LA FORMAZIONE E’ UN DIRITTO NON UN OBBLIGO!!
La legge 107/2015.
La questione dell’obbligatorietà della formazione in servizio era stata già oggetto di discussione e analisi quando la Legge 107/2015 aveva introdotto la formazione obbligatoria per tutti i docenti. All’articolo 1, comma 124, la Legge 107/2015 recita: “
Nell’ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale. Le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il PTOF e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche previsti dal regolamento di cui al DPR 28 marzo 2013, n. 80, sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, adottato ogni tre anni con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative di categoria”.
La norma introduceva un nuovo obbligo di servizio, ma in maniera del tutto generica, non indicando alcun monte ore minimo di aggiornamento – formazione in servizio.
A questo presunto obbligo faceva seguito, a distanza di un anno la Nota Miur n. 2915 del 15 settembre 2016 “Prime indicazioni per la progettazione delle attività di formazione destinate al personale scolastico”, in cui si prospettava una formazione triennale di 125 ore, suddivise in almeno 40 ore in presenza (8 ore x 5 UF) e 85 ore in attività di ricerca e riflessione sulla professionalità (85 ore), articolate in unità formative di 25 ore.
Ma a questo programma non è mai stato data alcuna applicazione. In alcune scuole i dirigenti hanno convinto i collegi docenti a deliberare l’attivazione di corsi di formazione, che venivano presentati come obbligatori. Ma, laddove venivano poste obiezioni e si faceva valere il principio della libertà di insegnamento, e quella di apprendimento e formazione, l’obbligo svaniva istantaneamente.
Il Decreto ministeriale 2021
Il Ministero dell’Istruzione ha ripreso quel programma, con l’emanazione del D.M. 188 del giugno 2021. All’articolo 1 del Decreto Ministeriale 188/2021 si legge:
Il presente decreto disciplina le modalità attuative degli interventi di formazione obbligatoria del personale docente impegnato nelle classi con alunni con disabilità, per l’anno scolastico 2021/2022, finalizzati all’inclusione scolastica dell’alunno con disabilità e a garantire il principio di contitolarità della presa in carico dell’alunno stesso.
All’articolo 2, comma 1 viene definito il personale destinatario:
Le attività formative di cui all’articolo 1 sono destinate al personale docente impegnato nelle classi con alunni con disabilità non in possesso del titolo di specializzazione sul sostegno.
E al comma 3 viene precisato:
La partecipazione alle attività formative assume carattere di obbligatorietà e non prevede esonero dal servizio.
Queste nuove norme secondo cui la formazione si configura come obbligatoria, senza retribuzione aggiuntiva e senza nemmeno esonero dal servizio, dipendono da una norma di una legge finanziaria, e quindi si presentano come imperative, ma sono in patente contrasto con i principi costituzionali, con le norme del Testo Unico 297/1994, che affermano la libertà di insegnamento, con le norme del Regolamento sull’autonomia scolastica, con le norme contrattuali che definiscono gli obblighi di lavoro del personale docente, anche sulla formazione, e con il codice civile.
L’obbligo formativo e la libertà di insegnamento
In primo luogo: le norme che considerano obbligatoria una determinata forma di aggiornamento o formazione sono in contrasto con gli articoli 3 e 33 della Costituzione[1], che impediscono che un qualsiasi corso di formazione possa diventare obbligatorio, anche se deliberato dal Collegio docenti.
Nessun/a docente può essere obbligato a seguire un determinato corso di formazione senza il suo consenso.
Il Testo Unico 297/1994 riprende questa impostazione costituzionale recitando, all’articolo 1 (che funge da principio generale per interpretare tutte le norme successive):
- Nel rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola stabiliti dal presente testo unico, ai docenti è garantita la libertà di insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente.
- L’esercizio di tale libertà è diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni.
- È garantita l’autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca.
Dunque, sia la Costituzione sia le norme basilari sull’insegnamento garantiscono la libertà di insegnamento: da ciò deriva l’illegittimità di qualsiasi imposizione di un corso di formazione.
Le competenze del collegio docenti in materia di formazione e aggiornamento
In secondo luogo, che la formazione e l’aggiornamento rientrano nelle competenze del collegio docenti. Tra le competenze indicate dall’articolo 7. Comma 2 del DPR 297/1994 si legge:
Il collegio dei docenti
- a) ha potere deliberante in materia di funzionamento didattico del circolo o dell’istituto. In particolare cura la programmazione dell’azione educativa anche al fine di adeguare, nell’ambito degli ordinamenti della scuola stabiliti dallo Stato, i programmi di insegnamento alle specifiche esigenze ambientali e di favorire il coordinamento interdisciplinare. Esso esercita tale potere nel rispetto della libertà di insegnamento garantita a ciascun docente;
(…)
- g) promuove iniziative di aggiornamento dei docenti del circolo o dell’istituto.
