Archive for febbraio 2013
Monti blocca scatti di anzianità 2013. Bloccati anche quelli 2011-12? Da Orizzonte Scuola
martedì 26 febbraio 2013
red - La notizia è stata divulgata da Italia Oggi grazie ad un articolo firmato da Alessandra Ricciardi. Non ci sono i soldi per gli aumenti degli stipendi.
Fatta trapelare il giorno dopo le elezioni, la notizia è alquanto preoccupante. Secondo Italia Oggi, infatti, Monti sarebbe in procinto di firmare un decreto, su proposta di Patroni Griffi e Vittorio Grilli, per il quale "non si dà luogo, senza possibilità di recupero, alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013-2014 del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche cosi come individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009 n. 196 e successive modificazioni".
Bloccati anche quelli recuperati attraverso il tagli al fondo di istituto a seguito dell'accordo presso l'ARAN tra sindacati e MIUR? La certezza nelle prossime ore, nel decreto, comunque, si legge "Per il medesimo personale non si dà luogo, senza possibilità di recupero, al riconoscimento degli incrementi contrattuali eventualmente previsti a decorrere dall'anno 2011". Insomma, cornuti e mazziati.
Oltre agli scatti, il blocco riguarderà l'indennità di vacanza contrattuale: "In deroga - Italia Oggi cita il decreto - alle previsioni di cui all'articolo 47 bis, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2011, n. 165 e successive modificazioni, e all'articolo 2, comma 35 della legge 22 dicembre 2008, n. 303, per gli anni 2013 e 2014 non si dà luogo, senza possibilità di recupero, al riconoscimento di incrementi a titolo di indennità di vacanza contrattuale che continua a essere corrisposta nelle misure di cui all'articolo 9, comma 17, secondo periodo, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78/2010. L'indennità di vacanza contrattuale relativa al triennio contrattuale 2015-2017 è calcolata secondo le modalità e i parametri individuati dai protocolli e dalla normativa vigenti in materia"
Polvere di stelle
sabato 16 febbraio 2013
by insorgenze |
UTILIZZO DELLE SCUOLE IN OCCASIONE DELLE CONSULTAZIONI ELETTORALI DEL 24-25 FEBBRAIO 2013. LE RICADUTE SULLE ATTIVITA’ DELLE SCUOLE E SUGLI OBBLIGHI DEL PERSONALE.
venerdì 15 febbraio 2013
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UTILIZZO DELLE SCUOLE in CONSULTAZIONI ELETTORALI DEL 24-25 FEBBRAIO 2013. LE RICADUTE SULLE ATTIVITA’ DELLE SCUOLE E SUGLI OBBLIGHI DEL PERSONALE.
Il MIUR ha comunicato che il Ministero dell’Interno, con nota n. 59 del 4/01/2013, ha precisato che le operazioni di voto si svolgeranno dalle ore 8.00 alle ore 22.00 della domenica 24 e dalle ore 7.00 alle ore 15.00 del lunedì 25 febbraio 2013. Il Ministero ha pertanto chiesto la disponibilità dei locali scolastici – sedi di seggio elettorale – dal pomeriggio di venerdì 22 febbraio sino alla giornata di mercoledì 27 febbraio 2013 compresa per l’approntamento e lo smontaggio dei seggi e lo svolgimento delle operazioni di voto e di scrutinio.
Spetta ora ai Sindaci dei diversi comuni che, assumendo poteri prefettizi, definire con propria ordinanza l’individuazione degli edifici scolastici per le elezioni e l’insediamento dei vari seggi.
Dopo l’emanazione dell’ordinanza del sindaco, il Dirigente Scolastico, previ accordi locali da stipulare con i Comuni e informate le Prefetture e i Dirigenti degli UST, potrà consegnare, se necessario, le chiavi del plesso ad un Referente individuato dal Comune. Il Referente comunale sarà, fino alla conclusione delle attività elettorali, il garante responsabile dell’apertura, della chiusura , della conservazione, della tutela dei beni della scuola e del ripristino nella stessa di adeguate condizioni igienico sanitarie.
Ovviamente le ricadute sulle attività della scuola e, quindi, sugli obblighi del personale, dipendono dal tipo di provvedimento emanato dal sindaco del comune di quella scuola.
Proviamo ad esaminare le fattispecie più diffuse.
A) CHIUSURA TOTALE DELLA SCUOLA
La chiusura della scuola per elezioni, trattandosi le consultazioni elettorali di una causa di forza maggiore esterna di interruzione indipendente dalla volontà dell'Istituzione scolastic , è equiparata a quella disposta per gravi eventi (nevicate, alluvioni ecc.) o anche per interventi di manutenzione straordinaria che precludono al personale e agli allievi l’accesso ai locali.
Le assenze così determinate, comprese quelle del personale ATA, sono pienamente legittimate e non devono essere “giustificate” e nemmeno essere oggetto di decurtazione economica, di recupero né da parte del personale docente né da parte del personale ATA (anche nel caso in
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cui il calendario scolastico scenda la si sotto dei 200 giorni di lezione previsti dall’art. 74 del D.Lgs. 297 del 16/04/1994), e tantomeno considerate ferie o permessi retribuiti.
