Il Ministro Fioramonti sotto dettatura di Renzi e PD: INVALSI obbligatori alla maturità

I test INVALSI diventano obbligatori per l’ammissione alla maturità. Insieme all’alternanza scuola lavoro, per sostenere l’esame di Stato, gli studenti dovranno aver svolto obbligatoriamente i test INVALSI in Italiano, Matematica e Inglese. Fioramonti e i 5 Stelle sigillano, così, la definitiva  costruzione di un sistema di valutazione unico nel suo genere. Con 1 solo test in Italia si pretende di poter valutare tutto”: qualità dell’ insegnamento, dirigenti scolastici, scuole e ogni singolo studente. “Dati per tutti, per non lasciare indietro nessuno”, scrive l’INVALSI, auto-attribuendosi una funzione di alto valore civile e sociale: censire per “il sistema paese” l’adeguatezza dei livelli di apprendimento di tutti gli studenti italiani. Cosa che finora ha sempre fatto la scuola, nell’incontro e nella relazione viva e imperfetta dell’insegnamento e dell’apprendimento, umiliata tuttavia da una propaganda ventennale e politicamente trasversale.  La valutazione “oggettiva” ed eterodiretta appare oggi indispensabile: gli studenti devono fare i test, e li devono fare per forza. Si supererà così l’annoso problema del confronto esiti Nord-Sud, dovuto ad un “approccio più generoso ed estensivo” ai voti di “alcune regioni“. Col tempo, in maniera del tutto autoreferenziale e sottratta al qualsiasi dibattito o responsabilità pubblici, l’INVALSI ha costruito nel senso comune il suo ruolo di ente che definisce lo standard dell’apprendimento (e dell’insegnamento).  Per ora solo Italiano, Matematica e Inglese. Più avanti, chissà. Tocca al Ministro Fioramonti firmare l’atto finale di un progetto di lungo corso che nei fatti smantella il sistema di credenziali educative pubbliche, finora storicamente appannaggio dello stato. Il ministro innovatore del Movimento 5 Stelle chiude la parabola iniziata dai governi della ministra Gelmini e tenacemente perseguita dal PD. Nessun cambio di rotta o rinnovamento, solo subalternità culturale.
Fioramonti: “Test Invalsi e alternanza obbligatori
per la maturità: lo vogliono Pd e Italia Viva”

(il Manifesto, 26.11.2019)
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I test INVALSI diventano obbligatori per l’ammissione alla maturità. Dalla pubblicazione della circolare del 25 Novembre da parte del Ministro Fioramonti, che fornisce indicazioni sullo svolgimento degli esami di Stato del prossimo anno, apprendiamo che:
ai fini dell’ammissione dei candidati interni all’esame di Stato dell’a.s. 2019/2020, si verifica, oltre al requisito della frequenza scolastica e del profitto scolastico, anche il requisito della partecipazione, durante l’ultimo anno di corso, alle prove a carattere nazionale predisposte dall’INVALSI e quello dello svolgimento delle attività programmate nell’ambito dei percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, secondo il monte ore previsto dall’indirizzo di studi.
Insieme allo svolgimento dell’Alternanza Scuola Lavoro (che i parlamentari di Italia Viva vogliono far tornare al vecchio monte ore previsto dal governo Renzi) oggi ribattezzata con un acronimo impronunciabile (PCTO), anche lo svolgimento dei test diventa obbligatorio per gli studenti che affronteranno i prossimi esami.
A 11 anni dal “progetto INVALSI” elaborato per la ministra Gelmini dagli economisti Checchi, Ichino e Vittadini e a 2 dal decreto sulla valutazione della Buona Scuola (D.lgs. 62/17), Fioramonti e i 5 Stelle sigillano la costruzione compiuta di un sistema di valutazione individuale e censuario degli apprendimenti degli studenti, unico nel suo genere.
da https://www.pietroichino.it/?p=900
Con 1 solo test, in Italiano, Matematica e Inglese l’INVALSI pretenderebbe, di fatto, di  “valutare tutto”:  qualità dell’insegnamentodirigenti scolasticiscuole e singoli studenti.
