducia negli altri.
In Italia, i militati della lotta armata torturati, e che nel frattempo non sono diventati “collaboratori di giustizia”, sono rimasti in carcere per molti decenni. Ancora oggi ci sono almeno due casi che hanno oltrepassato i 30 anni. Come è definibile questa situazione?
Anche questa è un’altra cosa importante dal punto di vista umano e clinico. Le persone che hanno subito trattamenti inumani e degradanti, o di vera e propria tortura, soprattutto se sono in regime carcerario avrebbero dovuto subire accertamenti sulle loro condizioni di salute psico-fisiche in strutture specializzate nel riconoscimento e nella cura di questo tipo di patologie. Le patologie dissociative sono fenomeni ed hanno sintomi che spesso sfuggono anche a psicologi o medici, o anche a psichiatri che non hanno una grossa esperienza di questo tipo. Possono quindi essere facilmente sottovalutati o presi per altri tipi di problematiche e non riconosciuti. Inoltre non siamo di fronte a patologie che volgono spontaneamente verso una guarigione nel tempo. Lasciate a se stesse nella maggior parte dei casi evolvono verso un peggioramento e una cronicizzazione.
Farlo sarebbe stato un riconoscimento implicito delle torture. In realtà la macchina giudiziaria e quella carceraria hanno lavorato per seppellire ogni prova. Subito dopo le torture c’è stato l’articolo 90, la sospensione della riforma carcerario e l’ulteriore inasprimento delle condizioni detentive.
Spiegaci un'altra cosa: hai riscontrato un uso e degli effetti specifici della tortura sul corpo delle donne?

Se pensiamo alle sevizie sessuali, non c’è differenza. Ci siamo resi conto che durante le torture anche la maggior parte degli uomini ha subito forme di abuso sessuale. Se già le donne, soprattutto all’inizio, non raccontano le sevizie perché se ne vergognano, per gli uomini è ancora più difficile. Pensiamo a chi, attraversando il Sahara, è passato per le carceri libiche o in quelle afgane. Esistono invece differenze importanti per quanto riguarda gli effetti. Sono in corso delle ricerche (tra qualche anno ne sapremo di più). Oggi si sa che nelle donne è più alta l’incidenza dei fenomeni dissociativi e l’incidenza delle sindromi depressive gravi, che si presentano come fenomeno secondario. Se oltre l’80% di chi ha subito tortura va incontro a sindromi depressive, insieme a quadri clinici che presentano iperattivazione continua, sensazione di pericolo imminente, stati ansiogeni, tensione interna molto forte che spesso porta ad avere scoppi di rabbia, nelle donne si arriva al 90% con forme ancora più gravi.
Il tuo lavoro ti ha messo davanti a tanti racconti di torture che arrivano da Paesi lontani. Che effetto ti hanno fatto le testimonianze delle torture italiane?
Sul piano emotivo mi hanno toccato di più. Faccio fatica a dirlo perché in questi anni molte cose che ho sentito mi hanno colpito in un modo incredibile, tuttavia devo sottolineare questa piccola ma significativa differenza. Quando ho letto della caserma di Castro Pretorio, ad esempio, un luogo che conosco, ci passo davanti, sentire questa cosa... Ecco, penso che questo vada colto, vada valorizzato per far capire che queste cose possono succedere veramente vicino a noi. E’ importante cercare di comunicarle nel modo giusto, che non è quello di far scandalo ma di avere una sensibilità più diffusa su qualcosa che altrimenti può essere sentita come lontana. Poi ovviamente sopravviene la riflessione e allora voglio dire che ogni tanto c’è un dibattito sul ricorso all’uso della tortura da impiegare magari solo in casi eccezionali, “se c’è il terrorista con la bomba che vuol far saltare in aria una scuola”. Questi discorsi che hanno la pretesa di essere realisti sono invece molto pericolosi. Guai a cedere alla tentazione di cominciare a contrattare. Ci deve essere un tabù della tortura. Non deve esistere, non va fatta. Questo ci impone di lottare contro di essa concretamente, al di là delle parole. In Italia è arrivato il momento, perché non è mai troppo tardi, di approvare una legge contro il reato di tortura.
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mercoledì 25 aprile 2012

