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martedì 20 dicembre 2016

Decalogo Cobas per uscire da scuola-azienda: titolarità su scuola, meno orario di cattedra, aumento stipendio, assunzioni, via Invalsi

E’ parere largamente diffuso che, sebbene nell’oceanico NO alla riforma costituzionale abbiano certamente contato le volontà di difendere il poco che resta della democrazia istituzionale e della abbondantemente svilita Costituzione, l’elemento principale del NO sia stato il rifiuto delle politiche sociali ed economiche del governo Renzi, e in particolare della “cattiva scuola” della legge 107 e del Jobs Act.

Ma Renzi, nell’imporre un governo-fotocopia, non ha tenuto in alcun conto tali ragioni del NO, riconfermando Poletti, responsabile del Jobs Act, invece di mettere mano – se non altro per evitare il nuovo referendum – almeno a significative modifiche dell’ignobile legge; e, dopo aver mantenuto al governo anche Boschi e Madia, autrici delle altre due riforme bocciate (Costituzione e P.A.), ha silurato solamente la ministra Giannini, che non rimpiangeremo ma che ha solo firmato la distruttiva legge 107, scritta in realtà dai responsabili scuola del PD. T
ant’è che la sostituzione al MIUR ha premiato Valeria Fedeli la quale, oltre ad essere una “pasdaran” renziana, è soprattutto una convinta sostenitrice della legge. Così stando le cose, potrebbe apparire inutile qualsivoglia tentativo di dialogo con la nuova ministra. Pur tuttavia, date le drammatiche condizioni in cui versa la scuola pubblica e i suoi protagonisti, investiti dalla disastrosa legge 107, a compimento di un ventennio di crescente immiserimento materiale e culturale, ci riteniamo in dovere di presentare una sorta di “decalogo” su cui la ministra potrebbe riflettere, nell’eventualità – certo remota – che decidesse di abbandonare la difesa di una legge indifendibile e la nefasta logica della scuola-azienda, per ripristinare i fondamenti della scuola della Costituzione.
1) Gestire la mobilità con titolarità su scuola e non su ambito, ponendo fine agli incarichi triennali non rinnovabili decisi dal preside.
2) Ridefinire l’organico delle scuole: tutti i/le docenti insegnino e tutti/e si facciano carico degli altri compiti necessari per il funzionamento della scuola, riducendo l’orario di cattedra.
3) Destinare i fondi, previsti per la valutazione del sedicente “merito” dei docenti, per la Carta del docente e quelli del Fondo di istituto, alla contrattazione nazionale per un aumento in paga base che, insieme a nuovi fondi da stanziare per il contratto, garantisca a docenti e Ata il recupero di almeno una parte significativa di quel 20 % di salario perso in 7 anni di blocco contrattuale.
4) Rifiutare l’introduzione del “welfare contrattuale”, che destina parte degli aumenti contrattuali a diritti sociali che, costituzionalmente, devono essere garantiti dallo Stato.
5) Assumere i precari – docenti ed ATA – con almeno 36 mesi di servizio su tutti i posti disponibili in organico di diritto e di fatto.
6) Ampliare l’organico ATA, re-internalizzare i servizi di pulizia, eliminare il divieto di nominare supplenti per assistenti amministrativi e tecnici anche per periodi prolungati e nominare i supplenti per i collaboratori scolastici anche per i primi 7 giorni .
7) Contro l’inaccettabile obbligo per gli studenti delle superiori di 400/200 ore di “alternanza scuola-lavoro”, ridare alle scuole la libertà di istituirla o meno, e di determinarne il numero di ore .
8) Eliminare i quiz Invalsi come strumento per valutare scuole, docenti e studenti.
9) Ridurre il numero degli alunni per classe, utilizzando per l’insegnamento i docenti dell’organico di potenziamento.
10) Ripristinare la democrazia nelle scuole, restituendo ai lavoratori il diritto di partecipare alle assemblee indette da qualsiasi sindacato che abbia presentato liste alle elezioni RSU. Applicare un sistema proporzionale di voto senza sbarramenti per la rappresentatività e per l’accesso ai diritti sindacali, con un voto a livello di scuola, uno a livello regionale e uno nazionale per determinare la rappresentatività dei sindacati ai tre livelli.

venerdì 16 dicembre 2016

Dichiarare il falso sull’effettiva presenza a lavoro legittima il licenziamento

Il caso in questione riguarda un licenziamento comminato nei confronti di un lavoratore accusato di “avere tratto in inganno il datore di lavoro in ordine all’orario di servizio prestato per essersi allontanato, con inganno, senza alcuna autorizzazione dall’ufficio, a fronte del sistema di rilevazione delle presenze a mezzo “badge” che attestava l’entrata e l’uscita dal lavoro” .
La Cassazione Civile con la Sentenza 25750 del 14 dicembre 2016 afferma dei principi importanti.
Rileva che “Assume che, ai sensi dell’art. 55 quater del D. Lgs. 165/2001, l’uso fraudolento delle apparecchiature atte a documentare la presenza sul luogo di lavoro e l’utilizzo alterato di queste ultime non si consuma solo nella commissione di condotte volte ad alterare fisicamente il sistema di rilevazione delle presenze ovvero nel far timbrare il cartellino da altri colleghi, ma anche nell’omessa registrazione dell’uscita dal luogo di lavoro e nella attestazione non veritiera sulla effettiva presenza sul luogo di lavoro.
L’art. 55 quater c. 1 lett. a) del D. Lgs 165/2001 ( nel testo applicabile “ratione temporis” alla vicenda dedotta in giudizio, realizzatasi prima delle modifiche introdotte dall’art. 3 c. 1 del D. Lgs 116/2016 ) sanziona con il licenziamento la falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente e la giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia.
La chiara formulazione della disposizione ed anche la sua “ratio”, questa evincibile dall’obiettivo, enunciato nel c. 1 dell’art. 67 del D.Lgs. n. 150 del 2009, di “potenziamento del livello di efficienza degli uffici pubblici e di contrastare i fenomeni di scarsa produttività e di assenteismo”, inducono ad affermare che la registrazione effettuata attraverso l’utilizzo del sistema di rilevazione della presenza sul luogo di lavoro è corretta e non falsa solo se nell’intervallo compreso tra le timbrature in entrata ed in uscita il lavoratore è effettivamente presente in ufficio, mentre è falsa e fraudolentemente attestata nei casi in cui miri a far emergere, in contrasto con il vero, che il lavoratore è presente in ufficio dal momento della timbratura in entrata a quello della timbratura in uscita.
La fattispecie disciplinare di fonte legale si realizza, dunque, non solo nel caso di alterazione/manomissione del sistema, ma in tutti i casi in cui la timbratura, o altro sistema di registrazione della presenza in ufficio, miri a far risultare falsamente che il lavoratore è rimasto in ufficio durante l’intervallo temporale compreso tra le timbrature/registrazioni in entrata ed in uscita.
La condotta che si compendia nell’allontanamento dal luogo di lavoro senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza economicamente apprezzabili è, infatti, idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza su luogo di lavoro e costituisce, ad un tempo, condotta penalmente rilevante ai sensi del c. 1 dell’art. 55 quinquies del D. Lgs n. 165 del 2001.”
Dunque, Ai sensi dell’art. 55 quater c. 1 lett. a) del D. Lgs. n. 165 del 2001 la registrazione effettuata attraverso l’utilizzo del sistema di rilevazione della presenza sul luogo di lavoro è corretta e non falsa solo se nell’intervallo compreso tra le timbrature in entrata ed in uscita il lavoratore è effettivamente presente in ufficio, mentre è falsa e fraudolentemente attestata nei casi in cui miri a far emergere, in contrasto con il vero, che il lavoratore è presente in ufficio dal momento della timbratura in entrata a quello della timbratura in uscita.
E conclude la Cassazione, affermando che “La fattispecie disciplinare di cui all’art. 55 quater c. 1 lett. a) del D. Lgs. n. 165 del 2001 si realizza non solo nel caso di alterazione/manomissione del sistema, ma in tutti i casi in cui la timbratura, o altro sistema di registrazione della presenza in ufficio, miri a far risultare falsamente che il lavoratore è rimasto in ufficio durante l’intervallo temporale compreso tra le timbrature/registrazioni in entrata ed in uscita”.
Marco Barone

