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15 FEBBRAIO 2014: TERNI ANTIFASCISTA RESPINGE I VITTIMISTI DELLE FOIBE NELLE FOGNE

Sabato 15 Febbraio 2014 centinaia di Antifascisti hanno presidiato il Comune di Terni impedendo che qualche decina di neofascisti, con la scusa delle foibe, concludessero lì la loro pantomima vittimistica in ricordo di presunti martiri delle foibe.
Da tempo, denunciamo che la scellerata autorizzazione da parte del Comune alla “Via delle vittime delle foibe” avrebbe offerto il cavallo di Troia per  la presenza dei neofascisti in città.
E così è stato anche quest’anno, ma la risposta di centinaia di Antifascisti di tutte le età e di tante organizzazioni politiche e sociali ha impedito che la conclusione della parata neofascista, con tanto di striscione nero, arrivasse sotto il Comune.
Questi figuri si sono incontrati nel posto che è loro più consono: le fogne (il parcheggio sotterraneo di via Guglielmi) e sono rimasti in mezzo al traffico.
Da anni, come Rete Antifascista Ternana garantiamo l’agibilità democratica della nostra città, nello spirito della nostra Costituzione e delle radici operaie ed antifasciste di Terni: ricordiamo la contestazione all’aviosupeficie, che ha respinto il tentativo neofascista di mettere piede in città, così come la risposta contro i tentativi di denigrare la memoria della Brigata partigiana Gramsci, dei Partigiani che liberarono queste zone dalla canaglia fascista e continuarono la lotta nel battaglione “Piacenza” e di sdoganare personaggi come Merlino (implicato nella strategia della tensione e nella strage di Piazza Fontana) o i criminali della X MAS.
I fascisti erano criminali e torturatori non troppo differenti dalle bestie naziste: durante l’occupazione fascista delle terre del confine orientale Roatta ordinava di applicare la rappresaglia “Una testa per un dente” mentre Rebotti affermava “Qui si ammazza troppo poco”, per non parlare dei gas in Etiopia o delle stragi di civili in Libia.
Si è cercato di costruire la falsa immagine di “Italiani brava gente”,  ma è solo una misera mistificazione nazionalitaria: i neofascisti (in buona compagnia) cercano, inutilmente, di rovesciare la Storia facendo un pietoso vittimismo o una sorta di ribaltamento delle responsabilità e questo è paradigmatico nell’operazione di falsificazione strumentale sulle foibe.
L’Antifascismo conosce la storia, non accetta la logica della memoria condivisa e sa quali e quante responsabilità ed atrocità ha commesso il regime, appoggiato dal potere politico e da quello economico degli agrari e della grande industria contro gli Antifascisti ed il Movimento operaio e contadino.
Proprio in questo momento di crisi del sistema capitalistico va amplificata la vigilanza antifascista, per evitare quello che successe dopo la crisi del ’29.
A Terni operaia nessuno è straniero.
Anche durante il ventennio nel Ternano vi furono forme di resistenza contro la dittatura fascista.
Papigno, Marmore, Piediluco e la Valnerina sono stato i territori in cui il fascismo non è passato e da cui è partita la Resistenza armata che lo ha sconfitto; ancora oggi da Terni parte una sola voce unita e decisa:
IL FASCISMO NON PASSERÀ.
La RAT dà appuntamento a tutte/i Lunedì, 24 Febbraio 2014, alle ore 9, davanti al Tribunale di Terni, in Corso del Popolo, per il presidio in solidarietà degli Antifascisti processati per la manifestazione all’aviosuperficie.
Abbiamo la memoria lunga e vogliamo che Terni sia una città aperta a tutte le diversità e che nessuno possa neanche pensare a violenze omofobe e razziste, su cui la Destra cucina il suo torbido brodo di coltura.

