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lo stile dell'accordo: il ritorno al sindacato unico fascista.... |
10 gennaio 2014.
La triplice, o meglio la quadruplice alleanza, per inteso CGIL, CISL, UIL e CONFINDUSTRIA, hanno stipulato l'accordo esecutivo di altri due provvedimenti nefasti, quali l'Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 ed il Protocollo 31 maggio 2013.
Accordi che ledono chiaramente l'articolo 39 della Costituzione, quando questa afferma che l 'organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. E' condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. Certo, ma come può esservi libertà quando le regole del gioco vengono dettate solo ed esclusivamente da alcune sigle sindacali, i cui effetti inibiscono il libero esercizio dell'attività sindacale per tutte le altre sigle e realtà sindacali? Ma si viola anche l'articolo 2 della Costituzione, e l'articolo 3, oltre che il diritto di sciopero, poiché se è vero che la Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, come si può esercitare il diritto di manifestazione del pensiero, di libertà di espressione, all'interno del luogo di lavoro, quando la propria associazione sindacale, in cui si milita e si svolge la propria personalità, rischia di non aver diritto, a causa di queste scellerati accordi, alle bacheche,od all'assemblea? Quale pari dignità sociale?
Ritenuta sindacale
Questo accordo prevede che : Le imprese accetteranno anche le deleghe a favore delle organizzazioni sindacali di categoria che aderiscano e si obblighino a rispettare integralmente i contenuti del presente Accordo nonchè dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 e del Protocollo 31 maggio 2013. Cosa significa anche? Che chi non aderisce formalmente all'accordo del 28 giugno 2011, del 31 maggio 2013 e 10 gennaio 2014, non ha diritto alla ritenuta sindacale?
Eppure qualora il datore di lavoro sostenga che la cessione del credito da parte del lavoratore ed il relativo accredito alla O.S. comporti in concreto, a suo carico, una modificazione eccessivamente gravosa dell'obbligazione, implicante un onere insostenibile in rapporto alla sua organizzazione aziendale avrebbe l'onere di provare, ai sensi dell'art. 1218 c.c., che la gravosità della prestazione è tale da giustificare il suo inadempimento (così Corte di Cassazione “Il credito delle organizzazioni sindacali per omesso versamento dei contributi loro dovuti dal datore di lavoro in forza delle cd. deleghe sindacali va ammesso allo stato passivo in privilegio ex art. 2751-bis, n. 1, cod. civ., configurandosi in tali casi non già un’ipotesi di delegazione di pagamento ex art. 1268 cod. civ., bensì un’ipotesi di cessione (parziale) del credito (futuro) da retribuzione che trova la propria disciplina negli artt. 1260 ss. cod. civ.”ne Sezioni Unite 28269/2005).
Infatti, l’art. 52 del d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, come modificato nel 2005, conferma la legittimità della riscossione delle quote associative sindacali dei lavoratori dipendenti, pubblici e, dopo le menzionate modifiche legislative, anche privati, mediante trattenuta del datore di lavoro, in quanto esclude che simili cessioni di credito dei lavoratori subiscano limitazioni al novero dei cessionari, anche considerando che una differente interpretazione sarebbe incoerente con la finalità legislativa antiusura posta a garanzia del lavoratore stesso che, altrimenti, subirebbe un’irragionevole restrizione della sua autonomia e libertà sindacale." Nell’esercizio dell’autonomia privata e attraverso lo strumento della cessione del credito, è legittima la trattenuta dei contributi sindacali e il datore di lavoro è tenuto ad adempiervi salvo che vi sia un’eccessiva gravosità della prestazione da valutare in rapporto all’organizzazione aziendale.Cass. Civ., 20 aprile 2011, n. 9049...
Ma questo accordo, di tutto ciò, non tiene conto.
Indizione RSU
L'accordo norma che nel caso di unità produttive con più di quindici dipendenti ove non siano mai state costituite forme di rappresentanza sindacale, le organizzazioni sindacali firmatarie del presente accordo concordano che, qualora non si proceda alla costituzione di rappresentanze sindacali unitarie ma si opti per il diverso modello della rappresentanza sindacale aziendale:
a) dovrà essere garantita l’invarianza dei costi aziendali rispetto alla situazione che si sarebbe determinata con la costituzione della rappresentanza sindacale unitaria;
b) alla scadenza della rsa, l’eventuale passaggio alle r.s.u. potrà avvenire se deciso dalle organizzazioni sindacali che rappresentino, a livello nazionale, la maggioranza del 50%+1 come determinata nella parte prima del presente accordo.
Hanno potere di iniziativa anche le organizzazioni sindacali di categoria firmatarie del c.c.n.l. applicato nell'unità produttiva ovvero le associazioni sindacali abilitate alla presentazione delle liste elettorali ai sensi del punto 4, sezione terza, a condizione che abbiano comunque effettuato adesione formale al contenuto dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011, del Protocollo 31 maggio 2013 e del presente Accordo.
Quelle abilitate sarebbe le associazioni sindacali formalmente costituite con un proprio statuto ed atto costitutivo a condizione che:
1) accettino espressamente, formalmente ed integralmente i contenuti del presente accordo, dell’Accodo Interconfederale del 28 giugno 2011 e del Protocollo del 31 maggio 2013;
2) la lista sia corredata da un numero di firme di lavoratori dipendenti dall'unità produttiva pari al 5% degli aventi diritto al voto nelle aziende con oltre 60 dipendenti. Nelle aziende di dimensione compresa fra 16 e 59 dipendenti la lista dovrà essere corredata da almeno tre firme di lavoratori.
Dunque se non aderisci a questi accordi, non solo non avrai diritto ad indire l'elezione RSU ma neanche a presentare la lista.
E questa la chiamate democrazia sindacale?
Perché essere costretti ad aderire agli accordi citati, alle regole imposte da pochi, senza alcuna consultazione democratica, reale e partecipativa, visto che gli effetti di questi accordi si estendono a tutti?
Perché essere costretti ad aderire ad accordi che prevedono che sono fatti salvi in favore delle organizzazioni sindacali di categoria firmatarie il c.c.n.l. applicato nell'unità produttiva, i seguenti diritti: a) diritto ad indire, singolarmente o congiuntamente, l'assemblea dei lavoratori durante l'orario di lavoro, per 3 delle 10 ore annue retribuite, spettanti a ciascun lavoratore ex art. 20, l. n. 300/1970; b) diritto ai permessi non retribuiti di cui all'art. 24, l. n. 300/1970; c) diritto di affissione di cui all'art. 25 della legge n. 300/1970?
Eppure il diritto di convocare le assemblee dei lavoratori, riconosciuto dall'art. 20 S.L. ed esteso alle Rsu dall'art. 4 AI 20/12/93, non spetta necessariamente a tutte le Rsu congiuntamente, potendo invece essere disgiuntamente esercitato dalle Rsu di ogni organizzazione sindacale (Pret. Nola, sez. Pomigliano d'Arco, 19/4/95, est. Perrino, in D&L 1995, 847. In senso conforme, v. Pret. Milano 19/11/98, est. Canosa, in D&L1999, 61)
E coloro che non hanno aderito all'accordo , non hanno partecipato all'elezione rsu e che vogliono costituire la RSA? La Corte costituzionale, con sentenza 3-23 luglio 2013, n. 231 (Gazz. Uff. 31 luglio 2013, n. 31 - Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell'articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell'ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell'unita' produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell'azienda.
Perché essere costretti ad aderire all'accordo ove le parti firmatarie convengono sulla necessità di definire disposizioni volte a prevenire e a sanzionare eventuali azioni di contrasto di ogni natura, finalizzate a compromettere il regolare svolgimento dei processi negoziali come disciplinati dagli accordi interconfederali vigenti nonché l’esigibilità e l’efficacia dei contratti collettivi stipulati nel rispetto dei principi e delle procedure contenute nelle intese citate.?
Perché essere costretti ad aderire ad accordi che dovranno definire clausole e/o procedure di raffreddamento finalizzate a garantire, per tutte le parti, l’esigibilità degli impegni assunti con il contratto collettivo nazionale di categoria e a prevenire il conflitto?