ALTRA IMPORTANTE SENTENZA SUI PERMESSI PER MOTIVI PERSONALI: CONDANNATO DIRIGENTE SCOLASTICO CHE LI NEGA

TRIBUNALE DI LAGONEGRO
SEZIONE LAVORO
Sentenza n. 309/2012 del 04.04.2012
MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO
Con ricorso proposto ai sensi dell'art. 414 c.p.c., e depositato il 24.3.2007, parte ricorrente,
insegnante presso (…) riferiva che in data 3.11.2009" previa domanda, fruiva, ai sensi dell'art. 15,
co. 2, del CCNL, di un giorno di permesso retribuito; che alla richiesta del Dirigente di produrre
idonea documentazione giustificativa, rispondeva dichiarando di aver fruito del permesso per
presiedere ed assistere ai lavori di riparazione della linea telefonica ADSL presso la propria
abitazione;
che ad ulteriore richiesta di integrazione il ricorrente comunicava il numero di telefono della linea
oggetto di riparazione, nonché indicando le imprese di riferimento i cui tecnici avevano effettuato i
lavori; alla ulteriore richiesta di comunicazione dei dati identificativi dei tecnici che avevano
effettuato le riparazioni, il ricorrente opponeva la sufficienza della documentazione sino ad allora
esibita;
che in data 16.12.2009 il Dirigente, con decreto, dichiarava l'assenza dal lavoro del ricorrente
ingiustificata, disponeva la trattenuta di una giornata lavorativa e l'addebito "...del costo pari alle
ore di servizio, n. 4 per Euro 26,29 (quota oraria) da rimborsare alla scuola, tramite versamento
con c.p.p. allegato alla presente per ore retribuite come eccedenti per la sostituzione effettuata
dai docenti nella giornata del 3.11.2009";
che il ricorrente effettuava il versamento.
Sosteneva che la fruizione del permesso, in quanto esercizio di una situazione attiva a contenuto
potestativo, non dipende da un atto discrezionale del datore di lavoro; è un diritto soggettivo
perfetto e l'onere documentale dell'istante è limitato alla mera rappresentazione del fatto.
Tutto ciò premesso chiedeva al Tribunale di Lagonegro, in funzione di Giudice del Lavoro, di
annullare il decreto del Dirigente del 16.12.2009, qualificandolo come provvedimento disciplinare,
di essere reintegrato nei propri diritti retributivi, e di condannare parte convenuta alla restituzione
della somma di Euro 105,16, illegittimamente pretesa, ed a risarcimento del danno morale subito,
spese rifuse.
Parte convenuta si costituiva chiedendo il rigetto della domanda e sostenendo la legittimità del
proprio operato.
All'udienza del 4.4.2012, il Giudice ritenuta la causa matura per la decisione invitava i procuratori
alla discussione e decideva la causa come da sentenza pubblicamente letta all'esito della camera
di consiglio.
E' pacifico che parte ricorrente si sia assentata nel giorno 3.11.2009, avendo richiesto un giorno di
permesso retribuito per motivi personali, e non sono contestate le circostanze relative alle
successive richieste di integrazione da parte del Dirigente scolastico.
Sul tema si è di recente pronunciato il Tribunale di Monza, sent. N. 288/2011, alle cui motivazioni
si rinvia essendo pienamente condivisibili;
tale pronuncia ha seguito una nota dell'ARAN che si è attestata sulle stesse posizioni.
L'art. 15, co. 2, del CCNL 2006-2009 prevede che "Il dipendente, inoltre, ha diritto, a domanda,
nell'anno scolastico, a tre giorni di permesso retribuito per motivi personali o familiari documentati
anche mediante autocertificazione.
Per gli stessi motivi e con le stesse modalità sono fruiti i sei giorni di ferie durante i periodi di
attività didattica di cui all'ar1. 13, comma 9, prescindendo dalla condizioni previste in tale norma".
Per il personale è prevista la possibilità di richiedere tre giorni di permesso retribuito per motivi
personali oppure familiari.
Questo istituto contrattuale, con l'accordo sottoscritto il 29.11.2001, è diventato un diritto (nel
precedente contratto si diceva invece: "sono attribuiti").
Le condizioni necessarie per poterne usufruire sono semplicemente che i giorni di permesso
vengano richiesti per motivi personali oppure per motivi familiari.
Tali motivazioni sono sottratte alla valutazione discrezionale del Dirigente Scolastico, il quale
pertanto non può entrare in merito alle stesse.
Il CCNL scuola 2006-2009 distingue il diritto del dipendente alle ferie (di cui all'art. 13) dal diritto
al permesso retribuito.
L'art. 15 attribuisce al dipendente a tempo indeterminato il diritto ad un permesso retribuito in
alcuni casi specifici e per numero di giorni limitati. Il 2° comma, in particolare dispone, come
visto, che "Il dipendente, inoltre, ha diritto, a domanda, nell'anno scolastico, a tre giorni di
permesso retribuito per motivi personali o familiari documentati anche mediante
autocertificazione.
Per gli stessi motivi e con le stesse modalità sono fruiti i sei giorni di ferie durante i periodi di
attività didattica di cui all'art. 13, comma 9, prescindendo dalla condizioni previste in tale norma".
Quest'ultima norma, nel circoscrivere il diritto alla fruizione delle ferie nel periodo di sospensione
dell'attività didattica, prevede quale deroga: "durante la rimanente parte dell'anno, la fruizione
delle ferie è consentita al personale docente per un periodo non superiore a sei giornate
lavorative. Per il personale docente la fruibilità dei predetti sei giorni è subordinata alla possibilità
di sostituire il personale che se ne avvale con altro personale in servizio nella stessa sede e,
comunque, alla condizione che non vengano a determinarsi costi aggiuntivi, anche per l'eventuale
corresponsione di compensi per ore eccedenti, salvo quanto previsto dall'art. 15, co. 2".
Le citate disposizioni devono essere messe tra loro in correlazione nel senso che al personale
docente spettano, per motivi familiari o personali documentati tre giorni di permesso retribuito e
possono per gli stessi motivi, usufruire anche di sei giorni di ferie durante il periodo di attività
didattica. Il richiamo, poi, dell'art. 15, co. 2, contenuto nell'ad. 13, co. 9, va interpretato nel senso
che, qualora le ferie vengano richieste per motivi personali o familiari documentati,
l'autorizzazione non è soggetta ai presupposti richiamati in generale per la fruizione in periodo di
attività didattica, ma è soggetto al trattamento di cui al successivo art. 15, co. 2, come peraltro
chiaramente enunciato in tale ultima norma.
Va sottolineato, inoltre, che, mentre l'art. 13, co. 9, subordina l'autorizzazione alle ferie in periodo
di attività didattica "alla possibilità di sostituire il personale che se ne avvale con altro personale in
servizio nella stessa sede e, comunque, alla condizione che non vengano a determinarsi costi
aggiuntivi, anche per l'eventuale corresponsione di compensi per ore eccedenti", uguale
restrizione non è contenuta nell'ad. 15, co. 2, che richiede per la fruizione del permesso retribuito
per motivi personali e familiari (e per la fruizione di ferie per le stesse ragioni), la presentazione
della domanda corredata dalla documentazione (anche autocertificazione) attestante la
sussistenza di detti motivi.
Nessuna discrezionalità è lasciata al Dirigente Scolastico in merito all'opportunità di autorizzare il
permesso e le ferie per queste particolari ipotesi, né, in particolare, gli è consentito di comparare
le esigenze scolastiche con le ragioni personali o familiari certificate per cui il permesso è
richiesto, ma avrà solo un controllo di tipo formale in merito alla presentazione della domanda ed
all'idoneità della documentazione a dimostrare la sussistenza delle ragioni poste a base della
domanda; né tanto meno, è consentito al Dirigente Scolastico porre delle regole preventive che
vietino o restringano la possibilità per i docenti di usufruire dei permessi o delle ferie in periodo di
attività didattica, qualora queste siano richieste per motivi personali o familiari.
Tanto è condiviso anche dall'ARAN che, con suo parere, ha ritenuto che "il diritto ai tre giorni di
permesso retribuito per motivi personali o familiari, è subordinato ad una richiesta (...a
domanda...) del dipendente documentata 'anche mediante autocertificazione". Il parere continua
sostenendo che "la previsione contrattuale generica ed ampia di 'motivi personali o familiari' e la
possibilità che la richiesta di fruizione del permesso possa essere supportata anche da
“autocertificazione “[...] esclude un potere discrezionale del dirigente scolastico il quale,
nell'ambito della propria funzione [...] è preposto al corretto ed efficace funzionamento dell’
istituzione scolastica nonché alla gestione organizzativa della stessa".
Ciò premesso, nel caso di specie risulta che parte ricorrente ha tempestivamente proposto
domanda per assentarsi ed ha documentato idoneamente, autocertificandoli, i motivi personali e
familiari per cui intendeva assentarsi. Quindi il Dirigente Scolastico ha illegittimamente dichiarato
che l'assenza fosse ingiustificata. Conseguentemente risultano illegittimi la trattenuta di una
giornata lavorativa e l'addebito del costo pari alle ore di servizio.
La domanda di parte ricorrente, pertanto, va accolta.
Va respinta, invece, la domanda di condanna al risarcimento del danno morale in quanto carente
sotto il profilo delle allegazioni prima ancora che della prova. Le spese, previsa (così nel testo
n.d.r.) compensazione per un quarto alla luce dell'accoglimento solo parziale della domanda e
della natura controversa della questione sottopost a all' attenzione del giudicante, si liquidano
come da dispositivo con riferimento al d.m. 8.4.2004 n. 121" considerando che, in attesa
dell'emanazione del d.m. previsto dall'art. 9 dl 1 del 2012, le pur abrogate tariffe professionali
mantengono comunque valenza di criterio di orientamento per la liquidazione equitativa.
P Q.M
Il dott. Arturo Avolio, quale giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, ogni contraria
istanza disattesa, così provvede:
a) Dichiara l’ illegittimità della trattenuta di un giorno di retribuzione operata sullo stipendio di
parte ricorrente con riferimento all'assenza del giorno 3.11.2009;
b) Condanna parte resistente a rifondere a parte ricorrente l’importo corrispondente a detta
trattenuta;
c) Dichiara l'illegittimità dell'addebito del costo pari alle ore di servizio con riferimento all'assenza
del giorno 3. 11.2009;
d) Condanna parte resistente a rifondere a parte ricorrente l'importo corrispondente a detto
addebito;
e) Rigetta la domanda di risarcimento del danno;
Condanna le parti resistenti, previa compensazione delle spese di lite nella misura di 1/4, al
pagamento delle spese processuali, che liquida in complessivi €. 498,66, oltre I.V.A. e cpa, con
distrazione.