Permessi 104, dipendente li utilizza per un viaggio all’estero. I giudici stabiliscono cosa si intende per assistenza

Marco Barone

Con la sentenza n. 54712/2016  la II^ sez. della Cassazione penale 2^ entra nel merito di una questione ancora oggi controversa.
Una persona veniva condannata per il reato di truffa per avere utilizzato i permessi retribuiti di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33, non per assistere il familiare disabile ma per recarsi all’estero in viaggio con la propria famiglia.
La Cassazione Penale afferma che “Il testo originario dell’art. 33, comma 3, legge cit. disponeva: “Successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità, nonchè colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità, parente o affine entro il terzo grado, convivente, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno”.
Successivamente, la L. 8 marzo 2000, n. 53, art. 20, comma 1, dispose che “Le disposizioni della L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, come modificato dall’art. 19 della presente legge, si applicano anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto nonchè ai genitori ed ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorchè non convivente”: com’è evidente, la novità di questa norma consisteva nell’aver introdotto la locuzione: “(…) che assistono con continuità e in via esclusiva un parente (…)”.
E’ questa, dunque, la norma che, all’epoca dei fatti (settembre ottobre 2008) si applicava. La L. n. 183 del 2010, art. 24, (quindi successivamente al fatto commesso dall’imputata), eliminò i requisiti della “continuità ed esclusività” dell’assistenza per fruire dei permessi mensili retribuiti.
Attualmente, la norma – a seguito del D.Lgs. n. 119 del 2011, art. 6 – così dispone “A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa”.
Peraltro, va segnalato che la Corte Cost. con sentenza n. 213/2016, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, comma 3, come modificato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 24, comma 1, lett. a), nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado.”
Per i Giudici “ Qualunque sia la lettura che si voglia dare della suddetta normativa (e, comunque, l’una non esclude l’altra), quello che è certo è che, da nessuna parte della legge, si evince che, nei casi di permesso, l’attività di assistenza dev’essere prestata proprio nelle ore in cui il lavoratore avrebbe dovuto svolgere la propria attività lavorativa. Anzi, tale interpretazione si deve escludere laddove si tenga presente che, per la legge, l’unico presupposto per la concessione dei permessi è che il lavoratore assista il famigliare handicappato “con continuità e in via esclusiva”: ma, è del tutto evidente che tale locuzione non implica un’assistenza continuativa di 24 ore, per la semplice ed assorbente ragione che, durante le ore lavorative, il lavoratore non può contemporaneamente assistere il parente.
E’ evidente, quindi, che la locuzione va interpretata cum grano salis, nel senso che è sufficiente che sia prestata con modalità costanti e con quella flessibilità dovuta anche alle esigenze del lavoratore. Di conseguenza, se è considerata assistenza continua quella che il lavoratore presta nei giorni in cui lavora (e, quindi, l’assistenza che presta dopo l’orario di lavoro, al netto, pertanto, delle ore in cui, lavorando, non assiste il parente handicappato), ne consegue che non vi è ragione per cui tale nozione debba mutare nei giorni in cui il lavoratore usufruisce dei permessi: infatti, anche in quei giorni egli è libero di graduare l’assistenza al parente secondo orari e modalità flessibili che tengano conto, in primis, delle esigenze dell’handicappato; il che significa che nei giorni di permesso, l’assistenza, sia pure continua, non necessariamente deve coincidere con l’orario lavorativo, proprio perchè tale modo di interpretare la legge andrebbe contro gli stessi interessi dell’handicappato (come ad es. nelle ipotesi in cui l’handicappato, abbia bisogno di minore assistenza nelle ore in cui il lavoratore presta la propria attività lavorativa)”.
In conclusione, emerge questo importante principio di diritto : “colui che usufruisce dei permessi retribuiti L. n. 104 del 1992, ex art. 33, comma 3, pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore in cui avrebbe dovuto svolgere attività lavorativa, non può, tuttavia, utilizzare quei giorni come se fossero giorni feriali senza, quindi, prestare alcuna assistenza alla persona handicappata. Di conseguenza, risponde del delitto di truffa il lavoratore che, avendo chiesto ed ottenuto di poter usufruire dei giorni di permesso retribuiti, li utilizzi per recarsi all’estero in viaggio di piacere, non prestando, quindi, alcuna assistenza 

Bonus 500 euro: per cinema e musei non è richiesto biglietto nominativo

La nota Miur del 29 agosto 2016, ai fini della rendicontazione del bonus 500 euro per l’a.s. 2015/16  per l’ingresso a cinema e musei era sufficiente il biglietto. In nessuna normativa del Miur si parla di biglietto nominativo, per cui che il Dirigente Scolastico richieda una documentazione più stringente rispetto a quella autorizzata dal Miur ci sembra fuori luogo.