Dalle norme citate si evince che le iniziative promosse dalle istituzioni scolastiche relative all’aggiornamento e alla formazione in servizio dei docenti passano per il collegio dei docenti. In forza dell’autonomia scolastica, che ha assunto rango costituzionale, non può essere il Ministero a imporre un corso che non sia approvato dal collegio docenti. E il collegio esercita il suo potere nel rispetto della libertà di insegnamento garantita a ciascun docente.
E tale norma è ribadita nell’articolo 28 del CCNl del 29.11.2007 che recita ai commi 3 e 4
- Gli obblighi di lavoro del personale docente sono correlati e funzionali alle esigenze come indicato al comma 2.
- Gli obblighi di lavoro del personale docente sono articolati in attività di insegnamento ed in attività funzionali alla prestazione di insegnamento. Prima dell’inizio delle lezioni, il dirigente scolastico predispone, sulla base delle eventuali proposte degli organi collegiali, il piano annuale delle attività e i conseguenti impegni del personale docente, che sono conferiti in forma scritta e che possono prevedere attività aggiuntive. Il piano, comprensivo degli impegni di lavoro, è deliberato dal collegio dei docenti nel quadro della programmazione dell’azione didattico-educativa e con la stessa procedura è modificato, nel corso dell’anno scolastico, per far fronte a nuove esigenze. Di tale piano è data informazione alle OO.SS. di cui all’art. 7-.
Le norme sull’autonomia scolastica
L’imposizione di un corso da parte del Ministero appare in patente conflitto con le norme dell’autonomia scolastica, le quali riconoscono che l’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento, di pluralismo e realizzazione di interventi di educazione, istruzione adeguati ai diversi contesti:
- L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento.
Quindi non è possibile che un corso deciso a livello centrale ministeriale diventi immediatamente obbligatorio per una scuola autonoma e i suoi docenti. Occorre, per effetto della combinazione delle norme citate, una delibera collegiale che recepisca e faccia propria la proposta ministeriale. E l’organo competente è il collegio docenti, che delibera nel rispetto della libertà di insegnamento e comprende e riconosce le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari, valorizza le corrispondenti professionalità:
- Ogni istituzione scolastica predispone, con la partecipazione di tutte le sue componenti, il piano triennale dell’offerta formativa, rivedibile annualmente. Il piano è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia.
- Il piano è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi e indirizzi di studi, determinati a livello nazionale a norma dell’articolo 8, e riflette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenendo conto della programmazione territoriale dell’offerta formativa. Esso comprende e riconosce le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari, valorizza le corrispondenti professionalità e indica gli insegnamenti e le discipline tali da coprire:
il fabbisogno dei posti comuni e di sostegno dell’organico dell’autonomia, sulla base del monte orario degli insegnamenti, con riferimento anche alla quota di autonomia dei curricoli e agli spazi di flessibilità, nonché del numero di alunni con disabilità, ferma restando la possibilità di istituire posti di sostegno in deroga nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente;
il fabbisogno dei posti per il potenziamento dell’offerta formativa.
Gli obblighi di servizio definiti nel contratto collettivo di lavoro e la formazione.
In quarto luogo una norma di legge che impone un obbligo di lavoro supplementare e per di più non retribuito contrasta con le norme contrattuali, e come vedremo, con le norme del codice civile. La determinazione dell’obbligo formativo istituito dal D.M. 188/2021 lede le prerogative contrattuali dei docenti (art. 62 e seguenti del CCNL 2007) e degli organi collegiali, tendendo a ridurre la formazione a obbligo assoluto dipendente da rapporto gerarchico tra docente e Amministrazione Scolastica.
Gli articoli 62 e seguenti del Contratto Nazionale di lavoro del comparto scuola del 29.11.2007, tuttora vigenti, confermati dal CCNL del Comparto Istruzione ricerca del 19.04.2018, configurano la formazione come “una leva strategica fondamentale per lo sviluppo professionale del personale, per il necessario sostegno agli obiettivi di cambiamento, per un’efficace politica di sviluppo delle risorse umane.” Prosegue il contratto: L’Amministrazione è tenuta a fornire strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio.(..,) Per garantire le attività formative di cui al presente articolo l’Amministrazione utilizza tutte le risorse disponibili, nonché le risorse allo scopo previste da specifiche norme di legge o da norme comunitarie. (…) Le iniziative formative, ordinariamente, si svolgono fuori dell’orario di insegnamento. Il personale che partecipa ai corsi di formazione organizzati dall’amministrazione a livello centrale o periferico o dalle istituzioni scolastiche è considerato in servizio a tutti gli effetti. Qualora i corsi si svolgano fuori sede, la partecipazione ad essi comporta il rimborso delle spese di viaggio.