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TFA SI PARTE


TFA. SI PARTE
Decreto Direttoriale n. 74 del 23.4.2012. Indicazioni operative per le prove di selezione di cui all'articolo 15 del decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca 10 settembre 2010, n. 249.
Allegati (contenenti le date delle prove).
Programma prove di accesso TFA.
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VERGOGNA: LICENZIATI A BREVE PIU’ DI 10.000 DOCENTI PRECARI DI SOSTEGNO

E’ tutto scritto nel decreto n.7 del 19/04/2012 denominato “Corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno destinati al personale docente in esubero – Anno scolastico 2012-2013”.
Il ministero ha deciso di dare la tanto sospirata soluzione per i docenti soprannumerari e poco importa se invece non dà nessuna soluzione per i docenti di sostegno precari che, tra l’altro, aspettano questa soluzione da decenni.
Il gioco è fatto: si “elimina” il precario che da decenni lavora nella scuola e lo si sostituisce con un docente qualsiasi soprannumerario che mai nella sua vita si sarebbe sognato un simile utilizzo, ma che sarà costretto a farlo...                                                                                                                                                                                                Ci sono in esubero miglia di docenti DIPLOMATI, denominati ITP (insegnati tecnico-pratici di laboratorio), che a breve si ritroveranno ad occupare quasi tutti i posti di sostegno della scuola superiore di II grado.                                                        

Solo quest’anno sono previsti oltre 10.000 esuberi, docenti che potenzialmente prenderanno il posto di oltre 10.000 docenti di sostegno frequentando un corso di circa 420 ore di cui il 50% online ed il rimanente con frequenza obbligatoria che, se il corsista non riesce a svolgere, potrà recuperare le ore IN MODALITA’ ONLINE.                                                                                                                                                                                                IL corso è chiaramente gratuito (interamente OFFERTO dal MIUR) e da diritto, già DOPO il superamento di un terzo del corso, alla utilizzazione su posto di sostegno.                                                                                               Tutto questo alla faccia di docenti pluriabilitati e specializzati che a breve si ritroveranno DISOCCUPATI e senza nessuna prospettiva di VITA.
Spero che riusciate  VERAMENTE a bloccare questo schifo.

Prof. Buttafarro Manuele
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lunedì 23 aprile 2012

NUOVA PRATICA DELLA POLIZIA IN UMBRIA: DENUNCIARE E PUNIRE

La confederazione Cobas dell'Umbria ritiene gravissimo il comportamento della Questura di Perugia  che ha denunciato 37 tra studenti, ricercatori precari e docenti (tra cui una militante dei Cobas) per aver partecipato alla manifestazione “non autorizzata” del 30 novembre 2010 contro l’approvazione della legge Gelmini. Se a Terni la Questura si è di fatto schierata con i fascisti, denunciando -dopo un’inchiesta su 35 persone durata un anno - quattro antifascisti per la manifestazione pacifica e di massa contro Casapound del 31 gennaio 2009, a Perugia viene attaccato e limitato pesantemente il diritto a manifestare.

Sembra che la polizia in Umbria si appresti ad affrontare la crisi valorizzando il suo ruolo di cane da guardia del potere: a Perugia si denunciano decine di persone per cercare di bloccare le lotte, a Terni denunce e avvisi orali (misure di intimidazione usate contro la criminalità organizzata) contro chi fa attività sociale ed antifascismo, a Spoleto siamo alla farsa nella persecuzione degli antagonisti, su teoremi costruiti dai ROS di Ganzer ed avallati dalla magistratura locale.


In questo contesto di forti tagli ai diritti, ai salari, alle pensioni, ai servizi fondamentali ed alla scuola pubblica ( con 8 miliardi di € di tagli alla scuola, 150.000 “licenziamenti” di precari tra docenti ed ATA e lo smantellamento dell’Università) la polizia di Stato esprime al peggio le proprie pratiche repressive tentando di intimidire chi manifesta la propria opposizione allo stato della crisi e dei banchieri. Farebbe quasi ridere -se la cosa non coinvolgesse decine di persone con un chiaro tentativo di intimidazione- denunciare decine di persone per aver manifestato -pacificamente tra l’altro- la propria opposizione alla distruzione dell’Università.

In occasione dell’uscita del film DIAZ che ci rammenta le pesanti responsabilità repressive della Polizia e  “la più grave limitazione di massa dei diritti civili avvenuta in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale” (Amnesty International), nei giorni in cui viene messa in dubbio la perizia medica su Aldo Bianzino ricordiamo alle  “forze dell’ordine” ed alla magistratura che dovrebbero essere garanti della costituzione democratica ed antifascista e chiediamo ai cittadini, alle associazioni e alle istituzioni se sia pensabile una gestione così politica e contro le libertà fondamentali perpetrata dalle questure umbre in contrasto con la storia democratica e partecipativa della nostra regione. L’Umbria rifiuta la lettura repressiva e poliziesca dei movimenti sociali.

