Il fatto
L’associazione sindacale avendo partecipato alla contrattazione collettiva integrativa (ai sensi dell’art. 22, comma 2, lett. c del CCNL vigente e sottoscritto il relativo contratto, ha proposto istanza di accesso ai sensi della legge 241 del 1990 per ottenere copia della documentazione relativa alla distribuzione delle risorse economiche oggetto di contrattazione integrativa (art. 8, comma 2 del Contratto collettivo integrativo). La dirigente scolastica ha negato però l’accesso richiesto, per aver già fornito all’associazione richiedente i dati in forma aggregata e parzialmente disaggregata (per tipologia di incarico e attività), sufficiente ai fini delle verifiche sulla destinazione delle risorse. Rappresenta, in particolare, la necessità di contemperare il diritto all’informazione sindacale con quello alla riservatezza dei dipendenti, l’assenza nel CCNL di una disposizione che imponga la comunicazione dei dati in forma individuale, l’inammissibilità di un controllo generalizzato Si pronuncia il TAR del Friuli Venezia Giulia con sentenza del 03/02/2021 N. 00042/2021 accogliendo il ricorso del sindacato proponente.
Il diritto all’informazione per i sindacati è riconosciuto dal CCNL
Il CCNL riconosce alle associazioni sindacali un diritto all’informazione, quale “presupposto per il corretto esercizio delle relazioni sindacali e dei relativi strumenti” (art. 5, comma 1, CCNL del Comparto Istruzione e Ricerca del 19 aprle 2018). Esso può avere ad oggetto “tutte le materie per le quali i successivi articoli prevedano il confronto o la contrattazione integrativa” (art. 5, comma 4 CCNL). Tra le materie oggetto di contrattazione integrativa “a livello di istituzione scolastica ed educativa”, vi sono “c2) i criteri per la ripartizione delle risorse del fondo d’istituto; c3) i criteri per l’attribuzione di compensi accessori, ai sensi dell’art. 45, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001 al personale docente, educativo ed ATA, inclusa la quota delle risorse relative all’alternanza scuola-lavoro e delle risorse relative ai progetti nazionali e comunitari, eventualmente destinate alla remunerazione del personale; c4) i criteri generali per la determinazione dei compensi finalizzati alla valorizzazione del personale, ivi compresi quelli riconosciuti al personale docente ai sensi dell’art. 1, comma 127, della legge n. 107/2015;” (art. 22 CCNL). Tali elementi hanno trovato puntuale disciplina nel Contratto Collettivo integrativo di Istituto sottoscritto dall’organizzazione sindacale ricorrente e in particolare negli art. 19 e ss. (TITOLO V – Trattamento economico accessorio). Le citate disposizioni permettono quindi di riconoscere la piena legittimazione dell’associazione sindacale ricorrente ad esercitare l’accesso sulla documentazione relativa ai trattamenti economici accessori. Sussistono, infatti, gli elementi richiesti dall’art. 22, comma 1, lett. c) della l. 241 del 1990, ovvero un “interesse diretto, concreto e attuale”, quello alla verifica della congruità tra quanto contrattato e corrisposto, e una “situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”, costituita dal diritto all’informazione dell’associazione sindacale sulle materie nelle quali si esplica la contrattazione collettiva.
I dati in forma aggregata non sono idonei a garantire il diritto all’informazione
Osservano i giudici, “quanto al profilo relativo all’estensione del diritto d’accesso e all’adeguatezza dei dati forniti, il Tribunale non ritiene sufficiente, ai fini dell’esercizio delle prerogative sindacali di verifica, la documentazione contenente i dati in forma aggregata o parzialmente disaggregata, fornita dalla scuola. A questo proposito, l’associazione sindacale ha evidenziato che “il dato aggregato non consente di verificare se vi è stata una corretta distribuzione del fondo, si potrebbe infatti creare il paradosso che un ipotetico fondo di €1000= destinato a 10 docenti tutti ugualmente meritevoli venga invece suddiviso erogando €10= a 9 docenti e €910= ad un unico docente. Si appalesa quindi l’inidoneità del dato aggregato a soddisfare le esigenze di tutela dei lavoratori”.