Gli insegnanti hanno diritto alla fruizione di cinque giorni nel corso dell’anno scolastico per la partecipazione a iniziative di formazione con l’esonero dal servizio e con sostituzione ai sensi della normativa sulle supplenze brevi vigente nei diversi gradi scolastici. Con le medesime modalità, e nel medesimo limite di 5 giorni, hanno diritto a partecipare ad attività musicali ed artistiche, a titolo di formazione, gli insegnanti di strumento musicale e di materie artistiche.
Il dirigente scolastico assicura, nelle forme e in misura compatibile con la qualità del servizio, un’articolazione flessibile dell’orario di lavoro per consentire la partecipazione a iniziative di formazione anche in aggiunta a quanto stabilito dal precedente comma 5.
Le stesse opportunità, fruizione dei cinque giorni e/o adattamento dell’orario di lavoro, devono essere offerte al personale docente che partecipa in qualità di formatore, esperto e animatore ad iniziative di formazione. Le predette opportunità di fruizione di cinque giorni per la partecipazione ad iniziative di formazione come docente o come discente non sono cumulabili. Il completamento della laurea e l’iscrizione a corsi di laurea per gli insegnanti diplomati in servizio hanno un carattere di priorità.
Quindi le norme contrattuali vigenti da una parte garantiscono la formazione come diritto del docente, riconoscono che è parte del servizio, che per espletarla si può fruire di 5 giorni di esonero dall’insegnamento, e che, se si svolge fuori sede, si deve essere rimborsati delle spese di viaggio. Dall’altra la formazione si configura come attività funzionale al lavoro docente, non compresa però né nelle 40 ore collegiali né nella 40 ore utili per la partecipazione alle attività dei consigli di classe, previste dall’art. 29 del vigente CCNL del 29.11.2007.
Dunque, in analogia con la formazione per la sicurezza sul lavoro, deve essere considerata a tutti gli effetti, come attività lavorativa. Se un lavoratore viene obbligato a partecipare ad un corso per disposizione del dirigente, qualora abbia luogo oltre l’orario di servizio, deve essere retribuito.
Gli obblighi di lavoro e il Codice civile.
La formazione coatta e senza retribuzione accessoria, come viene configurata dal Decreto Ministeriale 188/2021, è in patente contrasto con quanto previsto dall’art. 2113 del Codice civile, che sanziona prestazioni gratuite o retribuite in misura inferiore a quello ordinario, norma che si ispira all’articolo 36 della Costituzione. Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide. Dunque, il codice stabilisce che né le norme di legge né quelle contrattuali possono essere in contrasto con il principio secondo cui ad ogni prestazione di lavoro deve corrispondere un’equa retribuzione.
La nota Ministeriale del 14 settembre
Anche al Ministero dell’Istruzione la questione di una norma che impone un obbligo formativo deve essere apparsa foriera di contenziosi, se nella Nota emanata il 14 settembre, a firma di Filippo Serra, si evita di formulare il termine obbligo. Recita la Nota:
Con l’emanazione del Decreto del Ministro n. 188 del 21.06.2021 è stata data attuazione all’art. 1, comma 961, della legge di Bilancio 2021 che delinea per l’anno 2021 un sistema formativo che garantisca una conoscenza di base relativa alle tematiche inclusive per il personale docente non specializzato su sostegno e impegnato nelle classi con alunni con disabilità. Una preparazione di base di questo tipo è auspicata sin dai primi anni dei percorsi di inclusione e costituisce uno strumento di lavoro per rispondere a tutti gli alunni, in un’ottica di piena inclusione e a garanzia del principio di contitolarità nella presa in carico dell’alunno stesso.
Il personale docente in questione, per l’anno scolastico 2021/2022, sarà invitato a frequentare un percorso di formazione su tematiche inclusive, secondo quanto previsto dal DM 188 citato tenendo conto delle indicazioni fornite con la presente nota e rivolta alle scuole polo per la formazione che avranno il compito di organizzare le attività formative.