COBAS DELL’UMBRIA 16 Febbraio 2014

Fascisti in marcia su Terni:Mai Più, Terni è ANTIFASCISTA

venerdì 14 febbraio 2014 · Posted in , ,


è notizia di pochi giorni fa che i fascisti di Casapound stanno organizzando un corteo che attraverserà le vie di Terni il prossimo 15 Febbraio 2014 per la commemorazione delle vittime delle Foibe. Anche se una situazione analoga si è verificata l’anno scorso, questa volta la questione ha una sua specifica particolarità: è la prima manifestazione indetta pubblicamente! Mentre negli anni passati erano costretti ad uscire solo all’ultimo secondo, quasi di nascosto, per la paura di essere contestati o fermati, e facendo appello al loro giro di camerati dei nuclei del centro Italia che accorrevano a portare supporto numerico, questa volta escono liberamente con giorni di anticipo, convinti di aver addomesticato una città che fino a ieri vantava una memoria ancora lucida.
Il tentativo che sta mettendo in atto Casapound è quella di utilizzare i morti come cavallo di troia per entrare in una città che ha sempre ripudiato ideologie intolleranti come la loro. Il processo di mimetizzazione delle loro camice nere va avanti da anni nella città di Terni, strumentalizzando tematiche largamente condivise, al solo fine di non poter essere attaccati nel merito. Mentre pubblicamente regalano pasta, denunciano degrado e difendono gli animali rinchiusi nei circhi, lontano dalle telecamere e ben coperti dalla notte manifestano la loro vera natura. Bombe carta, lettere minatorie e minacce contro chi si professa antifascista in questa città, sono solo alcune delle azioni che hanno come protagonisti questi squadristi del terzo millennio.
Il tema delle Foibe è il miglior modo per riuscire ad entrare indisturbati in città. Da sempre infatti, la tragedia Istriana viene utilizzata in modo strumentale dalle destre italiane per riuscire a riscattare la loro coscienza politica: equiparando vittime delle Foibe a quelle dell’olocausto, farcendo tutto con politiche contro la resistenza partigiana e retoriche nazionaliste che vedono noi Italiani passare magicamente dalla parte di vittime innocenti, dimenticando che siamo stati prima di tutto carnefici. La storia va raccontata tutta e non solo la parte che fa comodo ai nostalgici bisognosi di riscatto storico. Nel giorno del ricordo noi ricordiamo si, ma RICORDIAMO TUTTO. Per questo aderiremo all’iniziativa promossa dall’Anpi presso Palazzo Primavera, lo stesso 15 Febbraio 2014 alle ore 16.00, per raccontare la storia delle Foibe e delle popolazioni del confine orientale.
Oltre a contestare la “scusa” che questa volta li porta ad uscire dalle fogne, ribadiamo il concetto che è impensabile lasciare libero di marciare su Terni un gruppo che si dichiara apertamente “Fascista del Terzo Millennio”. Terni ha già manifestato, a livello istituzionale, di non voler avere nulla a che fare con i nostalgici del ventennio. Con una delibera il comune ha vietato ai gruppi nostalgici di utilizzare spazi pubblici per le loro iniziative, poiché figli e nipoti delle stesse ideologie che hanno portato l’Italia al regime, alla guerra e alla miseria. Nonostante questo verrà permesso loro di marciare per le vie del centro.
La Rete Antifascista Ternana (RAT) chiede che venga fatta rispettare la delibera comunale contro le nuove formazioni fasciste, ma contemporaneamente, non resteremo a guardare con le mani in mano.

L’appello è per tutti i cittadini che si riconoscono nei valori della Resistenza, dell’antifascismo, antisessismo, antirazzismo e contro l’omofobia:

CASAPOUND FUORILEGGE CE LA METTIAMO NOI

Sabato 15 Febbraio 2014
Presidio a Piazza della Repubblica dalle ore 17.00

-Rete Antifascista Ternana-

Palatucci: la bufala del buon poliziotto che salva gli ebrei dall'olocausto

la targa della vergogna e della menzogna
Giovanni Palatucci, definito erroneamente "ultimo questore" (?) di Trieste e salvatore di centinaia di ebrei durante il fascismo era fascista e non ha salvato nessuno anzi  sarebbe stato «un volenteroso esecutore delle leggi razziali»
Questo personaggio ha rappresentato, una decina di anni fa, l'alibi per le forze dell'ordine, che collaborarono attivamente alle leggi razziali, all'arresto e alla deportazione di ebrei e prigionieri politici verso i campi di sterminio e di concentramento nazi-fascisti e all'olocausto. 
Durante l'occupazione tedesca di Fiume, Palatucci continuò a lavorare all'Ufficio Stranieri, aggiornando i censimenti degli ebrei, diventando poi reggente della questura
Quella di Palatucci è una bufala che offende la storia e le vittime dell'olocausto e delle stragi nazifasciste.
A Terni c'è viale Palatucci proprio nel parco pubblico della "passeggiata". A Polino gli hanno appena dedicato una piazza.
Chiediamo di cancellare la vergogna di una via dedicata ad un "poliziotto italiano [che] sarebbe stato «un volenteroso esecutore delle leggi razziali».

ecco un articolo uscito il 2 luglio sul manifesto
Palatucci IL MITO SFATATO GIUSEPPE GALZERANO 
Non salvò 800 ebrei e non distrusse 5 mila fascicoli, il centro Primo Levi di New York fa a pezzi la leggenda del poliziotto fascista, di stanza a Fiume, considerato lo «Schlinder italiano»
Il monumento crolla. Costruito con l'argilla della leggenda e non con il cemento della documentazione storica, il mito di Giovanni Palatucci, l'ex poliziotto fascista irpino (era nato a Montella nel 1909), ubbidiente esecutore degli ordini e osannato salvatore di migliaia di ebrei, non ha retto alle necessarie e inevitabili verifiche della ricerca e della storia e pare addirittura che abbia contribuito alla deportazione degli ebrei. È quanto emerge da un'accurata e lunga ricerca promossa dal Centro «Primo Levi» di New York che, sulla base della documentazione rinvenuta, approfondisce e chiarisce il divario esistente tra l'agiografia ufficiale del poliziotto santificato e la storia delle persecuzioni antiebraiche a Fiume e nel Carnaro. Un vasto gruppo interdisciplinare di ricercatori - coordinati da Natalia Indrimi, direttrice del Centro «Primo Levi» - ha raccolto, consultato, studiato e setacciato oltre seimila documenti provenienti da numerosi archivi. La ricerca ha consentito di portare alla luce quello che potremo definire come l'imbroglio Palatucci.
Tutto comincia nel 1952, sette anni dopo la sua morte per tifo nel campo di concentramento di Dachau, avvenuta il 9 o 10 febbraio 1945. È in quell'anno che lo zio Giovanni, vescovo di Campagna (Sa), inoltra una petizione al ministero degli Interni sostenendo - senza alcuna documentazione - che il nipote era meritevole di un riconoscimento per aver salvato dalla deportazione e dalla morte gli ebrei fiumani. Il ministero degli Interni risponde nel mese di luglio con un memorandum: non esiste un qualsiasi indizio provante l'attività a favore degli ebrei da parte del vicecommissario aggiunto, aggiungendo che solo se il governo israeliano avesse fatto formale richiesta per un'indagine il ministero avrebbe preso in considerazione le informazioni presentate dal vescovo di Campagna. Il quale, nei mesi successivi, si adopera per organizzare la cerimonia di Ramat Gan, che poi è servita per tutti i successivi riconoscimenti.

