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Test INVALSI nel curriculum dello studente: un abuso

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da ROARS- Il recente decreto legge che prevede di inserire i risultati dei test Invalsi nel curriculum degli studenti desta serie preoccupazioni. I punteggi nei test, quanto quelli sul QI, sono fortemente influenzati dalla condizione socioeconomica delle famiglie e dalle caratteristiche del contesto sociale e territoriale da cui provengono gli studenti. Chi proviene da famiglie o da contesti svantaggiati ha, mediamente, punteggi inferiori di chi, invece, è più avvantaggiato sotto il profilo socioeconomico.  Uno dei rischi da scongiurare è che i risultati ottenuti nei test – risultati che, è bene ricordarlo, possono variare nel tempo – possano essere usati per «incasellare» gli studenti, indirizzandone irrimediabilmente il successivo percorso scolastico o professionale. I test diventerebbero, così, un elemento che contribuisce a perpetuare le disuguaglianze


  1. A cosa servono i test?

I livelli di apprendimento conseguiti nelle prove Invalsi dovranno essere indicati, in forma descrittiva, in una specifica sezione del curriculum dello studente allegato al diploma di scuola superiore. È quanto prevede, tra l’altro, il decreto legge n. 19 del 2 marzo 2024, riguardante misure per l’attuazione del «Piano nazionale di ripresa e resilienza», ricalcando una norma già contenuta in uno dei decreti sulla «Buona scuola» (d. lgs. n. 62/2017) ma finora rinviata. L’inserimento dei risultati delle prove Invalsi nel curriculum dello studente è, a nostro avviso, una scelta discutibile per una serie di ragioni.

Partiamo dalle finalità delle prove Invalsi. Per come dichiarato nel suo statuto (art. 2), l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione (Invalsi), ha la finalità di promuovere «il miglioramento dei livelli di istruzione e della qualità del capitale umano, contribuendo allo sviluppo e alla crescita del sistema d’istruzione, motore di sviluppo dell’economia italiana e promotore di equità sociale». Ai sensi della normativa sul segreto statistico (D. lgs. n. 322/89) i dati raccolti dall’Invalsi «non possono essere comunicati o diffusi se non in forma aggregata e secondo modalità che rendano non identificabili gli interessati ad alcun soggetto esterno, pubblico o privato, né ad alcun ufficio della pubblica amministrazione». La ragione di ciò, come spiega lo stesso Istituto, è che «le prove non valutano gli studenti come fanno gli insegnanti, ma esaminano i loro esiti di apprendimento e lo stato di salute del sistema scolastico».

In pratica, i risultati dei test Invalsi dovrebbero servire a indirizzare la politica scolastica verso interventi mirati, atti a colmare le lacune formative e correggere le disparità tra scuole o tra aree geografiche. Non dovrebbero servire, invece, per fornire informazioni a terzi sulle competenze degli studenti. Al più, nel rispetto della privacy, i risultati dei singoli studenti potrebbero aiutare i docenti a individuare situazioni di disagio su cui intervenire con appropriati strumenti didattici. Per tali ragioni, i risultati individuali dei test dovrebbero rimanere riservati e il loro utilizzo limitato all’interno del sistema scolastico.

Alla luce delle finalità sopra richiamate, l’argomentazione secondo la quale i risultati dei test Invalsi fornirebbero ai terzi interessati, come i futuri datori di lavoro, utili informazioni sulle competenze acquisite dagli studenti, appare quantomeno discutibile. Purtroppo, come accaduto in altri casi, nel nostro paese strumenti di valutazione pensati per specifici obiettivi, per una sorta di eterogenesi dei fini, vengono utilizzati per scopi diversi da quelli originari.

 

  1. Un problema di disuguaglianze

Ci sono, poi, altri aspetti, ancora più delicati, da considerare. Anzitutto, chiediamoci cosa misurino i test Invalsi. I test scolastici in genere misurano alcune specifiche competenze, ma non quelle attitudini, come la capacità di comunicazione, e quei tratti della personalità di carattere socio-emotivo e relazionale che hanno molta importanza nella vita sociale e nel lavoro. Inoltre, i risultati nei test sulle competenze non si sovrappongono ai voti attribuiti dagli insegnanti. Questi, infatti, sono frutto della valutazione prolungata di una serie di aspetti non racchiudibili in un questionario, per quanto articolato esso possa essere.

