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"Così spiavo i dipendenti Coop"

martedì 17 dicembre 2013 · Posted in , ,

da "libero"

Alberto R. è l’imprenditore milanese che ha collocato almeno una centrale d’ascolto per intercettare le telefonate dei dipendenti delle coop. Ha poi piazzato anche telecamere nascoste in diversi uffici e filtrato i colloqui registrati. Ed è stato regolarmente pagato dal colosso della distribuzione. Libero lo ha incontrato raccogliendo la sua inquietante confessione. Con una sola premessa: l’imprenditore ha chiesto di non apparire con il nome per esteso pur rendendosi disponibile a rendere ogni chiarimento all’autorità giudiziaria che dovesse contattarlo.
Di cosa si occupa la sua società?
«Sono titolare di un’azienda nel milanese che si occupa di tecnologie elettroniche e progettazione/installazione di sistemi di sicurezza. La collaborazione con Coop Lombardia ha avuto inizio nel 2004 allorquando sono stato contattato dal responsabile alla sicurezza, il signor Massimo Carnevali».
Perché venne contattato?

«Mi chiese la disponibilità di un’apparecchiatura atta alla registrazione di telefonate. Mi disse che Coop Lombardia voleva avviare un progetto pilota su un negozio da applicarsi successivamente a tutti gli altri, in cui ogni telefonata in entrata e in uscita relativa ai telefoni fissi fosse registrata».
Quindi fornì la centralina d’ascolto?
«Un attimo. Io dissi subito a Carnevali che disponevo di questi apparati idonei all’ascolto ma lo informai dei limiti legali inerenti l’applicabilità di tali registrazioni. Non è che uno può intercettare le telefonate dei dipendenti….».
E lui cosa le rispose?
«Che se fosse andato in porto tale progetto, prima di ogni conversazione telefonica avrebbero inserito un messaggio vocale che avvisava circa le registrazioni delle telefonate».
Questo le bastò?
«Sì, io fornisco gli apparecchi. Poi cosa ne fai sono affari del cliente. Quindi, chiariti i dettagli mi disse che il negozio scelto per il progetto pilota era il punto vendita Coop di Vigevano, chiedendomi il costo del noleggio di circa tre settimane. Considerata la possibilità di installare le mie apparecchiature in più di 50 negozi, dissi a Carnevali che qualora Coop avesse adottato tale sistema in tutti i propri negozi, per il solo progetto pilota, avrei concesso la mia apparecchiatura in comodato gratuito, al fine di verificarne l’affidabilità. Accertata la compatibilità tra le mie tecnologie e gli apparati telefonici del negozio di Vigevano, Carnevali mi comunicava che l’installazione avrebbe dovuto avvenire in orario notturano, così da non creare disagi alle operazioni di vendita».
Quindi è andato a piazzare la centralina per le intercettazioni al chiar di luna?
«Conservo tutte le agende e ho rintracciato la data del blitz. Era il 4 maggio del 2004, verso le 23.30 mi sono incontrato con Carnevali nel parcheggio del negozio Coop di Vigevano. Il capo della sicurezza telefonva all’istituto di vigilanza che gestiva l’allarme e disinserito lo stesso, apriva il negozio, facendomi entrare nell’ufficio ove avrebbe dovuto posizionarsi l’attrezzatura. Terminata tale operazione e effettuate le prove tecniche tra il telefono fisso e il portatile di Carnevali, si procedeva a reinserire l’allarme, allontanandoci».
E dopo?
«Ho rispettato l’accordo. Dopo tre settimane siamo tornati sempre in orario notturno in quel punto vendita con Carnevali e ho disinstallato l’apparecchiatura. Anche in questa occasione il responsabile coop disinseriva l’allarme e allertava la vigilanza. Carnevali mi chiese di trasportare tutto il traffico telefonico registrato su un cd che gli avrei dovuto recapitare. Dopo qualche giorno sono andato alla sede di coop Lombardia a Milano in viale Famagosta 75 e ho consegnato le intercettazioni a Carnevali insieme al programma per l’ascolto dei file. Mi fece attendere al bar sito al piano rialzato e lì gli consegnai il tutto».