Suggeriamo di contattare l’RSU affinché faccia da tramite per la risoluzione di questo in realtà falso problema.
Analizziamo infatti quanto contenuto nella nota
I docenti potranno presentare come documenti che provano le spese sostenute entro il 31 agosto:
· lo scontrino fiscale;
· la ricevuta fiscale;
· la fattura;
· la ricevuta di bonifico bancario;
· il biglietto per la partecipazione agli eventi di cui all’articolo 4, comma 1 lettere d) ed e) del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 settembre 2015. Può essere presentato un solo biglietto per evento
Sono ammessi anche acquisti on-line purché sia possibile produrre la documentazione comprovante l’acquisto. Non sono riconosciute spese sostenute in Paesi nei quali non sono previsti strumenti di rendicontazione della spesa.

giovedì 15 dicembre 2016

ESPANDI Graduatorie ad esaurimento non si aggiornano fino al 2018/19, graduatorie di istituto II e III fascia nel 2017. Cambio provincia, disallineamento e problematiche

Finora gli aggiornamenti delle graduatorie ad esaurimento e delle graduatorie di istituto sono stati paralleli, per cui non si è avuto nessun problema ad allineare i punteggi dei docenti.
Ricordiamo infatti che la prima fascia delle graduatoria di istituto è mutuata dalle Graduatorie ad esaurimento, nel senso che vi si accede con lo stesso punteggio della GaE (la provincia scelta può invece essere diversa).
E tuttavia quest’anno la normativa impone una modifica. Il decreto Milleproroghe dello scorso anno ha già stabilito che l’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento è slittato all’a.s. 2018/19 (e di conseguenza anche la prima fascia delle graduatorie di istituto), mentre si aggiorna nel 2017 per il prossimo triennio la II fascia delle graduatorie di istituto, cui si è aggiunto – con il Milleproroghe 2017 – l’aggiornamento della III fascia.
Il problema è già stato messo in evidenza dai sindacati in occasione dell’incontro per la correzione degli errori nelle nuove classi di concorso. Così la Cisl
“Tenendo conto che le GAE non si aggiornano fino al 2018/2019 mentre sono soggette ad aggiornamento quelle di istituto; ne potrebbe discendere che la prima fascia conservi le vecchie classi di concorso mentre la II e la III sarebbero costituite con le nuove. Una prospettiva che solleva non poche perplessità, e comunque un dubbio da sciogliere, al fine di evitare disomogeneità e ingiuste penalizzazioni del personale”
Il problema riguarda i docenti inseriti sia in prima fascia delle graduatorie di istituto che in II e/o III fascia, per differenti classi di concorso. Sarà possibile cambiare provincia? Tale modifica riguarderà anche la prima fascia, ma con il punteggio del 2014?
E ancora, si aggiornano II e III fascia delle graduatorie di istituto, mantenendo la prima fascia con le vecchie?
Nelle prossime settimane, attraverso il decreto sulle classi di concorso, bisognerà dare certezze su queste problematiche.

martedì 13 dicembre 2016

Il governo Gentiloni è una sfacciata fotocopia del precedente, con un prestanome alla guida.

Neanche le batoste popolari insegnano niente a Renzi e ai suoi.

Abbiamo scritto nei giorni scorsi che l’ondata dei NO che ha travolto Renzi e il suo governo è certo dipesa anche dalla volontà generalizzata di difendere ciò che resta di una democrazia istituzionale già massacrata da un ventennio di “maggioritario”, nonché una Costituzione già drasticamente ridimensionata da tutti i governi degli ultimi decenni; ma che ancor più decisivo, è stato il netto rifiuto popolare delle politiche sociali ed economiche del governo Renzi, e in particolare della “cattiva scuola” della legge 107 e del Jobs Act. 
Del peso che sui NO hanno avuto tali leggi, si sono mostrati consapevoli quasi tutti i commentatori politici ma, almeno così pareva, anche Renzi e il PD. 
In tal senso, le voci sugli imminenti “licenziamenti” dei due ministri/e (oltre a quelli della Boschi, “titolare” della sciagurata riforma costituzionale e della Madia, responsabile della altrettanto indigeribile riforma della P.A) ai quali venivano addebitate le due ignobili leggi, potevano far credere ad una volontà almeno di eliminare alcuni dei punti maggiormente scandalosi di essi. 
Macché: la composizione effettiva del governo ci mostra una spudorata fotocopia del precedente governo, con un prestanome alla guida, con la stragrande maggioranza dei ministri rimasti al loro posto, Boschi solo spostata di scranno, Poletti e Madia inamovibili (e dunque piena conferma del Jobs Act e della riforma P.A.), con qualche scambio di ruoli - modello “al peggio non c’è mai fine” - tipo Minniti agli Interni e Alfano agli Esteri, e con un solo, vero licenziamento, quella della Giannini, evidentemente l’unica della “banda” a non avere santi nel “paradiso” PD.
Solo che la sostituzione della Giannini - che di certo non verrà rimpianta - con Valeria Fedeli è uno di quei casi in cui il detto “dalla padella alla brace” calza a pennello. 
Infatti, mentre la maggioranza dei docenti ed Ata guarda con sconforto e sconcerto alla definitiva affermazione della “scuola fabbrica”, con presidi padroni alla Marchionne, Renzi piazza al MIUR una sua pasdaran, Valeria Fedeli, che, prima di divenire vicepresidente del Senato, era stata per dieci anni alla guida dei tessili della Cgil e che, per almeno quindici anni, si era occupata solamente di politica industriale liberista, cooperando con Bersani ed altri sull’esaltazione della competitività aziendale, e non occupandosi mai di scuola se non per condividere la sua subordinazione alle esigenze delle aziende liberiste, secondo le linee-guida della poi abortita riforma Berlinguer.
Con questi precedenti temiamo che la 107 , con i suoi presidi onnipotenti, la grottesca Alternanza scuola-lavoro coatta, il ridicolo “bonus” distribuito ai più “fedeli” (appunto), l’umiliazione e l’espulsione di una moltitudine di precari, non verrà certo intaccata da pacate discussioni/contrattazioni al MIUR, con una ministra che, agognando piuttosto ad occuparsi di competizione industriale, vedrà di buon occhio la mutazione delle scuole in fabbriche, con docenti ed Ata mutati in “operai flessibili” disposti ad ogni incombenza per aumentare la “produttività” dell’azienda-scuola e con, al di sopra, il suddetto preside simil-Marchionne.
Insomma, se a questo aggiungiamo la farsesca “offerta” contrattuale (dopo 7 anni di blocco e di perdita salariale del 20%) di circa venti euro lordi medi di aumento mensile (in base non alle chiacchiere governative ma alle cifre effettivamente stanziate nella Legge di stabilità), con in più l’introduzione nel contratto di tutto il peggio della 107, crediamo che l’unico “contatto” efficace con la nuova ministra lo avremo solo portandole sotto le finestre del MIUR considerevoli cortei di docenti ed Ata, magari insieme a studenti e cittadini desiderosi di difendere e migliorare la scuola pubblica.