Invece, come appurato da solide ricerche [1], i punteggi ottenuti nei test sulle competenze, come quelli condotti negli Stati Uniti e nel Regno Unito, hanno un’elevata correlazione con i punteggi dei test sul quoziente d’intelligenza (QI). La correlazione tra i risultati dei test sulle competenze e quelli sul QI risulta, inoltre, molto alta quando si considerano i punteggi medi nazionali o regionali [2].

Non siamo a conoscenza di studi che riguardino specificamente le prove Invalsi, ma a livello regionale i risultati ottenuti dagli studenti negli Invalsi sono correlati a quelli dei test Ocse-Pisa. Queste evidenze costituiscono ulteriori motivi a sostegno di un atteggiamento prudente nell’interpretazione e nell’uso dei risultati individuali dei test scolastici.

È importante sottolineare che tanto i punteggi nei test sulle competenze, quanto quelli sul QI, sono fortemente influenzati dalla condizione socioeconomica delle famiglie e dalle caratteristiche del contesto sociale e territoriale da cui provengono gli studenti [3-5]. Gli studenti provenienti da famiglie o da contesti svantaggiati hanno, mediamente, punteggi inferiori a quelli che, invece, sono più avvantaggiati sotto il profilo socioeconomico. Fattori sociali ed economici spiegano, poi, le differenze medie nei risultati nei test che si osservano tra quartieri ricchi e poveri delle stesse città o tra territori.

In Italia, nelle regioni meridionali, in cui i redditi sono più bassi e l’incidenza della povertà è maggiore, i punteggi medi degli studenti sono significativamente inferiori a quelli delle regioni economicamente più sviluppate [6]. In breve, i risultati nei test sulle competenze, come quelli Invalsi, riflettono il grado di disuguaglianza socioeconomica tra individui, gruppi e territori. Perché, dunque, riportarli nel curriculum dello studente?

 

  1. Usi e abusi dei test

In conclusione, riteniamo utile interrogarsi sull’utilità dei test scolastici che in Italia, come in altri paesi, si sono affermati sulla base di motivazioni improntate a principi economici e competitivi, la cui validità è messa in discussione da diversi studiosi [7]. L’uso eccessivo o improprio di questi strumenti di misura non è esente da rischi.

Uno dei rischi da scongiurare è che i risultati ottenuti nei test – risultati che, è bene ricordarlo, possono variare nel tempo – possano essere usati per «incasellare» gli studenti, indirizzandone irrimediabilmente il successivo percorso scolastico o professionale. Da strumento per misurare e contrastare le disuguaglianze, i test sulle competenze diventerebbero, così, un elemento che contribuisce a perpetuare le disuguaglianze stesse. Non è un caso che il paese in cui tradizionalmente si fa più largo uso (e abuso) dei test, gli Stati Uniti, sia anche tra quelli con disuguaglianze socioeconomiche particolarmente elevate. La tendenza ad applicare acriticamente modelli e approcci che in altri paesi hanno già dimostrato rilevanti limiti, e il cui utilizzo può produrre guasti sociali, andrebbe evitata.

 

Riferimenti

[1] Borghans L., Golsteyn B.H., Heckman J.J., Humphries J.E. (2016), What grades and achievement tests measure. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 113(47), 13354-13359.

[2] Rindermann H. (2007), The g-factor of international cognitive ability comparisons: the homogeneity of results in PISA, TIMSS, PIRLS and IQ-tests across nations, European Journal of Personality, 21(5), 667–706.

[3]von Stumm S., Plomin R. (2015), Socioeconomic status and the growth of intelligence from infancy through adolescence, Intelligence, 48, 30-36.

[4] Thomson, S. Achievement at school and socioeconomic background—an educational perspective (2018), Npj Science of Learning, 3:5.

[5] Nieuwenhuis J., Hooimeijer P. (2016), The association between neighbourhoods and educational achievement, a systematic review and meta-analysis, Journal of Housing and the Built Environment 31, 321–347.

[6] Daniele V. (2021), Socioeconomic inequality and regional disparities in educational achievement: The role of relative poverty, Intelligence, 84, 101515,

[7] Berliner D.C. (2020), The implications of understanding that PISA is simply another standardized achievement test, in: G. Fan, T. S. Popkewitz (eds), Handbook of Education Policy Studies, Springer, Singapore.


