Cominciamo
 da una realtà che, come d’abitudine, si trova esattamente al  contrario
 delle frasi di Pierluigi Bersani. Il segretario del Pd ha  parlato di 
voto siciliano come qualcosa di anomalo, difficilmente  ripetibile. E’ 
evidente il tentativo di esorcizzare la presenza di  Grillo, ormai 
materializzatasi in voti.  Ma i riti sciamanici possono  poco contro 
l’accumularsi dei fatti: per il Movimento 5 stelle la prova  siciliana 
era quella più difficile. Non solo perché un flop, o persino  un mezzo 
successo, del Movimento 5 Stelle in Sicilia avrebbe  depotenziato in 
qualche modo la campagna per le politiche. Ma proprio  perché le 
condizioni di riproduzione di quel movimento sono tipiche di  un genere 
di società che è meno radicata al sud: alta ed efficiente  penetrazione 
tecnologica, uso della rete su temi di opinione pubblica,  presenza di 
un ceto, anche precario, di tecnici di ogni tipo che si  politicizzano 
con temi da società civile del nord. A questa evidente  mancanza, che 
aveva portato a maggio l’M5S a un 5% a Palermo ben diverso  dal successo
 di Parma, ha sopperito lo stesso Grillo. Che ha colmato  questo gap con
 un tour siciliano impressionante per numero di date,  capacità 
performativa sul terreno e partecipazione di massa. La vittoria  
siciliana di Grillo è quindi frutto di una doppia capacità  
performativa: sul terreno e in rete. Dove la prima compensa i difetti  
strutturali locali della seconda. E nonostante che i media nazionali  
abbiamo ridotto ai minimi termini, salvo la traversata dello stretto, la
  campagna di Grillo.
E così è 
arrivato il risultato dell’M5S primo partito della Sicilia con  un forte
 peso simbolico e politico a livello locale e nazionale.  
L’astensionismo, come si è visto in Sicilia, non frena poi il grillismo.
  Al contrario, come a Parma, oggi ne rappresenta una delle condizioni  
per la vittoria. Sta infatti accadendo questo: una parte consistente  
della società esce dalla politica istituzionale, dai suoi nessi  
clientelari ormai impoveriti o dalle sue subculture di riferimento,  e  
si rifugia nel sonno nell’astensione. Mentre una parte significativa  
dell’elettorato, ormai trasformato in informed citizenry dalle  
rivoluzioni tecnologiche e dalle mutazioni delle culture politiche,  
erode spazio alla propaganda tradizionale dei partiti. Finendo così per 
 pesare in un doppio modo: perchè fa convergere i voti verso le liste  
“contro la casta” e  perchè questo spostamento viene amplificato, in  
termini di percentuali di voto,  dall’assenza di voti ai partiti  
tradizionali causa astensione. Insomma l’attuale informed citizenry  
italiana non solo soprattutto vota Grillo ma, per come si sta spostando 
 l’elettorato italiano, è come se ogni suo voto valesse due. 
Naturalmente  Pdl e Pd sono liberissimi di pensare che l’astensione 
rappresenti una  sorta di parcheggio di voti che poi possono tornare. Ma
 per adesso è  lecito presupporre il contrario: l’astenuto rappresenta 
un’identità  politico elettorale in mutazione che, una volta assimilata 
la nuova  tendenza generale del voto, può tornare ad essere elettore 
persino  contro l’ex partito di riferimento. E oggi la tendenza generale
 parla  con un nome solo: Grillo.
Si è aperto così un scenario greco per la Sicilia: entro una crisi sociale ed economica fortissima i partiti istituzionali del passato hanno visto, in percentuali diverse, perdere il proprio potere tradizionale di attrazione. E’ emersa così una forza elettorale dirompente, come Syriza in Grecia, capace di mettersi in primo piano ma non ancora di vincere del tutto. Vista la situazione siciliana, per Grillo, meglio così: può fare propaganda quanto vuole sulle prossime convulsioni di centrodestra e centrosinistra in Sicilia e usare i risultati di queste campagne sia a livello locale che nazionale.
Si è aperto così un scenario greco per la Sicilia: entro una crisi sociale ed economica fortissima i partiti istituzionali del passato hanno visto, in percentuali diverse, perdere il proprio potere tradizionale di attrazione. E’ emersa così una forza elettorale dirompente, come Syriza in Grecia, capace di mettersi in primo piano ma non ancora di vincere del tutto. Vista la situazione siciliana, per Grillo, meglio così: può fare propaganda quanto vuole sulle prossime convulsioni di centrodestra e centrosinistra in Sicilia e usare i risultati di queste campagne sia a livello locale che nazionale.
Bersani
 ha parlato di “risultato storico in Sicilia”: intendeva la  vittoria 
elettorale di Crocetta. Per quanto possa essere considerato un  
risultato storico, vincere avendo agganciato l’Udc siciliana, già  
incubatrice dei Cuffaro e dei Saverio Romano, ed ancora oggi espressione
  del peggiore, inquinato e più retrivo potere clientelare dell’isola. 