Eppure il diritto di sciopero, fino ad oggi, era ed è stato pienamente tale proprio nel settore privato. Di norma si indiceva lo stato di agitazione, si conducevano le istanze dei lavoratori all'Azienda e poi, in base alle risultanze si decideva quando e come scioperare, oppure si scioperava senza stato di agitazione, in relazione alle situazioni che maturavano caso per caso. Nessuna procedura di raffreddamento nessuna sanzione, semplicemente sciopero perché lo sciopero era ed è un diritto dei lavoratori. La Giurisprudenza più di una volta ha ribadito che l'art. 40 della Cost. attribuisce la titolarità del diritto di sciopero direttamente ai lavoratori e la legittimità dello sciopero non è subordinata alla proclamazione delle OO.SS., non potendo il datore di lavoro contestare la fondatezza o la ragionevolezza delle pretese avanzate attraverso lo sciopero. E funzionava, ed infatti, ora verrà limitato, in modo similare a come accade nel pubblico impiego, ma quando un diritto è soggetto a limitazione, come può più parlarsi di diritto di sciopero? Si parlerà di diritto di sciopero condizionato.
Questo accordo si pone in perfetta armonia con il nascenteJobsAct, il modello tedesco è sempre più vicino e reale e concreto, e non è detto che ciò sia un bene per l'Italia e per i lavoratori, anzi.
L'atto finale. Cgil-Cisl-Uil riportano l'Italia al fascismo sindacale
lunedì 13 gennaio 2014
E così ci siamo arrivati. Dopo tutti i passaggi propedeutici, venerdì 10 gennaio 2014 è giunta la firma finale di Confindustria e Cgil-Cisl-Uil in calce al Testo Unico sulla Rappresentanza Sindacale. Un testo che recepisce quanto era già stato definito nelle linee guida degli accordi del 31 maggio 2013 e del 28 giugno 2011, ma che fissa le norme concrete che regoleranno in futuro la materia.
Come già più volte è stato detto e scritto da chi non ci sta ad accettare la dittatura della "triplice", la vergogna sta innanzitutto nel fatto che si ritenga normale che a scrivere le regole della rappresentanza sindacale in Italia non sia una legge dello Stato, valida per tutti i lavoratori e per tutte le organizzazioni, ma direttamente Cgil-Cisl-Uil insieme a Confindustria. Una scelta che appare palesemente antidemocratica e antipluralista, visto che è chiaro che se lasci scrivere le regole a soggetti che saranno poi parte in gioco, c'è il rischio che questi lo facciano inserendo norme con le quali si tutelano da ogni pericolo proveniente dalla "concorrenza" di altre organizzazioni sindacali. Ecco, questo pericolo oggi è realtà. Con tutto ciò che ne consegue, in particolare la blindatura totale e la segregazione della libertà sindacale da parte delle tre organizzazioni, che così facendo istituiscono un vero e proprio sistema sindacale totalitario, tipico di paesi non democratici. Come è noto infatti, se impedisci (o comunque limiti fortemente) la possibilità dei lavoratori di scegliere altre organizzazioni, metti in atto un corto circuito dove i sindacati concertativi possono tranquillamente "fare cartello" con accordi che sono impossibili da mettere in discussione.
Ma in cosa consiste questa limitazione in sostanza? Nel dire che per accedere alla possibilità di presentarsi alle elezioni dei delegati sindacali in un luogo di lavoro, cosa (come è evidente) minimamente democratica, qualsiasi sindacato che non sia Cgil-Cisl-Uil deve accettare in toto il Testo Unico redatto dalla triplice con Confindustria, comprese (ed è questo lo scandalo più grande) le limitazioni al diritto di sciopero, per le quali si prevedono sanzioni che, si affrettano a precisare, non sono per i singoli lavoratori ma per i sindacati e per i delegati (come se fosse meno grave). Ed è per questo attacco al diritto di sciopero che il quadro appare ancora più grave di un qualsiasi accordo in cui chi è più grande e forte scrive le regole anche per chi è più piccolo, perché, come loro ben sanno, se dici ad un sindacato che per partecipare deve accettare di non poter scioperare, è come dire (ad esempio) a un partito che deve a priori rinunciare ad una propria rivendicazione fondamentale. È per questo motivo che qui siamo ben oltre ogni logica di democrazia, perché c'è proprio un attacco al principio cardine del fare sindacato, con un messaggio chiaro alle altre organizzazioni: vogliamo impedirvi di fare conflitto. Se volete continuare a farlo, non avrete mai la possibilità di eleggere vostri rappresentanti.
Non stiamo qui a ripercorrere tutto il testo, visto che riprende in gran parte le linee guida del 31 maggio che possono essere lette qui e negli articoli che seguono, però invitiamo a leggerlo, per rendersi conto del livello di arroganza con cui Camusso-Bonanni-Angeletti scrivono i loro diktat tassativi. Alcuni passaggi fanno veramente rabbrividire, ma vogliamo citarne uno che invece fa più sorridere. "Il cambiamento di appartenenza sindacale da parte di un componente della Rsu ne determina la decadenza dalla carica e la sostituzione con il primo dei non eletti della lista di originaria appartenenza del sostituito." Si tratta in sostanza di quel "vincolo di mandato" che quando qualche mese fa fu proposto da Beppe Grillo fece indignare tutto quel mondo "demokrat" così vicino proprio a Cgil-Cisl-Uil. Cosa diranno adesso?
Pubblichiamo di seguito gli articoli sulla materia dei siti contropiano.org e controlacrisi.org, oltre alla posizione del sindacato di base Usb.
Senza soste - 13 gennaio 2014
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Caos in Cgil dopo il nuovo infame accordo sulla rappresentanza
Ma sì, basta con questa storia della democrazia... Basta con la pretesa di avere qualcuno che ti rappresenti direttamente – scelto da te – nelle istituzioni o addirittura nel sindacato... Avrai dei rappresentanti scelti da noi, “professionali”, inamovibili. E se non faranno davvero i tuoi interessi, beh, faranno quelli della controparte. Ma “per il bene del paese”...
E se avevate capito che Susanna Camusso poteva essere scavalcata nel rapporto con Matteo Renzi e gli altri terminali della Troika che guidano il nuovo Pd, beh, anche su questo è bene che vi rendiate conto della realtà: sull'andare a destra Susanna non sarà mai seconda a nessuno.
Non ne siete ancora convinti? E allora guardatevi il regolamento attuativo del protocollo del 31 maggio 2013 e del 28 giugno 2011, firmato appena due giorni fa. Doveva essere un atto quasi formale, una semplice conferma di altre autentiche infamie, e invece è diventato occasione di un ulteriore giro di vite contro la possibilità che i lavoratori possano avere in futuro una rappresentanza vera. Del resto, se Renzi spinge per decisioni “rapide” i tre complici storici – Camusso, Bonanni e Angeletti – non potevano certo dare l'impressione di essere “lenti” nel rispondere alla “sfida della modernizzazione”.
Per Cisl e Uil non c'è problema, visto il controllo dispotico esercitato sulle rispettive organizzazioni dai due segretari. Per la Cgil, in piena tensione congressuale, i problemi sono esplosi subito. E dire che - a parte la minoranza capeggiata da Giorgio Cremaschi, allargatasi per l'occasione ad altri pezzi importanti dell'organizzazione – i due storici simboli della “quasi opposizione di sinistra” (Maurizio Landini e Gianni Rinaldini) avevano fatto molto più di quanto potevano per sopire le contraddizioni con la segretaria generale; fino a non presentare alcun documento alternativo, ma soltanto alcuni “emendamenti”, che in una battaglia congressuale pesano al massimo come dei “distinguo” rispetto a una linea pienamente accettata.