Essendo il rapporto di lavoro del personale della scuola di natura civilistica e obbligazionaria tra le parti che lo sottoscrivono, il principio giuridico di riferimento è l’art. 1256 del Codice civile, che recita: “L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore (nel nostro caso dipendente della scuola), la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo dell’adempimento”.
I giorni di chiusura per causa di forza maggiore devono quindi essere assimilati a servizio effettivamente e regolarmente prestato, in quanto il dipendente non può prestare la propria attività per cause esterne e tale chiusura è “utile” a qualunque titolo: 180 giorni per l’anno di prova, proroga/conferma di una supplenza ecc.
B) CHIUSURA TOTALE DI UNO O PIU’ PLESSI DELLA SCUOLA
Può accadere che solo uno o più plessi dell’istituzione scolastica siano individuati sede di seggio elettorale.
Nei plessi individuati sede di seggio elettorale ci troviamo nella fattispecie della chiusura dell’edificio, pertanto non vi sono obblighi di servizio. Ricordiamo infatti che l’O.M. 185/1995 (art. 3, comma 30) prevede che : “Gli insegnanti a disposizione per la temporanea chiusura dei locali della sede di servizio a causa di disinfestazione o di consultazione elettorale non sono da considerare in soprannumero e non possono essere pertanto utilizzati negli altri plessi del circolo o nelle sezioni staccate o scuole coordinate”. Il personale docente che non può svolgere lezione non è neanche obbligato a recuperare le ore di lezione non svolte (solo le attività non di insegnamento già programmate devono essere svolte regolarmente, ma se ciò non fosse possibile per l’indisponibilità dei locali , le riunioni dovranno essere rinviate).
Ma, in occasione di ogni consultazione elettorale, alcuni dirigenti scolastici interpretano le norme in maniera autonoma. In particolare se una sede distaccata o la sede centrale non sono sede di seggio elettorale alcuni dirigenti scolastici obbligano il personale a svolgere servizio nelle sedi non impegnate nelle elezioni motivando il tutto con l’argomentazione che in particolare riguardo alla scuola primaria, il riferimento all’OM 185/95 non è da ritenersi più applicabile per l’avvenuta introduzione - successiva a tale data – soprattutto degli organici funzionali per scuola dell’infanzia e scuola primaria. Tale assunto non può essere sostenuto e, pertanto, in mancanza di ulteriori disposizioni, le scuole devono attenersi alle disposizioni esistenti. Disposizioni che trovano conferma nella normativa generale sopracitata, in quella contrattuale e sul sistema di diritti e doveri da questa instaurato. Si veda l’art. art. 6 del CCNL, o anche l'art. 4 del CCNI.
E comunque anche coloro che sostengono che nell’ambito delle leggi e degli atti
organizzativi, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro spettano alla dirigenza sono stati obbligati a rispettare la normativa contrattuale.
Una eventuale disposizione da parte del Dirigente Scolastico, attraverso un ordine di servizio che preveda la prestazione lavorativa di personale ATA o di personale docente dell’organico funzionale (primaria ed infanzia) o di unico organico su più succursali nella secondaria
originariamente assegnati ai plessi dove non si svolgono le elezioni, nel plesso o nei plessi in cui si svolge la normale attività didattica, può avvenire solo in relazione a conclamate esigenze eccezionali di servizio e, trattandosi di aspetti organizzativi del lavoro, sono materia di contrattazione d’istituto e quindi vanno concordati tra Dirigenti scolastici e RSU, rispettando quanto previsto dalla contrattazione di scuola, ai sensi dell'art. 6, comma 2, lettere h e m del CCNL/2007 ( flessibilità contrattata) e comunque riconoscendo loro un compenso forfetario per flessibilità e/o intensificazione della prestazione abituale. Risulta, infatti, che in alcune scuole la questione sia stata oggetto di Contrattazione e sia stata prevista una “rotazione” del personale ATA da un plesso ad un altro in caso di particolari e temporanee esigenze di servizio. Oppure per quanto riguarda il personale docente dell’organico funzionale (primaria ed infanzia) o di unico organico su più succursali nella secondaria e sempre che la sostituzione avvenga nell’altra scuola non ubicata in comune diverso deve trattarsi di sostituzione improvvise di assenti per cui non sia stato possibile nominare precedentemente un supplente.
Non è consentito inoltre ai dirigenti scolastici, essendo l'attività prestata presso i seggi equiparata (2° comma art. 119 L. 361/57) ad attività lavorativa, di richiedere unilateralmente prestazioni lavorative nei giorni coincidenti con le operazioni elettorali, anche se eventuali obblighi di servizio fossero collocati in orario diverso da quello di impegno ai seggi.
C) CHIUSURA DI UNA PARTE DELL’EDIFICIO SCOLASTICO MA SENZA LA CHIUSURA DELLA PRESIDENZA E DELLA SEGRETERIA
Si possono verificare situazioni in cui non viene utilizzato l’intero edificio scolastico per lo svolgimento delle elezioni, ma solo di una parte (dove sono le aule) per la collocazione dei seggi elettorali. In questo caso i docenti non hanno obblighi d’insegnamento. Nel caso in cui la Presidenza e la segreteria rimangono aperte, il personale amministrativo rimane in servizio per le connesse esigenze, il restante personale ATA non è tenuto nei giorni lavorativi di chiusura a prestare servizio a meno che non vi siano, anche in questo caso, “conclamate esigenze di servizio”. In ogni caso l’utilizzo del personale non può essere stabilito in via unilaterale ma deve sempre essere regolato nel contratto di scuola. Ma, se non vi è una separazione netta tra i locali adibiti a seggio elettorale e quelli adibiti a sede di servizio della scuola stessa, è nei poteri del Presidente di seggio decidere la chiusura dell'intera scuola per ragioni di sicurezza e di regolarità delle operazioni di voto.