lunedì 12 dicembre 2016

decurtazione dello stipendio in caso di malattia fino a 10 giorni

La decurtazione dello stipendio in caso di malattia fino a 10 giorni per ogni episodio di malattia e per tutti i primi dieci giorni di ogni evento morboso, viene effettuata a prescindere dalla visita fiscale.
L’art.16 comma 5 del DL n. 98/ 2011, stabilisce che il Dirigente scolastico è obbligato all’accertamento della malattia del docente, attraverso la visita fiscale, fin dal primo giorno di assenza, solo nel caso di assenze che si verifichino nelle giornate immediatamente precedenti o successive a quelle non lavorative , cioè se il giorno di malattia o uno dei giorni di malattia cada subito prima o subito dopo la domenica o altra festività. Per gli altri giorni di assenza il Dirigente scolastico dispone di una certa discrezionalità e flessibilità nel disporre la visita fiscale.
In base alla normativa (art. 69 del DL 150/2009 e art. 25 Dl 151/2015) non si procede alla visita fiscale nei seguenti casi:
  • Patologie gravi che richiedono terapia salvavita (sono ricomprese non solo le assenze per l’effettuazione della terapia, ma anche quelle derivanti da infermità con nesso causale con la terapia stessa es. postumi della terapia);
  • Infortunio sul lavoro, se riconosciuto con determinazione dell’INAIL;
  • Malattie riconosciute dipendenti da causa di servizio, se almeno riconosciuta dal Comitato di Verifica per le cause di servizio;
  • Stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità “riconosciuta”. La patologia invalidante deve essere riconosciuta da un giudizio medico legale emesso secondo le normative vigenti (non è richiesto alcun grado minimo di invalidità) e il certificato medico deve contenere in maniera esplicita il nesso causale tra invalidità riconosciuta e malattia in atto che ha determinato la prognosi clinica;
  • Qualora il dipendente sia ricoverato presso un ospedale, o si rechi al pronto soccorso, o a seguito di un infortunio, o a seguito di un ricovero ospedaliero, qualora il periodo di riposo o di convalescenza sia stato ordinato dall’ospedale stesso (e non, successivamente, dal medico curante: in questo caso non risulta nessun legame ufficiale con il periodo di ricovero o con il precedente infortunio).
  • Nei confronti dei dipendenti per i quali è stata già effettuata la visita fiscale per il periodo di prognosi indicato nel certificato: la visita fiscale non può essere prevista per due volte per lo stesso evento morboso. Ogni prolungamento della malattia può invece prevedere una successiva visita medica di controllo;
  • Nei confronti dei dipendenti che si assentano per malattia per sottoporsi a “visite specialistiche” (La richiesta di visita di controllo si configurerebbe come ingiustificato aggravio di spesa per l’amministrazione in quanto l’avvenuta visita sarà giustificata con la presentazione dell’attestato da parte del dipendente).
Quindi non c’è e non può esserci un legame diretto tra visita fiscale e decurtazione economica  in caso di malattia.
Ti ricordo che in base alla normativa (art. 71 del DL n. 112/2008) non si procede alla decurtazione economica fino a 10 giorni nei seguenti casi:
  • Assenze dovute ad infortuni sul lavoro riconosciuti dall’INAIL;
  • Assenze per malattia dovute a causa di servizio riconosciuta dal Comitato di Verifica per le cause di servizio;
  • Ricovero ospedaliero, in strutture pubbliche o private. Per “ricovero ospedaliero” si intende la degenza in ospedale per un periodo non inferiore alle 24 ore (comprensivo della notte);
  • Ricovero domiciliare certificato dall’ASL o struttura sanitaria competente, purché sostitutivo del ricovero ospedaliero;
  • I day-hospital;
  • Assenze dovute a gravi patologie che richiedono l’effettuazione delle terapie salvavita, inclusa la chemioterapia (sono esclusi dalla decurtazione anche i giorni di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie salvavita temporaneamente e/o parzialmente invalidanti).
  • I periodi di assenza per convalescenza che seguono senza soluzione di continuità un ricovero o un intervento effettuato in regime di day-hospital indipendentemente dalla loro durata per i quali è sufficiente una certificazione rilasciata anche dal medico curante pubblico o privato (la certificazione medica dovrà far discendere espressamente la prognosi dall´intervento subito in ospedale).

giovedì 1 dicembre 2016

Cgil, Cisl e Uil svendono i contratti del P.I. e della scuola e danno una mano a Renzi per il referendum

Con gran fanfara massmediatica ed equivalente entusiasmo, Il governo Renzi, da una parte, e Cgil, Cisl e Uil dall'altra, hanno annunciato il varo dell'iter dei contratti del P.I. e della scuola, bloccati da ben 7 anni. Il documento prodotto al proposito è un elenco generale di intenti, accompagnato però da un'unica cifra economica, cioè l'aumento medio di 85 euro mensili (ovviamente lordi) per ogni lavoratore/trice. La cifra è già di per sè grottesca, equivalendo a circa 50 euro netti, di fronte ad una perdita salariale , maturata in questi 7 anni, di circa il 20% del salario del 2009. Ma in aggiunta va sottolineato che solo poco più della metà di tale cifra verrebbe assegnata direttamente e in paga base. Il documento, infatti, precisa che - sulla linea dell'accordo stipulato per i metalmeccanici dalla "triplice" - una parte dell'aumento "valorizzerà la professionalità e le competenze...e l'apporto individuale agli obiettivi di produttività" e che un'altra parte sarà indirizzata a "forme di welfare contrattuale, che integrino le prestazioni pubbliche..forme di fiscalità.. (volte) a sostenere lo sviluppo della previdenza complementare". E infatti nel contratto dei metalmeccanici, circa la metà dell'aumento salariale è indirizzato verso le pensioni integrative, i contributi salariali e quelli legati alla "produttività".
Inoltre, all'interno di un'accozzaglia di retorici luoghi comuni sul "merito", viaggia nel documento una esplicita minaccia: quella dell'introduzione di nuove norme per affrontare con "misure incisive e mirate, situazioni di disaffezione e demotivzione e contrastare fenomeni di assenteismo...con norme contrattuali che incentivino più elevati tassi di presenza".
Poi, ad aggravare ulteriormente le prospettive contrattuali per quel che riguarda la scuola, governo e "triplice" sindacale hanno intenzione di inserire nello specifico contratto tutte le peggiori nefandezze della legge 107. Infine, risulta davvero clamorosa la rapidissima accelerazione di questo accordo a soli tre giorni dal voto sulla riforma costituzionale. Cosicchè l'iniziativa non può che apparire un aperto regalo "referendario" a Renzi che, mentre può sembrare coerente per Cisl e Uil, in netta maggioranza a favore del SI', potrebbe sconcertare per la Cgil. In realtà quest'ultima ha applicato la tattica di Berlusconi che, mentre fa propaganda per il NO, autorizza le sue aziende a battersi per il SI'. La Cgil vuole assicurarsi, comunque vada il voto e nella convinzione che Renzi in ogni caso non sparirà, l'unica cosa che le interessa, la ripresa del simulacro della concertazione, anche a costo di rinunciare a qualsiasi difesa dei residui diritti dei lavoratori/trici.
Per quel che ci riguarda, nell'Esecutivo nazionale che terremo immediatamente dopo il voto referendario, decideremo le forme di lotta per cercare di battere questo sciagurato progetto del governo e della "triplice", da proporre ai lavoratori/trici indisponibili a questa colossale truffa contrattuale.