La Camusso coglie la posizione di debolezza in cui si sono così cacciati i due popolari avversari interni e piazza una delle sue solite decisioni in solitario, firmando vincoli e accordi senza alcuna discussione collegiale (che per un'organizzazione che dice di avere oltre 5 milioni di iscritti sarebbe quanto meno obbligatorio, se non altro a livello di Direttivo Nazionale). E rivendica: "Con il varo delregolamento attuativo, si dà piena attuazione all'accordo del 31 maggio dello scorso anno sulla rappresentanza e sulla democrazia sindacale. Si determina la reale misurazione della rappresentanza di ogni organizzazione sindacale e si rende evidente e trasparente quanto e chi rappresentano. Cgil, Cisl, Uil e Confindustria dimostrano in questo modo di sapersi rinnovare e di dare trasparenza e regole democratiche alla propria azione negoziale, di favorire la partecipazione dei lavoratori con il voto per i delegati e sugli accordi.
Ora gli addetti delle imprese aderenti a Confindustria avranno un potente strumento democratico per decidere della propria vita lavorativa. Mi auguro che presto anche con le altre associazioni datoriali si possa raggiungere questo importante traguardo che costituisce il modello per dare finalmente piena attuazione al dettato costituzionale".
Ora gli addetti delle imprese aderenti a Confindustria avranno un potente strumento democratico per decidere della propria vita lavorativa. Mi auguro che presto anche con le altre associazioni datoriali si possa raggiungere questo importante traguardo che costituisce il modello per dare finalmente piena attuazione al dettato costituzionale".
Ognuno potrà agevolmente verificare quanto questo nuovo accordo consenta di misurare “realmente la rappresentanza di ogni organizzazione sindacale”, dato che per poter “concorrere” a ogni tornata elettorale bisognerà aver sottoscritto preventivamente il “quadro di regole” fissato con il 31 maggio, che esclude qualsiasi ricorso a scioperi in futuro, sanzioni per organizzazioni e singoli lavoratori che dovessero comunque farlo, deroghe ad libitum per le imprese dalle norme contrattuali, ecc. Insomma, un'autentica prigione dove è vietato pensare, agire, difendersi.
Una gabbia in cui si è sentito improvvisamente stretto anche Maurizio Landini: "Visitando il sito www.cgil.it, apprendo che la segretaria generale della Cgil ha firmato il testo di un accordo con alcuni contenuti mai discussi in nessun organismo della nostra organizzazione. Ciò che doveva essere un regolamento attuativo dell'accordo tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria sulla rappresentanza si trasforma in un nuovo accordo. Da una prima lettura si evidenzia che il nuovo accordo prevede sanzioni verso le organizzazioni sindacali o i lavoratori eletti, si introduce l'arbitrato interconfederale in sostituzione dell'autonomia delle singole categorie sindacali e compaiono elementi di limitazioni delle libertà sindacali anche in contrasto con la recente sentenza della Corte costituzionale sulla Fiat. Tutto ciò rende evidente l'urgenza e la necessità di una convocazione immediata del direttivo della Cgil e, nel rispetto dello Statuto della nostra organizzazione, di procedere alla consultazione degli iscritti interessati dall'accordo. Lunedì, intanto, si riunirà la segreteria nazionale della Fiom-Cgil per esprimere un giudizio più compiuto sull'accordo, anche in vista del Comitato centrale già convocato per il 16 gennaio."
Una gabbia in cui si è sentito improvvisamente stretto anche Maurizio Landini: "Visitando il sito www.cgil.it, apprendo che la segretaria generale della Cgil ha firmato il testo di un accordo con alcuni contenuti mai discussi in nessun organismo della nostra organizzazione. Ciò che doveva essere un regolamento attuativo dell'accordo tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria sulla rappresentanza si trasforma in un nuovo accordo. Da una prima lettura si evidenzia che il nuovo accordo prevede sanzioni verso le organizzazioni sindacali o i lavoratori eletti, si introduce l'arbitrato interconfederale in sostituzione dell'autonomia delle singole categorie sindacali e compaiono elementi di limitazioni delle libertà sindacali anche in contrasto con la recente sentenza della Corte costituzionale sulla Fiat. Tutto ciò rende evidente l'urgenza e la necessità di una convocazione immediata del direttivo della Cgil e, nel rispetto dello Statuto della nostra organizzazione, di procedere alla consultazione degli iscritti interessati dall'accordo. Lunedì, intanto, si riunirà la segreteria nazionale della Fiom-Cgil per esprimere un giudizio più compiuto sull'accordo, anche in vista del Comitato centrale già convocato per il 16 gennaio."
La componente d'opposizione che ha presentato il documento alternativo “Il sindacato è un'altra cosa” ha parlato invece già ieri sera per bocca di Giorgio Cremaschi, con la dichiarazione pubblicata.
tratto da http://www.contropiano.org
12 gennaio 2014
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Cgil, dopo l'accordo sulla Rappresentanza il congresso rischia di saltare: le posizioni di Landini, Camusso, Cremaschi
Con la firma del regolamento attuativo del protocollo del 31 maggio 2013 e del 28 giugno 2011, si chiude il cerchio di Cgil, Cisl e Uil sulla Rappresentanza. La velocizzazione impressa dal segretario del Pd Matteo Renzi ha in qualche modo spaventato i tre sindacati confederali che vogliono mettere il futuro governo e il Parlamento davanti al fatto compiuto. Il passaggio ha di fatto sparigliato la struttura del congresso della Cgil, basata sul documento di maggioranza tra Camusso e Landini. A questo punto con la Fiom che chiede alle sue strutture di bloccare le assemblee di base in quanto l'atto firmato da Camusso vìola tutti i regolamenti interni, soprattutto nella fase congressuale, non è detto che a maggio si tenga un regolare congresso, sicuramente un congresso diverso da come era partito qualche mese fa. Qui di seguito le posizioni espresse da Camusso, Landini e Cremaschi. Quest'ultimo rappresenta infatti la corrente che per il congresso aveva scelto di stare all'opposizione.
Susanna Camusso: "Con il varo del regolamento attuativo, si dà piena attuazione all'accordo del 31 maggio dello scorso anno sulla rappresentanza e sulla democrazia sindacale. Si determina la reale misurazione della rappresentanza di ogni organizzazione sindacale e si rende evidente e trasparente quanto e chi rappresentano. Cgil, Cisl, Uil e Confindustria dimostrano in questo modo di sapersi rinnovare e di dare trasparenza e regole democratiche alla propria azione negoziale, di favorire la partecipazione dei lavoratori con il voto per i delegati e sugli accordi. Ora gli addetti delle imprese aderenti a Confindustria avranno un potente strumento democratico per decidere della propria vita lavorativa. Mi auguro che presto anche con le altre associazioni datoriali si possa raggiungere questo importante traguardo che costituisce il modello per dare finalmente piena attuazione al dettato costituzionale".
Maurizio Landini: "Visitando il sito www.cgil.it, apprendo che la segretaria generale della Cgil ha firmato il testo di un accordo con alcuni contenuti mai discussi in nessun organismo della nostra organizzazione."
"Ciò che doveva essere un regolamento attuativo dell'accordo tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria sulla rappresentanza si trasforma in un nuovo accordo. Da una prima lettura si evidenzia che il nuovo accordo prevede sanzioni verso le organizzazioni sindacali o i lavoratori eletti, si introduce l'arbitrato interconfederale in sostituzione dell'autonomia delle singole categorie sindacali e compaiono elementi di limitazioni delle libertà sindacali anche in contrasto con la recente sentenza della Corte costituzionale sulla Fiat."
"Tutto ciò rende evidente l'urgenza e la necessità di una convocazione immediata del direttivo della Cgil e, nel rispetto dello Statuto della nostra organizzazione, di procedere alla consultazione degli iscritti interessati dall'accordo. Lunedì, intanto, si riunirà la segreteria nazionale della Fiom-Cgil per esprimere un giudizio più compiuto sull'accordo, anche in vista del Comitato centrale già convocato per il 16 gennaio".
"Ciò che doveva essere un regolamento attuativo dell'accordo tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria sulla rappresentanza si trasforma in un nuovo accordo. Da una prima lettura si evidenzia che il nuovo accordo prevede sanzioni verso le organizzazioni sindacali o i lavoratori eletti, si introduce l'arbitrato interconfederale in sostituzione dell'autonomia delle singole categorie sindacali e compaiono elementi di limitazioni delle libertà sindacali anche in contrasto con la recente sentenza della Corte costituzionale sulla Fiat."