Fornire i dati in modo imparziale e incompleto non trova giustificazione nella privacy
“Un’ostensione parziale e incompleta dei dati non può trovare giustificazione nel diritto alla riservatezza dei soggetti coinvolti (che peraltro, benché notificati dai ricorrenti, non hanno coltivato alcuna iniziativa processuale nel presente procedimento)”. Continuano i giudici triestini affermando che ” La disposizione citata dalla difesa erariale per escludere l’esercizio del diritto di accesso a “dati personali” quali sono i dati retributivi, cioè l’art. 2-ter, comma 3 del novellato codice della privacy (d.lgs. 196 del 2003) non appare conferente. La disposizione richiede, ai fini del trattamento dei dati, una “base giuridica”, costituita “esclusivamente da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento”. Nel caso di specie, tuttavia, a giustificare il trattamento sono proprio le disposizioni sul diritto di accesso di cui alla legge 241 del 1990, come dimostra, ad esempio, il loro espresso richiamo quale “base giuridica” del trattamento dei – ben più riservati – dati relativi a condanne penali e reati (art. 2-octies, comma 3, lett. f). Quanto al diritto di accesso a “dati personali”, in particolare, il codice della privacy regola solo l’ipotesi – non ricorrente nel caso di specie – in cui esso abbia ad oggetto dati c.d. sensibilissimi (cioè “dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona”, art. 60), mentre rinvia per il resto (cioè con riguardo a “i presupposti, le modalità, i limiti per l’esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale”) alla legge 241 del 1990. Quest’ultima garantisce sempre “l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici” (art. 24, comma 7). Sotto questo profilo non sussistono dubbi in merito al carattere di necessarietà dei documenti richiesti, che consentono di verificare il rispetto della contrattazione integrativa, per la cura degli interessi facenti capo all’associazione sindacale”.
I pareri ARAN e del Garante della privacy sono superati
Affermano i giudici in modo significativo che “non appare, dirimente, pertanto, la mancata menzione, nei contratti collettivi nazionali o locali, di un obbligo di informazione che abbia ad oggetto specificamente i dati in forma individuale, giacché un siffatto può ricavarsi in via interpretativa, in ragione del nesso di strumentalità che esiste tra “informazione” ed “esercizio delle relazioni sindacali”. Né una minore estensione del diritto di accesso può derivare dal fatto che la contrattazione collettiva integrativa abbia ad oggetto i soli “criteri generali” di distribuzione delle risorse aggiuntive. In primo luogo, ciò non è vero per tutte le voci di trattamento economico accessorio: per la ripartizione del fondo d’istituto e per i compensi accessori l’art 22 comma 4 del CCNL parla semplicemente di “criteri”, senza menzionare il carattere di generalità. In ogni caso, non è chiaro come secondo l’amministrazione potrebbe operarsi una verifica circa l’applicazione di un criterio di distribuzione di risorse economiche, se non attraverso l’esame del dato specifico riguardante i singoli percettori. Per le ragioni esposte, non può certamente affermarsi che l’istanza di accesso sia preordinata ad un controllo generalizzato dell’azione pubblica, apparendo al contrario sorretta da un interesse specifico e giuridicamente qualificato. Si rileva, infine, l’esistenza di un autorevole precedente conforme del Consiglio di Stato (Cons. St., sez. VI, 20 luglio 2018, n. 4417), citato dall’associazione ricorrente, che verte su questione del tutto sovrapponibile a quella di cui al presente giudizio. Non rileva il fatto che la sentenza sia stata pronunciata con riferimento al precedente CCNL del Comparto Scuola (che disciplinava più nel dettaglio la materia dell’informazione successiva). Ciò non tanto perché lo stesso, come sostenuto dalla ricorrente, continuerebbe comunque a trovare applicazione – a tale proposito e in senso contrario, si evidenzia che l’art. 4 comma 5 del CCNL 2018 afferma: “Le clausole del presente CCNL sostituiscono integralmente tutte le disposizioni previste dai precedenti CCNL che riguardano gli obiettivi e gli strumenti delle relazioni sindacali, i modelli relazionali, i livelli, i soggetti, le materie, i tempi e le relative procedure, nonché le clausole di raffreddamento” – quanto piuttosto perché un obbligo informativo di analoga portata è, ad avviso del Tribunale, comunque desumibile in via interpretativa dalle disposizioni del vigente CCNL”.