Ma c’è di più. Pur di giustificare esistenza e costi di un Sistema Nazionale di Valutazione che svolge al ribasso (1 prova, tutte le inferenze possibili e immaginabili) quanto  oggi viene messo in discussione nei paesi degli high stakes test, l’INVALSI elabora ciclicamente costrutti o indicatori che rendano mediaticamente visibile e semplicisticamente percepibile come di estrema rilevanza  la sua attività (scientifica, ahinoi).
E’ opinione comune che l’INVALSI oggi sia in grado di misurare non solo le “competenze”, ma anche la “povertà educativa”, il valore aggiunto (“effetto scuola”) e addirittura ora la “dispersione implicita”:
ovvero, quel costrutto che, tautologicamente, ti indica che se hai superato il test INVALSI con un punteggio al di sotto della soglia che INVALSI ha stabilito come adeguata, allora sei implicitamente un analfabeta funzionale[1].
Proprio nel recente editoriale del responsabile Area Prove, Dr. Roberto Ricci, del 15 Novembre scorso, leggevamo le ultime, fervide sollecitazioni al Ministro Fioramonti, impegnato intanto nella sua battaglia per l’educazione alla sostenibilità nelle scuole, affinché le prove diventassero obbligatorie.
La retorica oramai consolidata è quella americana del “non resti indietro nessuno” e del “test come strumento di equità”. Il test INVALSI uguale per tutti e “somministrato” a tutti sarebbe uno strumento di giustizia sociale di per sé. Come se dati numerici degli esiti dei test – accumulati ormai da anni e anni di rilevazioni – mettessero in luce per il solo fatto di esistere, la presenza intere fasce di popolazione studentesca che resta indietro.
Ma oggi non basta. Non solo dati raccolti e uguali per tutti, ma anche obbligatori.
La giustificazione ecumenica per l’obbligatorietà è sempre la stessa.
L’INVALSI, che tuttavia non svolge servizi pro bono, si (auto)attribuirebbe una funzione di alto valore civile e sociale: quella di censire per “il sistema paese” l’adeguatezza dei livelli di apprendimento degli studenti, il cui percorso viene monitorato (e registrato) passo passo, per poi essere certificato sulla base di 5 livelli in occasione degli esami di stato (I e II ciclo).
In altre parole l’INVALSI col tempo e in maniera del tutto autoreferenziale – con ampio supporto politico e mediatico – ha costruito nel senso comune il suo ruolo e la sua funzione di ente che definisce lo standard dell’apprendimento  -e dunque dell’insegnamento –  in quelle che la normativa internazionale chiama competenze di cittadinanza. Per ora solo Italiano, Matematica e Inglese. Più avanti, chissà.
Tuttavia il servizio reso funziona solo se tutti gli studenti partecipano alle prove, cosa che fino ad oggi non accade, specie nel Mezzogiorno.
Per questo l’INVALSI – anche a seguito dell’inaspettato rinvio del requisito di obbligatorietà  per ammissione all’esame operato da Bussetti l’anno scorso – ha realizzato “una campagna di informazione capillare, incontrando tutti i dirigenti scolastici del Paese”, per  promuovere i test presso i ranghi di comando gerarchici delle Buone Scuole del paese.
Qui sotto il video di una conferenza svolta proprio in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia (febbraio 2019):



Nel video il dirigente INVALSI afferma esplicitamente che:
l’obiettivo è quello di restituire degli esiti per livelli di competenza in relazione alle indicazioni nazionali o linee guida, a seconda degli indirizzi di studio [..] Cioè associare ad un risultato un’ indicazione scientificamente robusta di ciò che lo studente sa fare.”
Non solo dunque la pretesa di certificare ciò che sa in limitati ambiti, o un ristretto numero di abilità, ma addirittura quella di misurare scientificamente cosa uno studente sa fare.