 

MODELLO DI DIFFIDA E MESSA IN MORA DA UTILIZZARE PER IL RICORSO COBAS SCUOLA TERNI SULLA CARTA DOCENTE PER I/LE PRECARI

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Riconoscimento del diritto alla “Carta elettronica” di cui all’art. 1 comma 121 Legge n. 107/2015 per l’aggiornamento e la formazione del personale docente a tempo determinato

Diffida-Messa in mora



Il/La sottoscritto/a C.F. nato/a a il residente a via

Premesso

che ha prestato servizio come docente alle dipendenze del Ministero dell’Istruzione con contratti a tempo determinato nei seguenti anni scolastici: (specificare la durata del contratto, da… fino al 30 giugno o al 31 agosto. Cancellare eventuali anni in cui non si è insegnato e quelli dopo l’ eventuale assunzione a tempo indeterminato, NB prima dell’invio cancellate questa parte in rosso)

2018/2019

2019/2020

2020/2021

2021/2022

2022/2023

Il/la sottoscritto/a, che pure ha lavorato con impegno e responsabilità non inferiori a quelle dei colleghi assunti a tempo indeterminato, non ha percepito la somma annua di euro 500,00 prevista dall’art. 1 comma 121 della Legge n. 107/2015 per l’acquisto di beni e servizi formativi, finalizzati allo sviluppo delle competenze professionali.

L’esclusione dei docenti a tempo determinato dal beneficio è stata dichiarata illegittima sia dal Consiglio di Stato (con la decisione n. 1842/2022) che dall’ordinanza della VI Sezione della Corte di Giustizia Europea del 18.5.2022.

Entrambe le decisioni hanno affermato il principio che anche i docenti a tempo determinato, svolgendo le stesse mansioni di quelli assunti a tempo indeterminato, hanno l’obbligo della formazione e dell’aggiornamento e, pertanto, è illegittimo il diverso trattamento.

Tanto premesso, prima di adire le vie legali, invito e diffido il Ministero dell’Istruzione a riconoscere e corrispondere al sottoscritto/a l’importo di 500,00 euro annui previsto dall’art. 1 comma 121 per ogni anno di servizio svolto con contratto annuale al 30 giugno o al 31 agosto.

Trascorsi inutilmente trenta giorni dal ricevimento della presente mi riterrò libero/a di adire la competente Autorità Giudiziaria.

Valga la presente quale formale atto di messa in mora, con interruzione dei termini di prescrizione nei vostri confronti.

Distinti saluti

Terni ………………….

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Vota COBAS Scuola alle ELEZIONI C.S.P.I del 7.5.2024

giovedì 4 aprile 2024 · Posted in

ASSEMBLEE COBAS Scuola PER LE ELEZIONI C.S.P.I.

Martedì 7 maggio 2024 si voterà in tutte le scuole per eleggere i/le componenti del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione – C.S.P.I. Si voterà su liste nazionali e quindi - al contrario delle elezioni RSU - in tutte le scuole ATA e docenti potranno votare per i COBAS Scuola.

Queste elezioni sono quindi un’occasione molto importante per dimostrare quanto sia diffusa l'opposizione al degrado delle nostre Scuole che le risorse del PNRR stanno accelerando: 

Continua a leggere Vota COBAS Scuola alle ELEZIONI C.S.P.I su

https://cobasscuolapalermo.com/2024/04/03/vota-cobas-scuola-alle-elezioni-c-s-p-i-del-7-5-2024/#more-20519 


ANAN LIBERO-NO ALL'ESTRADIZIONE PRESIDIO AL CARCERE DI TERNI 10 MARZO

giovedì 7 marzo 2024

ANAN YAEESH LIBERO! NO ALL’ESTRADIZIONE IN ISRAELE

DOMENICA 10 MARZO DALLE 14 ALLE 17 PRESIDIO DAVANTI AL CARCERE DI TERNI

Il 29 gennaio 2024 le autorità italiane a seguito di una richiesta di estradizione avanzata dalle autorità israeliane hanno arrestato Anan Yaeesh, attualmente detenuto nel carcere di Terni.

Anan Yaeesh, 37 anni, è un palestinese originario della città di Tulkarem, in Cisgiordania, nel corso degli anni ha condotto la propria attività politica all’interno del contesto della Seconda Intifada; ha scontato oltre 4 anni nelle carceri dell’occupazione e subìto un agguato delle forze speciali israeliane nel 2006, durante il quale ha riportato gravi ferite per i colpi a lui inferti.