D) CHIUSURA DELLA SEDE CENTRALE SEDE DI SEGRETERA MA NON DI ALTRI PLESSI, SUCCURSALI O SEZIONI STACCATE
Qualora il plesso sede di segreteria risulti sede di seggio tutti i docenti e gli alunni della sede centrale rimangono a casa e gli Ata in servizio nella sede centrale non potranno prestare servizio nella loro sede. La scuola ovviamente con criteri da definire in contrattazione, dovrà far fronte alle possibili esigenze delle sedi aperte e per garantire comunque il servizio di segreteria, potrà spostare, almeno per le funzioni indispensabili, in altro plesso agibile la segreteria.
E) SCUOLE NON SEDE DI SEGGIO
Nei plessi non individuati sede di seggio elettorale si dovrà svolgere normale attività didattica e dunque questi edifici dovranno necessariamente rimanere aperti: docenti e personale ATA
assegnati a tali plessi dovranno recarsi a scuola regolarmente e secondo il proprio orario di servizio.
F) COMPITI DEI COMUNI E DELLE SCUOLE NELL’ALLESTIMENTO E RIMESSA IN ORDINE DELLE AULE, VIGILANZA E PULIZIA ORDINARIA E STRAORDINARIA
Le istituzioni scolastiche interessate hanno solo il compito di mettere a disposizione delle Amministrazioni comunali i locali scolastici nei giorni necessari per l'approntamento di seggi e lo svolgimento delle operazioni elettorali, mentre il servizio di vigilanza, lo svuotamento e la rimessa in ordine delle aule e la pulizia straordinaria (oltre alla disinfestazione dei locali) è di competenza dell’ Amministrazione Comunale (al personale della scuola non impegnato nelle elezioni spetta solo la normale pulizia e la rimozione del materiale didattico, in quanto materiale appartenente alla scuola stessa ).
In alcuni casi, i Comuni, non avendo personale sufficiente per le operazioni a loro spettanti, si rivolgono alle scuole affinché, con apposito finanziamento, tali compiti siano assolti dai collaboratori scolastici. Il dirigente scolastico può servirsi allo scopo di collaboratori scolastici della stessa scuola o di altro plesso o sezione staccata, disponibili su base volontaria ad effettuare in occasione della consultazione elettorale, ovviamente dietro compenso, il servizio richiesto.
La Circolare 54 Prot. n. AOODRPI 1299/U/A19b dell'USR del Piemonte del 6 Febbraio 2013 afferma che, per salvaguardare l’igiene della scuola utilizzata, prima della riconsegna dei locali, tutte le Amministrazioni Comunali provvederanno a fare effettuare un’adeguata pulizia degli stessi, utilizzando, soprattutto per i servizi igienici, prodotti con potere disinfettante (C.M. del 3.10.1978 n. 239).
La stessa circolare da precise indicazioni sulla eventuale consegna delle chiavi e dei locali al referente comunale :
In caso di necessità, previi accordi locali da stipulare con i Comuni e informate le Prefetture e i Dirigenti degli UST, il Dirigente Scolastico potrà consegnare le chiavi del plesso ad un Referente individuato dal Comune. Al Referente comunale, oltre alla consegna delle chiavi, sarà opportuno:
1. dare adeguate informazioni sul funzionamento e sulla localizzazione degli impianti,
2. indicare la localizzazione delle uscite di sicurezza della scuola,
3. comunicare il nominativo di una persona a cui far riferimento in caso di impreviste necessità o di eventuali situazioni di emergenza.
Miur, "concorsone" rinviato per maltempo: saltano le prove dell'11 e 12 febbraio
domenica 10 febbraio 2013
Miur, "concorsone" rinviato per maltempo: saltano le prove dell'11 e 12 febbraio
Il Miur ha reso noto restano invece confermate le prove previste per mercoledì 13 febbraio e per i giorni successivi, salvo diverso avviso.
Il linciaggio di Chiara e gli squadristi per Giulia Ichino
Che cafona Chiara Di Domenico, la precaria accusata di aver fatto nomi e cognomi sul fatto che Pietro Ichino abbia piazzato l’erede Giulia in Mondadori in un’età nella quale i suoi coetanei son troppo giovani anche per spillare birra in un pub. Che cafona Chiara a ricordare che, dal tempo dei Borgia, il nepotismo è uno dei mali endemici dell’Italia.