Questo consentirebbe di risolvere l’annosa querelle voti maturità- esiti dei test:
Ogni anno puntuale come le tasse entro la fine di luglio esce l’articolo sui maggiori quotidiani di Italia che ci dice che Lombardia Emilia e Veneto messe insieme non riescono ad attribuire il numero di lodi che attribuisce una sola regione del mezzogiorno. Con il fatto che le tre regioni citate rappresentano più di un terzo della popolazione. [..]
A settembre, poi [..] l’articolo che ci dice che NELL’AMMISSIONE agli atenei italiani l’esito si capovolge. C’è un problema che non è solo di sistema, ma del singolo individuo. Soprattutto se ha meno strumenti interpretativi.
 Se io sono un ragazzino che frequenta la scuola in una di quelle regioni in cui c’è un approccio più generoso ed estensivo (diciamola così) nell’attribuzione dei voti, il primo ad essere danneggiato sono io.
Se i miei genitori non hanno gli strumenti per capire che a quel 100 e lode non corrisponde un livello di competenze che mi potrei aspettare da quel 100 e lode, se la mia scuola, i miei professori mi hanno detto così, perché non devo pensare di essere da 100 [..] Poi mi trovo a settembre con l’ammissione al Politecnico e scopRo e che anche quelli che hanno 75 o 85 hanno chances maggiori delle mie [..]
Una volta uscito dalla scuola, le chiacchiere sono a zero.
In queste dichiarazioni è condensata magnificamente e brutalmente la logica del sistema di misurazione INVALSI  e l’idea di scuola che esso sottende; idea che tutti i ministeri che si sono succeduti, dall’autonomia scolastica in avanti, hanno confermato e contribuito ad implementare.
La scuola come un vantaggio competitivo del singolo, la scuola come puro “segnale” per il mondo esterno.
Una volta usciti dalla scuola le chiacchiere stanno a zero, dice il dirigente Ricci, come a dire:
la vita vera, quella del mercato (universitario o lavorativo), deve disporre di un segnale credibilestandardizzato e comparabile. Ecco perché le valutazioni degli insegnanti – le “chiacchiere” – vanno screditate puntualmente a picconate anno dopo anno, con un lavoro di propaganda accurato e artatamente scandalizzato.
Ecco perché tutti gli studenti devono svolgere i test, e dovranno farlo per forza.
Tocca al Ministro Fioramonti firmare l’atto finale di un progetto di lungo corso, che smantella il sistema di credenziali educative pubbliche, finora storicamente appannaggio dello stato. Un atto finale di quel processo di destatalizzazione che ha trasformato l’istruzione da funzione dello stato a servizio al cittadino e che dall’autonomia scolastica potrebbe condurci dritti all’autonomia differenziata e alla frammentazione in tanti sistemi educativi regionali, di cui lo Stato sarà garante solo per le funzioni essenziali. Tra i Livelli Essenziali delle Prestazioni, i LEP di cui tanto si parla ultimamente, ci saranno presumibilmente i Livelli Base degli apprendimenti decisi e misurati dall’INVALSI, sedicenti standard delle competenze; stabiliti da un ristretto gruppo di tecnici – esperti, sottratto ad ogni vincolo di rappresentatività e di responsabilità pubblica. A quel punto, una volta garantite le “funzioni base” dal governo centrale e la “raccolta dati” dai sacerdoti della valutazione INVALSI, la sola responsabilità degli esiti sarà della scuola pubblica e dei suoi lavoratori. Con tutte le conseguenze che da ciò deriveranno.
Tocca al ministro innovatore del Movimento 5 Stelle chiudere la parabola iniziata dai governi dalla ministra Gelmini e tenacemente perseguita dal PD. Nessun cambio di rotta o rinnovamento, solo subalternità culturale.
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[1] R. Ricci, “La dispersione scolastica implicita”, ottobre 2019.  https://www.invalsiopen.it/wp-content/uploads/2019/10/Editoriale1_ladispersionescolasticaimplicita.pdf

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