Sospendere un insegnante perché
si rifiuta di interrompere la lezione sembra un paradosso degno di Lewis Carroll,
l’autore di Alice nel paese delle
meraviglie, ma a Terni succede proprio questo: il dirigente dell’Ufficio Scolastico
Regionale, Domenico Petruzzo, irroga il provvedimento disciplinare della
sospensione per 12 giorni dal servizio e dallo stipendio a un docente per essersi
rifiutato di interrompere la lezione per
controlli con cani antidroga in classe. L’insegnante è Franco Coppoli,
referente provinciale della Confederazione Cobas. L’esecutivo nazionale dei
Cobas della scuola ha deciso di patrocinare il ricorso davanti al giudice che
verrà presentato al Tribunale di Terni al termine del periodo di sospensione. A
fine marzo 2014 il docente, all’irruzione dei poliziotti in classe, senza alcun
mandato del magistrato, si era rifiutato di interrompere la lezione minacciando
gli agenti di denuncia per interruzione di pubblico servizio. L’U.S.R. a luglio
ha formalizzato il provvedimento che decorre dall’inizio dell’a.s.. dal 15 al
27 settembre.
Quello di interrompere la normale
attività didattica da parte della polizia (senza alcun mandato di magistrati)
per controlli con cani antidroga è un atto grave, indice del clima sociale e
politico nel nostro paese. Vengono alla mente gli stati di polizia, le
irruzioni nelle scuole dopo il colpo di stato in Cile o in Argentina o in quei
luoghi dove le forze di polizia si arrogano prassi autoritarie che ledono
profondamente i diritti civili, la libertà di insegnamento, le prerogative
democratiche, nonché la persona degli studenti. Infatti interrompere le lezioni
per imporre umilianti controlli
antidroga non porta risultati quantitativi tali che possano far pensare
che l’operazione serva a debellare spaccio o consumi. In realtà queste sono operazioni
repressive con connotazioni mediatico-intimidatorie: servono a “insegnare” agli
studenti che sono tutti potenziali criminali, controllabili e perquisibili in
ogni momento. Educare al controllo ed alla subalternità ecco l’intento, neppure
troppo nascosto, di queste operazioni-spettacolo che attaccano profondamente
l’essenza stessa del fare scuola: dell’educare in modo critico e non certamente
reprimere, sorvegliare e punire. Se infatti ci fossero (e non c’erano in questo
caso) comportamenti collegati all’uso di sostanze psicotrope, che fanno parte
dei processi comportamentali dell’adolescenza, quale dovrebbe essere la
risposta della scuola? Intervenire, anche tramite esperti, cercando di
affrontare il problema in un’ottica educativa oppure riempire gli istituti di
polizia e cani arrestando o prelevando adolescenti in possesso di qualche
spinello? E’ quello che Susanna Ronconi di Forum Droghe chiama un suicidio educativo: la scuola ed i
docenti così abdicano al proprio ruolo, alla propria professionalità per passare
dall’educazione alla repressione. Che senso ha proporre la scuola-carcere, la
scuola- riformatorio (come avviene già negli USA) in un momento in cui
alcuni
stati liberalizzano o legalizzano l’uso terapeutico o ricreativo delle droghe
leggere, in cui alcune sentenze della Corte costituzionale attaccano la ormai
ventennale e fallimentare “lotta alla droga” e hanno smantellato la legge
Fini-Giovanardi che ha solo riempito le carceri di tossicodipendenti garantendo
ampi profitti alle mafie. I COBAS si mobilitano a fianco di Franco Coppoli, patrocinano
il ricorso in tribunale, organizzeranno iniziative di formazione dei docenti, auspicano
la solidarietà dei colleghi, operatori del settore e genitori e la
mobilitazione degli studenti per il rispetto dei loro diritti.
La scuola è un contesto
educativo, non è un riformatorio dove si possono interrompere le attività
didattiche per il triste ed inutile spettacolo delle repressione.
COBAS, COMITATI DI BASE DELLA SCUOLA UMBRIA
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