Anan lascia la Palestina nel 2013, diretto verso l’Europa. Si reca inizialmente in Norvegia dove viene sottoposto a degli interventi chirurgici per rimuovere i proiettili rimasti nel suo corpo per anni.

Nel 2017 raggiunge l’Italia, dove si stabilisce e dove nel 2019 ottiene un regolare titolo di soggiorno e la protezione speciale dell’Italia per i suoi trascorsi politici in Palestina. Nel 2023 si reca in Giordania, dove viene rapito dai servizi di sicurezza giordani allo scopo, con ogni probabilità, di consegnarlo ad Israele.

Dopo oltre sei mesi di detenzione, a seguito della diffusione della notizia del suo arresto e il pericolo che venisse consegnato alle autorità israeliane, i servizi di sicurezza giordani si trovano nella condizione di doverlo rilasciare al fine di evitare malcontento e reazioni da parte dell’opinione pubblica.

Nel novembre del 2023 torna in Italia, a L’Aquila, dove risiede, e viene arrestato il 29 gennaio a seguito di un mandato di cattura italo-israeliano; l’arresto ha luogo a seguito del consenso da parte del governo italiano all’estradizione – è infatti sulla base delle indicazioni del Ministro della Giustizia Italiano che viene portata avanti la richiesta di misura cautelare.

La decisione di procedere con l’estradizione è di enorme gravità, e alla gravità del fatto che sia presa in considerazione l’estradizione di un cittadino palestinese alle autorità israeliane (sulla base di ipotetiche azioni di resistenza, svoltesi nei territori occupati, tutelate quindi dal diritto internazionale), si aggiungono anche una serie di considerazioni dettate dall’attuale situazione politica.

In primis l’Italia consegnerebbe un palestinese alle autorità israeliane, le quali lo processerebbero in un tribunale militare. Inoltre molteplici sono stati i rapporti di organizzazioni e associazioni internazionali per i diritti umani -tra cui il consiglio ONU per i diritti umani- che riportano e denunciano le inumane condizioni di detenzione e tortura nelle carceri israeliane.

In caso di estradizione, il destino di Anan sarà quello di essere condotto davanti ad una corte militare e sottoposto a trattamenti disumani, condizioni detentive impensabili, che hanno già causato negli ultimi quattro mesi la morte di nove prigionieri politici palestinesi, uccisi nelle carceri israeliane dalla tortura e dalla negligenza sanitaria.

Inoltre, con ogni probabilità, gli elementi su cui sono state formalizzate accuse ad Anan Yaeesh sono il frutto di oramai noti metodi d’investigazione e interrogatori considerati illegali in Italia e compatibili con la definizione di tortura.

Riteniamo che questo episodio rischi inoltre di rappresentare un pericoloso precedente volto a sdoganare l’estradizione e la consegna di palestinesi in Italia e in Europa dietro richiesta di Israele che, ricordiamo, porta avanti la pulizia etnica e il massacro del popolo palestinese, la colonizzazione e l’occupazione militare dei territori palestinesi.

Per la liberazione immediata di Anan Yaeesh, per far sentire la contrarietà ad un’estradizione in aperta violazione del diritto internazionale e per far sentire ad Anan Yaeesh la voce solidale di chi contrasta il genocidio del suo popolo,

DOMENICA 10 MARZO ORE 14-17 PRESIDIO DAVANTI AL CARCERE DI TERNI

Coordinamento ternano per la Palestina



Öcalan, un quarto di secolo in prigione

martedì 27 febbraio 2024

 Raúl Zibechi

Nel febbraio di venticinque anni fa veniva sequestrato Abdullah Öcalan. Per dieci anni è stato l’unico prigioniero nel carcere di massima sicurezza dell’isola turca di İmralı, presidiata da mille soldati turchi. Dal 2011 al 2019 gli è stato impedito ogni contatto con i suoi avvocati. La crudeltà di chi detiene in potere in Turchia è motivata dal loro timore di chi resiste con dignità. Temono il popolo che rappresenta, la sua lotta per la libertà collettiva e temono le donne curde portatrici di memoria e di esperienza. La critica al patriarcato, su cui Öcalan ha molto scritto nei testi dedicati al “confederalismo democratico”, ha favorito i movimenti delle donne. Secondo Raúl Zibechi, quello che venticinque anni fa era un popolo poco noto oggi, insieme allo zapatismo, è la più grande speranza per i popoli del mondo, “una speranza ancorata a un’etica differente da quella degli oppressori e anche da quella dei rivoluzionari che lottano allo stesso modo contro il capitalismo…”