"Tutto ciò rende evidente l'urgenza e la necessità di una convocazione immediata del direttivo della Cgil e, nel rispetto dello Statuto della nostra organizzazione, di procedere alla consultazione degli iscritti interessati dall'accordo. Lunedì, intanto, si riunirà la segreteria nazionale della Fiom-Cgil per esprimere un giudizio più compiuto sull'accordo, anche in vista del Comitato centrale già convocato per il 16 gennaio".
Giorgio Cremaschi: Il regolamento applicativo dell’accordo del 31 maggio sottoscritto venerdì sera da Confindustria e da CGIL CISL UIL viola lo Statuto della CGIL e soprattutto la Costituzione.
Naturalmente non è che la cosa ci stupisca, il testo sottoscritto da poco semplicemente trasforma in regole scrupolose i principi e lo spirito antidemocratici già contenuti nell’accordo del 31 maggio 2013. Tuttavia vedere ora quelle regole è sconvolgente.
Tralascio il dettaglio degli orrori e vado ai punti di fondo.
L’accordo viola la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha riammesso la FIOM in Fiat, e afferma che solo i firmatari che accettano tutte le sue regole hanno i diritti sindacali.
L’accordo accetta le deroghe in azienda ai contratti nazionali sugli orari, sulla prestazione e sulle condizioni di lavoro cioè su tutto, alla faccia di tutte le posizioni ufficiali della CGIL. Sacconi e il suo articolo 8 sono soddisfatti.
L’accordo prevede la esigibilità degli accordi, di questi accordi in deroga, anche per chi non è d’accordo e le sanzioni per chi li contrasta, sanzioni che colpiscono il sindacato e i delegati aziendali. Questo è semplicemente l’accordo separato di Pomigliano esteso a tutti.
L’accordo prevede che una giuria di arbitri formata da tre rappresentanti di CGIL CISL UIL , tre della Confindustria e un “esperto”esterno decida sui comportamenti delle categorie. Cioè la FIOM sarà giudicata da una commissione dove padroni e sindacati complici sono la grande maggioranza.
Tutte queste clausole violano i principi e lo Statuto della CGIL, per questo la firma di Susanna Camusso è illegittima, non ci rappresenta e per noi non ha alcun valore. Disubbidiremo e combatteremo questo accordo in difesa delle libertà sindacali e di quelle dei lavoratori con tutti gli strumenti democratici atti a rovesciarlo.
A Maurizio Landini che ora dice no e chiede la consultazione, diciamo che se avesse detto no il 31 maggio ed allora avesse preteso il voto dei lavoratori, che invece su quella intesa non son stati neppure informati, a Landini diciamo che se si fosse opposto allora oggi non saremmo a questo disastro.
In ogni caso il gruppo dirigente della FIOM è ancora in tempo per recuperare almeno in parte alla cantonata pazzesca che ha preso. Invece che sospendere i congressi della FIOM, scelta fuori dalle regole che danneggia solo chi dissente, si dissoci dalla maggioranza della CGIL e dal suo documento congressuale, che al primo punto mette proprio l’esaltazione dell’accordo del 31 maggio. Landini rompa con Susanna Camusso e venga a lottare con noi contro questo accordo e contro il modello di sindacato che propone. E lo faccia sul serio, senza le giravolte a cui ci ha abituato da un pò di tempo in qua.
Per quanto ci riguarda useremo tutte le assemblea congressuali dove riusciremo ad arrivare per mettere sotto accusa il gruppo dirigente che ha firmato questa resa. Si deve sapere che c’è chi dissente, disobbedisce e soprattutto non si arrenderà mai.
Naturalmente non è che la cosa ci stupisca, il testo sottoscritto da poco semplicemente trasforma in regole scrupolose i principi e lo spirito antidemocratici già contenuti nell’accordo del 31 maggio 2013. Tuttavia vedere ora quelle regole è sconvolgente.
Tralascio il dettaglio degli orrori e vado ai punti di fondo.
L’accordo viola la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha riammesso la FIOM in Fiat, e afferma che solo i firmatari che accettano tutte le sue regole hanno i diritti sindacali.
L’accordo accetta le deroghe in azienda ai contratti nazionali sugli orari, sulla prestazione e sulle condizioni di lavoro cioè su tutto, alla faccia di tutte le posizioni ufficiali della CGIL. Sacconi e il suo articolo 8 sono soddisfatti.
L’accordo prevede la esigibilità degli accordi, di questi accordi in deroga, anche per chi non è d’accordo e le sanzioni per chi li contrasta, sanzioni che colpiscono il sindacato e i delegati aziendali. Questo è semplicemente l’accordo separato di Pomigliano esteso a tutti.
L’accordo prevede che una giuria di arbitri formata da tre rappresentanti di CGIL CISL UIL , tre della Confindustria e un “esperto”esterno decida sui comportamenti delle categorie. Cioè la FIOM sarà giudicata da una commissione dove padroni e sindacati complici sono la grande maggioranza.
Tutte queste clausole violano i principi e lo Statuto della CGIL, per questo la firma di Susanna Camusso è illegittima, non ci rappresenta e per noi non ha alcun valore. Disubbidiremo e combatteremo questo accordo in difesa delle libertà sindacali e di quelle dei lavoratori con tutti gli strumenti democratici atti a rovesciarlo.
A Maurizio Landini che ora dice no e chiede la consultazione, diciamo che se avesse detto no il 31 maggio ed allora avesse preteso il voto dei lavoratori, che invece su quella intesa non son stati neppure informati, a Landini diciamo che se si fosse opposto allora oggi non saremmo a questo disastro.
In ogni caso il gruppo dirigente della FIOM è ancora in tempo per recuperare almeno in parte alla cantonata pazzesca che ha preso. Invece che sospendere i congressi della FIOM, scelta fuori dalle regole che danneggia solo chi dissente, si dissoci dalla maggioranza della CGIL e dal suo documento congressuale, che al primo punto mette proprio l’esaltazione dell’accordo del 31 maggio. Landini rompa con Susanna Camusso e venga a lottare con noi contro questo accordo e contro il modello di sindacato che propone. E lo faccia sul serio, senza le giravolte a cui ci ha abituato da un pò di tempo in qua.
Per quanto ci riguarda useremo tutte le assemblea congressuali dove riusciremo ad arrivare per mettere sotto accusa il gruppo dirigente che ha firmato questa resa. Si deve sapere che c’è chi dissente, disobbedisce e soprattutto non si arrenderà mai.
Fabio Sebastiani
tratto da http://www.controlacrisi.org
11 gennaio 2014
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Accordo sulla rappresentanza: c'è una sola "parte sociale". Lotteremo per farlo naufragare, serve una legge
Il "testo unico" sulla rappresentanza sindacale varato definitivamente ieri sera con la benedizione del presidente Napolitano espropria i lavoratori dei propri strumenti democratici ed è il tentativo di chiudere definitivamente qualsiasi spazio di democrazia e di conflitto nei luoghi di lavoro, attribuendo ai firmatari una prerogativa legislativa che invece la Costituzione attribuisce al Parlamento eletto dal popolo.
Non sappiamo in che misura la tempistica dell'emanazione del "testo unico" sia stata dettata dall'esigenza di stoppare la proposta di legge sulla rappresentanza contenuta nel jobs act avanzata da Renzi e di fornire un pacchetto preconfezionato dalle parti sociali e pertanto intoccabile, sappiamo però che se si vuole normare l'articolo 39 della costituzione questo non può che avvenire attraverso l'emanazione di una legge da parte del Parlamento.
Sanzionare il conflitto per rendere esigibili gli accordi, consentire alla contrattazione di secondo livello di derogare ai contratti nazionali,garantire solo a chi si piega alla sottoscrizione del "testo unico" e quindi accetta di non lottare più contro accordi che non condivide, tentare di aggirare la sentenza della Corte costituzionale, rendere inesigibile il referendum nel caso in cui l'accordo sia sottoscritto dalla maggioranza delle RSU sono le perle piu' evidenti contenute nel testo unico. Saranno i punti prioritari che metteremo al centro dello scontro, duro e senza sconti, che l'UNIONE SINDACALE di BASE avvia da oggi in tutta Italia e in tutti i luoghi di lavoro.
