MODIFICHE AL CODICE DI COMPORTAMENTO: ALTRI LIMITI ALLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE E DI CRITICA

Riportiamo di seguito alcuni stralci di un più ampio commento, di prossima pubblicazione, redatto dall’avv. Giuseppe Nobile, sulle modifiche recentemente apportate al Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, che si applica anche al personale scolastico.* * *

CODICE DI COMPORTAMENTO DEI DIPENDENTI PUBBLICI:

ULTERIORI LIMITI ALLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE E DI CRITICA

Il 14 luglio 2023 è entrato in vigore il d.P.R. 13 giugno 2023, n. 81 contenente il Regolamento concernente le modifiche al d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62: il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici. Questo nuovo d.P.R. n. 81/2023 introduce due nuovi articoli (11-bis e 11-ter) e modifica gli articoli 12, 13, 15 e 17. Il Codice di comportamento si applica a tutto il personale scolastico (ds, docenti e ATA) per espressa previsione di legge (d.lgs. n. 165/2001) e di regolamento (d.P.R. n. 62/2013).

Indubbiamente il personale docente, per la funzione che riveste (di diretta derivazione costituzionale), merita una riflessione a parte, in virtù dell’art. 33 della Costituzione che, al primo comma, recita: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.

Dire che l’insegnamento è libero significa che l’attività dell’insegnante è libera e non può essere condizionata, tanto che nemmeno può essere esercitato il potere disciplinare per sindacare le modalità di insegnamento (sul punto vi è espressa previsione contrattuale ribadita anche dall’art. 43, comma 2, del nuovo CCNL 2023). 

Però, in realtà la stessa Costituzione pone un primo limite a tale “libertà”, prevedendo al secondo comma dell’art. 33 che “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione…”. Nel tempo le Leggi dello Stato hanno posto sempre ulteriori limiti alla libertà di insegnamento, anche solo definendo la funzione docente (artt. 1, 2 e 395 del d.lgs. n. 297/1994; art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 275/1999; art. 1 della l. n. 53/2003; art. 1, comma 3, della l. n. 107/2015; art. 40 del CCNL 2023). 

Il nuovo regolamento disciplinare, come il vecchio, impone al personale dipendente della pubblica amministrazione, e, quindi anche al personale docente di tenere determinate condotte prevedendo, in caso di violazione l’applicazione di sanzioni, compreso il licenziamento.

Si tratta di un Codice di comportamento che, prevedendo sanzioni disciplinari, ha lo scopo dichiarato di definire i doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare (art. 1). Il meccanismo è quello sperimentato dal diritto penale: definizione della condotta vietata; sanzione in caso di accertamento di un comportamento concreto posto in violazione del precetto.

Per il personale docente però bisognerà sempre tenere conto del fatto che le sanzioni disciplinari non potranno mai condizionarne l’autonomia didattica. 

Evidentemente la libertà di insegnamento è in stretta correlazione con la libertà di espressione sancita dall’art. 21 della Costituzione (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”).

Venendo più nel dettaglio al nuovo Regolamento come modificato dal d.P.R. n. 81/2023, esso introduce due nuovi articoli: l’11-bis sull’utilizzo delle tecnologie informatiche e l’11-ter sull’utilizzo dei mezzi di informazione e dei social media.

ARTICOLO 11-bis UTILIZZO DELLE TECNOLOGIE INFORMATICHE 

Tale articolo stabilisce innanzitutto (comma 1) che l’amministrazione, attraverso i propri responsabili di struttura (per la scuola il dirigente scolastico) “ha facoltà di svolgere gli accertamenti necessari e adottare ogni misura atta a garantire la sicurezza e la protezione dei sistemi informatici, delle informazioni e dei dati” con modalità che saranno stabilite con successive linee guida che dovrà adottare l’agenzia per l’Italia digitale, sentito il Garante per la privacy. Tale attività potrà essere svolta anche sui dispositivi personali, di proprietà del lavoratore, utilizzati per lavoro. Questa disposizione entrerà in vigore con l’approvazione delle apposite linee guida, ma c’è da chiedersi in che cosa consistano “gli accertamenti necessari” e quali siano le misure atte a garantire la sicurezza e la protezione dei sistemi informatici, delle informazioni e dei dati (per giunta anche sui dispositivi di proprietà individuale)