Foto di Gabriel McCallin su Unsplash

Questo 15 di febbraio si sono compiuti venticinque anni dal sequestro del leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) Abdullah Öcalan in Kenya e del suo trasferimento in Turchia dove è stato confinato a İmralı, una piccola isola nel Mar di Marmara. Il 4 Aprile compirà 75 anni.

Per dieci anni Öcalan è stato l’unico prigioniero nel carcere di massima sicurezza di İmralı, presidiata da mille soldati turchi. Come si segnala nel prologo del libro La libertà vincerà. Una breve biografia di Abdullah Öcalan pubblicata nel 2021, “l’isola di İmralı in questo modo è diventata un precursore del famigerato centro di detenzione di Guantanamo”. 1.

Nella prima decade del secolo Öcalan ha scritto testi e libri di storia, filosofia e scienze sociali che hanno rivoluzionato la politica curda, e ha teorizzato la proposta del “confederalismo democratico” come sistema politico non statale.

Da luglio 2011 gli è stato impedito ogni contatto con i suoi avvocati fino a maggio 2019, a seguito di un enorme sciopero della fame che chiedeva la fine del suo isolamento.

Tra gennaio 2013 e aprile 2015 ci sono state trattative tra Öcalan, il PKK e lo stato turco per raggiungere un accordo, trovare una soluzione alla questione curda e favorire un’uscita negoziata dal lungo conflitto. Ma nel 2015 si sono interrotti, la Turchia ha messo in atto una nuova ondata di violenza contro il popolo curdo e Öcalan è tornato ad essere completamente segregato.

Durante l’isolamento del suo leader, dall’8 novembre 2018 il popolo curdo ha intrapreso uno sciopero della fame iniziato da Leyla Güven, deputata del partito HDP che fu arrestata in violazione della sua immunità parlamentare e di un provvedimento giudiziario. Circa 250 prigionieri politici si sono uniti a lei in uno sciopero a tempo indeterminato, chiedendo la fine dell’isolamento di Öcalan. Allo sciopero della fame hanno partecipato in diversi modi 8.000 persone in tutto il mondo, inclusi prigionieri politici in tutta la Turchia e personalità della politica, accademici e attivisti in Europa, Regno Unito, America e Medio Oriente. Di fronte all’entità dello sciopero della fame, a gennaio 2019 è stata concessa una breve visita di Öcalan a suo fratello Mehmet, il primo contatto di qualsiasi tipo da settembre 2016, e a maggio il primo incontro con gli avvocati, che non vedeva dal 2011. Il 22 maggio 2019 Öcalan ha rilasciato una dichiarazione chiedendo di porre fine all’enorme sciopero della fame contro il suo isolamento.

Quando ci interroghiamo sulle ragioni che portino uno stato come quello turco a imporre una misura di isolamento tanto atroce e senza possibilità di comunicazioni con l’esterno, la riflessione ci porta alla nostra storia di popoli latinoamericani, per provare a trovarvi risposte. La storia ci riporta allo sterminio dei leader delle più grandi rivolte anticoloniali, Túpac Amaru e Túpac Katari, da parte degli spagnoli. Allora non si trattava solo di dare una lezione ai ribelli insorti nel 1780, ma di darla a tutti i popoli andini.

Il 14 novembre 1871 Túpac Katari fu squartato da quattro cavalli a Peñas, nel suo paese natale, davanti ad altri indigeni. Come monito misero la sua testa in Plaza Mayor de La Paz, la sua mano destra fu inviata ad Ayo Ayo e a Sica Sica, la mano sinistra ad Achacachi, fu Chulumani a ricevere la sua gamba destra e Caquiaviri ricevette la sinistra. Il tronco fu bruciato fino a ridurlo in cenere che fu sparsa al vento, perché non restasse più traccia di Túpac Katari e affinché nessun indigeno si ribellasse più all’oppressore.

