Fatto
Con una sentenza il Giudice per le indagini preliminari dichiarava non luogo a procedere nei confronti di ( omissis) in relazione ai reati di abuso d’ufficio per avere – rispetti
vamente quali direttore generale e direttore dell’area tecnica di un’azienda pubblica , elevato rilievi e sanzioni
disciplinari, nonchè disposto il licenziamento disciplinare, sulla base di presupposti inesistenti e dunque cagionando alla medesima un danno ingiusto. A sostegno della decisione, il Giudice ha rilevato che i rapporti di lavoro con l’azienda pubblica in oggetto sono regolati dalle norme del codice civile, di tal che l’inosservanza o la contestata mancata o erronea applicazione delle disposizioni che disciplinano i rapporti tra i dipendenti e il datore di lavoro quale amministrazione pubblica, non costituiscono violazioni di legge o regolamento idonee ad integrare la fattispecie di abuso d’ufficio. Avverso la sentenza ha presentato ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale e ne ha chiesto l’annullamento per inosservanza ed erronea applicazione di legge penale e di altre norme giuridiche nonchè per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Evidenzia il ricorrente che, nella specie, non vengono in rilievo violazioni di legge concernenti aspetti privatizzati del rapporto di lavoro, ma l’esercizio del potere attribuito all’ufficio di appartenenza del pubblico ufficiale o dell’esercente il pubblico servizio che si contesta essere stato esercitato, non per uno scopo pubblico, bensì per un interesse personale e egoistico degli imputati, i quali sono stati del resto rinviati a giudizio in relazione alle restanti imputazioni “direttamente conseguenti alla insussistenza degli addebiti disciplinari pretestuosamente mossi alla dipendente”. La Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-12-2015) 18-02-2016, n. 6665 accoglieva il ricorso con i seguenti motivi:
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il modello del preside-podestà |
Sull’abuso d’ufficio e il procedimento disciplinare
“Con riguardo alle contestazioni di abuso d’ufficio, va invero rilevato che – contrariamente a quanto deciso dal Giudice – nel caso sub iudice, la condotta di abuso d’ufficio non riguarda la contestata violazione di norme a disciplina del rapporto di lavoro in seno all’ente pubblico, rapporto avente indubitabilmente natura privatistica, bensì l’esercizio da parte del pubblico ufficiale o dell’esercente il pubblico servizio del potere attribuito all’ufficio di appartenenza in una materia, quale quella disciplinare, che è e resta disciplinata dalla legge. Ed invero, il potere disciplinare nel pubblico impiego, pur rientrando nell’area della gestione del rapporti di lavoro sottoposto a contratto collettivo di matrice privatistica e si esprima mediante atti negoziali, e non con provvedimenti amministrativi, deve essere esercitato nei limiti disegnati dalla legge ed eventualmente integrati dalla contrattazione collettiva.”
La Normativa
Giova rammentare che la disciplina legale in materia è delineata da plurime fonti normativa, segnatamente dall’art. 2106 cod. civ., dalla L. 20 maggio 1970 n. 300, art 7 (c.d. Statuto dei lavoratori) e dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 artt. da 54 a 55-octies, come modificati con D.L.gs 27 ottobre 2009 n. 150. In particolare, l’art. 40 del citato decreto stabilisce, al comma 1, che “La contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonchè le materie relative alle relazioni sindacali. (…) Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche, la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge”. All’art. 55, commi 1 e 2, stesso decreto viene espressamente sancito: “1. Le disposizioni del presente articolo e di quelli seguenti, fino all’art. 55-octies, costituiscono norme imperative, ai sensi e per gli effetti dell’art.. 1339 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2, e si applicano ai rapporti di lavoro di cui all’art. 2, comma 2, alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2. (…) Infine, l’art. 54-bis stesso decreto del 2001 prevede una specifica tutela del dipendente pubblico che segnali condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, prevedendo che questi non possa essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.
Se il potere disciplinare è usato per fini ritorsivi e/o pretestuosi si commette reato
“Orbene, dal quadro normativo sopra delineato discende che è certamente suscettibile di integrare la violazione di legge rilevante ai fini dell’art. 323 cod. pen. l’inosservanza alle disposizioni fissate in materia di procedimento disciplinare dalla legge (appunto dall’art. 2016 cod. civ. e dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 come modificato con D.Lgs. 27 0ttobre 2009, n. 150), allorchè il potere disciplinare sia esercitato – almeno secondo l’ipotesi accusatoria da sottoporre al vaglio giurisdizionale – non in funzione dell’interesse pubblico, ma da motivi pretestuosi e sorretti da un intento ritorsivo. Per altro verso, si deve ribadire che, anche dopo la privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, non è mutata la natura pubblicistica della funzione svolta e dei poteri esercitati dai dirigenti amministrativi e, con essa, la qualifica di pubblico ufficiale rilevante ai fini dell’art. 357 cod. pen. (Sez. 6, n. 19135 del 02/04/2009 – dep. 07/05/2009, Palascino, Rv. 243535)”
Interessante, sul punto, ricordare anche la Cass. pen. Sez. VI Sent., 11/06/2008, n. 37172 (rv. 240932), la quale, sempre in tema di abuso d’ufficio, questa volta nella scuola, così afferma: “È configurabile il reato d’abuso d’ufficio per violazione di legge nella condotta del dirigente scolastico che qualifichi come ingiustificata l’assenza dal servizio di un insegnante, dovuta invece ad un precedente provvedimento di sospensione dal servizio. (Nell’affermare tale principio, la Corte ha stabilito che tale abuso costituisce una diretta violazione di legge per l’assenza dei presupposti di fatto che consentono l’azione della P.A.). (Rigetta, App. Reggio Calabria, 6 Marzo 2007)