La lettera da Vienna
Il Centro Primo Levi - da noi raggiunto a New York - ricostruisce come, solo dopo questa cerimonia, compaia la prima, e per quarant'anni unica e mai discussa «testimonianza»: la lettera della viennese Rosa Neumann, la cui valutazione - affermano a New York - risulta molto problematica in un confronto analitico con il suo fascicolo di polizia. In questa cerimonia gli viene attribuito il titolo di «Questore di Fiume» - non corrispondente affatto alle sue funzioni, quando il suo grado di vicecommissario aggiunto non gli permetteva nessuna autonomia - per attribuirgli poteri decisionali mai avuti. Da metà aprile all'arresto del 13 settembre 1944, per i tedeschi, 
Palatucci regge la questura di Fiume: i suoi due fascicoli provano che si muove sempre sotto stretto controllo dei superiori, il prefetto Temistocle Testa e il questore Vincenzo Genovese, ricevendo elogi, sostegno e promozioni, rinunciando per questo ambiguo rapporto al trasferimento, chiesto ben otto volte. Nel sistema di terrore attuato fin dal 1938 da Testa e Genovese, Palatucci è scrupoloso nell'applicazione delle leggi razziali e attento compilatore dei censimenti che dal 1938 al 1944 vengono usati per privare gli ebrei dei diritti civili, spogliarli dei beni, arrestarli, internarli, espellerli e deportarli nei campi di sterminio. La persecuzione degli ebrei di Fiume - stando alla documentazione - è tra le più terribili d'Italia e anche dalla corrispondenza delle associazioni di assistenza ebraiche Delasam e Joint, risulta una delle città più bisognose di aiuti per la mancanza di qualsiasi cooperazione delle autorità italiane.
La documentazione al Ministero dell'Interno Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, Divisione III, Internamento Ebrei Stranieri contraddice l'ipotesi che 
Palatucci abbia ordinato il trasferimento di centinaia o migliaia (a seconda delle fonti biografiche) di ebrei nel campo di concentramento di Campagna, dove lo zio, il vescovo Giuseppe Maria Palatucci, li avrebbe assistiti. 
Dalla documentazione ufficiale risulta che Palatucci non ha alcun ruolo nella scelta delle località di internamento degli ebrei stranieri. Solo quaranta ebrei fiumani, per delibera del Ministero degli Interni, vengono internati a Campagna. Nessuno di loro gode di particolari favori della questura di Fiume, che invece ha atteggiamenti fortemente persecutori nei loro confronti. A dimostrazione che non si tratta affatto di ebrei né protetti né raccomandati dai Palatucci, ben 9 (su 40) vengono deportati ad Auschwitz ed uno di loro muore per le difficoltà subite durante l'internamento. Per le sue dimensioni il piccolo «campo» di Campagna, esclusivamente maschile, non era adatto a raccogliere le migliaia di deportati ebrei fiumani, dei quali si parla nelle biografie e nei film dedicati a Palatucci: solo nei primi mesi vi furono 370 internati e mai più di un centinaio di persone: tra il 1940 e il 1943 nell'ex caserma della cittadina salernitana vengono detenuti in totale 534 ebrei. A New York, pur non negando che il vescovo Palatucci si sia adoperato per alleviare le sofferenze degli internati, sottolineano che non esiste alcuna prova del tentativo delle autorità italiane (politiche ed ecclesiastiche) di trasferire a scopo protettivo gli ebrei a sud e l'idea che scendere al sud rappresentasse la salvezza è puramente retrospettiva, in quanto è provato che dal luglio del 1940 alla seconda metà del 1942 gli ebrei stranieri internati in Italia cercavano in tutti i modi di essere trasferiti al nord per trovarsi più vicini alla Svizzera, dove avrebbero potuto mettersi in salvo.