Piero Bernocchi  
portavoce nazionale COBAS

mercoledì 30 novembre 2016

La formazione obbligatoria va pagata

Nella mia scuola il dirigente scolastico ha detto in collegio dei docenti che adesso la formazione e l'aggiornamento sono obbligatori e dobbiamo svolgere almeno 20 ore l'anno di questa particolare attività senza ricevere alcun compenso aggiuntivo. Vorrei sapere cosa dice la normativa in proposito.

Il comma 124 della legge 107/2015 dispone che «nell'ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale». Il successivo comma 125 stanzia 40 milioni di euro per l'attuazione del comma precedente. Sull'esistenza dell'obbligo, non vi sono dubbi. I dubbi, invece riguardano l'entità della retribuzione, che è altrettanto obbligatoria trattandosi di un onere che aumenta la quantità della prestazione obbligatoria dei docenti. L'art. 36 della Costituzione prevede, infatti, che la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro. Pertanto, se aumenta la quantità del lavoro deve aumentare anche la retribuzione.

In più il codice civile vieta di lavorare gratis o a retribuzione ridotta (divieto di rinunzie e transazioni ex art.2113 c.c.). E l'art. 45 del decreto legislativo 165/2001 stabilisce che la pubblica amministrazione deve pagare i dipendenti applicando CCNL.

Stando così le cose, trattandosi di ore aggiuntive funzionali all'insegnamento, l'obbligo previsto dal comma 124 della legge 107/2015 può essere adempiuto solo se l'istituzione scolastica abbia fondi a sufficienza per retribuire i docenti applicando i minimi previsti dalla tabella 5 del vigente contratto di lavoro: 17.50 euro per ogni ora di formazione prestata in servizio (Tribunale di Verona, sentenza 46/2011).

Maestra assente, al suo posto non può andare il professore La supplenza non è possibile tra ordini di scuola diversi


il dirigente scolastico non può  secondo la normativa vigente, all'interno di un Istituto comprensivo, utilizzare docenti della scuola media con ore a disposizione per supplenze anche di 1 ora nella scuola primaria o dell'infanzia e viceversa.
Il docente di scuola secondaria non può essere effettuato per sostituire docenti di scuola primaria o dell'infanzia e viceversa. L'articolo 1, comma 85 della legge 107/2015 dispone, infatti, che il dirigente scolastico possa effettuare le sostituzioni dei docenti assenti per la copertura di supplenze temporanee fino a dieci giorni con personale dell'organico dell'autonomia che, ove impiegato in gradi di istruzione inferiore, conserva il trattamento stipendiale del grado di istruzione di appartenenza. La norma prevede, dunque, la possibilità per il dirigente di impiegare i docenti interni per le sostituzioni dei docenti assenti, anche in gradi diversi, ma tale impiego può avvenire solo all'interno di scuole dello stesso ordine. Per esempio, un docente di scuola secondaria di I grado può essere utilizzato per sostituire un docente di scuola secondaria di II grado e viceversa (si pensi al caso degli istituti omnicomprensivi) ma non può essere utilizzato per sostituzioni da effettuare in scuole appartenenti ad ordini diversi. In tutti gli altri casi, dunque, resta ferma la disciplina generale che vieta l'impiego fungibile dei docenti dell'organico in ordini di scuola diversi.

I giudici di potenza: il capo di istituto può arrivare fino alla censura. Non si applica la norma brunetta Il professore va sospeso, ma non può decidere il preside Così la sentenza. Eppure la circolare Miur dice il contrario

anche a Terni due ordinanze sospensive di provvedimenti del DS in attesa della sentenza....


La competenza disciplinare dei dirigenti scolastici nei confronti dei docenti non va oltre l'avvertimento scritto e la censura. Pertanto, è da considerarsi illegittima la sanzione della sospensione, se inflitta al docente dal dirigente scolastico. Anche se il ministero dell'istruzione, con la circolare 88/2010, ha stabilito il contrario. E' quanto si evince da una sentenza del Tribunale di Potenza depositata il 22 novembre scorso (700/2016). Il giudice monocratico ha spiegato che ai docenti non va applicato il decreto Brunetta nella parte che prevede la possibilità, per i dirigenti della pubblica amministrazione, di sospendere il dipendente fino a 10 giorni, una volta accertata la responsabilità disciplinare.

Il motivo di tale preclusione va individuato nel fatto che il ruolo particolarmente rilevante svolto dai docenti giustifica l'individuazione, da parte del Legislatore, di un soggetto diverso dal dirigente scolastico ogni qualvolta venga in rilievo una sanzione più grave dell'avvertimento scritto o della censura. La sentenza fa il paio con una recente pronuncia emessa dal Tribunale di Foggia il 27 ottobre scorso (si veda Italia Oggi del 15/11/2016) e si inquadra nell'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di merito, costante nel ritenere che la responsabilità disciplinare dei docenti continui ad essere regolata dalle norme (più rigorose) contenute nel testo unico (il decreto legislativo 297/94). Tali norme si collocano in rapporto di specialità rispetto alle norme contenute nel decreto Brunetta. E per questo motivo sono da ritenersi prioritarie rispetto alla disciplina generale.

In pratica, le disposizioni contenute nel decreto legislativo 297/94, proprio perché riferite ad una solo categoria di lavoratori del pubblico impiego (i docenti) derogano le norme generali previste per il restante personale della pubblica amministrazione. E quindi, quando si tratta di docenti, le norme da applicare sono quelle del testo unico e non le disposizioni previste dal decreto Brunetta. Va detto subito che ciò non costituisce un vantaggio per gli insegnanti. La disciplina sostanziale delle sanzioni disciplinari che si applicano ai docenti è molto più rigorosa rispetto a quella dei restanti lavoratori del pubblico impiego. Le sospensioni, infatti, prevedono anche sanzioni accessori quali il ritardo della progressione di carriera (che si traduce in una perdita salariale permanente che si riverbera anche sulla pensione) e la preclusione della possibilità di partecipare agli esami di stato e ai concorsi a preside.

