La prassi sanzionata dai magistrati
L'aumento delle difficoltà organizzative connesso al riempimento delle cattedra a 18 ore a causa della cancellazione delle ore a disposizione, talvolta ha indotto i dirigenti scolastici a privare alcuni docenti del cosiddetto giorno libero. E cioè della distribuzione della prestazione di insegnamento in 5 giorni la settimana.
Tale soluzione, se adottata di comune accordo con il docente interessato, può considerarsi legittima altrimenti no. Il giorno libero, infatti, costituisce un vero e proprio diritto.
La fonte di tale diritto va rinvenuta in primo luogo nella consuetudine, della cui esistenza la stessa amministrazione fornisce prova tramite ben due citazioni in provvedimenti da essa stessa emanati: la nota prot.12360 del 25 agosto 2009 e l'art.7, comma 4 del decreto ministeriale 131/2007. L'esistenza del diritto si evince anche dalla lettura dell'articolo 2078 del codice civile che così dispone: «In mancanza di disposizioni di legge e di contratto collettivo si applicano gli usi.
Tuttavia gli usi più favorevoli ai prestatori di lavoro prevalgono sulle norme dispositive di legge». La Corte cassazione fin dal 1983 (sentenza n. 1279) ha interpretato questa disposizione stabilendo che l'uso aziendale consiste in una prassi seguita all'interno di un'impresa, riconducibile alla categoria degli usi negoziali. La prassi, sempre secondo l'avviso della Suprema corte, si inserisce nel contratto di lavoro individuale e ne integra il contenuto. E quindi ha forza vincolante per le parti, anche se deroga il contratto collettivo in senso più favorevole al lavoratore. Ciò vale per tutte le tipologie di personale docente, ivi compresa quella dei docenti di sostegno. Fin qui la legge e l'interpretazione del giudice di legittimità.
Quanto alle fonti negoziali, nella scuola il riferimento normativo è l'articolo 28 del vigente contratto di lavoro, che prevede, appunto, la possibilità di suddividere la prestazione in 5 giorni la settimana anziché 6.
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