 CONFEDERAZIONE COBAS  - UMBRIA
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sabato 21 aprile 2012

Strage di Bologna, “I depistaggi sono la continuazione dello stragismo con altri mezzi”. Risposta a Enzo Raisi

by insorgenze
Strage di Bologna: la ricerca della verità completa non giustifica l’avallo di nuovi depistaggi
di Sandro Padula
Dopo il mio articolo intitolato “Fascicolo bis sulla strage di Bologna: la “pista palestinese” non regge e Raisi accusa la Procura” (Ristretti Orizzonti, 16 aprile 2012)  si è aperto un dibattito su diversi siti Internet al quale ha partecipato, attraverso una replica articolata in cinque punti (vedasi sito www.fascinazione.info), lo stesso parlamentare di Futuro e Libertà di cui avevo criticato il teorema.
Rispondo perciò punto per punto a Enzo Rasi, amico e portavoce della coppia Mambro & Fioravanti che a sua volta, nel quadro della battaglia per ottenere la libertà condizionale della donna ex militante dei Nar (vedasi «Le lettere (e una cena) a Giusva e Mambro: vi perdoniamo», Corriere della sera del 3 agosto 2008), alcuni anni fa fece amicizia con Anna Di Vittorio, sorella di Mauro, la vittima della strage di Bologna che oggi secondo lo stesso Raisi potrebbe aver avuto qualcosa a che fare con quel crimine.
Primo punto
Le Br, organizzazione in cui ho militato nella seconda metà degli anni ’70 e fino al momento del mio arresto avvenuto nel novembre 1982, non hanno mai intrattenuto rapporti politici o d’altra natura con il cosiddetto gruppo di Carlos e neppure con il Fplp. Ciò premesso, per semplice amore della verità vanno corrette le numerose informazioni false e inesattezze sostenute da Raisi.
Il parlamentare di Futuro e Libertà afferma che “all'interrogatorio con Cieri nel 2009 Carlos ha fatto scena muta e ha detto che parlava solo di fronte ad una commissione parlamentare”.
In realtà, pur non firmando nulla, Carlos fece un discorso al pm Cieri in riferimento alla strage di Bologna, poi riportato dalla stampa italiana, nel quale dichiarò in sintesi quanto segue:  «….  è roba della Cia, i servizi segreti italiani e tedeschi lo sanno bene». (Corriere della Sera, 26 aprile 2009). Questo fatto, cioè l’assenza di una “scena muta”, è dato per certo a pagina 158 del “Dossier strage di Bologna”, un libro scritto da Gabriele Paradisi, Gian Paolo Pelizzaro, François de Quengo de Tonquédec, persone amiche di Enzo Raisi e pubblicizzato da quest’ultimo il 10 settembre 2011 nel corso di un meeting di Futuro e Libertà a Mirabello.
Secondo punto
L’onorevole Raisi asserisce che nessun paragone sarebbe mai stato fatto sulla compatibilità del materiale sequestrato alla Frolich all’aeroporto di Fiumicino nel 1982 e quello usato nella strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Una recente notizia di stampa, pubblicata proprio sul quotidiano bolognese al quale Raisi spesso rilascia delle interviste, fornisce sulle indagini condotte una versione molto diversa: “dalla comparazione tra i documenti sulla qualità degli esplosivi utilizzati dal gruppo del terrorista Carlos e le perizie sull’esplosivo usato per l’attentato del 2 agosto 1980 non è, al momento, risultata alcuna immediata compatibilità. Quella della comparazione sulla qualità degli esplosivi era una delle strade che vengono seguite nell’inchiesta bis sulla strage della stazione. Una strada che al momento quindi non registra novità. Il pm Enrico Cieri aveva chiesto ed ottenuto delle autorità francesi i documenti sulla qualità dell’esplosivo utilizzato dal gruppo dello Sciacallo. Parimenti negativa sarebbe stata la comparazione fatta con la qualità dell’esplosivo che Margot Frohlich (indagata nell’inchiesta assieme a Thomas Kram) aveva in una valigia quando fu arrestata a Fiumicino nell’82.” (Resto del Carlino, 6 aprile 2012).
Come se non bastasse, la natura dell’esplosivo trovato alla Frolich è nota da molto tempo anche ai principali teorici della “pista palestinese”. In una interpellanza urgente si affermava: “il 18 giugno 1982, quindi due anni e mezzo dopo le stragi di Ustica e Bologna e due anni prima della strage del 904, all'aeroporto di Fiumicino veniva fermata per un controllo la cittadina tedesca Christa Margot Frolich trovata in possesso di una valigia contenente due detonatori e tre chili e mezzo di miccia detonante, contenente esplosivo ad alta velocità di tipo Pentrite, una sostanza detonante che entra nella composizione del Semtex” (interpellanza urgente 2-01636 presentata giovedì 28 luglio 2005 da Vincenzo Fragalà nella seduta n.664).
Come è altresì noto, l’ordigno impiegato per la strage di Bologna non era costituito da esplosivo di tipo Pentrite ma “da un esplosivo contenente gelatinato e Compound B” (sentenza secondo processo di Appello sulla strage di Bologna, 16 maggio 1994). E il Compound B, una miscela di tritolo e T4, è roba della Nato.
Terzo punto
Smentito anche dall’amico Gabriele Paradisi sulla circostanza che avrebbe visto Carlos vivere a Parigi nel 1980, come aveva affermato sul Resto del Carlino dell’8 aprile 2012, il parlamentare futurista dieci giorni dopo tenta di salvarsi in corner sostenendo che Carlos “a Parigi aveva un gruppo operativo della sua organizzazione denominata Separat.”
Una presenza stabile in Francia di un nucleo del gruppo Carlos, per altro già ristretto ad un numero molto limitato di componenti, non ha mai trovato conferma nelle lunghe indagini condotte dalla polizia francese. Forse Raisi, sbagliando comunque le date, voleva fare riferimento al periodo di detenzione nel carcere di Fresnes di due esponenti del gruppo Carlos: Bruno Breguet e Magdalena Kopp, detenuti dal febbraio 1982 al maggio e settembre 1985.