Oltre tutto, i docenti, proprio per la delicata funzione che svolgono quotidianamente, sono assistiti dalla libertà di insegnamento prevista dall'articolo 33 della Costituzione e ciò giustifica la necessità di garantire la terzietà del giudizio disciplinare, la cui competenza si radica in capo all'ufficio dei provvedimenti disciplinari costituito presso l'ufficio scolastico regionale. Va detto, inoltre, che la frequenza con la quale si verifica l'adozione di sanzioni sospensive da parte dei dirigenti scolastici è dovuta all'orientamento espresso dal ministero dell'istruzione con la circolare 88/2010. In tale occasione il ministero ha interpretato la normativa vigente nel senso della sussistenza della competenza dei dirigenti scolastici ad infliggere sanzioni sospensive ai docenti, purché di durata non superiore ai 10 giorni.

Tale orientamento, che l'amministrazione non ha ritenuto di modificare, ha indotto diversi uffici scolastici ha scoraggiare i dirigenti scolastici ad investire gli uffici per i provvedimenti disciplinari di questioni riguardanti casi da trattare con sospensioni di pochi giorni. E ciò ha posto i dirigenti scolastici nella difficile situazione di provvedere autonomamente, anche nel timore di incorrere nella responsabilità disciplinare dirigenziale, prevista dal decreto Brunetta in caso di inerzia. A ciò va aggiunto il fatto che, proprio per effetto delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 150/2009, non è più possibile comporre in via stragiudiziale le controversie aventi per oggetto le sanzioni disciplinare. Salvo il caso, piuttosto residuale, della possibilità di adire il collegio di conciliazione presso le direzioni provinciali del lavoro.

Pertanto, il rimedio più frequente utilizzato dai docenti è costituito dall'esperimento dell'azione giudiziale. Tale azione, peraltro, necessita della difesa tecnica e si conclude, nella maggior parte dei casi, con la condanna alle spese in capo alla parte soccombente. La riforma del codice di procedura civile, infatti, ha imposto ai giudici di compensare le spese solo in caso di gravi ed eccezionali motivi da specificare nella motivazione della sentenza.

Pertanto, a fronte del consolidato orientamento della giurisprudenza di merito, che va nel senso della inesistenza della competenza dei dirigenti scolastici in materia di sanzioni sospensive, la soccombenza dell'amministrazione espone l'erario al rischio di un aggravio di costi destinato a crescere nel tempo.

Un tribunale ha smentito la prassi: nessuna norma prevede l'obbligatorietà dell'incarico Coordinatore? Possibile dire no L'offerta del dirigente scolastico può essere rifiutata



Fare il coordinatore di classe non è obbligatorio. Lo ha stabilito il giudice del lavoro di Cosenza con la sentenza 1830/2016. Con la quale ha anche annullato la sanzione disciplinare dell'avvertimento scritto, ingiustamente inflitta ad una docente che aveva legittimamente rifiutato l'incarico. «La mancata previsione legale del ruolo di coordinatore che pure può essere individuato da un atto interno», si legge nella sentenza, «esclude che le relative funzioni siano da ritenere doverose, con la conseguenza che, in difetto di una fonte normativa (legge, regolamenti, contratti collettivi, le circolari non sono fonti del diritto) l'incarico eventualmente attribuito può essere rifiutato».

La pronuncia costituisce un autorevole presupposto interpretativo per fare luce sull'incarico di coordinatore di classe. Che consiste in una delega che viene attribuita dal dirigente scolastico a un docente del consiglio di classe, per svolgere mansioni di coordinamento della didattica, per provvedere alla sintesi dei giudizi complessivi che vengono approvati in sede di consiglio e, spesso, per rappresentare l'intero consiglio davanti ai genitori. In pratica si tratta di mansioni dirigenziali che spetterebbero al dirigente scolastico. Che però vengono svolte, per prassi, da un docente da lui individuato. La prassi, però, non si fonda su una norma di legge specifica che imponga al docente interessato di accettare tale incarico. Oltre tutto, anche gli incarichi espressamente previsti dalle disposizioni di legge non comportano alcun obbligo di accettazione.

Trattandosi di incarichi aggiuntivi, infatti, le relative prestazioni comportano un aggravio dell'onerosità della prestazione ordinaria per lo svolgimento della quale i docenti percepiscono la retribuzione. Dunque, per essere considerati validi, tali incarichi devono fare seguito ad uno scambio di proposta e accettazione tra il dirigente e il docente interessato e, soprattutto, previa indicazione della retribuzione spettante. Il tutto pattuito in un accordo scritto e sottoscritto dalle parti. Nella prassi, però, questi incarichi aggiuntivi vengono attribuiti d'ufficio e, il più delle volte, senza prevedere alcun compenso, nella convinzione che tutto ciò sia dovuto. Sintomatico di questa diffusa convinzione è il fatto che un docente, per essersi rifiutato di svolgere l'incarico, sia stato fatto oggetto, addirittura, di una sanzione disciplinare. Sebbene molto blanda (l'avvertimento scritto). Pertanto, il docente interessato, per far valere il suo diritto a non essere sanzionato per avere rifiutato ciò che non è obbligatorio ha dovuto investire della questione un giudice togato. Che gli ha dato ragione.

Il principio della connotazione non autoritativa degli atti di gestione del rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione è ormai assodato. Ed è spiegato chiaramente anche in una sentenza del Tribunale di Catanzaro (sentenza 29 aprile 2003) che si rifà alla giurisprudenza delle Sezioni unite: «Ed infatti», spiega il giudice, «nello svolgimento del rapporto, assoggettato alla disciplina del codice civile e dalle leggi speciali per i rapporti di lavoro nell'impresa privata, ai sensi dell'art. 2 c. 2, d. lgs. 30-3-2001 n.165, la pa agisce con i poteri del privato datore di lavoro e i suoi atti di gestione del personale, svuotati di ogni contenuto autoritativo, sono atti di diritto privato».

martedì 29 novembre 2016

Tra richieste di audizioni e chiarimenti, si ricomincia La videosorveglianza negli asili si è arenata a Palazzo Madama

PER FORTUNA. NO AL GRANDE FRATELLO NELLE SCUOLE

La sollecita approvazione, lo scorso 19 ottobre, da parte dell'aula di Montecitorio della proposta di legge concernente misure per prevenire e contrastare condotte di maltrattamento o di abuso, anche di natura psicologica, in danno dei minori negli asili nido e nelle scuole dell'infanzia, oltre che delle persone ospitate in strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e persone con disabilità, lasciava ben sperare in una altrettanta sollecita approvazione anche dall'aula di Palazzo Madama.

Alla luce di come l'esame del disegno di legge sta procedendo nella XI Commissione lavoro e previdenza sociale del senato, l'auspicata sollecita approvazione appare invece allo stato del tutto improbabile disseminata come è da numerose richieste di chiarimenti e approfondimenti. Sarebbero proprio queste ultime le ragioni principali per le quali l'esame del disegno di legge da parte della XI Commissione presieduta da Maurizio Sacconi (AP), formalmente iniziato nella seduta del 9 novembre e proseguito in quelle del 15 e del 22, non è a tutt'oggi ancora entrato nel merito di quanto dispongono i sette articoli che compongono il provvedimento in esame.