Salvataggio senza fondamento
La leggenda 
palatucciana secondo la quale nel 1939 - quando a Fiume non vi erano nazisti per arrestare gli ebrei, ma solo un decreto delle leggi razziali promulgato dal Regno d'Italia che ne prevedeva l'espulsione entro il 12 marzo - il «questore» intercettò e salvò dall'arresto dei nazisti 800 rifugiati ebrei, aiutandoli prima a nascondersi ad Abbazia e poi ad imbarcarsi su un battello, l'Agia Zoni che li condusse secondo alcuni in Puglia e in Palestina secondo altri, è destituita di ogni fondamento storico. La vicenda, presentata per anni come indocumentabile perché svolta in segreto dal giovane ufficiale di polizia, è possibile ricostruirla grazie al ritrovamento da parte dello storico Marco Coslovich nel 1994, presso l'Archivio di Stato, dell'epistolario completo tra la Prefettura di Fiume e la Capitaneria di Porto: è chiaramente documentato che fu un'operazione persecutoria svoltasi sotto la sorveglianza della polizia fiumana. La recente scoperta del diario di Alfons Goldman, guida del gruppo, conferma nei dettagli la corrispondenza ufficiale e consente una ricostruzione puntuale della vicenda dell'Agia Zoni, un'operazione dell'Agenzia Ebraica di Zurigo fatta fallire dalla polizia fiumana: Palatucci svolse un ruolo marginale di esecutore degli ordini del prefetto Testa, responsabile dell'arresto di 180 profughi viennesi ad Abbazia, sottoposti a una penosa estorsione e ordinò il respingimento al confine di 600 ebrei apolidi per i quali la spedizione era stata programmata. Con il fallimento dell'operazione il porto di Fiume non verrà più usato dalle organizzazioni ebraiche di assistenza.
Durante l'occupazione tedesca di Fiume, 
Palatucci continuò a lavorare all'Ufficio Stranieri, aggiornando i censimenti degli ebrei, diventando poi reggente della questura. I mesi da reggente sono documentati attraverso le carte dell'attività della polizia italiana, i mattinali, gli scambi di telegrammi con la polizia tedesca e con la dirigenza di Salò a Maderno. Gli fu affidato il trasporto di circa 400 mila lire (l'equivalente di circa 20 stipendi annuali di ufficiale), i tedeschi lo sospettarono di essersi appropriato di beni confiscati a una famiglia di ebrei e, durante la reggenza, produsse dispacci e informative per la persecuzione degli ebrei. Contrariamente a quanto sostenuto dai suoi agiografi, non vi è alcun indizio che abbia distrutto cinquemila fascicoli sugli ebrei, che invece risultano tutti regolarmente conservati nel Fondo Questura di Fiume dell'Archivio di Stato di Rijeka, così come li lasciò GiovanniPalatucci all'indomani del suo arresto. È probabile che la notizia che abbia distrutto i fascicoli ha fatto pensare che abbia sottratto gli ebrei all'arresto. Da qui i biografi affermano che a Fiume non vi fu deportazione, ma le ipotesi di salvataggio di massa avanzate dall'apologetica palatucciana sono prive di riferimenti alle fonti archivistiche.
Beatificazione sfumata
Il 13 settembre 1944 Giovanni 
Palatucci è arrestato dalla polizia tedesca per «intelligenza con il nemico». Dal carcere del Coroneo di Trieste, un mese dopo, con altri 11 mila soldati e diverse centinaia di ufficiali di pubblica sicurezza italiani, è deportato a Dachau, come prigioniero in custodia protettiva, la categoria riservata ai traditori. Nel mese di novembre il suo caso è sottoposto all'attenzione della segreteria personale del Duce, ma non risulta alcuna intercessione in suo favore. La morte nel campo di Dachau, a 35 anni, ha senza dubbio contribuito ad avvalorare la suggestiva tesi della sua opposizione al fascismo e al nazismo Ma ora, grazie alle ricerche del Centro «Primo Levi» di New York, dopo anni di culto e di speculazione, conosciamo la verità sulla vita di questo poliziotto che non rinnegò mai il fascismo, non aiutò gli ebrei e da carnefice è stato ritenuto vittima.
Però le leggende - come le bugie - hanno sempre le gambe corte. 
Palatucci non ha titoli per essere considerato lo «Schindler italiano», come un giusto da Israele, e martire da papa Giovanni Paolo II. Per questo motivo, scrive il New York Times, il museo dell'Olocausto di Washington ha deciso di rimuovere il suo nome da una mostra, lo Yad Vashem di Gerusalemme e il Vaticano hanno iniziato a esaminare i documenti. La Santa Sede, che ha in corso una causa di beatificazione, si è bloccata per gli interrogativi sollevati e ha dato incarico a uno storico di studiare la questione. Alla AntiDefamation League, l'associazione ebraica che aveva attribuito a Palatucci il suo Courage to Care Award il 18 maggio 2005, lo stesso giorno nel quale il sindaco di New York Michael Bloomberg aveva dichiarato GiovanniPalatucci Courage to Care Day, affermano: «Alla luce delle prove storiche la Adl non onorerà più la memoria del poliziotto italiano. Sappiamo adesso quel che non sapevamo allora, che cioè Palatuccinon fu il salvatore in cui è stato trasformato dopo la guerra», ha detto il direttore di Adl Abraham Foxman, un sopravvissuto ai campi di sterminio, per il quale il poliziotto italiano sarebbe stato «un volenteroso esecutore delle leggi razziali».