Il progetto pilota come andò avanti?
«Carnevali mi disse che avrebbe dovuto partire dopo l’estate del 2005 e che prima di tale periodo sarei stato contattato dal loro ufficio acquisti. Nel dicembre del 2006 venni nuovamente contattato da Carnevali per un sopralluogo presso il suo ufficio in viale Famagosta. Lo stesso mi chiese una consulenza per installare una telecamera nascosta. Effettuai il sopralluogo che, memore della precedente esperienza, fatturai in data 11.1.2007, ma il preventivo da me predisposto, nonostante il pagamento della fattura, non venne mai preso in considerazione».
Forse avrà abbandonato l’idea di collocare la telecamera…
«O forse facevano fare a me delle prove per ottenere dei preventivi e confrontarli con qualcun altro. Nell’estate del 2007, ad esempio, rammento di aver effettuato un ennesimo sopralluogo presso l’ipercoop “la Torre” di Milano. In questa occasione il responsabile coop, tale signor Capogrosso, mi chiese un preventivo per installare telecamere nascoste in area vendita e in magazzino, finalizzate, così mi disse, eventuali dipendenti sleali. Fatturai subito l’attività di sopralluogo che mi fu regolarmente pagata ma anche in questo caso non venni più pagato per l’esecuzione dei lavori. Ebbi la sensazione che volessero come comparare i prezzi…».
E il progetto pilota, il cd con tutte le intercettazioni?
«Carnevali mi disse che il cd si sentiva male, era disturbato. Dato che l’apparecchiatura era stata schermata, era possibile che le linee telefoniche avessero creato delle interferenze che mediante un’idonea pulizia, avrebbero potuto essere eliminati. Comunicai a Carnevali le enormi tempistiche e i costi  che una simile attività avrebbe comportato ma lo stesso mi riferì di non avere fretta. Dopo qualche giorno mi recai alla sede  di Coop lombardia in viale Famagosta. Come da accordi attesi al solito bar l’arrivo di Carnevali per la consegna del cd. Il responsabile sicurezza arrivò insieme ad un’altra persona che mi veniva presentata come il signor Ferrè, dirigente di quel gruppo  (si tratta di un alto dirigente di Coop Lombardia, responsabile del patrimonio, già vice sindaco di Busto Arsizio in quota Pd, ndr)».
Ferrè era quindi il capo di Carnevali. Cosa le dissero?
«Ferrè mi chiese alcune notizie tecniche inerenti le bonifiche ambientali, informandomi che, a breve, ne avrebbe richiesto una per il suo ufficio e per la sala riunioni. Contestualmente Carnevali mi consegnava il cd riguardante la vicenda di Vigevano. Ricordavo a Carnevali e a Ferrè che avevo noleggiato l’apparecchiatura gratuitamente e che prima di iniziare qualsiasi attività di pulizia, ritenevo opportuno essere pagato per quanto già svolto. I due mi dissero di fatturare tutto a Coop lombardia. Mi dissero che non c’era alcun problema per il pagamento ma posero la condizione di indicare, come descrizione fattura, una semplice consulenza sugli impianti tvcc, altrimenti non l’avrebbero saldata».
Lei accettò?
«Ero obbligato per rientrare delle spese così feci la fattura che mi venne pagata. Tornando all’incontro il più preoccupato era comunque Ferrè che mi fece continue raccomandazioni sulla riservatezza di questi files. Me lo ricordo perché il dottor Ferrè ribadì più volte l’assoluto riserbo che rivestiva tale cd aggiungendo che era un lavoro molto delicato».
E la pulizia dei file con le intercettazioni?
«Solo lo scorso marzo sono riuscito a terminare l’attività di pulizia. Ho contattato Carnevali e gli ho consegnato il cd ripulito. Carnevali mi disse di aspettare la fine dell’estate per emettere la fattura perché doveva parlare con Ferrè per stabilire l’oggetto della stessa».
Quanto le deve coop?
«Per la pulizia delle telefonate, che sono quasi un migliaio, la fattura è di 280 mila euro».
Una cifra enorme.
«Sono lavori molto delicati, penso possa capire».