11 gennaio 2014
Termini inserimento voti sul registro online
Arrivano diverse segnalazioni che riguardano circolari od ordini di servizio
emanate da parte della Dirigenza Scolastica aventi come oggetto la regolarità delle operazioni di scrutinio e l'intimazione ad inserire le valutazioni prima della data dello scrutinio. Un problema che si registra in particolar modo nelle scuole che hanno deciso, nonostante l'incertezza della situazione vigente e l'inesistenza del piano di dematerializzazione da parte del MIUR, di dotarsi del famigerato registro unificato elettronico. Come prima cosa si deve rilevare che in tema di Valutazione periodica degli apprendimenti nelle classi degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado , per l'anno scolastico 2013/14 non è stata emanata alcuna indicazione da parte del MIUR. Cosa che era dovuta stante la novità del registro elettronico. Ed allora ci si attiene alle indicazioni pregresse in particolar modo a quelle formulate con la circolare CM n. 89 - Prot. MIURAOODGOS/6751 del 18 ottobre 2012. Per le classi prime, seconde e terze e nella prospettiva dello sviluppo dei nuovi assetti ordinamentali, occorre avere come principale riferimento l’art. 4, comma 4, del DPR 8 marzo 1999 n. 275 il quale così dispone- "Nell'esercizio dell'autonomia didattica le istituzioni scolastiche assicurano comunque la realizzazione di iniziative di recupero e sostegno, di continuità e di orientamento scolastico e professionale, coordinandosi con le iniziative eventualmente assunte dagli Enti locali in materia di interventi integrati a norma dell'articolo 139, comma 2, lett. b) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Individuano inoltre le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale ed i criteri per la valutazione periodica dei risultati conseguiti dalle istituzioni scolastiche rispetto agli obiettivi prefissati" dagli organi collegiali che devono individuare dunque le modalità ed i criteri di valutazione degli alunni e conseguentemente pronunciarsi anche sui termini entro cui procedere. Principio ribadito anche dall' art. 1, comma 2, del D.P.R. 22 giugno 2009, n. 122 lì ove esplica che l'autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l'esigenza di migliorare l'efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento. Nella circolare si precisa altresì che la valutazione, periodica e finale, costituisce una delle principali responsabilità delle scuole, anche con riguardo all’efficacia della comunicazione e del dialogo educativo con gli allievi e le loro famiglie, e deve pertanto rispondere a criteri di coerenza, motivazione, trasparenza e documentabilità rispetto a tutti gli elementi di giudizio che, acquisiti attraverso il maggior numero possibile di verifiche, hanno condotto alla sua formulazione. Si richiama a questo proposito il diritto di ciascun alunno ad una valutazione trasparente e tempestiva, principio basilare richiamato dall’art. 1 del più volte citato regolamento sulla valutazione. Nei piani dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche dovranno di conseguenza essere esplicitate, preventivamente, le tipologie e le forme di verifica utilizzate in itinere, le modalità e i criteri di valutazione adottati al termine di ogni periodo valutativo. Ciò al fine di rendere l’intero processo di valutazione trasparente e coerente con gli specifici obiettivi di apprendimento e con i risultati di apprendimento. E non si deve dimenticare l’art. 28 comma 4 del CCNL/2007 il quale prevede che il piano annuale delle attività è predisposto dal dirigente e deliberato dal collegio dei docenti. Il quadro normativo in tema di diritto scolastico è confusionale, abbiamo norme vigenti anche del 1925, come l'articolo 79 del RD 653 quando dispone che “ voti si assegnano, su proposta dei singoli professori, in base ad un giudizio brevemente motivato desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre o durante l'ultimo periodo delle lezioni”. Ma il caos normativo, il fatto che il MIUR abbia dimenticato di emanare la circolare periodica in tema di valutazione non deve comportare uno svilimento dei ruoli propri degli organi collegiali. Le intimazioni prodotte dai DS che diventano dunque ordini di servizio e se reiterati a seguito di rimostranza devono essere,teoricamente, ottemperati salvo illecito penale per poi eventualmente far valere l'illegittimità nelle dovute sedi con i templi biblici della giustizia non sempre “giusta”corrono invece in tale direzione e sarebbe il caso di chiedersi perché ciò accade? Quali responsabilità hanno gli organi collegiali in merito?Insomma piccole situazioni di vita quotidiana di una scuola sempre più conflittuale, burocratica, che impone sempre ordini ai propri dipendenti ma latita in tema di diritti. MarcoBarone
emanate da parte della Dirigenza Scolastica aventi come oggetto la regolarità delle operazioni di scrutinio e l'intimazione ad inserire le valutazioni prima della data dello scrutinio. Un problema che si registra in particolar modo nelle scuole che hanno deciso, nonostante l'incertezza della situazione vigente e l'inesistenza del piano di dematerializzazione da parte del MIUR, di dotarsi del famigerato registro unificato elettronico. Come prima cosa si deve rilevare che in tema di Valutazione periodica degli apprendimenti nelle classi degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado , per l'anno scolastico 2013/14 non è stata emanata alcuna indicazione da parte del MIUR. Cosa che era dovuta stante la novità del registro elettronico. Ed allora ci si attiene alle indicazioni pregresse in particolar modo a quelle formulate con la circolare CM n. 89 - Prot. MIURAOODGOS/6751 del 18 ottobre 2012. Per le classi prime, seconde e terze e nella prospettiva dello sviluppo dei nuovi assetti ordinamentali, occorre avere come principale riferimento l’art. 4, comma 4, del DPR 8 marzo 1999 n. 275 il quale così dispone- "Nell'esercizio dell'autonomia didattica le istituzioni scolastiche assicurano comunque la realizzazione di iniziative di recupero e sostegno, di continuità e di orientamento scolastico e professionale, coordinandosi con le iniziative eventualmente assunte dagli Enti locali in materia di interventi integrati a norma dell'articolo 139, comma 2, lett. b) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Individuano inoltre le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale ed i criteri per la valutazione periodica dei risultati conseguiti dalle istituzioni scolastiche rispetto agli obiettivi prefissati" dagli organi collegiali che devono individuare dunque le modalità ed i criteri di valutazione degli alunni e conseguentemente pronunciarsi anche sui termini entro cui procedere. Principio ribadito anche dall' art. 1, comma 2, del D.P.R. 22 giugno 2009, n. 122 lì ove esplica che l'autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l'esigenza di migliorare l'efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento. Nella circolare si precisa altresì che la valutazione, periodica e finale, costituisce una delle principali responsabilità delle scuole, anche con riguardo all’efficacia della comunicazione e del dialogo educativo con gli allievi e le loro famiglie, e deve pertanto rispondere a criteri di coerenza, motivazione, trasparenza e documentabilità rispetto a tutti gli elementi di giudizio che, acquisiti attraverso il maggior numero possibile di verifiche, hanno condotto alla sua formulazione. Si richiama a questo proposito il diritto di ciascun alunno ad una valutazione trasparente e tempestiva, principio basilare richiamato dall’art. 1 del più volte citato regolamento sulla valutazione. Nei piani dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche dovranno di conseguenza essere esplicitate, preventivamente, le tipologie e le forme di verifica utilizzate in itinere, le modalità e i criteri di valutazione adottati al termine di ogni periodo valutativo. Ciò al fine di rendere l’intero processo di valutazione trasparente e coerente con gli specifici obiettivi di apprendimento e con i risultati di apprendimento. E non si deve dimenticare l’art. 28 comma 4 del CCNL/2007 il quale prevede che il piano annuale delle attività è predisposto dal dirigente e deliberato dal collegio dei docenti. Il quadro normativo in tema di diritto scolastico è confusionale, abbiamo norme vigenti anche del 1925, come l'articolo 79 del RD 653 quando dispone che “ voti si assegnano, su proposta dei singoli professori, in base ad un giudizio brevemente motivato desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre o durante l'ultimo periodo delle lezioni”. Ma il caos normativo, il fatto che il MIUR abbia dimenticato di emanare la circolare periodica in tema di valutazione non deve comportare uno svilimento dei ruoli propri degli organi collegiali. Le intimazioni prodotte dai DS che diventano dunque ordini di servizio e se reiterati a seguito di rimostranza devono essere,teoricamente, ottemperati salvo illecito penale per poi eventualmente far valere l'illegittimità nelle dovute sedi con i templi biblici della giustizia non sempre “giusta”corrono invece in tale direzione e sarebbe il caso di chiedersi perché ciò accade? Quali responsabilità hanno gli organi collegiali in merito?Insomma piccole situazioni di vita quotidiana di una scuola sempre più conflittuale, burocratica, che impone sempre ordini ai propri dipendenti ma latita in tema di diritti. MarcoBarone
Notizie su Euridice di Erri De Luca
Euridice alla lettera significa trovare giustizia. Orfeo va oltre il
confine dei vivi per riportarla in terra. Ho conosciuto e fatto parte di una generazione politica appassionata di giustizia, perciò innamorata di lei al punto di imbracciare le armi per ottenerla. Intorno bolliva il 1900, secolo che spostava i rapporti di forza tra oppressori e oppressi con le rivoluzioni. Orfeo scende impugnando il suo strumento e il suo canto solista. La mia generazione e scesa in coro dentro la rivolta di piazza. Non dichiaro qui le sue ragioni: per gli sconfitti nelle aule dei tribunali speciali quelle ragioni erano delle circostanze aggravanti, usate contro di loro.