L’art. 11-bis prevede poi (comma 2) che gli account istituzionali potranno essere utilizzati per i soli fini connessi all’attività lavorativa o ad essa riconducibili senza in alcun modo compromettere la sicurezza o la reputazione dell’amministrazione. È di norma da evitare l’uso di caselle di posta elettronica personali per comunicazioni di servizio, salvi i casi di forza maggiore o nel caso in cui il dipendente non possa accedere per qualsiasi ragione all’account istituzionale. Orbene, per un docente, che cosa significa che l’account istituzionale potrà essere utilizzato solo per i fini connessi all’attività lavorativa? In altre parole si potrà entrare nel merito di che cosa, per un insegnante, rientra o non rientra nel concetto di attività lavorativa. Non è questo un entrare nel merito dell’attività di insegnamento? Come si fa a stabilire se la connessione ad un certo sito internet sia o meno legata all’attività didattica?

Il comma 3 stabilisce che il dipendente è responsabile del contenuto dei messaggi inviati, occorrerà uniformarsi alle modalità di firma dei messaggi di posta elettronica individuate dall’amministrazione e ciascun messaggio in uscita deve consentire l’identificazione del dipendente mittente con indicazione di un recapito istituzionale al quale lo stesso sia reperibile. Qui entrano in gioco aspetti tecnici sulla firma digitale e sull’individuazione del mittente. Infatti per affermare la responsabilità del contenuto del messaggio occorrerà avere la prova certa della paternità del messaggio stesso, cosa ad oggi possibile solo con la firma digitale certificata. Quali saranno le modalità di firma individuate dal Ministero?

Il comma 4 consente al dipendente di utilizzare gli strumenti informatici forniti dall’amministrazione per incombenze personali purché l’attività sia contenuta in tempi ristretti senza pregiudizio per i compiti istituzionali. Qui la condotta sanzionabile è oltremodo generica (“tempi ristretti” e “pregiudizio per i compiti istituzionali”).

Per il comma 5 è vietato inviare messaggi di posta che siano oltraggiosi, discriminatori o che possano essere fonte di responsabilità dell’amministrazione. I messaggi oltraggiosi dovrebbero essere quelli che offendano l’onore, il prestigio o la dignità di un’altra persona. Per messaggi discriminatori che cosa si intende esattamente? Probabilmente tutti i messaggi possono essere in qualunque modo fonte di responsabilità per la pubblica amministrazione.

ARTICOLO 11-ter UTILIZZO DEI MEZZI DI INFORMAZIONE E DEI SOCIAL MEDIA

Il comma 1 impone al dipendente di puntualizzare ogni volta che le proprie opinioni o giudizi non siano attribuibili direttamente alla pubblica amministrazione. Bisognerà probabilmente avvalersi di cosiddette clausole di stile del tipo (quanto sopra costituisce opinione personale non attribuibile all’amministrazione x cui lo scrivente appartiene). A quanto pare, per come è scritta la norma il dipendente dovrà sempre fare questa puntualizzazione per qualunque opinione espressa (!).

Bisognerà astenersi (comma 2) da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine della PA di appartenenza o della PA in generale. Qui a quanto pare nessun diritto di critica sembra consentito né nei confronti del proprio datore di lavoro, né nei confronti della pubblica amministrazione in generale (!), concetto ripreso nell’art. 12.

Il comma 3 sancisce il divieto (“di norma”) di fare comunicazioni di servizio mediante piattaforme digitali con conversazioni pubbliche o social media con esclusione delle comunicazioni per le quali l’utilizzo dei social media risponde a un’esigenza di carattere istituzionale. Qui si riscontra un’indeterminatezza (“non si svolgono, di norma” e “afferenti direttamente o indirettamente”) incompatibile con una norma di un codice di condotta. Ci si chiede poi quando l’utilizzo dei social risponda ad un’esigenza di carattere istituzionale.

Il comma 4 prevede la possibilità che le singole amministrazioni potranno dotarsi di una social media policy.

Il comma 5 pleonasticamente ribadisce il dovere del segreto d’ufficio.

Infine, il d.P.R. n. 81/2023 introduce un nuovo comma (il 5-bis) nell’art. 15 che prevede, nell’ambito della formazione, “cicli formativi sui temi dell’etica pubblica e sul comportamento etico, da svolgersi obbligatoriamente”. Del resto anche la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ripreso il concetto di etica pubblica e di minimo etico. Il tema merita ulteriore approfondimento.




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