Penso che dietro al sequestro e all’isolamento di Öcalan ci sia lo stesso obiettivo. Intimidire il popolo curdo e impedire che si arrivi a un accordo di pace. Come si legge nella sua biografia politica, “la prigionia continua di Abdullah Öcalan è diventata il simbolo di un Medio Oriente che affoga in tempi bui, e la sua liberazione è diventata il simbolo della libertà”.

In generale, la crudeltà degli oppressori è motivata dal loro timore di chi resiste con dignità. Temono i popoli che rappresentano, la loro volontà di persistere nella lotta per la libertà collettiva e temono le donne portatrici di memoria e di esperienza. Su questo punto, ampiamente sviluppato negli scritti di Öcalan, dobbiamo ricordare che il patriarcato è oggi fortemente messo in discussione della donne di tutto il mondo e che reagisce in maniera violenta proprio perché spaventato dal loro processo di emancipazione.

Dal suo isolamento nella prigione di İmralı, Öcalan è diventato una notevole personalità politica e intellettuale che è riuscita, nella seconda metà degli anni Novanta, a “liberarsi” dal pensiero dogmatico ereditato (in riferimento al marxismo-leninismo). In decine di libri Öcalan realizza una profonda autocritica del pensiero dogmatico, e apre la sua mente a nuove idee tra cui spicca il confederalismo democratico. La sua critica al patriarcato ha dato impulso anche al pensiero femminista curdo, la Jineology, sviluppato dalle donne del movimento.

Come evidenzia la sua biografia, il confino di Öcalan e la tenacia del popolo curdo hanno contribuito a diffondere le caratteristiche di un movimento che venticinque anni fa era poco conosciuto e che oggi rappresenta, insieme allo zapatismo, la più grande speranza per i popoli del mondo. Una speranza ancorata a un’etica differente da quella degli oppressori e anche da quella dei rivoluzionari che lottano allo stesso modo contro il capitalismo. Come afferma questa frase di La libertà vincerà: “Non hanno trattato la loro prigionia per mano di alcune potenze occupanti come una fonte di risentimento, ma, al contrario, l’hanno usata per dimostrare che l’unica via d’uscita dal pantano esistente è la solidarietà e la libertà delle donne e dei popoli; la libertà dell’uno è contemporaneamente la libertà dell’altro”.


3 FEBBRAIO SCIOPERO GENERALE- ORE 11 PRESIDIO SOTTO PREFETTURA DI TERNI PER IL CESSATE IL FUOCO IMMEDIATO E IL RITIRO DELL'ESERCITO ISRAELIANO DALLA STRISCIA DI GAZA-

23 FEBBRAIO SCIOPERO GENERALE- ORE 11 PRESIDIO SOTTO PREFETTURA DI TERNI PER IL CESSATE IL FUOCO IMMEDIATO E IL RITIRO DELL'ESERCITO ISRAELIANO DALLA STRISCIA DI GAZA- IL BLOCCO IMMEDIATO DEI TRAFFICI DI ARMI DIRETTE AD ISRAELE - LA FINE DELL'OCCUPAZIONE COLONIALE DELLE TERRE PALESTINESI IN CISGIORDANIA - IL BLOCCO DELLE SPESE MILITARI E DELL'INVIO DI ARMI IN UCRAINA

Da oltre tre mesi è in atto un genocidio condotto da Israele nella Striscia di Gaza: oltre 29 mila morti e omicidi indiscriminati di migliaia di bambini, donne e anziani palestinesi; scuole, ospedali e luoghi di culto bombardati senza sosta; centinaia di giornalisti ed operatori sanitari uccisi; violenze e massacri indiscriminati compiuti dall'esercito e dai coloni sionisti anche nella stessa Cisgiordania, in un contesto pluridecennale di occupazione, di apartheid e di pulizia etnica nei confronti della popolazione araba.

Da anni assistiamo a una continua corsa al riarmo su scala globale, frutto della crisi e dell'inasprimento delle contese politiche e economiche tra i principali blocchi capitalisti e imperialisti, nel quadro di una competizione sempre più accesa per il controllo politico e il saccheggio delle risorse dei paesi dipendenti in Africa, Asia, Medioriente, Sudamerica ed Est Europa.

Il governo Meloni, in linea con i procedenti governi neoliberisti, con l'UE e la Nato a guida statunitense, è attivo in prima linea nell'escalation militarista, sia nella guerra in Ucraina attraverso il supporto economico e militare al governo di Kiev, sia nel sostegno esplicito a Israele nella mattanza guidata dal criminale di guerra Netanyahu sui territori palestinesi.

