L'articolo 18, infatti, con tutto ciò non ha niente a che fare, perché serve solo a tutelare il lavoratore da abusi, licenziamenti discriminatori oppure da licenziamenti discriminatori mascherati da falsi problemi di natura economica. Ma perché è così importante l'articolo 18? Semplice, perché senza l'articolo 18 saranno solo il ricatto e la paura a regolare i rapporti tra capitale e lavoro, tra imprenditore e lavoratore. Ma c'è di più. L'articolo 18 è l'essenza stessa del diritto del lavoro. Chi mai chiamerà in causa la propria azienda per stipendi arretrati da avere o per mancanza di sicurezza, se la legge permette al datore di rivalersi su di lui con un licenziamento che al massimo sarà sanato con un pagamento di indennità e non con il reintegro, in un momento in cui la disoccupazione è alle stelle? L'articolo 18 non è né causa né stimolo per occupazione o economia, è però l'unica norma che riesce (o meglio, riusciva, prima che la riforma Fornero iniziasse a decapitarla) a tenere in equilibrio e regolare i rapporti tra capitale e lavoro. Se venisse abolito assisteremmo ad una inimmaginabile escalation negativa su salari e sicurezza.
E quelli che non ne possono già ora usufruire? L'esistenza dell'articolo 18 è comunque un elemento di forza per il mondo del lavoro, che poi si esprimerà (in base a quanta forza hanno saputo dargli i lavoratori) nei contratti nazionali di cui poi usufruiranno come base salariale e normativa anche coloro che non ne beneficiano. Se chi oggi è più tutelato, grazie anche all'articolo 18, perde forza nei confronti del capitale, a cascata c'è un arretramento di tutte le forme e situazioni contrattuali. Se peggiora la situazione dell'operaio della grande industria, figuriamoci quella dell'operaio della media e piccola impresa oppure quella dei giovani o dei precari. Il vero obiettivo dell'abolizione dell'articolo 18 è quello di mettere tutto il mondo del lavoro sotto scacco e sotto ricatto per aumentare la produttività e diminuire i salari, in modo da spostare la ricchezza dal lavoro al profitto, proprio come chiedono i grandi capitali internazionali che adesso dispongono di più forza economica degli stati stessi. Oltre al fatto di portare i salari sui livelli serbi o polacchi in modo da favorire investimenti (profitti) ed esportazioni.
È facile capire che una tale situazione è l'aperitivo di un peggioramento delle condizioni di vita di tutti noi (eccetto una minima parte della popolazione che ne beneficerebbe). L'articolo 18 è una delle norme cardine della nostra vita da lavoratori. Non facciamoci abbindolare dai gelatai e venditori di fumo al servizio di interessi a noi lontani e a noi antagonisti. La loro volontà politica è mettere al centro della società l'impresa come soggetto e il profitto come diritto, a discapito di tutto quello che c'è intorno. E lo vogliono raggiungere cancellando una norma che al centro del proprio compito ha la tutela della parte considerata più debole e la giustizia sociale. Ma nel nuovo sistema impresacentrico la giustizia sociale non è contemplata tra gli obiettivi da raggiungere.
Infine, la proposta del prestigiatore di Rignano e dei suoi accoliti di mettere il Tfr in busta paga ogni mese è solo il tentativo di mascherare quello che abbiamo appena detto, cioè la prospettiva di salari da fame.
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