Appare chiaro che lo stesso Ministero pone la questione più come un’esigenza generale di garantire la formazione del personale da parte dell’Amministrazione, piuttosto che di obbligo per i singoli docenti. E dunque implicitamente sconsiglia ai dirigenti di proporre la formazione prevista dal D.M. 188/2021 in termini impositivi.
In pratica, come ci si può opporre alla eventuale imposizione di corsi presentati impropriamente dai dirigenti scolastici come obbligatori?
- Si può far inserire in ogni PTOF la propria proposta formativa, anche in forma sintetica (su tempi generali, per esempio: “La scuola in carcere”, “La scuola della meritocrazia”, “Didattica delle conoscenze o delle competenze?”; “Scuola della Costituzione o Scuola aziendale”?, “Sviluppo e ambiente” ecc, oppure su temi disciplinari o interdisciplinari specifici di ciò che si insegna) ai sensi dell’art. 3 del DPR 275/99 (come modificato dall’articolo 1, comma 14 della Legge 107/2015) che riconosce le diverse opzioni metodologiche di gruppi
- Si possono ribadire in sede di collegio, o di comunicazione al dirigente scolastico, i principi costituzionali (artt. 3 e 33) sulla pari dignità sociale e sulla libertà d’insegnamento, da cui si deduce l’illegittimità di qualsiasi imposizione in termini di formazione.
- Si può e si deve sottolineare l’illegittimità costituzionale della norma del Decreto Ministeriale 188/2021 che dispone l’ampliamento e l’aggravamento della prestazione senza prevedere alcuna retribuzione aggiuntiva (così come della norma della legge 107/2015). A tal fine giova ricordare che ai sensi dell’art. 64 del CCNL 29/11/2007 la formazione è un diritto, non un
- Si deve comunque chiedere la delibera del collegio docenti su ogni corso di formazione, ricordando che la delibera collegiale deve tener conto della libertà di insegnamento e delle diverse opzioni culturali metodologiche didattiche
- Si può e si deve osservare che la formazione coatta e senza retribuzione accessoria è in contrasto con le norme degli obblighi contrattuali e con l’art. 2113 del Codice civile che sanziona prestazioni gratuite o retribuite in misura inferiore a quello ordinario, evidenziando che secondo l’art. 36 della Costituzione la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e qualità della
- Nella scongiurata ipotesi di una delibera collegiale a favore della obbligatorietà e gratuità della partecipazione ad azione formativa, si deve ricordare che le disposizioni d’incremento d’orario di lavoro non vincolano tutti i docenti del collegio. Il vincolo sussiste solo per coloro che abbiano votato a Chi vota contro, deve farlo verbalizzare, così si libera dai relativi obblighi (art. 24 DPR 3/1957).
- In ultimo, qualora un dirigente imponga come obbligatoria la partecipazione al corso attraverso una circolare o altra disposizione, e venga prospettata una sanzione disciplinare per chi non aderisce al corso proposto, si può presentare rimostranza scritta ai sensi del Testo Unico n. 3 del 1957. Se l’ordine viene reiterato, si può ottemperare, riservandosi di impugnare l’ordine di servizio in altre sedi e chiedere la retribuzione delle ore svolte fuori dal proprio orario di servizio.
In sintesi: si può contrastare l’obbligatorietà dei corsi di formazione imposti dal Ministero, e decidere di partecipare solo ai corsi che si considerano una opportunità di formazione professionale, e considerando illegittima ogni disposizione che configuri come obbligatoria la partecipazione ad un corso specifico.
Pare improbabile che i dirigenti insistano per l’obbligo dopo la circolare ministeriale che parla di semplice invito ai docenti.
Nel caso si opti per partecipare comunque ad un corso di formazione, si può chiedere la retribuzione delle ore svolte fuori dal proprio orario di servizio.
I corsi di formazione sulla sicurezza
Per quanto riguarda i corsi di formazione sulla sicurezza, rimandando ad altre note specifiche, già elaborate negli anni scorsi, ricordiamo che essi sono qualificati come obbligatori ai sensi dell’art. 37 del D.Lgs. 81/2008, nel quale però si chiarisce che tale formazione va espletata in orario di servizio e senza oneri per i lavoratori. Quindi un corso sulla sicurezza che si svolga fuori dall’orario di servizio deve essere retribuito, e non deve comportare nessun onere per il lavoratore. Altrimenti non può considerarsi obbligatorio.