Nel corso delle tre sedute della Commissione tenutesi il 9, il 15 e il 22 novembre non si è infatti andati oltre alla l'illustrazione da parte della relatrice Nicoletta Favero (Pd) dei contenuti del provvedimento approvato in prima lettura dalla Camera (si veda ItaliaOggi di martedi 25 ottobre) e alla formulazione di proposte presentate da alcuni membri della Commissione.

I senatori Barozzino (Misto-Si-Sel) e Serafini (FI-Pdl XVII) hanno proposto di attivare un ciclo di audizioni; la Parenti (PD) di ascoltare il Garante per la protezione dei dati personali e alcuni altri soggetti qualificati; Ichino(PD) di approfondire la disciplina relativa all' installazione di impianti audiovisivi di registrazione contenuta nel disegno di legge; Favero di ascoltare anche il garante per l'Infanzia. La senatrice Catalfo (M5S) si è invece riservata di far pervenire al più presto gli intendimenti del proprio Gruppo.

Un impegno quello del gruppo del M5S che è tutto un programma e che, presumibilmente, è stato uno dei motivi che ha indotto il presidente Sacconi non solo a convenire sulla necessità di approfondire le modalità attuative del disegno di legge, nonché gli oneri, non solo finanziari, che gravano sui soggetti in esso coinvolti, ma anche a ritenere utile domandare ai soggetti già auditi alla Camera dei deputati una valutazione sul testo approvato da quel ramo del parlamento.

Approfondimenti e nuove audizioni che richiederanno apposite sedute della Commissione con la prevedibile conseguenza che l'esame del disegno di legge da parte dell'aula di Palazzo Madama non potrà che iniziare al termine della sessione di bilancio se non addirittura dopo la sospensione dei lavori del Parlamento per le vacanze natalizie. E non è detto che anche il tal caso il disegno di legge potrà con certezza essere trasformato in legge viste le turbolenze politiche che gravitano sull'appuntamento referendiario del 4 dicembre.

PIATTAFORMA PRECARI (PER UNA UNIFICAZIONE DELLE LOTTE)

1. Assunzione a tempo indeterminato
  1. Assunzione su tutti i posti in organico di diritto e in organico di fatto.
  2. Conservazione del sistema del doppio canale (50% da GM e 50% da Gae) almeno fino all’assunzione di tutti i precari della scuola.
  3. Inserimento di tutti gli abilitati nelle Graduatorie ad esaurimento; laddove esse dovessero risultare già esaurite in seguito al piano di assunzioni del 2015 e del 2016, chiediamo l’istituzione di un’analoga graduatoria provinciale.
  4. Trasformazione delle GAE in Graduatorie Permanenti da riaprire e aggiornare ogni tre anni a partire dall’a.s. 2017/2018, con la possibilità per i docenti di scegliere, oltre la propria provincia, una seconda provincia valida solo per l'assunzione a tempo indeterminato.
  5. Possibilità di inserirsi dal secondo anno di vigenza delle graduatorie (a domanda e solo per l’assunzione a tempo indeterminato), nelle province dove risultino graduatorie esaurite.
  6. Superamento degli ambiti territoriali (così come definiti dalla L. 107/2015) e del relativo sistema della chiamata per competenze/incarico triennale.

2. Assunzioni a tempo determinato.
  • Superamento del comma 131 dell’art. 1 della Legge 107/2015 che prevede – a decorrere dal 1 settembre 2016 - il limite dei 36 mesi sulla reiterazione dei contratti a T.D. sui posti vacanti e disponibili.
  • Riapertura e aggiornamento, fin dal 2017, delle Graduatorie di Istituto, terza fascia compresa, con possibilità di inserimento in una sola provincia, come fino ad ora.
  • Trasformazione delle Graduatorie di Istituto di I e II fascia (se tutti gli abilitati entrano in Gae I e II fascia formano un’unica graduatoria) in Graduatorie Provinciali (eliminando quindi il limite delle 20 scuole)
  • Trasformazione delle Graduatorie di Istituto di terza fascia, in graduatorie provinciali (eliminando quindi il limite delle 20 scuole)

3. Assegnazioni provvisorie.
  • Superamento del vincolo triennale di permanenza nella provincia di assunzione sia per quanto riguarda i trasferimenti sia per la richiesta di assegnazione provvisoria.

4. PAS E TFA
  • Attivazione di un percorso di abilitazione (modello PAS) gratuito e senza selezione per tutti i docenti di terza fascia con 360 giorni di servizio e con la previsione dell’inserimento nelle graduatorie per l’assunzione a Tempo Indeterminato.
  • Attivazione di un nuovo TFA, gratuito e con la previsione dell’inserimento nelle graduatorie per l’assunzione a Tempo Indeterminato.


venerdì 25 novembre 2016

Assemblea degli studenti: i docenti devono prendere presenze e assenze, ma possono non partecipare

A dirlo una sentenza del 2007 del Tribunale di Cagliari secondo cui lo svolgimento dell'assemblea deve essere assicurata dal preside.
A presentare ricorso un gruppo di docenti di Cagliari. La sentenza è stata depositata il 25 di settembre del 2007. La sentenza ha decretato come non ci sia obbligo “in capo ai docenti di di presenziare alle assemblee studentesche d’istituto (“All’assemblea di classe o di istituto possono assistere, oltre al preside o ad un suo delegato, i docenti che lo desiderino”).”
Secondo i giudici corretto svolgersi dell’assemblea deve essere assicurato dal preside, che ha un preciso potere di intervento nel caso di violazione del regolamento o in caso di constatata impossibilità di ordinato svolgimento dell’assemblea” (art. 14 comma 5 DLgs 297/94).
Ma, attenzione, perché i giudici evidenziano che c’è obbligo da parte dei docenti di i rilevare le presenze e le assenze degli studenti quando l’inizio dell’assemblea coincida con l’orario iniziale della giornata scolastica”.
Il Giudice ha altresì riconosciuto “fondata la pretesa dei ricorrenti di non presentarsi a scuola in occasione delle assemblee nelle ore successive alla prima, e comunque di lasciare il servizio dopo aver rilevato le presenze e le assenze”.

Bonus merito i dirigenti hanno premiato un insegnante di ruolo su tre, con somme tra 200 e 1.800 euro. Ai precari? presto la sentenza.

