A leggere quella dichiarazione del Sindaco di Terni sull’incontro tenutosi a Roma presso il MIUR, sul futuro del polo universitario, sembra quasi che tutto sia risolto, che non ci siano più problemi e che alla fine la città, le istituzioni e tutti gli attori che dovevano portare gli interessi di questa città in quel consesso, siano tornati vincitori. Naturalmente non prima di aver dovuto affrontare una dura e sanguinosa battaglia!
A nostro parere non è così, ed ecco il perché:
Si parla oggi di un polo universitario con “4 pilastri” (vedi l’articolo del corriere dell’Umbria del 9 giugno). Un polo didattico che dovrebbe avere nei suoi punti saldi le facoltà di medicina, quella di ingegneria industriale e quella di economia e commercio, dovendosi escludere quella di scienze dell’investigazione che non è configurabile come una vera e propria facoltà universitaria, ma come un master post-universitario. Niente da fare per la facoltà di scienze e tecnologie della produzione artistica (il cosiddetto “DAMS” con sede a Maratta) e per la facoltà di scienze politiche, che probabilmente perderà il biennio della specialistica e che quindi è destinata ad una più lunga e dolorosa agonia.
E così a Terni resteranno queste tre facoltà. Chiamarlo “polo didattico” a questo punto sembra quasi una presa in giro. Sulla vicenda della facoltà di medicina si potrebbe parlare per ore, ma basterà accennare al fatto che si tratta di una facoltà a numero chiuso, e che quindi obiettivamente non potrà certo accogliere una gran massa di studenti. Sarà cospicua invece la somma necessaria alla manutenzione della stessa, che probabilmente ricadrà sulle spalle di Regione e Comune. L’università quindi se ne lava le mani, accettando gli onori, e lasciando gli oneri ad altri.
Resta il fatto che a tutt’oggi, eliminare o anche solo limitare lo sviluppo di questa facoltà non avrebbe avuto granché senso, soprattutto dopo le note vicende legate all’inaugurazione della stessa, e tutti i soldi spesi per la sua realizzazione.
Nulla da eccepire neanche sulle altre due facoltà – quella di ingegneria e quella di economia e commercio – che restano pur dovendo aggiustare il tiro, in funzione di un taglio netto dei finanziamenti che non lascia certo spazi per progettare uno sviluppo e un adeguamento a quelle che sono le necessità e le “vocazioni” – come cita l’articolo del corriere – di una città che ancora oggi conta sull’industria media e piccola e su un tessuto produttivo che continua a ruotare intorno all’acciaieria e al suo indotto. Come leggere altrimenti le scelte operate? Poco importa se l’industria – e quindi il suo indotto – sono profondamente in crisi ormai da anni, se le fabbriche e gli stabilimenti chiudono e se la grande produzione si sposta in cerca di costi minori e di minori vincoli (ambientali, sociali, politici). Sono anni che la politica assiste sorda (e purtroppo muta) a questa crisi, senza che nessuno si azzardi a dire che il re è nudo! Ricordo ancora i manifesti elettorali in cui l’operaio, le acciaierie, la “classe lavoratrice” interpretata da una fantomatica “tuta blu” compariva a destra e a manca. “Qui si fa l’acciaio, mica la cioccolata!”
Si potrebbe obiettare che Terni non sarà certo in grado di assorbire tutti questi medici, questi commercialisti e questi ingegneri, ma dubito che lo scopo di questa riforma sia quella di garantire maggiori possibilità occupazionali per gli studenti universitari del polo ternano. Semmai è vero il contrario: garantire alle imprese la presenza di risorse umane specializzate da poter impiegare soprattutto nell’industria e nei servizi ad essa collegati.
Sparisce, per esempio, qualsiasi possibilità di formazione nelle cosiddette “scienze umane”. Spariscono scienze della formazione e scienze politiche, come dicevo prima, è destinata ad una lenta agonia (chi volete che si iscriva ad una facoltà dove non sarà possibile terminare i 5 anni di corso?). Sparisce soprattutto qualsiasi condivisione rispetto allo sviluppo di questa città, su quello che Terni vorrà diventare per i giovani e per quanti non vogliano continuare questa sorta di accanimento terapeutico nei confronti di un polo industriale ormai ridotto a simulacro di se stesso, buono solo a produrre poca occupazione e molti (troppi) disastri, umani ed ambientali.
Nessuna considerazione per l’arte, la creatività, la politica. Finita nel dimenticatoio l’esperienza di Papigno quale possibile volano allo sviluppo di un centro di produzione cine televisivo, sparito qualsiasi accenno alla possibilità di sfruttare la facoltà di scienze politiche per cominciare a “leggere” questa realtà sociale in veloce cambiamento, si rincorre adesso il trend del momento: il “liceo musicale”: una sorta di “Amici” di Maria de Filippi, ma senza le telecamere di mezzo e con gli scrutini al posto delle “nomination”.
Questo dunque il quadro che si ricava dalla lettura dei vari comunicati.
Dove sarebbe il successo quindi? Dove la “vittoria”? Ma soprattutto, dove starebbe il progetto per il futuro? Diciamocelo chiaramente: questa si chiama sopravvivenza: per non far andare tutto a rotoli, sono stati operati tagli da macellaio!
Terni non ha mai avuto e mai avrà un “polo universitario”. Terni ha la sede di un paio di facoltà dell’Università di Perugia, che magnanimamente e paternalisticamente, ci elargisce un obolo e ci concede di partecipare al banchetto della sapienza e dell’intelligenza. Nessuno sviluppo, nessun progetto. Un paio di facoltà che servono solo ed esclusivamente agli interessi degli imprenditori, dell’industria e degli interessi che ruotano attorno ad essi. Si tira a campare, insomma.
Basterebbe poi fare due conti, per poter capire tante realtà che scaturiscono da questa situazione: la mancanza di una seria progettazione in ambito culturale a Terni, la totale assenza di una politica per l’occupazione e lo sviluppo, la drammaticità delle politiche ambientali, le tragiche carenze nelle politiche di integrazione, il disagio giovanile che assume forme sempre più violente e a cui nessuno è in grado di rispondere se non in termini di repressione e controllo.
Del resto, basta leggere i quotidiani per rendersi conto che questa città sta lentamente ed inesorabilmente scivolando in un pantano culturale ed intellettuale senza precedenti: Terni sta diventando una città vecchia, decrepita! Badate bene, non è vecchia perché si alza l’età media dei suoi abitanti. Terni sta diventando vecchia perché non progetta più nulla per il futuro, perché finisce sempre per appoggiarsi a qualcuno o a qualcosa, perché non si interessa più ai suoi giovani, e perché alla fin fine, cerca di saziarsi oggi, senza stare troppo a preoccuparsi di cosa si porterà a tavola domani.
CONFEDERAZIONE COBAS