C’è nella formazione di un carattere rivoluzionario il lievito delle
commozioni. Il loro accumulo forma una valanga. Rivoluzionario non è un ribelle, che sfoga un suo temperamento, è invece un’alleanza stretta con uguali con lo scopo di ottenere giustizia, liberare Euridice.
Innamorati di lei, accettammo l’urto frontale con i poteri costituiti.
Nel parlamento italiano che allora ospitava il più forte partito
comunista di occidente, nessuno di loro era con noi. Fummo liberi da
ipoteche, tutori, padri adottivi. Andammo da soli, però in massa, sulle piste di Euridice. Conoscemmo le prigioni e le condanne sommarie costruite sopra reati associativi che non avevano bisogno di accertare responsabilità individuali. Ognuno era colpevole di tutto. Il nostro Orfeo collettivo e stato il più imprigionato per motivi
politici di tutta la storia d’Italia, molto di più della generazione
passata nelle carceri fasciste.
Il nostro Orfeo ha scontato i sotterranei, per molti un viaggio di sola andata. La nostra variante al mito: la nostra Euridice usciva alla luce dentro qualche vittoria presa di forza all’aria aperta e pubblica, ma Orfeo finiva ostaggio.
Cos’altro ha di meglio da fare una gioventù, se non scendere a liberare dai ceppi la sua Euridice? Chi della mia generazione si astenne, disertò. Gli altri fecero corpo con i poteri forti e costituiti e oggi sono la classe dirigente politica italiana. Cambiammo allora i connotati del nostro paese, nelle fabbriche, nelle prigioni, nei ranghi dell’esercito, nella aule scolastiche e delle università. Perfino allo stadio i tifosi imitavano gli slogan, i ritmi scanditi dentro le nostre manifestazioni. L’Orfeo che siamo stati fu contagioso, riempì di sé il decennio settanta. Chi lo nomina sotto la voce “sessantotto” vuole abrogare una dozzina di anni dal calendario. Si consumò una guerra civile di bassa intensità ma con migliaia di detenuti politici. Una parte di noi si specializzò in agguati e in clandestinità. Ci furono azioni micidiali e clamorose ma senza futuro. Quella parte di Orfeo credette di essere seguito da Euridice, ma quando si voltò nel buio delle celle dell’isolamento, lei non c’era.
Ho conosciuto questa versione di quei due e del loro rapporto, li ho
incontrati all'aperto nelle strade. Povera è una generazione nuova che non s’innamora di Euridice e non la va a cercare anche all'inferno.
confine dei vivi per riportarla in terra. Ho conosciuto e fatto parte di una generazione politica appassionata di giustizia, perciò innamorata di lei al punto di imbracciare le armi per ottenerla. Intorno bolliva il 1900, secolo che spostava i rapporti di forza tra oppressori e oppressi con le rivoluzioni. Orfeo scende impugnando il suo strumento e il suo canto solista. La mia generazione e scesa in coro dentro la rivolta di piazza. Non dichiaro qui le sue ragioni: per gli sconfitti nelle aule dei tribunali speciali quelle ragioni erano delle circostanze aggravanti, usate contro di loro.
C’è nella formazione di un carattere rivoluzionario il lievito delle
commozioni. Il loro accumulo forma una valanga. Rivoluzionario non è un ribelle, che sfoga un suo temperamento, è invece un’alleanza stretta con uguali con lo scopo di ottenere giustizia, liberare Euridice.
Innamorati di lei, accettammo l’urto frontale con i poteri costituiti.
Nel parlamento italiano che allora ospitava il più forte partito
comunista di occidente, nessuno di loro era con noi. Fummo liberi da
ipoteche, tutori, padri adottivi. Andammo da soli, però in massa, sulle piste di Euridice. Conoscemmo le prigioni e le condanne sommarie costruite sopra reati associativi che non avevano bisogno di accertare responsabilità individuali. Ognuno era colpevole di tutto. Il nostro Orfeo collettivo e stato il più imprigionato per motivi
politici di tutta la storia d’Italia, molto di più della generazione
passata nelle carceri fasciste.
Il nostro Orfeo ha scontato i sotterranei, per molti un viaggio di sola andata. La nostra variante al mito: la nostra Euridice usciva alla luce dentro qualche vittoria presa di forza all’aria aperta e pubblica, ma Orfeo finiva ostaggio.
Cos’altro ha di meglio da fare una gioventù, se non scendere a liberare dai ceppi la sua Euridice? Chi della mia generazione si astenne, disertò. Gli altri fecero corpo con i poteri forti e costituiti e oggi sono la classe dirigente politica italiana. Cambiammo allora i connotati del nostro paese, nelle fabbriche, nelle prigioni, nei ranghi dell’esercito, nella aule scolastiche e delle università. Perfino allo stadio i tifosi imitavano gli slogan, i ritmi scanditi dentro le nostre manifestazioni. L’Orfeo che siamo stati fu contagioso, riempì di sé il decennio settanta. Chi lo nomina sotto la voce “sessantotto” vuole abrogare una dozzina di anni dal calendario. Si consumò una guerra civile di bassa intensità ma con migliaia di detenuti politici. Una parte di noi si specializzò in agguati e in clandestinità. Ci furono azioni micidiali e clamorose ma senza futuro. Quella parte di Orfeo credette di essere seguito da Euridice, ma quando si voltò nel buio delle celle dell’isolamento, lei non c’era.
Ho conosciuto questa versione di quei due e del loro rapporto, li ho
incontrati all'aperto nelle strade. Povera è una generazione nuova che non s’innamora di Euridice e non la va a cercare anche all'inferno.
Diaz, arrestata la polizia. Con tredici anni di ritardo
La notizia è passata un po' in sordina e solo oggi alcuni quotidiani genovesi ne rendono conto ma il 2013 si è concluso con l'arresto di Spartaco Mortola - ex capo della digos genovese - e Giovanni Luperi - ex dirigente dell'Ucigos poi capo-analista dei servizi segreti e ora in pensione, entrambi sotto accusa per il massacro avvenuto alla Diaz durante il G8 di Genova e per l'introduzione di prove false all'interno della scuola volte a giustificare l'irruzione delle forze dell'ordine.
Il 31 dicembre i giudici hanno infatti rifiutato la richiesta di affidamento ai servizi sociali avanzata per i due poliziotti, decretando una pena di 8 mesi per Mortola e di un anno per Luperi, che entrambi sconteranno agli arresti domiciliari. Il giorno precedente, invece, l'arresto è scattato per Francesco Gratteri, all'epoca dei fatti al vertice del Servizio centrale operativo della polizia di Stato.