L'ANTIFASCISTA

giovedì 30 agosto 2012 · Posted in ,

Pensare che le dichiarazioni di Pierluigi Bersani sul fascismo di Grillo appartengano esclusivamente ad un catalogo, oltretutto piuttosto ristretto, di banalità non significa solo trascurare l’importanza che ha la produzione di parole sui media. Anche se già qui sarebbe come pensare che Facebook è uno strumento banale, e non una complessa infrastruttura di reti sociali, solo perchè non è raro trovarci delle banalità. Bisogna piuttosto leggere le dichiarazioni di Bersani come una modalità di funzionamento della politica istituzionale. Un dispositivo da smontare piuttosto che qualcosa da ignorare o da insultare.
In questo senso l’accusa di “fascismo”, poi vedremo in che modo, lanciata da Bersani sostanzialmente contro Grillo e Di Pietro è qualcosa che merita un livello minimo di analisi. Facciamo un passo indietro: da tempo circola un video, commentato da Grillo e Di Pietro, dove Bersani, assieme ad altri protagonisti della politica istituzionale, è raffigurato come uno zombie. E qui bisogna vincere la voglia di affermare la verità, e cioè che Bersani e gli altri non sono solo dei morti viventi ma ne rappresentano l’epifania, e guardare alle reazioni del segretario del Pd.  Bersani ha infatti accusato chi dà dello zombie ai dirigenti del Pd di essere un “fascista”, anzi un “fascista del web” che sta cercando di riproporre al paese una nuova stagione diciannovista. Tutte la categorie usate meritano attenzione. Vediamo come.
L’uso dell’accusa di fascismo all’interno della sinistra, e poi del centrosinistra, è vecchio più o meno quanto le camice nere. A lungo, entro modi e linguaggi molto diversi, l’accusa di fascismo è servita per indicare un pericolo esterno (il fascismo, appunto, in molteplici forme) ma anche quello di un forte autoritarismo interno alla sinistra (ed è qui che l’accusa di fascismo è stata scambiata, poi sostituita, con quella di stalinismo). La novità storica, preceduta da significative censure contro singole lotte all’epoca dell’occupazione delle terre in Sicilia, irrompe con il ’77 quando il Pci costruisce l’accusa di “diciannovismo” nei confronti del movimento. E’ la prima volta in cui un movimento di sinistra viene accusato, dal maggior partito della sinistra, di contribuire a generare il fascismo. Accusa, quella di diciannovismo, che non è di poco conto nella cultura antifascista ma, cosa spesso dimenticata, ricavata da un concetto che nasce da un libro di Pietro Nenni (“Il diciannovismo”, uscito nel quarantennale della marcia su Roma). Le tesi di Nenni sono piuttosto chiare: l’ascesa del fascismo è stata favorita dall’estremismo di destra e dal massimalismo di sinistra, e anche da ibridazioni tra questi due estremi, che hanno delegittimato il parlamento, isolato la sinistra riformista, spaccato in due la classe operaia. Nenni scrive all’epoca dell’accordo storico tra Dc e Psi ed è evidente l’uso politico, proprio perchè Nenni aveva anche la stoffa dello storico, di queste concezioni: mentre il Psi va al governo con la Dc, chi lo critica rischia di guardare oggettivamente al massimalismo genere 1919, facendo il gioco delle destre. Un modo, all’epoca elegante, per pararsi a sinistra mentre ci si alleava con la Dc, un partito che pochissimi anni prima, proprio grazie all’intesa con le destre, aveva costituito il governo Tambroni. L’accusa di diciannovismo rivolta dal Pci, all’epoca nell’area di governo della Dc di Andreotti, nei confronti del movimento del’77 non sarà però una polemica politica nascosta sotto le pieghe di significato costruite dalla storiografia. Si tratterà di una accusa, diretta, sul campo contro un’area politica ed una generazione. L’accusa di preparare il fascismo, grazie alla quale il Pci si comportò di conseguenza con una stagione di leggi speciali “a difesa della democrazia”. E che il lessico e i riti di quella stagione siano ancora celebrati oggi dalle  istituzioni deve essere oggetto di riflessione.
Il diciannovismo del ’77 marca però uno spartiacque storico: da quel momento in poi l’accusa di fascismo, o di connivenza con le destre pericolose per la democrazia, sarà rivolta in maniera quasi esclusiva verso sinistra. Le polemiche sul rischio di fascismo saranno rivolte contro quei soggetti di sinistra non riconducibili alle strategie della sinistra istituzionale prima o del centrosinistra poi. Non è finita: chi, da quel momento in poi e specie dagli anni ‘80, leggerà la storia in modo diverso da quella del principale partito del centrosinistra sarà accusato di revisionismo. Come per i Nolte o i Faurisson. Verso il resto della società italiana, specie verso destra, dopo la fine del Pci il centrosinistra non sarà così intransigente. Da Luciano Violante che, aprendo la legislatura della bicamerale (quella delle “riforme” da fare con Berlusconi) parlò apertamente e pubblicamente di comprensione delle ragioni ideali dei “ragazzi di Salò” (usando praticamente le stesse espressioni di uno scritto di Giovanni Gentile sulle ragioni dell’adesione al fascismo repubblichino) alla istituzione della festa della memoria sulle foibe (comunque la si veda, tema caro alla destra italiana del dopoguerra) all’azzeramento della memoria delle stragi coloniali italiane in Africa e Dalmazia, alla riduzione ai minimi termini del ruolo dell’antifascismo nella vita pubblica etc.
Per arrivare alla cronaca si capisce perché Bersani accusi di fascismo, e di diciannovismo, Grillo e Di Pietro mentre esponenti nazionali del Pd allegramente presentano (alle feste democratiche) i libri sulla sessualità del Duce (scritto così come fanno a destra). E mentre si tace, al livello politico nazionale che conta, sulla rete di camerati messa in piedi dal sindaco Alemanno per governare Roma, sulle aggressioni che i fascisti (quelli veri) non mancano mai di fare, sulle recenti e gravi commemorazioni pubbliche al generale Graziani (fascista e autore di gravissime stragi, anche con uso massiccio di gas, in Libia e in Abissinia). La spiegazione di tutto questo non è certo difficile: l’accusa di fascismo oggi va spesa solo verso chi si pensa essere qualcuno che ti sottrae i consensi che hai all’interno. Serve quindi per accumulare pressione politica nel processo di costruzione, o di rigenerazione, della propria superiorità morale, delegittimare i propri competitor politici di area, compattare il proprio elettorato ed evitare, ammonendolo implicitamente, che si senta tentato da un nuovo tipo di rappresentanza.