Non sa Chiara che cattolicamente si dice il peccato ma non il peccatore e che se i pochi posti nel collegio universitario sono occupati (per reddito) dal figlio dell’avvocato tale e dalla figlia del farmacista talaltro la miglior virtù della (benestante, in proporzione fiscale) figlia dell’operaio è la cristiana rassegnazione. Poi si sa che in genere i figli di papà hanno una marcia in più, soprattutto quelli di papà colto e (vagamente) progre. In positivo: hanno trovato libri in casa, hanno viaggiato, hanno visitato mostre, si sono confrontati ancora bambini e adolescenti con cospicui amici di famiglia, hanno ricevuto gratis lezioni che ai loro coetanei costano anni e che contribuiscono in maniera esiziale a mantenere il cartello “guasto” appeso da decenni sull’ascensore sociale italiano. In negativo: sono parte delle élite di un paese culturalmente limitato, ne sanguisugano tutti i benefici come i figli della più becera destra e non sono disposti a mollare l’osso perpetuando da classe dirigente quale sono il sistema castale vigente.
Il problema non è se Giulia Ichino abbia o non abbia una marcia in più. Ce l’ha con ogni probabilità. Il problema è chi ha costretto Chiara a correre col freno a mano tirato per permettere a Giulia di «miracol mostrare» e perpetuare gerarchie classiste che devono restare immutabili a garanzia dell’ordine sociale esistente. Il problema è che quando le mille Chiara anonime riescono a orientarsi nella corsa a ostacoli alla quale è sottoposto chi è figlio di nessuno, i posti migliori (o i posti tout court) sono già stati occupati -ovviamente a tempo indeterminato- dalle Giulia figlia di. E allora non è affatto un caso, e non è affatto uno scandalo denunciarlo facendo nomi, che proprio la figlia di uno dei principali teorici della precarietà sociale a vita di generazioni intere di non garantiti si sia “sistemata” così giovane. Bravi devono essere tutti, ma i più, per quanto bravi, sono destinati dal modello economico vigente ad andare di cococò in cococò tutta la vita, fuggire all’estero, avvizzirsi in lavori sottopagati e sottomansionati. È così offensivo, eversivo, parlarne in campagna elettorale? Come ha chiosato la polemica Eugenio Angelillo, uno degli “influencer” di chi scrive e non importa se è sconosciuto ai più, parafrasando una frase più volgare: «sono tutti flessibili con i figli degli altri».
Intanto i cosiddetti influencer in Rete, che poi sono il mainstream di sempre, facevano muro per poi amplificarsi la voce a vicenda contro la plebaglia che osa tirare in ballo «per invidia sociale» la figlia del dottore. Toni ottocenteschi. Nelle ultime ore Chiara la cafona (e per interposta persona Pierluigi Bersani, il figlio del benzinaro che ha osato abbracciarla) sono stati linciati metodicamente dalla casta mediatica monopolista. Da Lucia Annunziata che attraverso il suo HP s’è addirittura inventata un effetto boomerang contro il PD per quell’abbraccio a Gianni Riotta, da Pierluigi Battista ad Andrea Romano a Luca Sofri che teorizza addirittura la “ritorsione” verso il papà traditore, hanno esercitato il loro eterno squadrismo mediatico in soccorso della vincitrice. Decine di altri si sono affrettati a ritwittare applaudendo i gerarchi dai quali spesso dipende il loro contratto a progetto. Fabrizio Rondolino s’è sentito in diritto di insultare apertamente Chiara di Domenico dandole -va da sé, non conoscendola- dell’ “inetta”: la precaria inetta insulta (insulta?) la ragazza di buona famiglia (la famiglia di Chiara, ça va sans dire, è cattiva) per rancore sociale. Eccoli lì al dunque: i tutori dell’ordine (mediatico e sociale) manganellano tutti insieme chi ha osato per un momento ricordare la questione sociale in questa campagna elettorale e per ribadire che viviamo nel migliore dei mondi possibili. Io sto con Chiara.
FONDO DI ISTITUTO E SCATTI DI ANZIANITA’
sabato 9 febbraio 2013
Alleghiamo a questa nota 2 volantini, uno sugli scatti ed uno sul mancato rinnovo contrattuale, che abbiamo inviato alle scuole del Veneto
Quando, dopo la vittoria contro il “concorsaccio”del 2000 e l’intera politica scolastica del ministro Berlinguer, i teorici dell’istruzione-merce cambiarono vistosamente la strategia nel processo di aziendalizzazione della scuola, i Cobas denunciarono subito come la vera polpetta avvelenata, che avrebbe messo in opera tutto il potere distruttivo della sedicente “autonomia scolastica” dell’ex-ministro (costretto dalla sconfitta ad abbandonare la direzione del Ministero), sarebbe stata l’istituzione (o meglio: la trasfigurazione di qualcosa che già esisteva ma non con tale funzione) del cosiddetto fondo di Istituto.La divisione tra docenti, tentata con il meccanismo rozzo del “concorsaccio”, veniva riproposta non più sotto la veste di un premio a presunti meritevoli ma come elargizione ai disponibili ad accollarsi un lavoro supplementare rispetto a quello contrattuale. Partendo con un fondo complessivo di 2000 miliardi di lire dell’epoca, destinati secondo il Ministero ad «un ulteriore impegno didattico rispetto a quello normalmente dovuto e per l’attuazione della flessibilità organizzativa e didattica», il centrosinistra pose le basi per rendere concreta la frammentazione autonomistica delle scuole e per dividere una categoria tenuta ormai da un decennio a sotto-salario (dal 1989, ultimo contratto con aumenti salariali accettabili, al 2001, la perdita salariale era stata di circa il 15% in valore reale).