Si chiude così dopo 13 anni la vicenda giudiziaria per i tre poliziotti, implicati a vario titolo nelle violenze, nei pestaggi e nei successivi depistaggi avvenuti nella notte del 21 luglio 2001. Tutti quanti beneficeranno di alcune ore di libertà durante il giorno e della facoltà di comunicare e potranno inoltre chiedere che gli venga riconosciuta la buona condotta, ottenendo così un ulteriore sconto di qualche mese alle proprie condanne, già ampiamente ridimensionate per effetto dell'indulto del 2006 o per la caduta in prescrizione di alcuni reati.
Nel frattempo Spartaco Mortola, ex capo della Digos Genovese, ha continuato indisturbato il suo operato, prima 'gestendo l'ordine' a suo modo in Valsusa all'epoca della resistenza No Tav alle trivelle nel 2010, poi promosso a capo della Polfer di Torino l'anno successivo, quando su di lui pesava già una condanna in secondo grado e un'interdizione di cinque anni dai pubblici uffici per i fatti di Genova.
Tredici anni dopo la vicenda giudiziaria può dunque dirsi conclusa, con pene lievissime per una parte dei vertici della polizia (su un totale di 44 agenti coinvolti solo in 15 scontano una pena, in tutti i casi molto ridimensionate), l'impunità per i tuttora anonimi picchiatori in divisa che nel luglio del 2001 si divertirono a compiere il lavoro sporco ordinato dall'alto e condanne pesantissime, invece, per i compagni e le compagne assurti a capro espiatorio con l'accusa di devastazione e saccheggio, che stanno scontando sulla propria pelle gli effetti di un processo dal sapore di vendetta.
Se gli arresti di due giorni fa di certo strappano un (amaro) sorriso al finire del 2013 e in un certo senso scrivono la parola fine di una vicenda, lo fanno in termini puramente giudiziari: ancora una volta non saranno le sentenze di un Tribunale a cancellare la rabbia e le ferite per quelle giornate di Genova e per la vendetta che le forze dell'ordine decisero di infliggere con le violenze della Diaz.
tratto da http://www.infoaut.org
Il preside non può sospendere dal servizio i docenti per sanzione
giovedì 9 gennaio 2014
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Il preside non può sospendere dal servizio i docenti per sanzione,
sanzioni disciplinari,
scuola,
sentenza corte appello di Torino
La Corte di appello di
Torino non ha condiviso la linea del ministero dell'istruzione
Il preside non può sospendere dal servizio i docenti per sanzione
I dirigenti non hanno il potere di sospendere i
docenti. La sanzione della sospensione dal
servizio fino a 10 giorni, infatti,
non è prevista per i docenti dall'ordinamento scolastico. Che reca invece la
sospensione dall'insegnamento fino ad un mese. E siccome il decreto Brunetta,
nel definire in generale la competenza dei dirigenti, prevede che essa non
possa eccedere l'irrogazione di sospensioni «dal servizio fino a 10 giorni»,
quando si tratta di docenti, il dirigente non può andare oltre la censura.
Pertanto, se l'infrazione è più grave di quelle
sanzionabili fino alla censura, il dirigente scolastico non può fare altro che
trasmettere gli atti all'ufficio per i provvedimenti disciplinari
territorialmente competente. Lo ha stabilito la Corte d'appello di Torino con
una sentenza depositata il 7 novembre scorso (n.1079) con la quale ha capovolto
l'esito di una sentenza emessa dal Tribunale della stessa città il 10.9.2012
(sentenza n. 2818/12). Il collegio ha ritenuto di non condividere
l'interpretazione adottata dal ministero dell'istruzione con la circolare
88/2010. Secondo la quale, il dirigente scolastico e l'ufficio per i
provvedimenti disciplinari avrebbero entrambi competenza ai fini
dell'irrogazione delle sanzioni disciplinari applicabili a seguito
dell'accertamento di infrazioni connotate da gravità.
Fermo restando, però, che la sanzione in concreto
applicabile dal dirigente scolastico non può eccedere i 10 giorni. Tesi,
questa, che non è stata ritenuta percorribile dal giudice. Perché il decreto Brunetta
fa espresso riferimento alla sanzione edittale astrattamente prevista,
lasciando impregiudicata la piena vigenza dell'art. 498 del testo unico. Che,
per contro, non prevede la sanzione della sospensione fino a 10 giorni.
Sanzione, questa, prevista nel contratto di lavoro solo nei confronti del
personale Ata. In buona sostanza, dunque, la Corte d'appello, in linea con il
costante orientamento della giurisprudenza, ha conformato il suo giudizio ai
principi di tipicità e tassatività della sanzione. Secondo i quali, per punire
un lavoratore, è necessario che la sanzione sia espressamente prevista da una
norma di legge o di contratto. E ciò vale sia per quanto riguarda
l'esplicitazione del collegamento tra il comportamento antidoveroso e
l'applicazione della sanzione, sia per quanto riguarda l'individuazione
dell'autorità datoriale competente ad infliggerla e il procedimento da seguire
al fine di garantire il diritto di difesa. In più, siccome le norme punitive
sono norme speciali per definizione e, come tali, sono insuscettibili di
interpretazione analogica, fino a quando l'ordinamento non prevedrà
esplicitamente la sanzione della sospensione dal servizio (che è cosa diversa
dalla sospensione dall'insegnamento) anche per i docenti, i dirigenti non
avranno competenza in tale materia.
La sentenza si inquadra in un vero e proprio filone
giurisprudenziale, inaugurato con l'entrata in vigore del decreto Brunetta.
Filone caratterizzato da una lunga serie di sentenze di condanna
dell'amministrazione soprattutto per il mancato rispetto delle procedure. Le
soccombenze vanno dal mancato rispetto dei termini (tra le tante, si veda
l'ordinanza ex art.700 c.p.c. del Tribunale di Benevento del 2.5.2012)
all'omessa notizia all'incolpato della trasmissione degli atti all'ufficio per
i provvedimenti disciplinari (Tribunale di Cuneo, sentenza 7.3.2012, n. 43) e
all'omissione dell'instaurazione del contradditorio (Tribunale di Cosenza,
sentenza 1098/2012) in particolare per quanto riguarda la contestazione degli
addebiti (Tribunale di Lagonegro, sentenza 16.01.2013, n.19). Il fenomeno ha
assunto dimensioni preoccupanti. Perché il contenzioso sulle sanzioni
disciplinari, dopo la cancellazione degli organi stragiudiziali di composizione
di questo genere di controversie (conciliazione negoziale o collegiale e
ricorsi ai consigli di disciplina) si è interamente spostato in sede
giudiziale. Fatta salva l'ipotesi residuale della conciliazione prevista dal
codice di procedura civile (si veda l'interpello 11/2012 del ministero del lavoro).
Ciò ha contribuito ad ingolfare ulteriormente il processo del lavoro e rischia
di gravare le casse dello stato di oneri importanti dovuti ai costi delle
soccombenze. Recuperabili solo in parte con i giudizi di rivalsa davanti alla
Corte dei conti. Il giudice contabile, infatti, può mettere le mani nelle
tasche dei dirigenti inadempienti solo nei casi di dolo o colpa grave. A ciò va
aggiunto il fatto che i dirigenti non possono annullare le sanzioni in
autotutela (si veda la nota prot. 189 del 1° febbraio 2011 emanata dall'ufficio
IV). E quindi, quando le cose si mettono male, l'Avvocatura non può suggerire
tale espediente ai dirigenti per invocare la cessata materia del contendere
che, talvolta, consente di evitare la condanna alle spese. Sempre che il giudice
non ritenga di decidere comunque sul regolamento delle spese seguendo il
criterio della soccombenza virtuale addossando, comunque, le spese
all'amministrazione soccombente.