GARANTE DELLA PRIVACY: NO A VIDEOCAMERE O IMPRONTE DIGITALI NELLA SCUOLA

Quando si parla di scuola azienda, il concetto riguarda nello specifico anche l'applicazione di prassi, atti gestionali tipici proprio del settore aziendale. Il Garante della Privacy per l'ennesima volta è stato chiamato a pronunciarsi sul caso di telecamere e tecnologie biometriche all'interno di alcune scuole.
In data 30 maggio 2013 si è pronunciato con due provvedimenti, il primo riguarda un Liceo di Roma, il secondo una scuola di Martina Franca.

Con il provvedimento n. 261 del 30 maggio 2013 si affronta il caso che riguarda una segnalazione ove viene rappresentato che all'interno dell'istituto scolastico sarebbero presenti, senza che ne sia stato formalmente informato il personale, alcune telecamere installate in tempi successivi. Rispetto ad una di queste, installata nel maggio 2012, "nel corridoio dell'edificio corrispondente all'ingresso di via Montebello 122 […] da cui accede sia il personale docente, sia il personale ATA […] e dove sono ubicati gli uffici amministrativi […], la portineria, gli uffici di presidenza e di vicepresidenza nonché i bagni del pianoterra riservati al personale", "non sono state rese note né le ragioni della sua installazione, né l'orario in cui essa è attiva, né se vengano effettuate registrazioni, né chi sia a conoscenza delle password per accedere alle riprese o alle registrazioni […]. In prossimità dell'area videosorvegliata non sono stati apposti i dovuti cartelli di segnalazione. […] la videocamera, essendo collocata molto in alto, in posizione poco visibile, passa facilmente inosservata a coloro che attraversano o sostano nel corridoio".
Ulteriori telecamere, installate anteriormente al maggio 2012, "effettuano riprese di alcune aree dell'istituto frequentate da studenti durante il periodo di apertura del medesimo".

Insomma una scuola a dir poco sotto stretta videosorveglianza.
Il Garante rileva che il trattamento effettuato mediante il menzionato sistema di videosorveglianza, essendo idoneo a riprendere anche gli studenti che frequentano l'istituto, non risulta conforme a quanto stabilito dal Garante, in particolare, al punto 4.3 del menzionato provvedimento generale in materia di videosorveglianza dell'8 aprile 2010, atteso che (anche alla luce della previsione di cui all'art. 2, comma 2, d.P.R. n. 249/1998), in ambito scolastico l'utilizzo di sistemi di videosorveglianza deve ritenersi ammissibile solo "in casi di stretta indispensabilità, al fine di tutelare l'edificio ed i beni scolastici da atti vandalici, circoscrivendo le riprese alle sole aree interessate ed attivando gli impianti negli orari di chiusura degli istituti; è vietato, altresì, attivare le telecamere in coincidenza con lo svolgimento di eventuali attività extrascolastiche che si svolgono all'interno della scuola".

Ma nella detta scuola esisteva anche un sistema di tecnologia biometrica volto a controllare il rispetto dell'orario di lavoro dei dipendenti. Ed il Garante ha specificato che “Il titolare del trattamento, infatti, allo scopo di verificare il puntuale rispetto dell'orario di lavoro ben può disporre di altri (più "ordinari") sistemi, meno invasivi della sfera personale nonché della libertà individuale del lavoratore, che non ne coinvolgano la dimensione corporale. Aspetti, questi, costitutivi della dignità personale, a presidio della quale sono dettate le discipline di protezione dei dati personali, come emerge dall'art. 2 del Codice (cfr. Provv. del 31 gennaio 2013 n. 38, doc. web n. 2304669). I sistemi basati sull'utilizzo di tecnologie biometriche, infatti, possono operare solo con l'attiva collaborazione personale dei lavoratori interessati in assenza di puntuali disposizioni che la impongano (v anche Gruppo art. 29, WP193, Parere 3/2012, cit., p. 12, secondo cui "il datore di lavoro è sempre tenuto a cercare i mezzi meno invasivi scegliendo, se possibile, un procedimento non biometrico").Infine, con riguardo al personale docente, anche nella giurisprudenza di legittimità, non essendo state rinvenute, quanto alle modalità di rilevazione delle presenze, puntuali previsioni né di fonte legale né contrattuale (v. in tal senso Cass. civ., Sez. lav., 12 maggio 2006, n. 11025), si è ritenuto che la verifica della presenza in servizio debba essere effettuata attraverso strumenti diversi (quali, la compilazione dell'apposito foglio firme ovvero del registro di classe)”.