Da allora i fatti ci hanno dato abbondantemente ragione. Se in altri paesi (soprattutto in quelli anglosassoni) meccanismi analoghi avevano portato verso una sorta di stipendio individualizzato, fatto di tante voci differenti per altrettante mansioni parcellizzate, in Italia si è dato vita, grazie al FIS, all’innesco di meccanismi clientelari e corrompenti su attività progettuali in gran parte superflue o cialtronesche, puri espedienti per piegare con elargizioni salariali una parte della categoria ai meccanismi aziendali e fiaccarne la resistenza ideologica, culturale e didattica, selezionando i più disponibili ad assecondare i perversi meccanismi della sedicente autonomia.
Dall’introduzione del FIS, il potere disgregante della sedicente “autonomia”ha potuto operare a fondo: e grazie a tale strumento per finanziare la frammentazione aziendalistica degli istituti, ha preso il via un processo parallelo di malascuola (corruzione, inefficienza, clientelismo e illegalità diffusa) e di scuola-miseria (continua riduzione dei finanziamenti, dispersione dei fondi per vie clientelari, peggioramento costante della qualità dell’apprendimento) come via subdola di impoverimento e disgregazione della scuola, tale da consentire alla merce-istruzione di superare il blocco esercitato dalla educazione pubblica gratuita e di qualità per tutti/e. La corruzione, l’inefficienza, il clientelismo e l’autoritarismo fondato sulla cessione dei massimi poteri ai presidi sono state le conseguenze quasi naturali dell’immiserimento programmato.
In questi anni, e senza alcuna apprezzabile differenza tra i periodi di governi di centrodestra e di centrosinistra, nella grande maggioranza dei casi i soldi del Fondo di Istituto sono stati usati per retribuire progetti didattici non solo senza alcuna ricaduta utile, ma che assai spesso hanno svilito, intralciato o danneggiato la didattica, distraendo i docenti dalle lezioni, togliendoli dalle classi, tenendo a scuola di pomeriggio gli studenti a ciondolare intorno ad estemporanei corsi inventati ad hoc. Oltre a produrre inefficienza didattica, tali meccanismi hanno sovente corrotto - e poco importa se spesso con cifre misere - fasce crescenti di docenti, spinti ad inventarsi i progetti più inverosimili, a dilatarne ad arte i tempi, ad attestare lavori mai svolti, a farsi retribuire attività ordinarie, incentivando la malascuola.
Per tutti questi motivi negli ultimi dodici anni i Cobas hanno sempre insistito sulla necessità di smontare tale dannoso strumento, distribuendone gli attuali finanziamenti a tutti/e i/le docenti ed Ata in paga-base, come parziale compenso dell’immiserimento salariale dovuto al pluriennale blocco dei contratti. Non saremo dunque noi a protestare per l’assegnazione di una parte, seppur limitata, del FIS alla retribuzione degli scatti di anzianità, bloccati dalle nefaste decisioni degli ultimi governi. Gli scatti, seppur ridotti assai dopo la cancellazione di quelli biennali (voluta o accettata a suo tempo da tutti i sindacati che monopolizzano i diritti e la contrattazione) che erano davvero efficaci nel difendere i salari, sono al momento l’unica forma di parziale reintegrazione di quanto annualmente perdiamo a causa dell’inflazione e dell’impossibilità di contrattare i salari; e dunque è bene che siano stati ripristinati, e anzi tale recupero va garantito a tutti/e anche per i prossimi anni; né ci lamenteremo di certo per una decurtazione del FIS.
Ma il contratto firmato dai sindacati monopolisti (tranne la Cgil) non garantisce affatto il recupero stabile degli scatti, si impegna in promesse che consentiranno al prossimo governo di tornare alla carica sugli aumenti di orario, scambiati magari con piccoli aumenti salariali autofinanziati usando i soldi già investiti nella scuola, e in generale lascia aperte tutte le porte per la riduzione progressiva dei finanziamenti alle scuole e di certo non è un viatico per costringere il prossimo governo ad aumentarli. Oltretutto, tali sindacati non possono davvero trarre vanto da quella firma, non avendo contribuito in alcun modo alla grande mobilitazione di docenti, Ata e studenti che ha consentito di battere il progetto degli aumenti di orario, della legge Aprea-Ghizzoni, della deportazione degli “inidonei”e che ha permesso anche il parziale recupero degli scatti: l’unico sciopero da essi convocato è stato proditoriamente revocato, né li abbiamo mai visti in piazza, a livello nazionale e locale, per tutto l’autunno di lotta.
E ancora più grotteschi sono gli strepiti della Cgil per il “colpo inferto” al Fondo di Istituto. Essa strilla e si agita perchè sa bene che proprio sul FIS e sulla sedicente “autonomia” ha costruito il proprio potere nelle scuole, tramite la gestione concertativa e collaborazionista tra sempre più autoritari capi di istituto e “capetti” docenti che sui soldi del FIS e sul piccolo potere aziendale conseguente hanno costruito in questi anni le loro fortune, contribuendo in modo decisivo ai successi della aziendalizzazione e della disgregazione della scuola pubblica verso quella scuola-miseria e scuola-quiz che, malgrado i parziali successi che abbiamo ottenuto (e ai quali tanto hanno contribuito i Cobas con la loro opera di denuncia e chiarimento, con le loro mobilitazioni e scioperi) in questi mesi, ancora incombono come macigni sul futuro della nostra tormentata istruzione pubblica.