Come difendere dall'arroganza dei DS il personale Ata
Annullata la sanzione inflitta dal preside
Come difendere dall'arroganza dei DS il personale Ata
Il personale Ata può essere fatto oggetto della sanzione della sospensione dal servizio
solo a seguito di gravi mancanze oppure, in caso di recidiva, quando l'infrazione precedente sia stata punita con il massimo della multa. Se manca anche uno solo di questi elementi la sanzione è illegittima e va annullata. É questo il principio affermato dal Tribunale di Potenza con una sentenza depositata il 17 dicembre scorso (842/13, r.g. 61/2011). Il giudice del lavoro ha anche condannato l'amministrazione, in solido con il dirigente scolastico, a pagare 1800 euro di spese legali più Iva e cassa per gli avvocati. In tutto: circa 2284 euro. Il caso riguardava un lavoratore appartenente al personale Ata, che aveva fruito di 3 giorni di permesso per motivi personali, dandone comunicazione scritta, via fax, al dirigente scolastico. La fruizione del permesso non gli era stata preclusa, ma al rientro in servizio il dirigente aveva ritenuto di sanzionare il lavoratore con 6 giorni di sospensione, basandosi su di un'asserita recidiva della quale, in sede di giudizio, veniva accertata l'assoluta inesistenza. Il lavoratore, infatti, non si era rassegnato e aveva impugnato la sanzione davanti al giudice del lavoro che, a circa 3 anni di distanza dal fatto, gli ha dato ragione, annullando la sanzione e condannando l'amministrazione a pagare le spese legali e a reintegrarlo in tutti i suoi diritti. La questione investe essenzialmente due situazioni giuridiche. La prima è il diritto ai permessi, in merito al quale la costante giurisprudenza di merito ha spiegato che si tratta di diritti soggettivi potestativi, come tali, non soggetti ad alcun potere discrezionale di diniego da parte del dirigente scolastico. E la seconda è la tassatività delle disposizioni che regolano il procedimento disciplinare. Tassatività informata alla necessità di garantire il diritto di difesa del lavoratore incolpato e ad assicurare la proporzionalità tra l'entità dell'infrazione e la sanzione applicata. Giova ricordare, peraltro, che sul primo principio lo stesso giudice, in altra sentenza del 4 ottobre scorso (Tribunale di Potenza n.544/2013) si era espresso in conformità all'orientamento della giurisprudenza. E dunque, nel giudizio oggetto della sentenza del 17 dicembre ha ritenuto di non pronunciarsi nel merito limitandosi a censurare i vizi di legittimità del provvedimento. Censure che sono state sufficienti a giustificarne l'annullamento e la conseguente condanna dell'amministrazione a reintegrare il lavoratore nei suoi diritti.Infrazioni sanzionabili solo se provate in contraddittorio
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Infrazioni sanzionabili solo se provate in contraddittorio,
L'onere della prova è del datore di lavoro,
sanzioni disciplinari,
scuola
L'onere della prova è del datore di lavoro
La pronuncia si inquadra in un vero e proprio filone, in materia di sanzioni disciplinari, che vede l'amministrazione soccombere in giudizio sistematicamente. Ecco come si sono svolti i fatti. Un preside aveva ingiustamente sanzionato un docente, che aveva espresso doglianze alla commissione per le elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie, dalle quali sarebbe sorto un alterco, ritenendo probatorie le dichiarazioni dei membri della commissione stessa.
E cioè le stesse persone alle quali il docente aveva rappresentato le proprie doglianze in riferimento al loro operato. Doglianze che, a detta di un altro testimone escusso in sede di giudizio, avevano ingenerato un alterco al quale avrebbe dato il via proprio una delle due docenti di cui si componeva la commissione. E quindi il giudice ha spiegato che «non vi è alcuna certezza che i fatti si siano svolti proprio nel senso riferito dalle due docenti componenti di seggio elettorale salvo a ricorrere a mere presunzioni», si legge nella sentenza, «non gravi né precise e concordanti e che, quindi, non possono essere poste alla base della costruzione accusatoria».
Di qui l'infondatezza della sanzione già per effetto della debolezza del «quadro accusatorio». A questo proposito, peraltro, il giudice aveva ricordato che l'onere della prova circa i presupposti di fatto, oggettivi e soggettivi, che abbiano portato all'irrogazione di una sanzione disciplinare conservativa grava sul datore di lavoro, in forza di un'applicazione estensiva dell'art. 5 legge n. 604/66. In ciò uniformandosi all'insegnamento della sezione lavoro della Suprema corte di cassazione (sentenza 17.8.2002 n. 11153). Il dirigente, però, oltre a sbagliare nel merito, aveva commesso anche un errore nel procedimento: aveva applicato al docente la sanzione della multa, prevista dal contratto solo per il personale Ata.
Registro on line, attenti all'uso
Tra gli adempimenti a cui alcuni docenti dovranno far fronte alla riapertura delle scuole c'è anche la richiesta avanzata dai presidi di sostituire il registro cartaceo, in uso da settembre, con il registro elettronico, aggiornandolo con i dati pregressi.
Ma è un'operazione rischiosa, le scuole che optano per il registro elettronico potrebbero vedersi annullare scrutini ed esami dai Tar.
L'introduzione del cosiddetto registro elettronico, infatti, potrà essere considerata pienamente legittima quando il ministero dell'istruzione, in attuazione delle disposizioni contenute nell'articolo 7, comma 27, del decreto legge 95/2012, provvederà ad emanare il piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative.
Tale piano avrebbe dovuto essere emanato entro 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto 95/2012 ma, a tutt'oggi, l'amministrazione centrale non ha ancora provveduto, fatta salva una nota, di carattere meramente interlocutorio, emessa il 3 ottobre 2012 (n.1682/U). Oltre tutto, ai fini della validità di qualsiasi documento amministrativo in formato informatico, è necessario che esso venga sottoscritto dal pubblico ufficiale con firma digitale. Così come previsto dall'articolo 21, comma 2, del codice dell'amministrazione digitale (decreto legislativo n.82/2005 come riformato e vigente). Il che significa con un particolare tipo di firma elettronica avanzata, basata su un certificato qualificato e su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro. Che consente al titolare, tramite la chiave privata e al destinatario, tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici (si veda l'articolo 1, comma 1, lettera s) del decreto legislativo 82/2005). Solo in questo caso il documento informatico può sostituire il documento cartaceo.
Giova ricordare, peraltro, che l'osservanza delle disposizioni fin qui enunciate è assolutamente necessaria anche ai fini della compilazione dei registri elettronici, a pena di nullità degli atti formati in violazione delle medesime. Ciò perché i docenti, all'atto della compilazione del registro di classe o del professore, agiscono in veste di pubblici ufficiali (si vedano le sentenze della V sezione penale della Corte di cassazione n.12726/2000 e n.714/2010). Di qui l'opportunità di evitare il più possibile l'adozione di iniziative «fai da te» che potrebbero compromettere la legittimità dei procedimenti amministrativi collegati alla documentazione dei processi didattico-apprenditivi, ad esito dei quali vengono formati gli atti relativi alla valutazione degli alunni. Quanto al costo degli strumenti informatici necessari ad implementare il piano (che il comma 32 dell'articolo7 del decreto legge 95/2012 vorrebbe senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica) esso non può che essere a totale carico dell'amministrazione scolastica. In caso contrario, l'attuazione del piano si tradurrebbe in una perdita salariale a danno dei docenti interessati, peraltro, non prevista dalle relative disposizioni. Di qui l'invalidità di eventuali accordi di segno contrario sottoscritti a livello di singola scuola con le Rsu. Fermo restando, però, che la retribuzione dei relativi adempimenti a carico degli insegnanti non può che rientrare nella retribuzione ordinaria essendo, tali adempimenti, previsti dall'articolo 29 del vigente contratto di lavoro.
Ugualmente illegittima è la prassi invalsa presso diverse istituzioni scolastiche, secondo la quale i docenti vengono costretti a ricopiare i voti contenuti nei registri cartacei in appositi spazi web, utilizzando uno o più pc della scuola oppure direttamente dal pc di casa. Che se da una parte salva la legittimità degli adempimenti cartacei, dall'altra impone ai docenti interessati un raddoppio di oneri, già di per sé non legittimo in quanto non previsto dal contratto di lavoro. Tale aggravio di oneri, peraltro, oltre ad aumentare il rischio di errori materiali, si traduce in una deroga peggiorativa delle condizioni di lavoro contrattualmente previste di per sé illegittima e, dunque, potenzialmente foriera di ulteriore contenzioso.
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