Allo stesso tempo, verso l’esterno, la legittimazione di temi, fatti, argomenti e concetti di destra (sulla naturalizzazione nel Pd del decisionismo, che è una mistica politica della destra, traghettata in “democrazia” anche qui dal Psi ci sarebbe molto da dire) serve non solo per mantenere un livello diplomatico con l’avversario (non più nemico, anzi alleato vista la composizione del governo di oggi) ma anche per attirarne gli elettori. Secondo la logica del partito generalista, il catch-all-party del marketing politico americano (del resto dalle primarie al nome, nel Pd si è importato molto da oltreoceano, in passato anche qualche costoso consulente) per cui per vincere (concetto ripetuto fino all’ossessione dal Pd, rimuovendo il nome di chi nella politica italiana ha costruito la propria fama sull’uso di quel concetto) bisogna saper pescare elettori anche nello schieramento avversario. E se accusi gli elettori di destra di essere fascisti, specie quando lo sono, si sentiranno talmente stigmatizzati e disprezzati da non votarti mai. Perchè hai delimitato nettamente il campo, provando ad emarginare gli altri, mentre, per attirare voti dall’altra parte, devi confondere i confini. Strategia consapevolmente diciannovista quella del Pd, confondere i confini, ma guai ad ammetterlo. Bisogna, appunto, vincere e per questo ci vogliono anche i voti della destra. I cui elettori saranno sempre rappresentati come “moderati”, secondo la strana bussola della politica italiana di oggi in cui gli estremisti pericolosi stanno a sinistra o in chi critica il centrosinistra ma non è di destra. Già perchè in tutto questo antifascismo del Pd, impossibile trovare una campagna, ma neanche una parola, sulle nuove destre quelle vere. Non a caso quindi, al momento della stesura della carta dei valori fondativi del Pd, l’antifascismo non trovò posto. Seguirono polemiche, aggiustamenti, ma il dato parlava, e parla, da solo.
Il Pd è quindi un partito sia “antifascista” che postdemocratico, sia vigile nei confronti del diciannovismo che revisionista e silenzioso, a livello nazionale, rispetto agli eccessi delle destre. Come devono esserlo i cartelli elettorali, che prendono voti sapendo intercettare i flussi di opinione pubblica usando le categorie in quel momento utili per intercettarli. Con una regola aurea tutta italiana: usare la categoria di fascismo all’interno del proprio campo elettorale (centrosinistra, sinistre, elettori in uscita) e mai verso i fascisti. Non è poi nemmeno da trascurare la categoria di “fascista del web” che, per quanto assurda e usata per temperare l’accusa di fascismo a Di Pietro e Grillo, svela quel sottofondo di cultura della fobia della rete ormai preda del gruppo dirigente del Pd. Intendiamoci, dopo i primi entusiasmi dell’epoca della fondazione del partito, i social network si sono rivelati per il Pd un vero e proprio, continuo Vietnam. La rete in Italia si esprime come una critica infinita ad ogni aspetto del Pd, le stesse pagine Facebook del partito democratico servono più come critica che come sostegno. Meglio allora accoppiare il sostantivo “web” all’aggettivo “fascista” nel tentativo di far scattare, con il meccanismo del sospetto, tattiche di controllo dell’elettorato. Dietro Bersani, che parla in tv contro il pericoli di fascismo provenienti dal web, c’è il tentativo di rilegittimare la credibilità uno strumento oggi regressivo della comunicazione politica, la televisione, perchè è l’unico che è in mano al ceto politico istituzionale.
Ma sia il Pd che Di Pietro o Grillo sono i prodotti di una lunga stagione, detta “della fine delle ideologie” (riprendendo, ben oltre il contesto storico che le hanno prodotte, le teorie di Daniel Bell) che i confini tra destra e sinistra li ha smontati quanto possibile. Ma si tratta, al momento, di prodotti diversi. Quello Pd, che si esercita in nome del “non ci sono alternative” cerca di produrre argomenti validi per creare consenso attorno alla più cruda stagione di neoliberismo di questo paese. Quello di Grillo e Di Pietro si esercita parlando a chi è “effetto collaterale” di queste politiche, che ha persino possibilità di diventare maggioritario. Si tratta, ogni modo, di differenti tipi di catch-all-party, destinati a riprodurre stratificazione e verticalizzazione sociale proprio perchè sovrappongono tipi di elettorato socialmente molto diversi tra di loro. Le accuse di “corruzione” o di “populismo”, la prima rivolta da Grillo al Pd la seconda a ruoli di accusa invertiti, sono quindi speculari perché rivolte tra cartelli elettorali generalisti. Che si contendono non solo fasce di elettorato ma anche un metodo: accumulare consenso sovrapponendo strati di società diversi provenienti indifferentemente da destra o da sinistra.
Certo, dall’accusa di diciannovismo rivolta al movimento dal Pci, mentre faceva l’accordo con la Dc di Andreotti, e quella rivolta a Grillo, mentre il Pd ha l’accordo di governo con l’Udc, siamo all’ennesima conferma dell’analisi marxiana che vede la storia accadere come tragedia per ripetersi poi come farsa. Del resto l’accumulazione della politica come spettacolo, con un comico che va contro un segretario di partito che ha fatto da spalla ad un altro comico (un successone su youtube), si riproduce proprio in questi passaggi. Ma non va affatto sottovalutata la concretezza che sta dietro questa continua accumulazione di spettacolo propedeutica alla estrazione di consenso politico. Il Pd cerca la vittoria elettorale per garantire la più pericolosa e letale, persino rispetto alle precedenti, ristrutturazione liberista della società italiana. Al netto della propaganda dove il partito democratico si è smarcato dal linguaggio liberista, per raccogliere consensi in chi ha subito le stesse politiche che il Pd ha votato, si tratta di un disegno criminale che garantirebbe a questo paese di percorrere fino in fondo un decennio perduto che lo stesso Fmi, guardiano del liberismo mondiale, esplicitamente vede per le stesse politiche liberiste in Europa. Bersani quindi non è tanto un fallito, come dice Grillo, ma quel genere di disperato che, per mantenere gli assetti di potere di cui fa parte, è disposto a cacciare un intero paese in un ulteriore decennio di disgrazie già previste e analizzate come tali. Strepitoso che la propaganda Pd chiami tutto questo “senso di responsabilità”. E che diversi residui della sinistra sperino, in qualche modo, di allearsi con questo genere di disperati.
Grillo rappresenta invece la malattia di un sistema politico che, per quello che può accadere, può anche candidarsi ad uccidere il malato. Soprattutto se si tratta di quel genere di malattia che si riproduce velocemente senza che il malato che la ospita possa efficacemente produrre anticorpi, magari grazie ad una cura. Probabilmente, senza aderire a nessuna delle offerte politiche in campo, c’è però da augurarsi che la malattia faccia velocemente, soprattutto in modo virulento, il suo corso. In politica bisogna affrontare un problema alla volta.
Ed oggi la possibilità che il Pd trascini il paese nell’abisso, possibilità concreta dietro la fraseologia banale di un partito senza alcun spessore culturale e umano, è il primo vero problema da affrontare. Di antifascisti come Bersani gli antifascisti reali non solo non sanno che farsene. Ma soprattutto vedono il pericolo nero del fascismo liberista delle procedure, dei protocolli, dei trattati di cui il Pd è spontaneo portatore."
per Senza Soste, nique la police