Fin qui nulla di nuovo dunque. Si tratta della solita rimasticatura di alcuni elementi utilizzati per dare corpo al depistaggio che vorrebbe orientare le nuove indagini verso la “pista palestinese”. A tale proposito va ricordato che l’OLP, di cui faceva parte integrante il pur critico e marxista Fplp, considerava un piccolo passo positivo la dichiarazione del Consiglio europeo di Venezia del 13 giugno 1980, contestata solo dagli Usa e dal governo israeliano, a favore dell’autodeterminazione del popolo palestinese. Non vi era dunque alcuna ragione di colpire obiettivi italiani da parte di chi aderiva all’OLP.
Quarto punto
La vera novità stavolta è il cinico coinvolgimento da parte di Raisi e dei suoi mandanti di una delle vittime della strage: Mauro Di Vittorio.
Perché proprio Di Vittorio? Semplice: era romano e simpatizzava col “Movimento” di quegli anni. Attribuendogli una precisa identità politica, ovvero quella di militante di Autonomia operaia romana, Raisi intende richiamare ancora una volta la “pista palestinese” che si regge sull’assunto risiano che qui cito: “Ricordo che Pifano e altri componenti del gruppo di Via dei Volsci, autonomia romana, furono arrestati con Abu Saleh ad Ortona per i famosi missili che appartenevano all'Fplp e al gruppo Separat, cioè al gruppo di Carlos.”
A quanto risulta, tre autonomi del collettivo del Policlinico (Daniele Pifano, Giorgio Baumgartner e Lusiano Nieri) furono arrestati nel novembre 1979 e poi condannati per il trasporto di due lanciamissili (non i missili) che appartenevano esclusivamente all’Fplp, erano smontati e dovevano essere spediti in Medioriente.
Inoltre il cosiddetto gruppo di Carlos si chiamava Ori (Organizzazione dei rivoluzionari internazionalisti) e non certo Separat (vedasi “A Bologna a colpire furono Cia e Mossad”, Corriere della sera del 23 novembre 2005 ).
Infine, a differenza di quanto sostiene Raisi, quei tre autonomi non “furono arrestati con Abu Saleh ad Ortona”. Abu Anzeh Saleh fu “fermato a Bologna una settimana dopo l’arresto degli autonomi” (pagina 25 del “Dossier strage di Bologna” scritto dagli amici di Raisi).
La vicenda è sufficientemente nota e chiara come quella connessa allo strumentale tentativo del generale Dalla Chiesa che, tanto per produrre un nuovo teorema accusatorio corollario del 7 aprile, fece pressioni su Saleh affinché dichiarasse che quei lanciamissili servivano ad Autonomia in Italia. Ciò detto, non risulta minimamente che il ventiquattrenne Mauro Di Vittorio avesse mai fatto parte del Collettivo del Policlinico in cui militavano i tre autonomi arrestati ad Ortona.
Dalle cronache dell’epoca si evince che era un giovane del movimento di quegli anni. Al funerale venne salutato dai compagni e dalle femministe del suo quartiere, Tor Pignattara. Una scheda biografica è presente sul sito dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna. Il tentativo di coinvolgerlo è dunque una volgare azione di sciacallaggio, in particolare se si tiene conto del fatto che la sorella di Di Vittorio fece passi significativi in favore della coppia Mambro-Fioravanti. Il livello di strumentalizzazione a questo punto raggiunge vertici di cinismo abissale.
Perché tutto questo? Pur di arrivare alla revisione del processo, i due ex militanti dei Nar insieme a Raisi sono disposti a gettare fango in ogni direzione, creando così ennesimi capri espiatori.
Quinto punto
Nel 1983, quasi un anno dopo il mio arresto, conobbi la detenuta Christa Margot Frolich tramite posta controllata dalla censura del carcere. Lei si trovava in cella con una mia coimputata, non parlava affatto bene la lingua italiana, non era mai stata una ballerina, non aveva figli e nel 1980 aveva 38 anni. In altre parole, Christa Margot Frolich non era per niente l’ex ballerina e donna madre tedesca che nell’agosto 1980 fu vista frequentare un albergo di Bologna e che, secondo i testimoni, conosceva alla perfezione la lingua italiana.
Lo stesso discorso vale per Kram. A parte le sue idee politiche antitetiche allo stragismo, un tipo come lui – secondo i documenti anagrafici ben conosciuti da teorici della “pista palestinese” come gli autori di “Dossier strage di Bologna” - non sarebbe certo passato inosservato nella stazione di Bologna del 2 agosto 1980 se avesse lasciato la valigia della strage nella sala d’attesa della seconda classe in cui scoppiò.
"Poco prima dell'esplosione — ha detto Rolando Mannocci alla figlia e al fratello accorsi al suo capezzale — ho notato due giovani aggirarsi nella sala. Li ho seguiti per un po' con lo sguardo. Ho visto che hanno posato un qualche cosa, forse una valigia, proprio nell'angolo dove dieci minuti dopo è avvenuta l'esplosione. Non mi sono insospettito, non c'era alcun motivo perché lo dovessi essere. Erano due come tanti altri. Invece forse...». (La Stampa del 4 agosto 1980).
I giovani, per essere tali, debbono almeno avere un’età sotto i 30 anni. Per poi considerarli “come tanti altri” dovrebbero avere un’altezza media di circa 1 metro e 65 per le ragazze e di circa 1 metro e 75 per i ragazzi.
Tutto ciò significa, a rigor di logica, che Thomas Kram - alto quasi due metri e allora trentaduenne - non era certo uno dei “giovani” - “due come tanti altri” - visti da Rolando Mannocci all’interno della stazione di Bologna il 2 agosto 1980 mentre posavano qualcosa nell’angolo in cui avvenne l’esplosione.
Infine vorrei ricordare a Raisi che la legittima ricerca della verità completa sulla strage di Bologna, che persone come me hanno sempre appoggiato, è cosa diversa dall’avallare depistaggi che di fatto sono la continuazione dello stragismo con altri mezzi.
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venerdì 20 aprile 2012