[1] Articolo 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. (…)
Articolo 33: L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Precariato e reclutamento
La situazione del precariato nella scuola presenta elementi di criticità sempre maggiori e appare lontana da una possibile soluzione. Stando alle stime più prudenti, l’anno scolastico in corso si è aperto con 150.000 supplenze annuali a cui vanno aggiunte le varie tipologie di supplenze brevi, davvero impossibili da calcolare. Sempre più preoccupante, inoltre, la difficoltà che già da qualche anno si riscontra nel trovare supplenti provvisti del titolo di studio richiesto, circostanza che caratterizza soprattutto la scuola primaria in diverse province del nord e rende del tutto incomprensibile la logica fortemente selettiva cui sembrano improntati gli ultimi concorsi.
Sull’ultima stagione selettiva
Se si esclude il percorso finalizzato unicamente al conseguimento dell’abilitazione, di cui al momento si sono perse le tracce, nell’ultimo anno e mezzo, accompagnate da polemiche e contestazioni, si sono svolte o sono state avviate tutte le procedure concorsuali bandite nell’estate 2020: il concorso straordinario per i docenti della scuola secondaria con almeno tre anni di servizio, il concorso ordinario per i docenti di infanzia e primaria e il concorso ordinario per i docenti della scuola secondaria, quest’ultimo anticipato, all’inizio della scorsa estate, da un ulteriore concorso ordinario, bandito unicamente nelle materie STEM.
Per quanto riguarda il concorso straordinario per la scuola secondaria, iniziato, interrotto e poi ripreso in piena pandemia, ben 10 mila dei 32 mila posti messi a bando sono rimasti vuoti e la percentuale degli idonei si è attestata attorno al 43% dei partecipanti.
Il concorso STEM, invece, è stato bandito per poco più di 6 mila posti il 15 giugno 2021, e ha rappresentato la prima sperimentazione del quizzone a crocette. Nonostante il chiaro fallimento di quest’ultima procedura (bocciature superiori all’80% e posti rimasti in molti casi vacanti), che ha recentemente costretto il ministero a organizzare un secondo giro di prove per le medesime classi di concorso, nessuno a Viale Trastevere ha pensato di metterne in discussione le modalità selettive. Il quiz di 50 domande computer based, al contrario, è stato mantenuto anche per i due successivi concorsi ordinari, quello per gli insegnanti di infanzia e primaria, bandito a novembre per poco meno di 13 mila posti, e quello per le altre classi di concorso della scuola secondaria, le cui prove sono iniziate a metà marzo e sono tuttora in via di svolgimento. Gli esiti sono a dir poco disastrosi e le bocciature, in molti casi fino al 90%, stanno giustamente suscitando tanta indignazione da più di un mese a questa parte.
Dovrebbe essere bandito a giorni, infine, un altro concorso straordinario per la scuola secondaria, riservato a chi è in possesso degli stessi requisiti dell’analoga procedura dello scorso anno.
Sull’imminente riordino del reclutamento
Nel corso della lunga stagione appena descritta, il ministro Bianchi ha più volte annunciato l’intenzione di riordinare il sistema di formazione e reclutamento degli insegnanti della scuola secondaria e, come è noto, un testo di riforma in questo senso è stato inserito nel Decreto Legge 30 aprile 2022, n. 36. Pur essendo caratterizzato dall’intento di superare la fase delle soluzioni emergenziali, esso delinea un vero e proprio percorso a ostacoli per l’accesso al ruolo e finisce quindi per tradire la stessa ossessione per la selezione che ha contraddistinto gli ultimi tempi. Particolarmente inaccettabile, inoltre, risulta quanto previsto per i precari, poiché finirà per escludere dalla stabilizzazione la maggior parte di coloro che da anni contribuiscono a mandare avanti le nostre scuole. È semplicemente ingiusto continuare a voler sottoporre i colleghi e le colleghe con almeno tre anni di servizio a un concorso, per giunta valido solo per il 30% dei posti messi a bando, così come non si può seriamente immaginare che la formazione necessaria al conseguimento dell’abilitazione dei pochi fortunati che lo supereranno, giustamente collocata in un momento successivo a quello dell’assunzione, debba essere svolta “con oneri a carico del docente” in un ulteriore anno di supplenza.
Per affrontare la questione in modo serio, equo e strutturale, nonché per coprire le decine di migliaia di posti perennemente vacanti nelle scuole italiane, è necessario a nostro avviso riorganizzare un sistema basato sul meccanismo del doppio canale, che permetta di affiancare ai concorsi una graduatoria di accesso diretto al ruolo per TUTTI i docenti con almeno tre anni di servizio e prevedere per essi un percorso formativo successivo all’assunzione a tempo indeterminato, interamente gratuito e quindi a carico dello stato, da svolgersi nel corso dell’anno di prova.
Silvia Casali e Edoardo Recchi- Cobas Scuola