COBAS - COMITATI DI BASE DELLA SCUOLA
Tra 100 giorni le prove Invalsi. Ma "Testing is not Teaching!"
Scomparsi dall'immaginario di molti docenti nello scorso maggio, ora si apprestano a tornare in superficie, quasi fiume carsico. Sono i test Invalsi, contemplati e supportati dalla normativa ma solo in parte e, per il resto, da presidi e docenti, bon gré mal gré (1). Quest'anno si inizierà il 7 maggio con le prove di italiano in 2ª e in 5ª elementare, ora scuola primaria (2).
Non se ne può più. È in crisi il maestro Lucio Garofalo che si sfoga - giustamente - contro alcuni genitori invadenti, spregiudicati e villani, contro i presidi tiranni e autoritari, contro la divisione e la contrapposizione tra i colleghi, contro le prove Invalsi calate dall'alto. Ecco cosa dice su queste:
"Una scuola in cui il ruolo dell'educatore viene mortificato e sottovalutato anzitutto a livello retributivo, ridotto a mansioni umilianti di mera sorveglianza o, nella migliore delle ipotesi, svilito in compiti meccanici e ripetitivi di addestramento degli alunni tramite esercitazioni noiose volte a superare una serie di verifiche valutative somministrate con i test a risposta multipla in cui si articolano le famigerate "prove Invalsi", a cui gli allievi vengono abituati e addestrati per mesi e mesi, fino alla nausea.
In definitiva, non se ne può più di una scuola a "quiz", una scuola di natura cripto-classista e anti-democratica che assomiglia maldestramente al prototipo di un'azienda decotta, da cui si sforza di attingere e mutuare il gergo, gli organigrammi e le gerarchie (3)."
Invalsi pasticcione. Il prof. M.M. di Roma segnala, testimonia e denuncia l'approccio approssimato e pasticcione dell'Invalsi: "Per esplicito boicottaggio, o per superficialità, una parte degli studenti ha risposto a caso ai test. L’Invalsi, nell’elaborare i dati, non ha filtrato quelli palesemente inattendibili" (4).
Il guru della meritocrazia. Roger Abravanel lamenta la scarsità di meritocrazia nelle piattaforme elettorali come se queste non fossero solo esche illusorie ma impegni precisi e vincolanti davanti a un notaio o cambiali con scadenza certa. E sottolinea che "la meritocrazia è un sistema di valori che .... non si può imporre per legge" (5) e noi tutti sappiamo invece che, appunto per legge, le prove Invalsi sono già presenti nell'esame di 3ª media e aspirano a conquistare l'esame di maturità o esame di Stato. Lo stesso Roger Abravanel, responsabile del blog Meritocrazia.it, sul Tg1 Rai consiglia di "Scegliere la scuole guardando alle prove Invalsi" (6). Ignora - il nostro guru, che però è privo di esperienza diretta di scuola - l'elaborazione approssimata dei dati sopra segnalata; trascura il fatto che l'Invalsi testa due sole discipline che non risultano prevalenti e caratterizzanti nei licei artistici e linguistici, negli istituti tecnici e professionali; non considera il ricambio fisiologico del personale docente (15 ÷ 25% all'anno) per cui in tre anni anche più della metà dei docenti di una classe può risultare sostituita; ed altre non secondarie questioni connesse alla scelta.
E poi c’è chi, con autorevolezza ed esperienza vera di scuola, ci ricorda che "Non esistono scuole migliori" (7).
Charles Péguy vs Invalsi. Interessanti, particolareggiate e da leggere le riflessioni di Raffaella Poggi sui test Invalsi (8). La preside della S.M. Sacro Cuore di Milano ricorre ai versi di Charles Péguy (1873 - 1914) per rimarcare la prevalente importanza dei bambini (in quanto poi anche scolari e destinatari finali dell'attività della scuola) rispetto alle pretese dell'Invalsi. Per Poggi la cosa importante è l'autovalutazione delle scuole: "il soggetto che in primis ha il dovere di valutare la scuola è però la scuola stessa". All'autovalutazione possono contribuire gli studenti, i loro genitori, il Miur "a condizione che si concepisca al servizio delle scuole e non soggetto dell’istruzione", anche i mass media. L'Invalsi è prezioso per consentire il paragone con altre realtà scolastiche e scongiurare l'autoreferenzialità. L'Invalsi viene ridimensionato nel suo ruolo e nelle sue aspirazioni, viene sceso dall'Olimpo o deposto dal piedistallo in cui - forse - credeva di essere o aspirava.
Da segnalare un pensiero dello stesso Charles Péguy sul significato del lavoro, questo: "Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita da profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali...".
E' passato più di un secolo e forse il rimpianto per la precedente condizione di non-servitù, dagli operai può essere esteso - ora e in prospettiva - agli scolari e ai docenti (v. il maestro sopra citato) sui quali incombono gerarchia e burocrazia eccessive, non del tutto necessarie, costose e controproducenti. L'Invalsi è sicuramente parte di questa burocrazia e gerarchia.