Valutati non schedati! Boicottiamo i test, cancelliamo l’Invalsi

Valutati non schedati! Boicottiamo i test, cancelliamo l’Invalsi

di Unione degli Studenti
Il 16 Maggio nelle classi II delle scuole superiori di ogni ordine verranno somministrati i test di rilevazione INVALSI. L’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo d’istruzione e formazione entrerà invasivamente, per il secondo anno di seguito, nelle aule di scuole sempre più impoverite e confuse a causa dei tagli ai fondi, dei provvedimenti Gelmini e di un generale e voluto abbassamento della qualità della didattica e dell’offerta formativa.
I quiz a crocette piomberanno sui banchi di tutt’Italia e hanno già paralizzato programmi e attività didattiche ordinarie di molte classi : col beneplacito di tutti penetrerà nel corpo già distrutto della scuola pubblica italiana un modello di valutazione non soltanto parziale ma dannoso, che ignora lo stato cui sono ridotte le scuole e che non punta ad un omogeneo miglioramento di sistema ma pericolosamente tenta di gerarchizzare studenti, docenti e istituti .
Ad accompagnare le prove di Italiano e Matematica un ambiguo “Questionario per lo studente” che senza alcuna utilità statistica rende le prove tracciabili e mira a disegnare, quasi all’insaputa degli studenti, un portfolio delle competenze acquisite lungo tutto l’arco della vita. Dall’obbligatorietà introdotta per le terze medie dal ministro Fioroni, alla somministrazione di un questionario lesivo della privacy, fino ai recenti tentativi di fare dei test “attività ordinaria” di ogni scuola e alla paventata possibilità di introdurli tra le prove per l’esame di maturità, la pervasività delle prove è notevolmente aumentata. Anche il neo-ministro Profumo, ignorando i forti segnali di contrarietà manifestati nelle scuole e sottovalutando le criticità oggettive evidenziate nel modello INVALSI, intende proseguire con la grande “schedatura di massa” spacciata per valutazione di sistema.
Noi a tutto questo non ci stiamo! Non vogliamo l’ennesimo strumento di valutazione generalgenerica che considera gli studenti come cifre su un libro contabile, gli insegnanti come schiavi e i presidi come manager dell’azienda-formazione. Rivendichiamo al contrario dei processi di valutazione orizzontali e metodici che “fotografino” la situazione per poterla complessivamente interpretare e migliorare. E’ necessario lanciare un segnale d’opposizione forte a quanti in questi anni hanno provato, con fin troppi risultati, a smantellare la scuola pubblica, laica e di tutti; i test INVALSI sono un’arma bipartisan di cui essi si servono: i test omologano e classificano, non valutano, promuovono la competitivà invece di insegnare la cooperazione, non intendono migliorare la scuola ma farne un luogo sterile, quanto più compatibile possibile col sistema di potere neoliberista. Dobbiamo fermarli: cancellare l’INVALSI, pretendere la scuola che vogliamo.

Il 16 Maggio non compileremo a testa bassa dei questionari di cui non condividiamo né la natura né lo scopo ma con scioperi bianchi, blocchi delle lezioni, flash mob e assemblee fuori e dentro le scuole faremo sentire le nostre ragioni! Facciamo appello alle realtà del mondo scuola, agli studenti e ai docenti tutti.

Scarica il volantino dell’iniziativa
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No alla scuola-quiz, no ai Signori Invalsi La scuola sciopera il 9 maggio alle Elementari, il 10 alle Medie, il 16 alle Superiori Manifestazioni provinciali con gli studenti il 16 maggio


I Signori Invalsi e il MIUR, dopo furbate, figuracce e balletti di date per ostacolare la protesta e gli scioperi di insegnanti, studenti e genitori contro i loro ridicoli quiz, hanno deciso definitivamente le date delle prove a indovinelli: il 9 e l’11 maggio alle Elementari, il 10 alle Medie e il 16 alle Superiori, che sono state allontanate dalle altre (dovevano svolgere le prove l’8) per il timore che le proteste vi abbiano notevole visibilità anche grazie agli studenti insieme ai quali manifesteremo e che quindi, poste all’inizio, facessero da traino agli altri settori.
Dunque, i COBAS invitano docenti ed ATA a scioperare per l’intera giornata il 9 maggio alle Elementari, il 10 alle Medie e il 16 alle Superiori per protestare contro una scuola-quiz e una scuola-miseria che distruggono materialmente (tagli di scuole e posti di lavoro, “dimensionamenti” selvaggi, licenziamenti di precari, blocchi di stipendi e scatti di anzianità, furto di pensioni, riduzione degli investimenti) e culturalmente l’istruzione, riducendola a infarinatura di nozioni general-generiche e trasformando i docenti in addestratori ai quiz, che preparino gli studenti ad una futura manovalanza precaria e indifesa. Inoltre, il 16 maggio insieme a varie strutture studentesche organizzeremo manifestazioni provinciali nelle principali città italiane.
Ricordiamo che i quiz Invalsi non sono obbligatori per i docenti e per gli studenti, nonostante la frasetta inserita arbitrariamente nel Decreto Semplificazioni che li giudica “attività ordinaria”. Ogni attività “ordinaria” al di fuori delle lezioni e dei Collegi docenti o Consigli di classe (ad es. gite scolastiche) va decisa dagli Organi collegiali, non va svolta necessariamente in orario di servizio e non comporta alcun obbligo per docenti, ATA o studenti.
Diffidiamo infine i presidi dal sostituire gli scioperanti facendo ad esempio gestire ad altri i quiz durante le ore in cui il docente in sciopero avrebbe avuto lezione nella tale classe. Una azione del genere, configurandosi chiaramente come attività anti-sindacale, provocherebbe da parte nostra la denuncia alla magistratura dei suoi responsabili.
 
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giovedì 19 aprile 2012

l'ora alternativa vale come servizio preruolo

un'importante sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che l' insegnamento delle attività alternative alla religione cattolica vale come periodo di servizio pre-ruolo valido  ai fini della ricostruzione della carriera
(sentenza n. 4961 del 28.03.2012 )
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Il D.S. che non consente al docente il diritto di accesso ai verbali del Consiglio di classe è sempre responsabile.

Il D.S. che non consente al docente il diritto di accesso ai verbali del Consiglio di classe è sempre responsabile. Lo ha deciso il Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana con una sentenza depositata il 28 marzo 2012, n. 656. Nel merito il TAR ha prima di tutto chiarito che il ricorrente, chiedendo di accedere ad atti che direttamente lo riguardano, era certamente qualificabile come "interessato", ai sensi dell'art. 22 della legge n. 241/1990. Ciò in quanto portatore di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso. E i verbali del Consiglio di classe si configurano come documenti amministrativi, suscettibili di accesso insieme agli atti in essi richiamati e ad essi allegati. Per questo motivo l'accoglimento del ricorso e la condanna dell'amministrazione scolastica a provvedere all'accesso ai documenti richiesti nei confronti del docente.
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Le Invalsioni barbariche.

Quella che ora racconterò è una storia che presto molto presto rischierà di essere reale.
Una storia che deve invitare tutte e tutti alla riflessione.
a cura di Marco Barone

Giorno 9 maggio. Giorno di svolgimento della prova di preliminare Invalsi di lettura (decodifica strumentale) della durata di due minuti per la II primaria e prova di Italiano per la II e V primaria.