Principi che verranno ribaditi con il provvedimento n. 262 del 30 maggio 2013 che ha riguardato l'Istituto Tecnico Industriale "Ettore Majorana" di Martina Franca. l'Istituto ha dichiarato di aver installato il sistema in esame( biometrico) ritenendo inidonei strumenti di controllo delle presenze alternativi (ad esempio il badge individuale) in vista della "necessità di prevenire […] condotte abusive" (indicate nel possibile "scambio dei badge e nello smarrimento degli stessi", eventi peraltro non equiparabili), eventualità rappresentate dal titolare del trattamento in termini astratti ed ipotetici. Non sono stati addotti invece circostanziati elementi, strettamente rapportati alla specifica realtà lavorativa (quali, ad esempio, circostanze di fatto concernenti il personale tali da ostacolare un'agevole verifica della corretta esecuzione delle prestazioni lavorative), da cui si possa effettivamente arguire l'inidoneità di ordinarie misure di controllo e, correlativamente, la reale indispensabilità del trattamento dei dati biometrici dei lavoratori per la finalità suindicata. Al contrario, risulta che, a fronte del verificarsi di casi di allontanamento dal luogo di lavoro o di ritardo nel prendere servizio, l'Istituto sia stato in condizione di contestare addebiti disciplinari nei confronti di due dipendenti (senza precisarne l'esito), provvedendo a segnalare i casi all'autorità giudiziaria.

Il Garante rileva che “Il titolare del trattamento, infatti, allo scopo di verificare il puntuale rispetto dell'orario di lavoro ben può disporre di altre (più "ordinarie") misure, meno invasive della sfera personale nonché della libertà individuale del lavoratore, che non ne coinvolgano la dimensione corporale. Aspetti, questi, costitutivi della dignità personale, a presidio della quale sono dettate le discipline di protezione dei dati personali, come emerge dall'art. 2 del Codice (cfr. Provv. del 31 gennaio 2013 n. 38, doc. web n. 2304669). I sistemi basati sull'utilizzo di tecnologie biometriche, infatti, possono operare solo con l'attiva collaborazione personale dei lavoratori interessati in assenza di puntuali disposizioni che la impongano (v. anche Gruppo art. 29, WP193, Parere 3/2012, cit., p. 12, secondo cui "il datore di lavoro è sempre tenuto a cercare i mezzi meno invasivi scegliendo, se possibile, un procedimento non biometrico" (cfr.)”.
Con riguardo al personale docente, anche nella giurisprudenza di legittimità, non essendo state rinvenute, quanto alle modalità di rilevazione delle presenze, puntuali previsioni né di fonte legale né contrattuale (v. in tal senso Cass. civ., Sez. lav., 12 maggio 2006, n. 11025), si è ritenuto che la verifica della presenza in servizio debba essere effettuata attraverso strumenti diversi (quali, la compilazione dell'apposito foglio firme ovvero del registro di classe).
Ma sarebbe possibile ricorrere all'utilizzo di un simile sistema invasivo per il “ controllo degli accessi in aree del medesimo nelle quali sia custodita documentazione riservata od attrezzature di particolare valore (circostanza rispetto alla quale, in base alla documentazione in atti, non sono stati peraltro forniti concreti elementi di valutazione, né indicate le porzioni di edificio eventualmente interessate da tale specifica esigenza)”.

 

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