Quanti docenti riceveranno il premio merito relativo all’a.s. 2015/16? I dati inediti vengono forniti da Repubblica.
Si tratta di 247.872 docenti di ruolo, più di uno su tre. Non sta a noi dire se siano tanti o pochi. Secondo Repubblica “Per tutta la stagione i presidi erano stati inseguiti dal sospetto (urlato) che avrebbero premiato parenti, amici e sottoposti fedeli. Hanno preferito allora allargare la base, per evitare nuove polemiche. È credibile pensare che alla fine del triennio della Legge 107 – che chiede, appunto, aggiornamenti ogni tre anni – quasi tutti gli insegnanti italiani potranno aver ricevuto il bonus”
Al momento però i docenti in questione riceveranno solo l’80% della somma (ad ogni scuola è stata assegnata una somma di circa 23.000 euro, da dividere tra i destinatari secondo i criteri stabiliti dal comitato di valutazione, ma in linea generale la cifra lorda si aggira tra i 200 euro e i 1.800 euro.
Anche su questo vi è stata una querelle tra Ministero e sindacato FLCGIL che ha espresso il timore che la somma, se non erogata a novembre, sarà percepita dai docenti ad aprile – maggio. Ma il Ministero è di diverso parere.
Ma è interessante capire cosa riguardano i ricorsi, dei quali si attende nei prossimi giorni la sentenza.
Il sindacato ha promosso un ricorso in cui chiede l’estensione del bonus anche ai supplenti. Il Miur quindi, in attesa della sentenza, precisa che la base finanziaria sarà costituita sempre dai 380 milioni. In caso di vittoria del sindacato la distribuzione sarà allargata anche ai precari, e per questo sarà utile quel 20% finora tenuto da parte.

Bonus 500 euro, perché conviene spenderlo prima del 30 novembre

Si delinea ogni giorno di più lo scenario per l’utilizzo della cosiddetta “Carta docente” per l’autoformazione.
Ieri vi abbiamo dato indicazioni circa il funzionamento della piattaforma informatica tramite la quale sarà possibile accedere ad un borsellino elettronico per spendere il bonus 500 euro.
Il docente si dovrà connettere all’indirizzo  www.cartadeldocente.istruzione.it  che sarà attivato presumibilmente entro il 30 novembre.
All’interno troverà tutti gli esercenti e le associazioni di formazione che saranno autorizzati. Mentre gli enti di formazione accreditati dal Ministero saranno inseriti in automatico, gli esercenti dovranno richiedere l’iscrizione alla piattaforma.
Una procedura simile a quella del bonus diciottenni, dalla cui piattaforma saranno importati quelli già inseriti.
Il problema sta nella quantità di esercenti che hanno aderito e aderiranno all’iniziativa. Infatti, è stata notizia di qualche giorno fa che alcuni studenti delle superiori che ad Agrigento si sono lamentati con il premier perché in piattaforma era iscritto un solo esercente.
Stessa situazione si riscontra in moltissime aree del paese che godono soltanto di qualche sporadica libreria, mentre per musei e cinema si utilizza la banca dati del MIBAC.
Pochi anche i negozi di elettronica, fa da padrona Amazon che ha preso la palla al balzo e ha attivato il servizio per gli studenti e così anche per i docenti (già presente in piattaforma, insieme a Ticket One).
Insomma, l’unica certezza sembra essere quella degli enti di formazione (l’elenco sarà quello aggiornato al 2016/17) che saranno caricati in automatico.
Diversa, invece, la situazione se si spenderanno i soldi prima dell’attivazione della piattaforma.
Infatti, ricordiamo che il Ministero, in un primo momento, aveva dato indicazioni ai docenti chiedendo di spendere il bonus all’attivazione della Card. Indicazione integrata con la possibilità concessa di poter dichiarare anche le spese tra il primo settembre e il 30 novembre.
In questo caso, il docente dovrà rendicontare alle segreterie scolastiche semplicemente presentando fatture e scontrini, con le stesse modalità dello scorso anno. Ciò consentirà di aggirare la scarsezza di esercenti inseriti nella piattaforma e poter spendere più facilmente la somma in base ai propri bisogni formativi. Insomma, forse meglio spenderli adesso che dover scegliere solo tra gli enti e gli esercenti aderenti dopo il 30  novembre, anche se il  Ministero ha comunicato di aver avviato una campagna di sensibilizzazione affinchè gli esercenti si accreditino entro breve tempo e in numero elevato. Inutile dire che potranno esserci sensibili differenze da provincia a provincia.

Bonus 500 euro, come ottenere l’identità digitale. Una guida passo passo

mercoledì 23 novembre 2016

Visita specialistica: la scuola non può chiedere al dipendente la giustificazione che la visita poteva essere effettuata solo in orari coincidenti con quello di lavoro

Il TAR Lazio, con sentenza n. 5714 pubblicata in data 17 aprile 2015, ha annullato la circolare della FP n. 2/2014 stabilendo che l’Amministrazione non può emanare una circolare per cambiare unilateralmente quanto stabilisce e regola la legge e  il contratto.
Sul punto è quindi intervenuto il Ministero che con NOTA 06.05.2015, PROT. N. 7457 ha disposto “… Di conseguenza, nelle more della rivisitazione della disciplina e della eventuale ricezione di nuove istruzioni da parte del Dipartimento per la Funzione Pubblica, si ritiene che le assenze dal servizio per visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici debbano essere ricondotte esclusivamente alla disciplina normativa di cui all’art 55 septies, comma5 ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 , senza tener conto di quanto statuito successivamente, anche da questo Ministero, con nota n. 5181 del 22.4.2014 del Dipartimento per la Programmazione – Direzione Generale per le risorse umane del Ministero, acquisti e affari generali.”
Pertanto, dal momento che, allo stato attuale, l’unico riferimento normativo è l’articolo di legge richiamato dal Ministero, vediamo in cosa consiste.
“…nel caso in cui l’assenza per malattia abbia luogo per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici l’assenza è giustificata mediante la presentazione di attestazione rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione.”
La norma introduce una novità: se l’assenza per malattia avviene per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici, il relativo giustificativo può consistere anche in una attestazione di struttura privata. Inoltre, non è richiesta alcuna altra specifica.
Non a caso, l’ARAN, intervenuta in materia, specifica:
In particolare l’art.55-septies, comma 5-ter, del D.Lgs.n.165/2001 stabilisce: Nel caso in cui l’assenza per malattia abbia luogo per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici l’assenza è giustificata mediante la presentazione di attestazione rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione”.
In base a tale normativa, come evidenziato anche dalla circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n.10/2011, ai fini della giustificazione dell’assenza per visite o prestazioni specialistica come assenza per malattia è sufficiente la presentazione da parte del dipendente della semplice attestazione rilasciata dal medico o dalla struttura anche privati che le hanno effettuate, senza alcun ulteriore adempimento o formalità aggiuntive (la giustificazione, ad esempio, che le medesime potevano essere effettuate solo in orari coincidente con quello di lavoro).
In tal modo, sono state superate anche alcune indicazioni più rigorose che, in mancanza di una precisa disciplina legale di riferimento, erano contenute anche negli orientamenti applicativi già formulati dall’ARAN in materia.”