LA MESCHINA PANTOMIMA DEI FASCISTI DI FORZANUOVA CON MERLINO

giovedì 15 settembre 2011 · Posted in


Oggi 15 settembre si è tenuta a Terni la presentazione del libro del delatore, invischiato nella strategia della tensione Mario Merlino. Un’iniziativa organizzata dai neofascisti di Forza Nuova -a cui hanno partecipato 9 persone e 54 poliziotti- contestata dalla Rete Antifascista Ternana. Un’iniziativa inutile, di fatto una provocazione in una città democratica ed operaia come Terni. Il tentativo politico da parte di questi squadristi è stato inizialmente di occupare il “salotto buono” della città, tentando di organizzare l’iniziativa presso lo storico caffè Pazzaglia. L’opposizione immediata da parte della rete Antifascista e l’opera di informazione sul personaggio Merlino, fascista infiltrato nel movimento, delatore della polizia ed autore del depistaggio contro gli anarchici dopo la stage di piazza Fontana (arresto di Valpreda), ha fatto sì che i gestori del bar -appena si sono resi conto che i neofascisti tentavano di sfruttare il ruolo, il nome e la storia del locale- hanno immediatamente tolto l’agibilità all’iniziativa. I neofascisti sono stati relegati quindi in un albergo vicino alla stazione. Riteniamo positiva questa ulteriore mobilitazione antifascista perché dimostra che questi figuri, questi eroi virtuali, non hanno nessuna presa sul territorio a parte una preoccupante tutela della polizia e della Digos. Qualcuno ha inviato ai giornali informazioni che parlavano di tensione in città, ma la volontà della RAT non è quella di offrire appigli per il vittimismo di questi personaggi, bensì contrastare con informazione immediata e diretta il tentativo di riscrivere la storia o sdoganare personaggi ambigui come Merlino, la Repubblica Sociale Italiana e la fascisteria in generale. Li abbiamo ricacciati nel nulla da cui provengono: Pazzaglia ha negato loro lo spazio, all’iniziativa non c’era nessuno all’infuori della polizia ed è stato ricordato alla città chi era il signor Merlino ed il suo ruolo infame nella strategia della tensione. Dall’aviosuperficie ad oggi è chiaro che questa città mantiene viva la memoria storica della Resistenza e dei partigiani della Gramsci. Non  è un caso che a Terni non esistono l’omofobia, le violenze contro i migranti ed altre azioni squadristiche diffuse nelle città dove i neofascisti sono riusciti ad installarsi.
RAT-rete antifascista ternana

il fascista Mario Merlino a Terni

martedì 13 settembre 2011 · Posted in


la nostra città operaia ed antifascista, il 15 settembre si macchia di un nero infame per l'iniziativa con il fascista Mario Michele Merlino, organizzata da “Ordine Futuro”, interfaccia di Forza Nuova, movimento neofascista noto per le sue iniziative squadristiche.
Mario Merlino, fascista, legato da 40 anni a dirigenti dell’estrema destra quali Stefano Delle Chiaie e Pino Rauti, provocatore, informatore dei servizi segreti e delatore, ha condotto, dalla fine degli anni Sessanta in poi, diversi tentativi di infiltrazione nell’estrema sinistra e nel movimento anarchico. Ricordiamo il ruolo che egli svolse nelle indagini relative alla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 e alla successiva strategia della tensione, accusando ingiustamente Pietro Valpreda ed altri anarchici di essere i responsabili dell’eccidio.  Ordine Futuro, Settimo Sigillo, Forza Nuova e Casa Pound sono gruppi neofascisti che mantengono organici legami con i macellai della RSI e con i personaggi collegati alle efferate stragi fasciste dei passati decenni e con i loro diretti eredi, e alternano pestaggi, aggressioni ed attentati a iniziative pseudoculturali, fatte per attirare gli sprovveduti e riscrivere, falsificandola, la storia.
E’ un oltraggio alle tradizioni antifasciste, operaie e democratiche della nostra città dare spazio e parola a soggetti protagonisti della strategia della tensione e responsabili di tali infamie di plagiare giovani e giovanissimi e infangare la memoria delle vittime di quelle stragi.