Quanto ci costa l'Invalsi. Si hanno solo stime, non cifre precise, che vanno dai 9 ai 20 mln di euro/anno (9) oppure dai 15 ai 23 mln di euro/anno (10). Queste cifre sono relative alle spese dirette a carico dell'Invalsi, non comprendono cioè le spese vive a carico delle scuole, né le spese occulte per il personale "prestato" gratis all'Invalsi, né per l'uso dei locali e nemmeno per le giornate sottratte alla didattica (cioè sia i giorni delle prove sia tutti gli eventuali altri tempi dedicati all'addestramento ai test).
Il ministro ha fretta. Profumo ha fretta solo per il Sistema Nazionale di Valutazione - di cui Invalsi è parte - e vorrebbe che fosse attuativo prima della fine del suo mandato. Le altre problematiche pur necessarie e vitali per la scuola, al momento, non godono della stessa attenzione (11).
Modelli esteri. Gli italiani - alcuni - nutrono un complesso di inferiorità e soggezione rispetto ai modelli esteri, per cui questi vengono emulati o copiati acriticamente "nel momento in cui i paesi sperimentatori li abbandonano" (12). Oppure anche molto dopo .... "con qualche decennio di ritardo" (13).
TINT, acronimo che sta per "Testing is not Teaching!", è la pagina facebook di cittadini Usa contrari all'uso degli "standardized tests" (14)
Roma, 29 gennaio 2013
Vincenzo Pascuzzi
Non se ne può più. È in crisi il maestro Lucio Garofalo che si sfoga - giustamente - contro alcuni genitori invadenti, spregiudicati e villani, contro i presidi tiranni e autoritari, contro la divisione e la contrapposizione tra i colleghi, contro le prove Invalsi calate dall'alto. Ecco cosa dice su queste:
"Una scuola in cui il ruolo dell'educatore viene mortificato e sottovalutato anzitutto a livello retributivo, ridotto a mansioni umilianti di mera sorveglianza o, nella migliore delle ipotesi, svilito in compiti meccanici e ripetitivi di addestramento degli alunni tramite esercitazioni noiose volte a superare una serie di verifiche valutative somministrate con i test a risposta multipla in cui si articolano le famigerate "prove Invalsi", a cui gli allievi vengono abituati e addestrati per mesi e mesi, fino alla nausea.
In definitiva, non se ne può più di una scuola a "quiz", una scuola di natura cripto-classista e anti-democratica che assomiglia maldestramente al prototipo di un'azienda decotta, da cui si sforza di attingere e mutuare il gergo, gli organigrammi e le gerarchie (3)."
Invalsi pasticcione. Il prof. M.M. di Roma segnala, testimonia e denuncia l'approccio approssimato e pasticcione dell'Invalsi: "Per esplicito boicottaggio, o per superficialità, una parte degli studenti ha risposto a caso ai test. L’Invalsi, nell’elaborare i dati, non ha filtrato quelli palesemente inattendibili" (4).
Il guru della meritocrazia. Roger Abravanel lamenta la scarsità di meritocrazia nelle piattaforme elettorali come se queste non fossero solo esche illusorie ma impegni precisi e vincolanti davanti a un notaio o cambiali con scadenza certa. E sottolinea che "la meritocrazia è un sistema di valori che .... non si può imporre per legge" (5) e noi tutti sappiamo invece che, appunto per legge, le prove Invalsi sono già presenti nell'esame di 3ª media e aspirano a conquistare l'esame di maturità o esame di Stato. Lo stesso Roger Abravanel, responsabile del blog Meritocrazia.it, sul Tg1 Rai consiglia di "Scegliere la scuole guardando alle prove Invalsi" (6). Ignora - il nostro guru, che però è privo di esperienza diretta di scuola - l'elaborazione approssimata dei dati sopra segnalata; trascura il fatto che l'Invalsi testa due sole discipline che non risultano prevalenti e caratterizzanti nei licei artistici e linguistici, negli istituti tecnici e professionali; non considera il ricambio fisiologico del personale docente (15 ÷ 25% all'anno) per cui in tre anni anche più della metà dei docenti di una classe può risultare sostituita; ed altre non secondarie questioni connesse alla scelta.
E poi c’è chi, con autorevolezza ed esperienza vera di scuola, ci ricorda che "Non esistono scuole migliori" (7).
Charles Péguy vs Invalsi. Interessanti, particolareggiate e da leggere le riflessioni di Raffaella Poggi sui test Invalsi (8). La preside della S.M. Sacro Cuore di Milano ricorre ai versi di Charles Péguy (1873 - 1914) per rimarcare la prevalente importanza dei bambini (in quanto poi anche scolari e destinatari finali dell'attività della scuola) rispetto alle pretese dell'Invalsi. Per Poggi la cosa importante è l'autovalutazione delle scuole: "il soggetto che in primis ha il dovere di valutare la scuola è però la scuola stessa". All'autovalutazione possono contribuire gli studenti, i loro genitori, il Miur "a condizione che si concepisca al servizio delle scuole e non soggetto dell’istruzione", anche i mass media. L'Invalsi è prezioso per consentire il paragone con altre realtà scolastiche e scongiurare l'autoreferenzialità. L'Invalsi viene ridimensionato nel suo ruolo e nelle sue aspirazioni, viene sceso dall'Olimpo o deposto dal piedistallo in cui - forse - credeva di essere o aspirava.
