OMINI DI BURRO, SCUOLE E UNIVERSITÀ AL PAESE DEI BALOCCHI DELL'I.A. GENERATIVA

https://btfp.sp.unipi.it/it/2024/10/omini-di-burro-scuole-e-universita-al-paese-dei-balocchi-dellia-generativa/

Consigliamo vivamente la lettura di questo testo di Daniela Tafani, profondo e radicale, contro l' egemonia coloniale e neoliberista del mercato e delle grandi corporation nel campo del pensiero, del sapere e dell'educazione...

Ben prima della realizzazione dei generatori di linguaggio, a scuole e università è stato chiesto di dare agli studenti competenze (skills) “spendibili” nel mondo del lavoro, entro una cornice narrativa per cui dalle skills dei lavoratori dipenderebbero l’impiegabilità e il reddito dei medesimi. In realtà, come ha scritto Meredith Whittaker, la competenza è un “riflesso degli imperativi e del giudizio del capitale, non della persona che esegue il lavoro o della natura del lavoro stesso” e l’ossessione per la parcellizzazione delle attività dei lavoratori in unità misurabili rispondeva, già entro la concezione schiavistica delle piantagioni, ai soli obiettivi del disciplinamento e del controllo automatizzati e della soggezione e intercambiabilità dei lavoratori. Con la “mercificazione dell’attività cognitiva“, dell’apprendimento e dei suoi esiti, si sono introdotti test e indicatori quantitativi per valutare la qualità della didattica, inducendo così docenti e studenti, anziché a insegnare e a studiare, a dedicarsi all’allenamento sui test. E adesso, chi ha sperimentato da più tempo questa gouvernance par les nombres, scopre che il suo esito, per gli studenti addestrati ad acquisire skills a forza di test, è l’incapacità di affrontare il compito inusitato di leggere un libro intero. (...) 
Con “intelligenza artificiale”, come osservano Dagmar Monnet e Gilbert Paquet, si intende “essenzialmente una forma di automazione e l’automazione è la sostituzione del capitale al lavoro”. L’obiettivo in virtù del quale gli interessi dei governi neoliberali convergono con quelli delle grandi aziende “non è quello di migliorare l’istruzione, ma quello di renderla efficiente in termini di costi”. Con la promessa di automatizzare l’istruzione, non si ottiene che di automatizzare l’austerità, nel settore dell’istruzione, trasferendo risorse dalle spese per i docenti alle casse delle Big Tech, con un taglio netto alle risorse complessive dedicate all’istruzione. Come dichiara apertamente il Tony Blair Institute for Global Change – mentre prendono avvio nel Regno Unito le attività nella prima classe priva di docenti, interamente affidata all’IA – l’introduzione dell’IA è un mezzo, per i governi, “per fare di più con meno“. (...) 
Le traiettorie di sviluppo di una tecnologia non sono inevitabili. Sono oggetto di scelte che possono essere oligarchiche o democratiche, orientate alla sostituzione dei lavoratori, alla sorveglianza e al controllo sociale oppure a una progettazione che crei valore, anziché estrarlo, e che valorizzi il lavoro umano, anziché parcellizzarne l’esecuzione a fini di controllo. “Pigrizia e viltà”, scriveva Kant nel 1784, “sono le cause per le quali tanta parte degli esseri umani” resta volentieri nell’incapacità di servirsi del proprio intelletto. Pigrizia e viltà inducono anche a fingere di aver letto e valutato un testo, o di averlo scritto, quando ci si è limitati invece ad ottenere da un software un testo plausibile. E pigrizia e viltà possono far sì che si inducano gli studenti a fare altrettanto, promettendo loro un Paese dei Balocchi – “quel paese benedetto” in cui “non vi sono scuole” e “non vi sono maestri” – in cui potranno scrivere senza aver pensato. Un’automatizzazione dell’istruzione che implichi l’annientamento dell’istruzione stessa e l’irrilevanza di scuole e università, sostituibili con azienda private che distribuiscano “contenuti personalizzati” non è inevitabile. Ad essa è possibile resistere, opponendole “l’orgoglio per il proprio lavoro, la totalità del proprio lavoro” e chiamando le cose con il loro nome. Serve, per ciò, quella sottovalutata virtù che Weizenbaum chiamava il “coraggio civile".(...) Chi invece, come l’omino di burro del romanzo di Collodi, inviti gli studenti nel Paese dei Balocchi dell’IA generativa, non ha nulla da temere, quanto alla spendibilità, nel mercato del lavoro, delle competenze dei futuri ciuchini: a vendere i suoi ciuchini “sulle fiere e sui mercati”, l’omino di burro “aveva fatto fior di quattrini ed era diventato milionario”; segno che, già agli occhi di Collodi, non era alle competenze e all’occupabilità che pensavano, Geppetto o la buona Fata, quando raccomandavano a Pinocchio di andare a scuola, e di studiare, se voleva diventare un ragazzino perbene.

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