Arci Terni, Arciragazzi "gli anni in tasca", Associazioni: Amici del Manifesto, "Buaba", "Demetra", "Interni Stranieri", "il Pettirosso", "Plaza de Mayo", "primi della stra-da", Blob Lgc.-Laboratorio comunicazione, comitato anti-fascista cittadino di Orvieto, Centro sociale "Germinal Cimarelli", Circolo libertario ternano "Carlotta Orientale", Confederazione Cobas, Curva Est Ternana, Alerta Network, USPK, F.G.C.I., Giovani Comunisti, Partito Comunista dei Lavoratori, Partito della Rifondazione Comunista, Partito dei comunisti Italiani, Sinistra ecologia e libertà.

MARIO MERLINO UN FASCISTA PROVOCATORE, INFORMATORE DEI SERVIZI, INFILTRATO NEL MOVIMENTO ANARCHICO
Milita già dal 1962 in gruppi di estrema destra, partecipa a innumerevoli azioni squadristiche; nel 1965 si reca per sei mesi in Germania, prendendo parte ad un campo clandestino dei neonazisti tedeschi di Nazione Europa, e stringe stretti rapporti con personaggi quali Stefano Delle Chiaie (Avanguardia Nazionale), Pino Rauti e Giulio Caradonna (deputato MSI). In occasione degli scontri di Valle Giulia, nel 1968, a 24 anni, attua la strategia dello “scontro totale” propria di Avanguardia Nazionale: colpisce sia poliziotti sia studenti che manifestano, le sue azioni sono indirizzate a creare il maggior numero di feriti possibili da ambo le parti (strategia della tensione?); a distanza di un mese è tra i picchiatori dell’MSI (guidati da Almirante e Turchi) che in nome della contro-rivoluzione cercano di sgombrare la facoltà di lettere. Dopo essere tornato da un viaggio nella Grecia dei colonnelli, organizzato dalla Lega degli studenti greci (filo-governativa) e dal fascista Pino Rauti, nel biennio 1968-1969, fonda un primo “Gruppo XXII Marzo” (in numeri romani) che, per quanto si richiami ideologicamente agli arrabbiati di Nanterre ed a Daniel Cohn-Bendit, ha tra i padri tutelari ancora una volta Delle Chiaie ed altri esponenti del neofascismo. Sputtanato una prima volta, è costretto a chiudere il gruppo dopo appena un mese; inizia allora ad infiltrarsi in diversi gruppi dell’estrema sinistra: dapprima in Avanguardia Proletaria, finché viene scoperto il suo poco edificante passato; ci riprova con i maoisti del PCd’I (linea rossa), venendo però beccato in scontri organizzati dall’MSI. In tutto questo periodo, in occasione delle diverse manifestazioni dell’estrema sinistra, fa di tutto – tra lanci di molotov e di bulloni – per causare scontri con le forze dell’ordine; si offre inoltre di tenere corsi su come fabbricare ordigni esplosivi. Due fatti tra tutti: 1) chiede ad un militante marxista-leninista di nascondergli dentro casa alcuni metri di miccia e dei detonatori; questi accetterà apposta per verificare le voci circolanti su Merlino; guarda caso dopo due giorni la polizia compie una perquisizione nell’abitazione, non trovando però niente in quanto la persona in questione si era immediatamente sbarazzata del compromettente materiale. 2) Dopo ad una riunione dimentica un taccuino recante decine di nomi di esponenti di prim’ordine dell’estrema destra; interrogato dai militanti extraparlamentari, cerca di giustificarsi goffamente asserendo di aver cambiato vita e di mantenere con tali soggetti solamente rapporti amicali.
A questo punto, definitivamente bruciatosi nell’estrema sinistra, l’infame Merlino si “avvicina” al movimento anarchico; anche qui chiaramente nessuna conversione sulla via di Damasco: l’intento provocatorio e delatorio apparirà presto chiaro ed inequivocabile. Stringe contatti con il Circolo Bakunin di Roma, fa di tutto per incitare gli altri ad attentati dinamitardi, poi si adopera nell’enfatizzare le divisioni interne fino ad arrivare alla scissione del circolo e alla fondazione del secondo “Gruppo 22 marzo” (questa volta in numeri arabi) da lui ispirato. Tale gruppo, composto oltre che da infiltrati come Merlino, anche da soggetti  in buona fede quali Valpreda, verrà poi accusato insieme al Circolo Ponte della Ghisolfa di essere dietro alla strage di Piazza Fontana. Merlino, che aveva già provato a convincere diversi soggetti a piazzare valigette esplosive, una volta tratto in arresto, davanti agli inquirenti svolge il ruolo del delatore, rivelando come un fiume in piena vita, morte e miracoli dei militanti in buona fede del gruppo, facendo arrestare Pietro Valpreda e gli altri compagni ingiustamente accusati di essere i responsabili della strage di Piazza Fontana. Dai verbali dell’interrogatorio risulta inoltre come gli stessi inquirenti fossero interessati a conoscere più le circostanze riguardanti gli altri militanti che quelle inerenti la stessa inquietante figura di Merlino, non chiedendogli pressoché niente sul suo personale conto, quasi godesse di “protezioni” ad alto livello. Ritiratosi per molti anni dalla vita politica attiva, ha continuato tuttavia ad operare sul piano “culturale” collaborando con la casa editrice Settimo Sigillo, di chiaro orientamento neofascista, e realizzando pubblicazioni e rappresentazioni teatrali inneggianti a Mussolini e alla X Flottiglia MAS.

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