La tendenza all'escalation bellica viene oramai esplicitamente ammessa finanche da autorevoli esponenti politici e militari occidentali: da Rob Bauer (presidente del comitato militare Nato) al ministro degli esteri britannico David Cameron, dal ministro della difesa tedesco Boris Pistorius al suo omologo nostrano, Guido Crosetto, nelle ultime settimane assistiamo a un coro di dichiarazioni senza precedenti sulla concreta possibilità a breve di una guerra aperta tra Nato e Russia e/o di un allargamento del conflitto in medioriente, cioè di una guerra mondiale tra potenze nucleari!

I lavoratori, i disoccupati e le masse povere, dopo aver abbondantemente pagato i costi sociali ed economici della pandemia, ora sono costretti a pagare il prezzo salatissimo dell'economia di guerra: salari fermi al palo da anni, nel mentre il grande capitale continua a registrare profitti da record; crescita esponenziale della precarietà, dello sfruttamento e del disciplinamento nei luoghi di lavoro; assenza di tutela della salute e della sicurezza con la moltiplicazione di infortuni e di morti sul lavoro; aumento dei prezzi dell'energia e dei generi di prima necessità; smantellamento della sanità, del trasporto e dell'istruzione pubblica; taglio e abolizione delle misure sociali minime, a partire dal reddito di cittadinanza; criminalizzazione e repressione degli scioperi e del conflitto sociale.

Già lo scorso 20 ottobre è stato indetto uno sciopero generale dal sindacalismo di base contro la guerra e l'economia di guerra, cui è seguito il 17 novembre uno sciopero nazionale in tutto il settore privato contro il massacro in corso nella Striscia di Gaza, cui hanno fatto seguito in entrambi i casi manifestazioni nei giorni immediatamente successivi, rispettivamente a Ghedi, nei pressi della base militare, e a Bologna, le quali hanno coinvolto migliaia di lavoratori, attivisti e solidali;

Malgrado l'ampia partecipazione a queste iniziative e alle centinaia di manifestazioni svoltesi in questi mesi su tutto il territorio nazionale e in gran parte del mondo, il governo Meloni continua tuttora a sostenere e legittimare la barbara aggressione israeliana a Gaza, rifiutandosi finanche di chiedere a Natanyahu un cessate il fuoco immediato.

Per questo, nel recepire l'appello del giovani palestinesi, di gran parte delle comunità arabe in Italia e delle migliaia di attivisti solidali con la resistenza palestinese, I COBAS DELLA SCUOLA DI TERNI invitano tutti i lavoratori a partecipare:

-al presidio che si terrà dalle ore 11 alle ore 13 sotto la prefettura di Terni in occasione dello sciopero generale indetto dalla scrivente O.S. nella giornata di venerdì 23 febbraio,

- alla manifestazione nazionale nella città di Milano sabato 24 febbraio, nel quadro di una iniziativa internazionale che vede coinvolte piu forze politiche, sindacali e sociali (in una trentina di paesi).

Tale data coincide col secondo anniversario dell'inizio della guerra tra Nato e Russia sul suolo ucraino (in realtà in corso già da un decennio "a bassa intensità" sui territori del Donbass), che ad oggi ha lasciato sul campo centinaia di migliaia di morti da ambo le parti.

Per queste ragioni, la scrivente O.S. COBAS DELLA SCUOLA DI TERNI aderisce allo sciopero nazionale di 24 ore in tutte le categorie del comparto privato e pubblico dalle ore 0,00 alle ore 23,59 del 23.02.2024 ivi compreso il primo turno montante/smontante per i c.d. Turnisti.

SI CHIEDE:

il cessate il fuoco immediato e il ritiro dell'esercito israeliano dalla Striscia di Gaza

il blocco immediato dei traffici di armi dirette ad Israele

la fine dell'occupazione coloniale delle terre palestinesi in Cisgiordania

il blocco delle spese militari e dell'invio di armi in Ucraina

NON POSSIAMO RIMANERE INDIFFERENTI DI FRONTE AL MASSACRO DI UN POPOLO !


La scuola discriminatoria e classista di Galli Della Loggia

venerdì 19 gennaio 2024

 


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