Buongiorno maestra Alice.
Buongiorno Preside.
Bene, vedo che è arrivata in anticipo...
Ho studiato il manuale del somministratore diceva di venire in anticipo quindi...
Si è munita di cronometro, penne blu o nere?
Sì, sì.
Senta maestra Alice, per il bambino Andrea avrei pensato una soluzione.
Andrea, si riferisce al bambino con DSA?
Sì, Alice a lui.
Non possiamo fare brutta figura, ho pensato che potrebbe fare altra attività con la maestra di sostegno, andare nella sala insegnanti e disegnare magari...
Mah... come lo spiego a lui? Alla classe?
Alice, Alice, vuole forse dire che non è favorevole? Vuole forse...
No,no è che...
Vada in classe è ora.

I passi della maestra Alice sono più pesanti del solito. Nel corridoio si intravedono gli ultimi bambini sorridenti e felici, pronti per entrare in classe.
Alice non è felice.
Alice deve aprire la porta.
Deve essere serena e determinata.
Alice deve somministrare le prove.

Buongiorno Maestra.
Buongiorno bambini.
Oggi cambieremo la disposizione dei banchi, oggi faremo delle prove importanti, oggi non sono ammessi errori.
Maestra, maestra che prove?
Bambini silenzio.

All'improvviso ecco un tocco secco e puntuale sulla porta.
Sì?
Sono Matilde.
Ah, ciao, sei venuta per Andrea?
Sì, sì, oggi dovete fare le prove no?
Sì, le prove...
Andrea oggi andrai via con la maestra Matilde.

Già, perché l'Invalsi prevede che pur ribadendo nella sua retorica, l' auspicio che gli allievi con DSA partecipino alle prove SNV nel numero più elevato possibile, se a giudizio del Dirigente scolastico le prove standardizzate non sono ritenute adatte a un allievo con DSA in ragione della natura e della specificità del disturbo stesso, è possibile dispensare lo studente dal sostenimento delle prove, avendo cura di impegnarlo nei giorni delle prove in un’altra attività ritenuta più idonea.

Ed è quello che ora accadrà ad Andrea.
Lontano dai suoi compagni di classe, lontano dalla sua classe, lontano dalle statistiche che uccidono la scuola pubblica italiana.

Allora bambini, ora qualche minuto di silenzio.
Prima di somministrarvi le prove devo leggere nuovamente il manuale, non voglio sbagliare.

Un silenzio surreale dominava la quiete ribelle della classe.
La voce della Maestra mutava tono.
Sempre più ferma, sempre più decisa, sempre più robotizzata.

Fase uno: prendere conoscenza in modo approfondito delle procedure descritte nel presente
manuale almeno una settimana prima della data prevista per la somministrazione;

Fatto, ma un ripasso è sempre utile, ripeteva nella sua mente Alice.

Fase due :assicurarsi che ciascun allievo riceva in modo corretto i materiali appositamente
predisposti;

Fase tre: somministrare le prove nel modo indicato nel presente manuale

Fase quattro: assicurare che la somministrazione avvenga nei tempi stabiliti;

Fase cinque: raccogliere, alla fine della somministrazione, tutti i fascicoli (sia quelli compilati che
quelli eventualmente inutilizzati);

Fase sei: registrare sulla scheda-risposta studente2di ciascun alunno le risposte date alle domande
delle prove cognitive (Italiano e Matematica) e del Questionario studente. In questa fase,
che può avvenire in un momento separato rispetto alla somministrazione delle prove
secondo le disposizioni date dal Dirigente scolastico, è possibile farsi aiutare da altri
insegnanti o dal personale di segreteria.

Bene.
Rivediamo le note:

NON risponda alle eventuali richieste di aiuto degli alunni sulle domande delle prove
cognitive.  
NON dia alcuna informazione aggiuntiva, indicazione o suggerimento relativamente al
contenuto di alcuna delle domande della Prova.
 LA MIGLIORE RISPOSTA da dare a qualunque richiesta di aiuto è: “Mi dispiace ma non posso rispondere a nessuna domanda. Se ti può essere utile, rileggi
le istruzioni e scegli la risposta che ti sembra migliore”.

Sudava.
Alice sudava.
Perché comprendeva che la sua libertà d'insegnamento, in quel preciso momento giungeva alla fine.
Perché tutto ciò che ha insegnato nel corso del tempo ai suoi bambini, in quel preciso giorno, andava in frantumi. Un frutto maturo per la vita, diveniva acerbo per la libertà di educare e formare menti critiche e pensanti, libere da ogni imposizione, libere da ogni omologazione, libere da ogni standardizzazione.

Le prove si svolgevano secondo i criteri previsti nel manuale del somministratore.
La maestra Alice faceva avanti ed indietro per i banchi.
Controllava , sorvegliava.
La classe in quel preciso momento diveniva una caserma.
Una caserma.

Maestra, maestra devo fare la pipì.
La pipi?
Aspetta Giuseppe, devo vedere cosa dice il manuale del somministratore:

Gli allievi che chiedono di uscire dal locale della somministrazione al di fuori della/e
pausa/e prevista/e possono farlo solo in situazioni di emergenza (ad esempio, nel caso si
sentano male).

Giuseppe, ma hai dolori?
No, maestra ma la pipì...
Mi spiace Giuseppe, ora non puoi...

Intanto, nella mente della maestra Alice, scorrevano come un fiume in piena le frasi che doveva ripetere nel caso in cui i suoi bambini, le ponessero qualche domanda...

«Mi dispiace, non posso risponderti. Cerca di fare del tuo meglio»;

Ora verranno distribuiti i fascicoli per la prova. Non dovete aprirli finché non ve lo dirò. Se
avete cellulari, libri, quaderni o altre cose del genere sul banco, mettetele via. I cellulari
devono essere spenti e riposti nella borsa e non possono rimanere né sul banco né sotto al
banco.

Quando vi darò il via, dovete cominciare la prova vera e propria e cercare di fare più in
fretta che potete ma non vi preoccupate se non riuscite a finire. Ricordatevi di non fermarvi
quando arrivate in fondo ad una pagina e di passare subito a quella dopo. Quando vi dirò di
smettere, dovete posare immediatamente la penna e chiudere il fascicolo.

“Ora girate la pagina e cominciate”

Si, girare la pagina e cominciare
E' cominciata la fine della libertà d'insegnamento, è cominciata la fine di una cultura degna di tal nome, è cominciata la fine del vivere e studiare senza frenesia, con quella lentezza che permette il rispetto dei ritmi di apprendimento dei bambini, che permette e favorisce l'integrazione.