Da segnalare un pensiero dello stesso Charles Péguy sul significato del lavoro, questo: "Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita da profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali...".
E' passato più di un secolo e forse il rimpianto per la precedente condizione di non-servitù, dagli operai può essere esteso - ora e in prospettiva - agli scolari e ai docenti (v. il maestro sopra citato) sui quali incombono gerarchia e burocrazia eccessive, non del tutto necessarie, costose e controproducenti. L'Invalsi è sicuramente parte di questa burocrazia e gerarchia.
Quanto ci costa l'Invalsi. Si hanno solo stime, non cifre precise, che vanno dai 9 ai 20 mln di euro/anno (9) oppure dai 15 ai 23 mln di euro/anno (10). Queste cifre sono relative alle spese dirette a carico dell'Invalsi, non comprendono cioè le spese vive a carico delle scuole, né le spese occulte per il personale "prestato" gratis all'Invalsi, né per l'uso dei locali e nemmeno per le giornate sottratte alla didattica (cioè sia i giorni delle prove sia tutti gli eventuali altri tempi dedicati all'addestramento ai test).
Il ministro ha fretta. Profumo ha fretta solo per il Sistema Nazionale di Valutazione - di cui Invalsi è parte - e vorrebbe che fosse attuativo prima della fine del suo mandato. Le altre problematiche pur necessarie e vitali per la scuola, al momento, non godono della stessa attenzione (11).
Modelli esteri. Gli italiani - alcuni - nutrono un complesso di inferiorità e soggezione rispetto ai modelli esteri, per cui questi vengono emulati o copiati acriticamente "nel momento in cui i paesi sperimentatori li abbandonano" (12). Oppure anche molto dopo .... "con qualche decennio di ritardo" (13).
TINT, acronimo che sta per "Testing is not Teaching!", è la pagina facebook di cittadini Usa contrari all'uso degli "standardized tests" (14)
Roma, 29 gennaio 2013
Vincenzo Pascuzzi
“COLPISCINE UNO PER EDUCARNE CENTO...” LA MAGISTRATURA CONDANNA MARIO MILIUCCI A 2 ANNI E 6 MESI PER RESISTENZA...
Come antifascisti abbiamo sempre considerato la Resistenza un valore irrinunciabile e la pesante sentenza della 2° sezione del Tribunale di Roma contro Mario Miliucci -condannato a due anni e sei mesi per “resistenza”- ci sembra in sintonia con le logiche repressive che tendono ad “educare” con manganelli, arresti e condanne le giovani generazioni precarie che si affacciano alle lotte sociali.
La palestra di questa strategia del condannare e punire la abbiamo vista a Genova, con il comportamento delle “forze dell'ordine” nei confronti di una generazione in lotta contro la globalizzazione finanziaria e neoliberista, madre della crisi attuale. La mattanza nelle strade della città ligure, continuata alla DIAZ, negli ospedali e nel carcere di Bolzaneto sono state seguite da condanne abnormi di alcuni manifestanti per il reato -che sarebbe da abolire- di devastazione e saccheggio, figlio del fascista codice Rocco, sempre più spesso applicato, insieme alle denunce e agli avvisi orali, dalle questure, alle sentenze di alcuni magistrati contro l'opposizione sociale, mentre nessun autore materiale dei pestaggi e delle torture è stato individuato e condannato (in Italia non esiste il reato di tortura, né codici di identificazione degli agenti in servizio di PS).
La stessa logica dei due pesi e due misure e dei tentativi di intimidazione da parte degli apparati repressivi la vediamo in atto contro il popolo della Valsusa, la valle occupata militarmente dallo Stato per garantire spesa pubblica, interessi privati e devastazione ambientale.
Anche per i fatti del 15 ottobre 2011 a Roma, sono state comminate dalla magistratura pesantissime condanne e si è applicata una logica repressiva tipica degli anni '70 per cui basta essere vicini agli eventi per vedersi addossate accuse e condanne pesantissime, patrimonio del codice penale fascista: pensiamo alle condanne per “devastazione e saccheggio” solo per essere stati fotografati a transitare nei pressi di un blindato in fiamme.
La stessa logica punitiva ha funzionato per Mario Miliucci, che sembra essere l'unico “colpevole” di quella giornata di mobilitazione che il 14 dicembre 2010 vide sfilare a Roma decine di migliaia di studenti medi ed universitari, precari, metalmeccanici e terremotati dell'Aquila, contro la fiducia al governo Berlusconi. Infatti su oltre 20 arrestati Mario è stato l'unico condannato pesantemente, per il reato di “resistenza”.
Sarebbe gravissima la logica del capro espiatorio ed il fatto che la magistratura abbiacondannato, oltre alla resistente coscienza critica di Mario, anche il suo cognome, in una sorta di rappresaglia generazionale.
Le lotte contro la crisi attuale, non possono essere fermate con le intimidazioni poliziesche o le rappresaglie di alcuni magistrati, esprimiamo la piena e completa solidarietà e vicinanza a tutti e tutte coloro che lottano -impegnandosi e spesso pagando prezzi sempre troppo alti ed inaccettabili- per un altro mondo possibile.
CONFEDERAZIONE COBAS DI TERNI
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