Ma  c’è anche un’altra dimensione storica che Bersani deve considerare: 
la  possibilità di un risultato siciliano che serva da detonatore per  
evidenziare, al grosso dell’elettorato italiano, le continuità tra il Pd
  e il peggio della vecchia politica. Già oggi Pd e M5S sono separati, a
  livello nazionale, da soli 3 punti secondo sondaggi della stessa Swg 
di  centrosinistra. E oggi i  sondaggi tendono a prenderci oppure ad  
orientare il voto: non a caso ne circolava uno, nei giorni scorsi, con  
Grillo primo partito della Sicilia. Visto quanto è cresciuto l’M5S nei  
sondaggi a livello nazionale con l’effetto Parma, dal 5% dell’aprile al 
 venti delle settimane scorse, il fenomeno è di quelli da tenere in  
considerazione. Il consenso a politiche montiane o postmontiane, che  
sono la stessa cosa, all’Europa dei “sacrifici” alle prossime elezioni  
generali può effettivamente mancare proprio sul piano della volontà  
popolare. Ben sapendo che non siamo nell’ottocento e che la volontà  
popolare fa poi sempre i conti con la governance continentale.
Le conseguenze politica siciliana su quella nazionale sono poi storicamente consolidate dal punto di vista della politica istituzionale. Basti pensare alla giunta Lombardo, presidente poi inquisito per concorso esterno in associazione mafiosa, che ad un certo punto ha goduto dell’appoggio del Pd. Stavolta le conseguenze possono essere diverse: la Sicilia può anche dare al gatto una spinta importante per mangiarsi il topo. Avendo dato a Grillo quel tipo di spinta proveniente dal movimento dei forconi che non è stata capitalizzata dalla lista locale che ne faceva direttamente riferimento. Certo, d’ora in avanti può veramente accadere di tutto, come accade in Italia quando in Sicilia cambiano gli equilibri politici, e non sono da escludere colpi di scena di ogni genere. Si possono anche scatenare forze che ribaltano lo scenario nazionale così come si prospetta dal voto siciliano. Ma Grillo, se visto con gli occhi dell’oggi, ha la capacità di catalizzare tutta la protesta contro il decadente ceto politico neoliberista che si è saldato dentro le istituzioni del paese. E qui non si deve aver timore di non contribuire a sabotare un qualcosa che può arrivare alla giugulare dei partiti della seconda repubblica.
Le conseguenze politica siciliana su quella nazionale sono poi storicamente consolidate dal punto di vista della politica istituzionale. Basti pensare alla giunta Lombardo, presidente poi inquisito per concorso esterno in associazione mafiosa, che ad un certo punto ha goduto dell’appoggio del Pd. Stavolta le conseguenze possono essere diverse: la Sicilia può anche dare al gatto una spinta importante per mangiarsi il topo. Avendo dato a Grillo quel tipo di spinta proveniente dal movimento dei forconi che non è stata capitalizzata dalla lista locale che ne faceva direttamente riferimento. Certo, d’ora in avanti può veramente accadere di tutto, come accade in Italia quando in Sicilia cambiano gli equilibri politici, e non sono da escludere colpi di scena di ogni genere. Si possono anche scatenare forze che ribaltano lo scenario nazionale così come si prospetta dal voto siciliano. Ma Grillo, se visto con gli occhi dell’oggi, ha la capacità di catalizzare tutta la protesta contro il decadente ceto politico neoliberista che si è saldato dentro le istituzioni del paese. E qui non si deve aver timore di non contribuire a sabotare un qualcosa che può arrivare alla giugulare dei partiti della seconda repubblica.
Anzi, a questo punto 
rispunterebbe Mao, quello della rivoluzione  culturale avversata proprio
 da Deng: nel mezzo della lotta intestina al  Pcc, che era uno scontro 
tra differenti facce della società cinese, alla  fine della prima metà 
degli anni ’60, quando ci furono le condizioni  per far scattare 
l’indicazione: “bombardate il quartier generale”. La  terribile saggezza
 del Grande Timoniere finisce infatti per avere  l’ultima parola anche 
sul più intelligente revisionismo. Dietro  l’immagine di Deng, rispunta 
così il volto di Mao. E così deve essere  perchè, in Italia, una 
eventuale missione compiuta del gatto nei  confronti del topo aprirebbe 
un caos tale, nella politica istituzionale,  da rendere necessario uno 
sforzo politico di portata ben superiore  rispetto ai suggerimenti 
dettati dal pragmatismo. Nel frattempo, senza  ambiguità o senza 
snaturarsi oppure dissolversi fa bene seguire  l’indicazione di Mao: 
“dobbiamo sostenere tutto ciò contro cui il nemico  combatte, e 
combattere contro tutto ciò che il nemico sostiene”. C’è un  vecchio 
terrore nella politica comunista: quello che vuole che il solo  
esercizio della tattica neghi la possibilità del distendersi della  
strategia. E’ invece nel migliore esercizio della tattica che  la  
strategia comincia sia a far sentire il peso delle proprie esigenze che a
  far intravedere la possibilità di un futuro. Che il gatto mangi quindi
  il topo, se ce la fa. E lunga vita alla memoria del compagno Mao.
Per Senza Soste, nique la police
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