Questo pensava Alice nella sua mente.

Giuseppe continuava a dire, Maestra Maestra devo fare la pipì.
I suoi occhi erano lucidi.
Un senso di rabbia e calore scorreva nel corpo di Alice.
Un gesto funesto e violento.
Passò velocemente in rassegna tutti i banchi, raccolse i fogli che i bambini stavano compilando, uno dietro l'altro.
Alice era una furia.
Prese quelle prove e le gettò via dalla finestra.
Via.
Carte che volavano.
Carte rapite dal vento ribelle.

Bambini, disse Alice, lo vedete questo cronometro?
Ora lo butto via, sì, anche lui, nel cestino.
Io sono la vostra Maestra, voi siete i miei bambini.
Siete qui per imparare, siete qui per studiare, siete qui non per diventare soldati.
I bambini non capivano, ma sorridevano.
Quella tensione che regnava sovrana in classe venne sovrastata dalla voglia di andare oltre l'oltre.
Giuseppe, vai in bagno .

Maestra ,Maestra, dissero i Bambini, ma Andrea perché è ancora fuori?

Ora Andrea ritornerà in classe, bambini, con noi e per noi.
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Strage di Brescia e altre stragi di Stato: la grande ingenuità di chi ha creduto che la magistratura potesse arrivare alla verità senza cambiamenti politici profondi nelle istituzioni coinvolte

by insorgenze
Dopo 38 anni dai fatti, cinque istruttorie e dieci sentenze, il sistema giudiziario non è stato in grado di identificare dei responsabili per la strage di Brescia come per piazza Fontana e l'Italicus. L'assoluzione pronunciata ieri dalla corte d'appello è su tutte le prime pagine dei quotidiani di stamani dove più o meno si grida allo scandalo, si censurano i «depistaggi», «l'impunità», la «storia negata», la «beffa» del risarcimento per le spese di giustizia inflitte ai familiari delle vittime.
Manlio Milani, presidente dell'Associazione familiari delle vittime della strage, si lascia andare davanti a Giovanni Bianconi del Corriere della sera ad alcune considerazioni disincantate: «C'è una catena di ricatti che lega gli uni agli altri, dagli esecutori ai rappresentanti degli apparati, fino ai responsabili politici. Le coperture e i depistaggi son il risultato di questi collegamenti occulti, che negano la trasparenza e mettono in pericolo i presupposti della democrazia. Io temo che questo meccanismo funzioni ancora oggi, su diverse questioni, e se non viene denunciato e smantellato la vita di questo Paese rimarrà sempre inquinata dal gioco dei ricatti».
La verità sulle stragi sacrificata sull'altare del compromesso storico
Milani è convinto che la verità sarebbe potuta venire fuori subito se ci fosse stato nela seconda parte degli anni 70 un diverso atteggiamento politico più deciso nel denunciare le ambiguità istituzionali, «Credo che subimmo - aggiunge - una certa timidezza del Pci dell'epoca che non voleva rischiare di compromettere il rapporto con la Dc. Ma fino a quando la ragion di Stato avrà il sopravvento sulla ricerca della verità?».
La verità sulle stragi sacrificata sull'altare del compromesso storico. Il sospetto di Manlio Milani non è affatto infondato. Il Pci concepiva il ricorso allo strumento giudiziario come una leva per facilitare i suoi scopi politici, così le inchieste subivano accelerazioni o rallentamenti a seconda degli interessi del momento. Ciò spiega la linea della fermezza, il massimo di repressione con tanto di leggi speciali e torture contro la lotta armata per il comunismo, che si mise di traverso alla strategia del compromesso storico, ed al contrario i tentennamenti verso la Dc sulle stragi.
Ma se le cose stanno così e se tutte le inchieste, al di là degli esiti processuali, sono sempre giunte ad una identica ricostruzione del contesto ambientale nel quale ha avuto origine la strage di Brescia, come le altre: i settori del neofascismo del triveneto collegati, infiltrati, inquinati dalla presenza di agenti di varie intelligences Nato e dei nostri apparati, la vera domanda da porre non è forse un'altra: non è stata malrisposta la fiducia riversata verso la magistratura affinché potesse arrivare ad una verità certificata processualmente? Se di mezzo c'è lo Stato con i suoi apparati e le inconfessabili strategie elaborate in sede atlantica, è pensabile l'accertamento della verità da parte della magistratura senza che ciò non proceda insieme ad un mutamento politico radicale delle istituzioni coinvolte?
Non è stata una follia ritenere che la liturgia del processo penale potesse svolgere una funzione terapeutica, favorendo la riparazione psicologica delle vittime?
A nostro avviso si è trattato di una deriva sbagliata, anzi devastante poiché:
a) ha innescato una privatizzazione del diritto di punire;
b) la giustizia processuale ha perso in questo modo il suo ruolo peculiare di ricerca delle responsabilità per rivestire la funzione di ricostruzione clinica della persona offesa;
c) conseguenza che favorisce il rischio di verità giudiziarie di comodo, verità politiche - altrimenti dette “ragion di Stato” - necessarie a placare domande che vengono dall'opinione pubblica o servono a lenire semplicemente la sofferenza dei familiari, ad appagarne il risentimento;
d) devasta la dimensione psicologica delle vittime stesse, messe di fronte all'assurdo paradosso di dover pretendere verità da quello stesso Stato coinvolto nei fatti incriminati;
e) verità che evidentemente non potrà mai venire senza che sia investita la dimenzione del cambiamento politico delle istituzioni coinvolte;
f) ne può uscire soltanto un atteggiamento vittimistico e querulante che di fronte al frustrante fallimento degli esiti processuali, o peggio al mancato appagamento che la scena giudiziaria offre (“la verità giudiziaria non dice tutto”, “i colpevoli nascondono altre verità”, ”la pena deve essere infinità anche una volta sconata per intero”), trascina la figura della vittima in una spirale di risentimento senza fine, di avvitamento rancoroso;
E' sulla verità storica che occore dunque lavorare. Ciò dipende da quelle categorie, gli imprenditori della memoria, che lavorano con la materia storica ma dipende anche e soprattutto dall'autorganizzazione sociale, dalla capacità di creare le condizioni politiche perché questa verità esca fuori.
Link
Il paradigma vittimario

Giovanni de Luna, “Golpismo e stragismo non sono proponibili come un paradigma esaustivo della storia degli anni 70”

Stazione di Bologna una strage di depistaggi

Quando la memoria uccide la ricerca storica

De Luna: “Senza verità giudiziaria il passato non passa”
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